Raji, Libro Quattro
Charley Brindley
1941 Fuse torna in Birmania per cercare Kayin. Ha lascaito Raji in Virginia per farla riprendere dal suo calvario, lei ha promesso di raggiungerlo a Mandalay. Erano passati otto anni da quando Fuse e Raji avevano lasciato la Birmania nella sfortunata missione di addestramento in Etiopia.
1941 Fuse torna in Birmania per cercare Kayin. Ha lascaito Raji in Virginia per farla riprendere dal suo calvario, lei ha promesso di raggiungerlo a Mandalay. Erano passati otto anni da quando Fuse e Raji avevano lasciato la Birmania nella sfortunata di addestramento in Etiopia. Da allora, non aveva più avuto notizie di Kayin. Probabilmente ormai sarà sposata, o almeno impegnata con qualcuno, ma lui deve scoprirlo, giusto per essere sicuro che stia bene. Quello che scopre nel vecchio albergo è qualcosa di totalmente inaspettato.
Raji
Libro Quattro: La Casa del Vento dell’Ovest
di
Charley Brindley
charleybrindley@yahoo.com
www.charleybrindley.com
A cura di
Karen Boston
Sito webhttps://wordslayers.net/
Copertina di
Charley Brindley
© 2019
Tutti i diritti riservati
Traduzione di Giulia Geppert
© 2019 Charley Brindley,tutti i diritti riservati
Stampato negli Stati Uniti d’America
Prima edizione Febbraio 2019
Questo libro è dedicato a
Richard eRubyeBrindley
I libri di Charley Brindley sono stati tradotti in22lingue:
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Greco
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e
Russo
I seguenti libri sono disponibili in formato audio:
Raji, Libro Uno (in Inglese)
Raji, Libro Due (in Inglese)
Il Gioco di Casper (in Inglese)
Il Re e la libellula, LibroUno (in Inglese)
Il Re e la libellula, Libro Due (in Inglese)
Non Resuscitare (in Inglese)
L’Ultima Missione della Settima Cavalleria (in Inglese)
La Ragazza dell’Elefante di Annibale, Libro Uno (in Russo)
Enrico IX (in Italiano)
AriionXXIII (in Cinese)
L’incubatrice di Qubit (in Inglese)
La Ragazza dell’Elefante di Annibale, LibroDue (in Inglese)
Il mare dei dispiaceri (in Inglese)
Altri libri di Charley Brindley
1. La miniera di Oxana
2. L’ultima missione della Settima Cavalleria, Libro Uno
3. L’ultima missione della Settima Cavalleria, Libro Due
4. RajiLibro Uno: Octavia Pompeii
5. RajiLibro Due: L’Accademia
6. RajiLibro Tre: Dire Kawa
7. La ragazza dell’elefante di Annibale, Libro Uno.
8. La ragazza dell’elefante di Annibale, Libro Due
9. Cian
10. Ariion XXIII
11. L’ultimo posto sull’Hindenburg
12. Il Re e la libellula, Libro Uno
13. Il Re e la libellula.Libro Due
14. Il mare della tranquillità 2.0 LibroUno: Esplorazione
15. Il mare della tranquillità 2.0 LibroDue: Invasione
16. Il mare della tranquillità 2.0 Libro Tre
17. Il mare della tranquillità 2.0 LibroQuattro
18. Il bastone di Dio, Libro Uno
19. Il mare dei dispiaceri, Libro Due di Il bastone di Dio
20. Non Resuscitare
21. Enrico IX
22. L’incubatrice di Qubit
23. Il Gioco di Casper
Non fiction
24. Diciassette passi per diventare un allevatore di successo di Sphynx
25. Dieci Cose Che Odio Del Tuo Libro
In arrivo
26. Il Re e la libellula: Libro Tre
27. Il viaggio a Valdacia
28. Le acque calme scorrono profonde
29. La Signora Machiavelli
30. Ariion XXIX
31. La ragazza dell’elefante di Annibale, Libro Tre
Alla fine del libro i dettagli sugli altri libri
Indice
Capitolo Uno
Capitolo Due
Capitolo Tre
Capitolo Quattro
Capitolo Cinque
Capitolo Sei
Capitolo Sette
Capitolo Otto
Capitolo Nove
Capitolo Dieci
Capitolo Undici
Capitolo Dodici (#ulink_3c57193d-0172-528b-b5bb-16741073ae02)
