Non Chiamarli
Carlos Ramos
L’obiettivo di questi testi è ricordare al lettore le sue più recondite paure. Ciò che molti anziani tramandano oralmente, ciò che si diffonde di bocca in bocca tra i vari quartieri. A quasi tutti si sono drizzati i peli dalla paura con una di queste storie e di nuovo il dubbio: Sarà possibile? Per alcuni si tratta solo di storie per divertirsi, per spaventare i bambini o per fornire un insegnamento a livello morale, per altri, per alcuni si tratta solo di idolatria, stregoneria e superstizioni.
Sarà Lei, cara lettrice e gentile lettore a decidere come avvicinarsi a questi testi. Che, per inciso provengono dal villaggio e così vengono tramandate, mischiandosi con ciò che si racconta al di fuori dei nostri confini e i nostri miti e leggende. Questi racconti si pongono nel mezzo tra la ragione e la fantasia, spetterà a Lei decidere. L'autore l'assicura che non si sbilancia verso nessuna delle due opzioni, si limita a raccontare solo ciò che gli hanno riferito.
Non Chiamarli
Carlos Ramos
Non Chiamarli
© Carlos Alberto Ramos Zúñiga, 2018
© Tradotto da Andreaceleste Brilli, 2021
© Tektime, 2021
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Per tutti i miei cari che sono venuti a mancare
Indice
Presentazione (#ulink_6e860e10-9dd3-50b9-b22d-2bbb097246ea)
Non Chiamarli (#ulink_86429a00-63d1-509f-b5c3-22a161d0da27)
Qui non succede niente (#ulink_dd687b02-0d44-5fe8-95dc-37e4ced1ef2b)
Solo mia nonna (#ulink_c5960483-fbbb-561c-9b79-0b9b64e92db5)
Il compare (#ulink_0d24401e-e909-5c68-9fd1-d09abb3c072f)
La strega (#ulink_e1bbcd0c-74a0-5c0b-be2d-6c97b5fe31fd)
I cani abbaiano (#ulink_fce37cbc-064e-5153-af54-c32b8d8ef473)
Quotidiano (#ulink_900afc17-2151-59dd-a3e3-95c5f869a55b)
Il contadino e la vecchietta (#ulink_ec42ba47-0cab-5052-b00e-cad87914d9d5)
Messaggi (#ulink_37aa0299-2eaf-5613-8ccb-0742df405bc2)
Le Nostre Giornate (#ulink_5fc397cc-676f-56d6-b74c-74578876f87c)
Presentazione
Non Chiamarli è una raccolta di dieci racconti di paura. Scaturire il sentimento di paura è molto difficile, perché questo è un genere molto vasto, siamo influenzati da esseri mostruosi e fantastici di qualsiasi tipologia, ma coloro che tratteremo qui sono quelli di cui ci raccontavano da piccoli, solo per divertirsi a spaventarci o perché sono reali. Chi non ricorda le notti tra amici o in famiglia raccontando queste storie? Allo stesso modo, chi non ricorda lo spavento prima di riuscire ad addormentarsi da soli dopo aver ascoltato questi racconti? Perché si tratta di qualcosa di estremamente concreto, a un certo punto restiamo soli con queste parole che risuonano dentro la nostra testa.
L’obiettivo di questi testi è ricordare al lettore le sue più recondite paure e far sì che dopo averli letti si domandi: Sarà vero? Voglio farvi dubitare, farvi parlare di queste storie e che utilizziate la vostra immaginazione per trovare un finale alternativo o almeno uno in linea con le vostre convinzioni. Che giungiate alle vostre conclusioni personali, che scegliate tra la ragione e la logica comune; o al contrario, restiate in compagnia di questi essere fantastici al di fuori di qualsiasi spiegazione.
L’obiettivo di questo libro è ricordare ciò che molti anziani tramandano oralmente, ciò che si diffonde di bocca in bocca tra i vari quartieri. A tutti noi hanno raccontato dello stregone (noto come Nahual), il diavolo e altri esseri che sono lì in agguato, aspettando che giunga la notte. A quasi tutti si sono drizzati i peli dalla paura con una di queste storie e di nuovo il dubbio: Sarà possibile? Per alcuni si tratta solo di storie per divertirsi, per spaventare i bambini o per fornire un insegnamento a livello morale, per altri, per alcuni si tratta solo di idolatria, stregoneria e superstizioni e per qualcun altro, è qualcosa di inspiegabile. Sarà Lei, caro lettore a decidere come avvicinarsi a questi testi. Che, per inciso provengono dal villaggio e così vengono tramandate, mischiandosi con ciò che si racconta al di fuori dei nostri confini e i nostri miti e leggende. Che sia vero o meno, ciò che si racconta qui lo facciamo nostro. Vi invito a leggere questi dieci racconti, a godere di loro e giudicare la loro veridicità o semplicemente ad intrattenervi con queste storie. Non Chiamarli si aggiunge agli altri libri del genere suspense, che alla fine, se con qualcuno di questi racconti vi si drizzeranno i peli delle braccia, allora avremo raggiunto il nostro obiettivo. Approfittate di questi testi scritti con un linguaggio estremamente semplice e che parlano del Messico.
In questi racconti che si inseriscono nel mezzo tra la realtà e la fantasia, noterete, che non mi sbilancio verso nessuna delle due opzioni, racconto solo ciò che mi hanno detto.
Carlos Ramos
Non Chiamarli
Per Adán, Hugo y Ramón,
per quel viaggio al Xicuco
Cosa avrò avuto in mente quella volta? Non comprendevo quale fosse stata la ragione che mi avesse spinto ad andare con loro quella mattina. Avevo visto quella collina un’infinità di volte, mi avevano raccontato del diavolo e della sua tana, ma in fin dei conti ciascuna collina ha una tana con un diavolo.
Camminammo molto, non eravamo stanchi e mancava poco per raggiungere la cima da dove avremmo potuto vedere tutta la città. Proprio in quel momento cominciammo a cercare la tana, perché nessuno di noi sapeva dove fosse di preciso, addirittura pensavamo fosse solo una diceria della gente del luogo. Non conoscevamo nemmeno il suo aspetto, non so se sia stato per istinto, curiosità o perché fosse nostro interesse, tuttavia trovammo la strada giusta.
La cosa che a prima vista mi fece restare sbalordito fu la forma del suo ingresso, è come se si trattasse dell’intimità della collina, in seguito, vedemmo una grande quantità di oggetti di stregoneria sparsi ovunque. Non chiamarli per favore, sentì in quel momento, ma nessun altro lo aveva sentito.
Continuammo cercando di non calpestare o spostare nulla, senza leggere i messaggi scritti sulle pareti. Sentì un odore tremendo, non riuscivo a decifrare cosa fosse esattamente. Sentì anche la pressione di qualcuno che respirava in modo più profondo e agitato, mi girai ad ascoltare, non chiamarli.
All’interno, forse per pura suggestione, qualcuno disse che si sentiva frastornato, qualcun altro che aveva mal di testa, il terzo disse che sentiva un dolore salirgli lungo la gamba nel preciso istante in cui si rese conte che stava calpestando i resti di un fuoco e quelle che all'apparenza erano caramelle sciolte. Io non mi sentivo male, ero solo un po’ stanco. A volte durante la notte, cercavo di non ripensare a quello che era nascosto nella tana, mio nonno diceva che non si deve restare attaccati alle cose brutte che incontriamo lungo il nostro cammino, dobbiamo allontanarle, non pensarle, né nominarle. A dire il vero entrammo soltanto nella prima insenatura della tana, non andammo oltre perché era necessario arrampicarsi ed era troppo buio. Il nostro viaggio aveva avuto talmente tanti imprevisti che avevamo a malapena acqua e cibo a sufficienza. Nessuno ha pensato di portare con sé qualcosa per illuminare. Con il flash del telefonino cercavamo di far luce nella stanza successiva come meglio potevamo, ma non riuscivamo a vedere molto.