Capitolo Tredici (#ulink_1e38112f-482f-59b4-a291-16f748b41abc)
Capitolo Quattordici (#ulink_a2dda2b0-ca61-5c46-8948-9f7768cfe5da)
Capitolo Quindici (#ulink_aa70a9b4-4d26-5c58-8d72-ee06c7238c2a)
Capitolo Sedici (#ulink_5ecdf6e2-0061-58d2-abf9-f3c0de7b82b4)
Capitolo Diciassette (#ulink_a945ccd2-6feb-536e-b1c4-d771bf2aa557)
Capitolo Diciotto (#ulink_9806eb25-c196-5e5d-9fa6-429b53caff2f)
Capitolo Diciannove (#ulink_dbab05e8-1211-5624-a786-b9f5be5d5aed)
Capitolo Venti (#ulink_cfe0d81e-6939-5c3f-b554-d9552d25d4e2)
Capitolo Ventuno (#ulink_c59703c2-0555-5413-b0d5-8aaeb12f1ba3)
Capitolo Ventidue (#ulink_8f304740-6d8c-57f5-bcdd-a2035276d4ab)
Capitolo Ventitré (#ulink_f2c1925e-fc03-56e3-a8b4-6e960c597c6d)
Capitolo Ventiquattro (#ulink_f2ba42f1-65e7-55bc-96d2-e6a24cb2ccd7)
Capitolo Venticinque (#ulink_427d0321-cb8e-5d59-bc56-88641228fd36)
Fine
Capitolo Uno
Tornai in Birmania in una mattina tropicale del giugno 1941. Avevo lavorato come marinaio sulla nave Katanga, che era attraccata sul fiume Irrawaddy, a Mandalay, camminai sotto piogge sparse fino al vecchio Nadi Myanmar Hotel.
Chiesi la stanza 706 e l'impiegato della reception mi guardò sorpreso quando aprii il pugno mostrandogli la chiave di quella stanza. Si girò a fissare il muro di armadietti polverosi, uno per ogni stanza dell'albergo, poi toccò la chiave nella scatola della stanza 706. L'omino magro mi guardò, con gli occhi spalancati.
“Milleseya,” sussurrò, ‘magico’. O voleva dire ‘mago’?
Non importa. Ero troppo stanco per spiegare perché avessi un duplicato di quella chiave da otto anni. Magico andava bene per ora; un giorno avrei potuto spiegare.
Qualche minuto dopo, il fattorino era al centro della stanza 706, tenendo la mia valigia bagnata e gocciolante con entrambe le mani. Nonostante il suo ampio sorriso, non riusciva a nascondere il dolore che gli velava gli occhi e gli corrugava la fronte. Le articolazioni gonfie e deformate delle sue dita e il modo in cui appoggiava meglio il piede destro quando camminava, suggerivano un grave caso di artrite reumatoide. Dubito che avesse più di trent'anni, troppo giovane per una malattia così debilitante.
Fece una domanda in birmano. Lo fissai per un momento, cercando di districare la traduzione nella mia testa. Qualcosa a proposito di farmi oscillare nell’armadio. No, i miei vestiti — voleva appendere i miei vestiti nell’armadio.
Scossi la testa e cercai in tasca dei soldi, poi tirai fuori una manciata di monete e per un momento mi ritrovai completamente confuso.Un tempo capivo perfettamente le denominazioni dellerupie, ma in quel momento mi ci volle tutta la mia concentrazione per ricordare; sediciannassono unarupia,e quattropaisesono un’anna. Leannase lepaiseerano fatte di bronzo e avevano i valori approssimativi in moneta americana di due centesimi per un'anna e mezzo centesimo per unpaise. Le monete da una rupia erano pesanti, fatte d'argento, e valevano circa trentadue centesimi.
Scelsi un'anna lucida e, dopo aver dato un'occhiata alla sua faccia sorridente, ne aggiunsi un'altra. Quando gli porsi le due monete, posò con cautela la mia valigia e accettò la mancia con grande riverenza. Mi ringraziò per i soldi, poi mi fece un basso inchino uscendo dalla stanza e chiudendo la porta.
Aprii la valigia sul pavimento e con mia sorpresa trovai i vestiti all'interno asciutti. Mi tolsi quelli umidi, li appesi nell'armadio e mi infilai una camicia e dei pantaloni puliti. Abbottonai la camicia, e dopo aver preso il mio kit da barba in bagno, andai alle finestre.
Dei soavi raggi di sole penetravano da una fessura tra le nuvole e illuminavano il balcone come un palcoscenico che prendeva vita per il secondo atto. Aprii la portafinestra e uscii per vedere la città di Mandalay bagnata dalla pioggia.
Sotto di me, i risciò schizzavano lungo i ciottoli, spingendosi tra la folla di pedoni. Le ragazze della servitù pedalavano con le loro biciclette verso i quartieri residenziali. Una contadina si sforzava al giogo di un carretto a due ruote pieno di meloni gialli, polli starnazzanti e oche strombazzanti. Un ragazzino con la testa rasata e la veste arancione brillante balzò dopo aver accarezzato un cucciolo randagio e raggiunse di corsa i suoi fratelli scalzi, che marciavano con precisione militare verso una vicina pagoda.
Vedere le donne affrettarsi a sbrigare le loro faccende di sotto, mi procurò una sorda fitta di tristezza. Kayin avrebbe avuto circa ventisette anni ora, e chiunque di loro avrebbe potuto essere lei, iniziando la sua routine quotidiana. Mi chiesi cosa avesse fatto per tutti questi anni.
I panorami e i suoni dell'antica città mi interessavano molto, ma non era la città del 1941 che prendeva vita quel martedì mattina a tirarmi il cuore: era la Mandalay del 1933. Erano passati otto anni, ma la sua immagine era solare come la scena della strada sottostante. Quante volte io e lei avevamo passeggiato insieme lungo...
Un forte bussare alla porta mi fece trasalire. Nessuno sapeva che ero tornato a Mandalay, ma pensai subito a Kayin.
Gli inglesi la chiamavano ‘Eurasiatica’, sangue misto, un'intoccabile. Sua madre era birmana e suo padre un soldato scozzese delle Highlander. Era un bombardiere d'artiglieria nella prima guerra mondiale, assegnato ai lancieri del Bengala. Kayinaveva ereditato la figura minuta di sua madre e i tratti asiatici dalle tinte tenui, insieme agli occhi del padre, blu come il cielo del porto di Aberdeen nel mese di maggio...
Bussarono di nuovo, più forte e con grande urgenza. Quando aprii, fui colpito da una rabbiosa raffica di parole birmane che arrivarono così velocemente che non capii quasi nulla di quello che disse. La donna era sulla sessantina e mi era vagamente familiare, ma troppo vecchia per essere Kayin. L'esplosione raddoppiò quando le sue mani si agitarono in aria per animare l'arringa. Il suo sguardo non incontrò mai il mio, ma piuttosto guizzava oltre il mio orecchio sinistro, come se la sua rabbia fosse diretta ad un'altra persona da qualche parte dietro di me.
La povera donna era afflitta da un grave caso di ipertelorismo, una condizione medica in cui gli occhi sono troppo distanti fra loro. In aggiunta alla deturpazione della donna, il suo viso era compresso verticalmente a sinistra perché le mancavano tutti denti da quel lato. La furia delle sue emozioni contorse i suoi lineamenti irregolari in una maschera di rabbia intensa.
Volevo chiudere la porta in faccia all'arpia dai capelli grigi, ma lei anticipò la mia azione facendo un passo verso di me, quasi inciampando su qualcosa ai suoi piedi. La sua mano ossuta afferrò il bordo della porta reindirizzando la sua ira verso il basso e continuando il suo rimprovero con la sua lingua affilata.
Abbassai lo sguardo per vedere cosa avesse causato la sua rinnovata ira. Davanti alla donna c'era una bambina. Spaccato e arrotolato sulla sua spalla, pendente da una cinghia di cuoio, portava un materassino da letto in bambù. Con il viso all’insù, mi guardava con la serenità di unangelo, ignaro della tempesta verbale che infuriava sopra la sua testa.
Il mio polso reagì con fluttuazioni voltaiche quando mi resi conto che la vaga familiarità della vecchia donna era duplicata, ingigantita, nel volto della bambina. Aveva sette o otto anni, e il suo viso era, in contrasto con quello della donna, il più perfetto possibile. I suoi lineamenti erano perfettamente simmetrici, come se fossero stati disegnati con cura da un maestro scultore o da un ritrattista esperto. Il naso, gli occhi e la bocca erano perfettamente posizionati sulle morbide curve di una tela a forma di cuore. I lunghi riccioli scuri cadevano in turbini per incorniciare le dolci e innocenti guance fulve. E i suoi occhi... che affascinanti occhi blu.