Inoltre, le persone che abbiamo incontrato lungo la strada ci hanno consigliato di fare molta attenzione, perché in molti si erano persi, invece altri erano riusciti a trovare anche del denaro, preferimmo scendere per via dei vari dolori che accusavamo.
Ci dovemmo fermare per raccogliere delle bacche e passarcele lungo il corpo, come si era soliti fare per scacciare gli spiriti maligni. Gli altri iniziarono a “pulirsi” ma io non lo feci perché sentì che molto vicino stava passando un camion, quindi preferì correre dietro al rumore. Era un furgoncino che trasportava una famiglia intera, gli spiegai da dove venivamo e gli chiesi di portarci dove erano diretti loro, altrimenti avremmo dovuto camminare molto.
Quando tornammo a casa era già tardi, ero esausto, così mi feci il bagno e a breve il sonno prese il sopravvento. Prima di mettermi a dormire sentì una voce cavernosa che mi parlava in un’altra lingua, però compresi ciò che stesse dicendo: unisciti a me. Mi si drizzarono i peli perché contemporaneamente sentì un rumore provenire dalla camera.
Il mattino seguente il mio cane non mi riconosceva, fu estremamente difficile riuscire a portarlo fuori, perché scappava da me. Provavo una sensazione strana nei confronti del mondo. Sentivo tristezza e nostalgia per la collina. A volte desideravo soltanto dormire, come quando si soffre di depressione, tuttavia, non non mi sono mai trovato a doverla combattere. La seconda notte dopo essere entrato nella grotta, mi svegliai gridando. I miei genitori trascorsero molto tempo a farmi compagnia perché ero estremamente provato, non riuscivo nemmeno a muovermi e un’altra volta la voce, sei già qui. Stavo malissimo. I cani mi abbaiavano contro impauriti, il gatto del vicino gonfiava il pelo tutte le volte che lo incontravo ed io vedevo delle ombre intorno a me.
Le voci e i rumori provenienti dal fondo della stanza continuarono, ero disperato a tal punto che scoppiai in lacrime perché mi faceva male la testa e continuavo a provare la strana sensazione di non appartenere più a questo mondo, di essere stato trasportato lentamente in un posto che non conoscevo. Non mangiavo, dicevano che ero pallido, smisi di vedere gli amici con cui mi ero recato alla grotta, non ero io o almeno non lo ero più.
Non sono mai stato un tipo superstizioso, ma nella condizione in cui mi trovavo cominciai a credere che qualcosa mi avesse “colpito”, ma cosa esattamente? Era contraddittorio perché per rispondermi avrei dovuto supporre che esistono esseri, spiriti o qualsiasi altra cosa che va in giro a fare del male alla gente, che c’è vita dopo la morte, che c’è un intero mondo nascosto che può recare danni alle persone. Ciò mi causava grande confusione, tuttavia continuavo a star male, ogni volta sentivo delle voci che mi sussurravano intere frasi. In luoghi illuminati avevo paura, ero letteralmente terrorizzato di guardare sotto al letto perché c’era del rumore e la cosa decisamente più inquietante: sentivo che laggiù, in quella grotta, a diversi chilometri da me, qualcuno decideva della mia vita.
Passavano i giorni e gli incubi si facevano sempre più persistenti. Vedevo delle ombre, non sono mai riuscito a scorgere i loro volti, mi dicevano di andare con loro. In seguito, ho iniziato a vederle anche mentre ero sveglio. Il mio cane mi morse una mano perché lo spaventavo. Non riuscivo a dormire bene, ero sempre agitato, mi sudavano le mani e tremavo.
Alla fine mi portarono in ospedale perché peggioravo ogni giorno, tuttavia nemmeno le medicine riuscirono a donarmi un po’ di sollievo. Era insopportabile continuare in questo modo, più volte tentai di togliermi la vita o di uccidere ciò che si era impossessato del mio corpo, che era la stessa cosa, ma non ci riuscì. Perché tutti mi chiedevano: se questo mondo è ormai invivibile per me capirete perché penso al suicidio. Mi facevano sentire pazzo quando lo erano loro, per questo mi portarono dallo psicologo, ma presto si stufò di me, le voci in altre lingue non lo convincevano, la mia disperazione, il mio desiderio di porre un freno a tutta questa sofferenza lo fecero allontanare, pertanto decise di interrompere le sedute e io continuai a sentire le voci e a vedere le ombre.