La voce della vecchia mi assalì ancora una volta. “Kayin” fu una delle poche parole sputate che riuscii a riconoscere. Cercai di tradurre il suo rapido birmano in inglese, ma lo interpretai come:‘andato e passato’... ‘tu, fannullone, buono a nulla, maledetto, vai via, figlio americano di arraffa-biscotti’... ‘Rama non è morto e mi ha resala Salvatrice di tutti i bambini perduti’... ‘non posso, ma solo nutrirmi da ieri’.
Cercai di interromperla per chiederle di Kayin, ma lei chiuse la porta, lasciando la bambina dentro con me. Il battito dei piedi nudi della donna percorse il corridoio, poi svanì..
Io e la bambina ci fissammo, il suo viso senza la minima traccia di emozione e il mio, immagino, con un'espressione incredula per quello che era appena successo. Sentire la donna pronunciare il nome di Kayin mi aveva colpito duramente, ma cercai di ammorbidire la mia espressione per la bambina.
Ero appena riuscito a riorganizzare il mio shock in un'espressione gentile quando sentii un leggero tocco alla porta.
"Grazie al cielo, è tornata a prenderti".
Aprii la porta e presi la ragazza per la spalla, spingendola delicatamente fuori in quelle che mi aspettavo fossero le braccia aperte di una vecchia donna pentita. Con mia sorpresa, non c'era nessuno, almeno non all'altezza degli occhi. Ma quando abbassai lo sguardo, apparve un'altra bambina! Una copia esatta della prima, compreso il materassino. Le due si guardarono per un momento, senza sorpresa, con un faccino sereno. Poi, all’unisono, si voltarono a guardarmi.
Mi affacciai sopra di loro, dando un'occhiata lungo il corridoio. Non vidi nessuno; né la vecchia, né un fattorino, né altri ospiti. Poi controllai entrambi i lati della porta, assicurandomi che un terzo o quarto bambino non stesse aspettando per lanciarmi quello sguardo così innocente dagli occhi blu. Le ragazze copiarono ogni mio movimento, guardandosi attorno, poi di nuovo verso di me, ma né loro né io vedemmo altri bambini.
Grazie a Dio!
Le ragazze si presero per mano e mi superarono nella stanza. Andarono al divano di rattan imbottito, si sedettero e si sistemarono, con i piedi nudi penzolanti nell'aria. Capii dai rigonfiamenti irregolari delle loro stuoie arrotolate che non servivano solo per dormire, ma portavano anche tutti i loro averi. Le due ragazze le sistemarono sulle proprie ginocchia e si accomodarono sul divano.
Chiusi la porta e mi sedetti sulla sedia di rattan di fronte alle ragazze. La sedia accanto a me era vuota, ma piena di una presenza spettrale. Era quasi come se Kayin fosse morta e mi avesse lasciato due piccole copie di sé.
"Cos'è successo?" Non volevo che la domanda si disperdesse nell'aria; avrei voluto rivolgerla alla sedia vuota.
Quando guardai le ragazze, non vidi segnali di comprensione alle mie parole.
"Cos'è successo a Kayin?"
Sapevo che le ragazze dovevano essere nervose, spaventate, o almeno incuriosite dal magro straniero davanti a loro. Con la mia carnagione cinerea, gli occhi infossati e la struttura sottile, non ero un granché da vedere. Ma anche alla loro giovane età, avevano già imparato l'abilità asiatica di non far trapelare alcuna emozione dalla loro faccia. Tuttavia, mi sembrò di vedere un impercettibile tic in un occhio della ragazza sulla destra.
Mi appoggiai alla sedia, guardandole. La mia mente vagava, a volte senza meta, ma sempre tornando all'incubo senza fine degli otto anni che avevo perso.
Non ricordo quando avevo notato per la prima volta i miei sintomi. Forse quando Rajisoffriva l'astinenza da morfina dopo averla operata. Avevo una leggera febbre, respiro corto, niente di cui preoccuparsi. Intorno a me c'erano uomini che soffrivano e morivano a causa di ferite orribili, e Raji aveva passato l'inferno. Perché avrei dovuto preoccuparmi di una leggera febbre?
"Ora facciamo visita al bagno".
Venni scosso dai miei ricordi di Little Miss Right Side, che mi parlava nel suo inglese britannico quasi perfetto.
"E quando usciremo", disse sua sorella, "potremmo avere un po' di fame, probabilmente".
Sbattei le palpebre. Lo fecero anche loro ma non si mossero dalla loro posizione sul divano, in attesa, presumo, del permesso di andare in bagno.
"Sì, certo". Indicai dall'altra parte della stanza una porta chiusa. "Lì c'è il gabinetto. Andate pure, se volete".
Scesero dal divano senza dire una parola e si diressero rapidamente verso il bagno. Notai che si erano portate dietro i materassini, tenendoli stretti.
Mentre le ragazze erano in bagno, tornai al punto in cui mi trovavo prima che bussassero alla mia porta, camminai ed esaminai le caratteristiche della stanza come una fotografia sgualcita e consumata di un lontano passato. C'era la familiare scrivania, un tavolino basso tra il divano e due sedie, un letto con comodini e lampade a destra e a sinistra, immagini di montagne, uccelli e diRe Rama IV alle pareti. Una zanzariera pendeva sopra il letto, ordinatamente legata all'indietro durante il giorno.
La finestra con le tende e le porte francesi si affacciava sulla strada sottostante. Il piccolo balcone era rimasto com'era anni prima, appena sufficiente per ospitare due amanti così presi l'uno dall'altro che quasi non notavano se il cielo fosse soleggiato o coperto.
Rimasi ai piedi del letto, guardandolo come se potesse prendere vita davanti ai miei occhi. Il copriletto era nuovo, ma la testiera e il disegno batik di qualche tempio locale erano gli stessi. Anche i comodini e le lampade erano gli stessi. La vecchia toppa sul paralume sinistro era ancora lì, ma ora discretamente rivolta verso il muro.
I momenti passavano, ma io ero fermo, non potevo muovermi. Traballavo su una corda tesa di emozioni, lottando per restare in equilibrio. Due bambine, belle e innocenti, ma senza la loro madre. Perché la vecchia le aveva portate a me e non a Kayin? Perché affidarle ad unestraneo invece che alla loro madre? L'unica cosa che mi venne in mente era che non poteva portargliele perché era malata, o scomparsa, o... no, non volevo più pensarci.
È stato sciocco da parte mia chiedere la stessa stanza, il piccolo spazio che io e lei avevamo condiviso per una piccola, intensa settimana. Perché questa volta non era occupata quando sono arrivato? Almeno così avrei potuto evitare tutto l'inutile tormento sentimentale.
Andai alla portafinestra e rimasi lì, con le braccia incrociate sul petto. Il piccolo balcone appariva proprio come otto anni prima. La nostra prima notte insieme, Kayin ed io avevamo portato le due sedie là fuori, ci eravamo stretti e ci eravamo seduti vicini. Avevamo parlato finché il cielo dell'est non si era schiarito da un blu profondo ad un tenue grigio tortora.
Un rumore arrivò dal bagno. Qualcosa cadde nel lavandino di porcellana. Sferragliava come un lungo oggetto di metallo, tintinnando avanti e indietro finché qualcuno non lo fermò. Poi qualche parola sommessa, seguita da un paio di risatine. Cosa stavano facendo?
Capii cosa doveva essere l'oggetto metallico: il vecchio bisturi del mio kit da barba. Ma cosa ci stavano facendo? Lo strumento era estremamente affilato. Mantenendo il manico, avrebbero potuto facilmente tagliare un dito fino all'osso. Cosa avrei dovuto fare? Le decisioni erano così difficili per me ora. E non ero mai stato un genitore prima. Cosa avrebbe fatto un padre? Ero il loro padre?
Feci un passo verso il bagno, ma mi fermai quando sentii scattare la maniglia della porta.
Capitolo Due
Con mio sollievo, le ragazze uscirono dal bagno senza alcuna ferita visibile.
"Andiamo di sotto", dissi, "e troviamo qualcosa da mangiare".
Annuirono ma non dissero nulla.
Mi chiesi se avessero capito qualcos’altro o se stessero solo aspettando che io mi muovessi per primo.
Andai verso il bagno. "Mi laverò prima di andare".