Poiché non davo alcun segno di miglioramento, decisero di portarmi da un tale noto per essere un guaritore. Entrando a casa sua, restai sorpreso per la quantità di flaconi, l’odore, il suo modo di vestire, il suo aspetto. Fece un cerchio con il fuoco e iniziò a “curarmi”. Mi disse che avevo ben quattro mali su di me, uno per ciascuna direzione, che si stavano impossessando di me, per farmi sparire del tutto. In quel preciso momento, i suoi pantaloni presero fuoco, qualche fiamma doveva averlo colpito, mi disse che ciò che portavo con me era molto forte, che si stava incarnando. Mi chiese di tornare poiché per un lavoro ben fatto servivano almeno altre quattro visite.
Mi sentivo un po’ meglio, ma durante la notte continuavo a sentire questa voce: non c’è alcuna via d’uscita, ormai sei nostro,e poi come se qualcuno mi avesse costretto, andai in cucina, aprì il cassetto della credenza e presi il primo coltello che mi capitò, fallo non aver paura. Guardavo come il coltello entrava nella mia pelle, creava un solco tra la mia carne, non sentivo alcun dolore, il sangue scorreva lungo il mio braccio, poi passai all’altro polso, non sentivo nulla. Il pavimento si era colorato di rosso, ci hai chiamato, siamo qui, unisciti a noi.
Quando riaprì gli occhi ero disteso su un letto con mani e piedi legati. Era tutto bianco, ma non si trattava di un ospedale, era una stanza improvvisata con qualche lenzuolo, sicuramente mi avevano dichiarato matto, suicida, un malato incurabile. Una signora stava a fianco a me. Passava casualmente per la strada e vide cosa stava succedendo dentro, si prese cura di me insieme alla mia famiglia. Prima di andarsene mi disse, vieni a sopprimere le ombre, cogli dei fiori dal tuo giardino, mi diede un indirizzo e se ne andò.
Stavo talmente male che il giorno successivo mi portarono come meglio poterono nel posto che mi aveva indicato. Con grande sorpresa, ad aprirci era la stessa donna, ma quando ci salutò sentimmo che la sua voce era diversa. Mi chiese di sedermi su una sedia di legno, proprio sotto all’unico raggio di luce che entrava in quella stanza angusta, da lì era possibile vedere in lontananza la collina, quella della grotta. Si dirisse verso di me con una voce che non era quella del giorno precedente, né tanto meno quella della mattina. Mi disse di avermi parlato alla collina e che io non le avevo dato ascolto. Quella voce era la sua, non chiamarli per favore, in seguito ha messo diverse piante lungo la mia strada per allontanare il male, ma io non ne avevo approfittato ed era per questa ragione che mi sentivo così, perché c’erano cose brutte in quel posto. Con un’altra voce, mi disse che la tana, Xicuco, era pronta ad aiutarmi e che avevano chiamato la collina dell’Elefante per avere più forza nella battaglia.
Non posso descrivere con esattezza ciò che stava accadendo. Stavo in uno stato di trance, era tutto molto confuso, le ombre volteggiavano intorno a me, i rumori andavano e tornavano, le voci non si fermavano, mi gridavano parolacce o mi imploravano. Persi la misura del tempo, non so nemmeno in quale momento mi sia alzato e ripetevo ciò che la signora mi diceva.
Per l’ultima parte della guarigione avevano un ruolo centrale i fiori che colsi nel giardino. Li passò lungo il mio corpo per diverse volte, ancora e ancora, infine mi disse di lasciarli andare nel fiume. Quando me ne andai era tutto molto nitido, mi sentivo rinato, riuscivo a camminare da solo e non sentivo più alcun dolore. Mi recai al fiume e lasciai cadere i fiori, quando alzai lo sguardo vidi i tre anziani che mi avevano guarito, scomparvero in un batter d’occhio. Nella mia mente ho sentito, vieni, ma non chiamarli.
Tláhuac, Città del Messico.
16/marzo/2016
Qui non succede niente
A Claudia per averci aperto gli occhi su ciò che ci circonda
Ciò che sto per raccontarvi ebbe inizio quando Claudia vide uno strano tipo in piedi tra il lavandino e il frigorifero; indossava una maglietta bianca, un paio di jeans e uno zaino nero. La mia vicina non ricorda di aver visto i suoi piedi. Mi disse che era uscita per vedere chi le avesse detto: “Buona sera”. Non vedemmo proprio nessuno. Cercammo in cortile, per le scale, fino all’ultimo piano, nel piccolo bagno sgangherato, in cima all’albero, niente. Dal portone non era uscito nessuno, ma era certa che qualcuno fosse stato lì, avevamo la strana sensazione di essere osservate ma di non riuscire a vedere nessuno.
La zona in cui viviamo è molto vecchia, come qualunque altro quartiere in città. Le pareti sono ricoperte di muffa a causa della pioggia, mancano pezzi d’intonaco, ci sono crepe decennali, provocate dai numerosi terremoti, il grande cortile è davvero trascurato. Insomma sta cadendo a pezzi. Nessuno sa chi sia il vero proprietario. Il nostro locatore dice che si tratta di una vedova, sicuramente molto ricca perché possiede altri stabili. Facendo delle ricerche, qualcuno mi disse che tanti anni fa qui accadde qualcosa di molto brutto, ma non so cosa.
La vita qui è sempre uguale, scorre veloce, gente che entra ed esce a qualsiasi ora, era comune vedere persone nuove che venivano a trovare qualcuno o solo per vedere cosa potessero rubare.
Un’altra vicina ad esempio, mi ha detto che proprio ieri aveva ricevuto ospiti per bersi una birra insieme ― cosa molto comune ― erano cinque amici: tre uomini, due donne e la mia vicina. Lei vive qui soltanto da un mese, quindi ancora non conosce tutti. Non si è ancora adattata al nostro stile di vita, perché la maggior parte di quelli che si sono trasferiti qui, sono venuti soli dal proprio paesino, sperando di poter iniziare una vita nuova, migliore, in città.
Avevano già bevuto diverse birre quando uno di loro si recò in bagno, erano solo pochi passi, trovò la luce accesa, segno che qualcuno fosse lì dentro, aspettò che uscisse sperando che si sbrigasse. Quando si spense la luce uscì un ragazzo magro con gli occhi grandi, i capelli corti ricci, di carnagione chiara, indossava una maglietta bianca e un paio di jeans, disse: buona notte. Impaziente di entrare rispose quasi meccanicamente, non ne poteva proprio più. La tavoletta del bagno sembrava fosse stata abbassata da poco, l’acqua ancora scorreva, tuttavia mentre stava aspettando non aveva sentito alcun rumore.
Quando uscì incontrò il ragazzo, se ne stava lì impalato, con quel viso pallido e magro come se non prendesse il sole da mesi. Non diceva nulla, si limitava ad osservarlo, sentendosi un po’ più tranquillo l’altro disse: “Ti va una birra?” Egli accettò. Entrarono in cucina, a voce alta disse a tutti del nuovo arrivato, gli chiesero come si chiamasse, anche se nessuno riuscì a sentire la sua risposta, per via del suo tono di voce molto basso, rispetto alla musica da cui tutti erano distratti, non gli importava molto.
La festa proseguì, la birra scorreva, i presenti non prestarono molta attenzione al nuovo arrivato, sembrava piuttosto spaventato. Quando finì la sua birra, si alzò, salutò tutti e se ne andò. Più tardi, gli amici della mia vicina le chiesero se lo conoscesse, ma lei non lo aveva mai visto prima, non sapeva se abitasse qui o fosse una persona di passaggio. La mia vicina finì di raccontarmi la sua storia e poi le dissi cosa fosse successo a Claudia, non mi rispose, ma impallidì.