* * * * *
Scendendo con l'ascensore verso il piano terra, mi rivolsi ad una delle ragazze.
"Come ti chiami?"
"Marie".
Suppongo che non avrebbe dovuto essere uno shock per me, ma mi aspettavo un nome birmano. Mi ci volle un momento per rimettere in ordine i miei pensieri.
"È il nome di mia madre".
"Sì, Signore. Lo so. Scusi, quando verrà a trovarci nonna Marie?".
"Beh, quando le scriverò una lettera e le dirò di te e di tua sorella, penso che vorrà vedervi presto".
"Può, se le fa piacere, scrivere la lettera oggi?".
"Potrei farlo, ma forse dovrai aiutarmi".
Marie aggrottò le sopracciglia e guardò il pavimento, ma non rispose.
Mi rivolsi a sua sorella. "E mi chiedo se il tuo nome sia Suu-Kyi, dall'altra vostra nonna".
"Sì. Lei è morta, sai".
"Sì, lo so. È morta molti anni fa, quando tua madre era solo una bambina, come te".
"Ma ora abbiamo la nostra nuova nonna, Marie".
La piccola Marie alzò gli occhi verso di me. "Non capisco".
"Che cosa?"
"Del fatto di scrivere una lettera a nostra nonna Marie".
"Oh, non preoccuparti, farò io la lettera. Tu e Suu-Kyi mi direte le cose che volete che vostra nonna sappia".
Marie sembrò ancora un po' perplessa.
Suu-Kyi era alla mia destra e Marie alla mia sinistra; tuttavia, se avessi chiuso gli occhi e si fossero scambiate di posto, non me ne sarei accorto. Non solo i loro volti erano identici, ma anche i loro vestiti. Le camicie verdi sbiadite e i pantaloncini marroni sembravano essere fatti su misura. Non avevano scarpe.
Raggiungemmo il piano terra e Ba-Tu, l'operatore dell'ascensore, aprì la porta con un allegro "Buongiorno".
Ricambiai la sua cortesia con un cenno del capo e uscimmo nella hall dell'hotel. Il maggiordomo ci intercettò prima che raggiungessimo la doppia porta ad arco che conduceva alla sala da pranzo.
"Posso aiutarla, Signore?"
"No, grazie. Stiamo solo andando a pranzo".
L'uomo molto grosso ci bloccò la strada. "Ah." Guardò da me alle ragazze e di nuovo indietro. "Potete seguirmi gentilmente?"
Camminammo dietro di lui verso un paio di porte a battente, che ovviamente conducevano alla cucina.
"Dove stiamo andando?"
Si fermò e mi guardò, con la mano destra su una delle porte. "Abbiamo dei bei tavoli da pranzo qui dietro per..." Esitò, lanciando un'occhiata in giro, come se avesse paura che qualcuno lo vedesse con noi.
"Per chi?" Chiesi.
"Per bambini come quelle".
"Oh, capisco. Vuole dire che non volete che bambini eurasiatici come le mie figlie, mangino nella vostra sala da pranzo?". Mi chiesi se sapesse quanto facilmente avrei potuto stenderlo.
L'altra porta si aprì e uscì un cameriere che teneva in equilibrio un grande vassoio di metallo sulla spalla. Il vassoio era pieno di ciotole fumanti, piatti coperti e un cesto di pane fresco. Gli aromi della bistecca sfrigolante e del pane caldo avevano un profumo delizioso.
"Po-Sin!"
Vidi che fu contento che ricordassi il suo nome, ma non sembrò sorpreso di vedermi. Era un giovane fattorino nel 1933, ora apparentemente promosso a cameriere.
"Signor Busetilear", disse Po-Sin. "Che bello rivederla dopo tanti anni". Guardò le ragazze, poi il maggiordomo. "Ma che cosa andate a fare in cucina?".
Prima che potessi rispondere, l'espressione di Po-Sin cambiò in un'espressione di irritazione, come se gli fosse appena accaduto qualcosa di spiacevole. Fissò il maggiordomo solo per un secondo prima di spingere la porta aperta con la mano libera e gridare a qualcuno in cucina. Un ragazzo si precipitò fuori, come se fosse stato sorpreso a mangiare il dessert di un cliente. Si inchinò leggermente verso Po-Sin, poi guardò rapidamente ognuno di noi. Po-Sin porse al ragazzo il suo pesante vassoio e pronunciò una serie di istruzioni di cui colsi solo alcune parole.