Alcuni giorni dopo, mentre andavo in bagno, incontrai quel tipo, sembrava stesse parlando da solo, si poteva spiegare poiché era estremamente concentrato, forse era in preda alle allucinazioni e stava parlando con il suo amico immaginario. Gli altri miei vicini mi hanno detto che lo avevano visto più volte parlare da solo, nello stesso momento teneva in mano una stoffa imbevuta di solvente.
In quella occasione parlammo un po’ del clima, della pioggia recente e del caldo estremo, ma presto mi prese in contropiede domandandomi del suo amico… non sapevo in quale appartamento vivesse, ma avevo già parlato con lui diverse volte, avevamo già bevuto insieme. Estremamente sorpreso gli chiesi di chi stesse parlando, mi rispose che, era un ragazzo magro, con i capelli corti e ricci, di carnagione chiara e che indossava sempre una maglietta bianca con un paio di jeans. Iniziai a sudare freddo, mi si seccò la bocca, gli dissi che non sapevo chi fosse e me ne andai.
Non ci potevo credere, diverse persone lo avevano visto, eppure nessuno lo conosceva. Forse era qualcuno che veniva da qua vicino e che usciva senza che ce ne rendessimo conto, ma perché? La cosa sicura è che non viveva qui.
Di tutti i vicini io ero quella maggiormente colpito, perché mi chiedevo cosa sarebbe accaduto se lo avessi incontrato? Cosa avrei potuto fare? Avrei almeno potuto parlarci? Mi avevano raccontato le loro esperienze, ma come sarebbe stata la mia? Mi dava preoccupazione il fatto di entrarci in contatto, perché in fondo pensavo che non fosse reale.
Non sapevo come spiegare ciò che stava accadendo. Una notte in cui non riuscivo a dormire, mi sedetti su un vecchio sgabello nella mia cucina, a pensare, non so se fossi sveglia o stessi ancora dormendo, in seguito andai in bagno e lì lo incontrai, era in piedi in silenzio, con gli stessi abiti di sempre, con la stessa faccia priva di qualsiasi espressione, finalmente lo vedevo (o sognavo). Non mi disse nulla, era proprio come lo avevano descritto, non avevo alcun dubbio, si trattava di lui. Appena ebbi la possibilità entrai in bagno e dopo essere uscita non c’era più nessuno come ci si poteva aspettare.
Passò il tempo e iniziai ad indagare su chi fosse, la sola cosa che sapevo era che il terreno su cui venne costruito questo stabile prima era un campo, poi divenne la famosa tenuta Albarrada. Chiesi ai più vecchi, ma non mi dissero nulla di strano, finché non domandai al padrone di casa.
Quando eravamo soli, con molta calma mi raccontò il grande mistero, ma nemmeno lui era totalmente in grado di dar prova delle sue convinzioni. Mi chiese di non rivelare ai miei vicini quello che mi avrebbe raccontato perché non voleva che qualcuno si potesse spaventare. Con un sospiro profondo disse qui non succede niente.
Il padrone di casa convocò una riunione urgente perché avevano rubato un regolatore di luce, non si può rubare roba di uso comune. Quella sera andammo tutti dalla vecchietta. Dopo aver ascoltato il punto fondamentale della riunione, parlai con lei, segretamente le raccontai ciò che era accaduto ai miei vicini e lei senza nemmeno guardarmi mi disse: “Bene, andiamo a vedere dove sta”. Si diresse verso la lavanderia e il fico, io la seguì, chiesi ad alcuni vicini di accompagnarci. Arrivati, la vecchietta indicò da una parte e con voce tremante gridò: “Eccolo!” Ci girammo tutti, ma non riuscivamo a vederlo. “Si, sta lì” ―continuò ― “Si chiama Carlos, è morto tanti anni fa.” Questa non fu la cosa più strana, quello che mi dissero i miei vicini fu peggio…
Claudia disse che non me ne aveva mai parlato ma era sicura di aver visto qualcuno nascosto proprio tra la lavanderia e il fico. Qualcun altro aggiunse, che non era mai esistito. Dissero che nessuno era andato a quella riunione, e che nemmeno la vecchia esisteva. Tutti mi dissero che io stavo parlando da sola, che stavo in mezzo alla stanza gesticolando verso la lavanderia e il fico e che lì non c’era nessun altro.
Iztapalapa, Città del Messico.
08/febbraio/2009
Solo mia nonna
Per Alvara Prado, grazie per essere mia nonna
Per molti anni mia nonna si è occupata di curare le altre persone. Tuttavia non era una dottoressa, né voleva studiare per diventarlo, diceva di curare l’anima. A casa sua aveva diverse immagini, erbe e segni. Era una specie di guaritrice, alcuni dicevano che fosse una strega, ma non ne erano sicuri.
Un giorno venne un signore che sembrava essere sotto il potere di un incantesimo, gli fecero prendere un’erba particolare che nasce solo nel deserto e sembrava averlo ipnotizzato. Faceva tutto ciò che le chiedeva sua moglie, la sua stessa vita era stata messa in serio pericolo, perché era completamente assente a sé stesso. Fu suo fratello a trascinarlo da mia nonna, quasi sotto minaccia perché si rifiutava. Quando arrivarono, sentì il trambusto e mi nascosi per poterli spiare. Mia nonna quando lo vide gli disse: figliolo, sei sotto il potere di un incantesimo, ma io ti guarirò.
Lo fece accomodare al centro della stanza e gli cosparse tutto il corpo con alcune uova di gallina, poi prese un rametto di pepe e lo bruciò con dell’alcool. Mentre eseguiva questa procedura si poteva sentire il rumore. Quando finì, prese il braciere, il carbone bruciava e scoppiettava, gli passò un bicchiere con un liquido nero e gli disse di finirlo tutto d’un fiato. Dopo qualche minuto iniziò a vomitare, gli avvicinò il braciere dicendo di farlo lì, quello che vidi mi lasciò senza parole… il signore vomitò un ragno vivo. Immediatamente mia nonna lo gettò nel fuoco, era questo che ti stava causando tanto dolore. Il signore fu sollevato, il sole prese a brillare per lui, fece estremamente piacere a mia nonna.
Con il passare del tempo vidi tante cose strane, ad un certo punto era diventata la nostra routine quotidiana. Io stavo imparando molto da lei perché la nonna mi spiegava cosa stesse facendo e come. Mi disse i nomi delle varie erbe e come usarle, quali preghiere dire e quali animali uccidere. Lo disse soltanto a me, per questo tutti pensavano che fosse pazza. Credo che a volte il male che curava negli altri restava un po’ dentro di lei, per questo spesso era di cattivo umore, si vedeva che non stava bene. Fino a che non si preparava un miscuglio a base di radici, cortecce e tornava quella di sempre.
Un giorno venne a trovarla una signora che disse che le stavano facendo del male, aveva un’emicrania insopportabile e le usciva molto sangue dal naso. Aveva parlato con diversi medici, ma nessuno di essi era riuscito a curarla. Fece come al solito, tuttavia sta volta non uccise alcun animale, disse che era un lavoro ben fatto, avrebbe dovuto bere un intruglio per quattordici giorni di fila e l’ultimo avrebbe defecato un serpente. Avrebbe dovuto ucciderlo immediatamente se fosse voluta guarire. Sul volto della donna apparse un’espressione del tutto incredula, nonostante ciò decise di dar retta a mia nonna.
Dopo qualche giorno la signora defecò una vipera, presa dallo spavento, anziché ucciderla tirò lo sciacquone e il rettile scese giù per le tubature. Il male ricadde così su mia nonna, non mangiava più, stava molto male, non era in grado di fare quasi nulla. Io le parlavo, avrei davvero fatto di tutto per poterla aiutare, ma non mi rispondeva, finalmente un giorno mi disse cosa avrei dovuto fare. Dovetti andare a prendere una radice “maschio” e una “femmina”, unirle attentamente, annodandole e aggiungendo altre cose per far sì che non si dividessero. Gliele feci mangiare il prima possibile. Trascorsa una settimana, stava pian piano riprendendosi, l’ultimo giorno in bagno la fece finita con quell’animale, tornò finalmente alla normalità.
Mi spiegò che ci sono persone molto potenti che hanno degli alleati, in grado di fare del male con il mais viola o altri oggetti, in grado di aumentare il proprio potere, che si trasformano in animali, che sono capaci di controllare i propri sogni come se fossero svegli, che sono guerrieri.
Mi insegnò tutti i misteri, quelli buoni e quelli cattivi. Quando arrivai ad un buon punto di conoscenza dei suoi insegnamenti, mi rivelò qualcosa che non aveva detto a nessuno, anche lei era in grado di trasformarsi in un animale, più precisamente in un tacchino. Io le credetti perché le avevo visto fare cose incredibili e perché mi aveva permesso di capire che “la realtà” così come una persona comune la vede è solo una parte, soltanto un’interpretazione, ma non è l’unica che esiste.
C’erano delle volte in cui eravamo da soli nella stanza in cui di solito curava le persone e senza alcun motivo cadevano le cose o si sentivano strani rumori, risate e passi. Le cose che avevano una collocazione precisa apparivano in un altro posto, come se qualcuno si impegnasse per far arrabbiare mia nonna, un giorno si stufò di questa situazione perché tutto ciò che stava sopra una mensola cadde senza che nessuno lo toccasse, almeno io non avevo visto nessuno.
Mia nonna non ne fu affatto sorpresa. Mi disse con un tono tranquillo: questi bastardi sono di nuovo qui. Chiesi: “Chi sono?” disse: qualcuno a cui piace molto giocare. Da una scatola prese della polvere, del pepe e altre cose, prese il suo braciere e gettò tutto sul fuoco. Lasciò dei barattoli sul pavimento a mo di trappole mi disse di uscire e chiudere tutte le finestre e le porte, col fumo li avremmo catturati. Mentre aspettavamo andammo al monte a tagliare le piante e a seminare le radici che prima avevamo tirato fuori, perché mia nonna diceva che era nostro dovere restituire alla terra ciò che essa amorevolmente ci dona.
Dopo quasi cinque ore aprimmo la stanza. Mia nonna prese velocemente i barattoli e li sigillò meglio che poteva, me li mostrò e disse: stanno qui i burloni. Logicamente io non vidi nulla, per me i barattoli erano vuoti, li mise in un sacco e camminammo di nuovo verso la cima. Dopo molto tempo li prese e li mise a terra, si rivolse a loro dicendo: vi lascerò liberi, risparmierò le vostre vite, ma se vi incontrerò di nuovo vi ucciderò, quindi andatevene. Aprì i barattoli, immagino che qualcuno o qualcosa stava uscendo, ma io non vidi nulla. Più tardi tornammo a casa, lungo il tragitto c’erano delle luci che dondolavano sulle cime degli alberi. Da un sacchetto della sua borsa ha preso un po' di polvere, me ne ha passato un po’ tenendo il resto per sé e disse: dobbiamo renderci invisibili, non voglio che quegli animali mi vedano. Io non comprendevo perfettamente ciò che intendeva, era talmente buio che saremmo stati invisibili anche senza quella polvere.
Mia nonna conosceva molte cose, era una donna saggia, ma molto vecchia. Sconfisse tutti i suoi nemici ma l’ultimo stava vincendo la battaglia. Io sono soltanto un apprendista, mi ha insegnato molto, ma diceva che io ho insegnato molte più cose a lei. Non so cosa le abbia potuto insegnare, se potessi mi piacerebbe conoscermi in modo più approfondito, ma non so come, non so nemmeno come sono fatto, non riesco a sentire la mia voce, la cosa più strana è che mia nonna era l’unica persona al mondo in grado di vedermi.
San Marcos, Hidalgo.
26/dicembre/2008
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