"Barbuto inglese... donna grande... insalata... donna piccola... non rovesciare... sbrigati..."
Il ragazzo, ovviamente sollevato di non essere nei guai, annuì più volte e si affrettò ad occuparsi dei clienti. Poi Po-Sin si rivolse a noi, lanciando al maggiordomo una severa occhiata.
"È per lei, signor Busetilear", esitò, e il suo viso si ammorbidì in un ampio sorriso, "e per le sue piccole amiche, che abbiamo riservato il nostro grande tavolo nella sala da pranzo centrale del più bell'hotel di tutta Mandalay".
La bocca del maggiordomo si aprì, ma non parlò.
"Vi prego di seguirmi", disse Po-Sin e fece strada verso la sala da pranzo.
Mi feci da parte e feci cenno alle ragazze di precedermi. Lo fecero, ma ben presto le due, attraverso qualche comunicazione nota solo a loro, indietreggiarono ai miei fianchi, e poi dietro di me.
Le assi del pavimento di legno scricchiolavano sotto i nostri piedi mentre seguivamo Po-Sin, che si faceva strada tra i tavoli sparsi. Ci indicò un tavolo molto rispettabile accanto alle soleggiate finestre anteriori, ci consegnò tre menù e fece cenno ad un altro cameriere di portare dei bicchieri d'acqua fresca. Poi, con la promessa di tornare non appena fossimo stati pronti, se ne andò in fretta. Sbirciò la sua giovane protetta, che si stava occupando di un inglese e delle sue due compagne ad un tavolo vicino. Tutti e tre sembravano un po' irritati.
Era metà mattina e non avevo molta fame. Infatti, raramente mangiavo più di una volta al giorno. Ma una delle ragazze -Suu-Kyi, credo- aveva detto che avevano fame, così decisi di ordinare qualcosa anche per me per metterle a loro agio.
I menù erano in birmano e in inglese. Le ragazze li studiarono intensamente, ma non ero sicuro che sapessero leggere. Proprio quando stavo per chiederglielo, fui spaventato da un suono acuto alla mia destra. Mi girai di scatto e vidi l'anziano inglese chinarsi a raccogliere una forchetta dal pavimento, con gli occhi puntati su di me. Mentre si sistemava sulla sua sedia, lui e le sue compagne ci fissarono con il naso all'insù. Notai che le ragazze non gli prestarono attenzione.
Bene, lasciamo che la gente pensi quello che vuole. Non ci interessa.
La direzione non si era presa cura del vecchio hotel molto bene. La vernice ingiallita si scrostava dalle pareti e mancavano alcune persiane. La sala da pranzo aveva quattro punkahs -grandi ventilatori rosa, a forma di petali di bouganville troppo cresciuti- appesi al soffitto. Ma solo uno di essi funzionava, oscillando avanti e indietro al rallentatore muovendo l'aria. Mi immaginai un ragazzo da qualche parte in cucina a tirare e rilasciare il cavo per far funzionare il ventilatore. Sapevo che Po-Sin ci aveva posizionato in modo da ricevere il miglior beneficio dal ventilatore senza essere direttamente sotto di esso, dove la leggera brezza avrebbe raffreddato il cibo troppo velocemente.
Quando posai il mio menù, Po-Sin tornò e si fermòaccanto a me, con il suo blocchetto delle ordinazioni pronto. Chiesi una piccola ciotola di own-nortkhaukswe-noodles con pollo al cocco.
"Caffè, Signor Busetilear?"
"Sì. Grazie, Po-Sin". Sia lui che io guardammo le ragazze.
"Hamburger, per favore", disse Marie.
"Hamburger, per favore", fece eco Suu-Kyi.
Non riuscii a non sorridere. Po-Sin mi guardò.
"Ti ricordi", gli chiesi, "come si fa un hamburger?". Sapevo che non era nel menù.
"Oh, sì, Signore, ma a Cookie non piacerà".
"Dì a Cookie che gli pagherò una rupia in più per il suo tempo".
"Questo lo renderà molto più felice, Signor Busetilear". Po-Sin probabilmente anticipò anche una rupia in più dalla sua mancia.
Sorrisi alla sua storpiatura del mio cognome, Fusilier. Mi ricordava Kayin che aveva la stessa difficoltà.
"Per favore, porta anche due Coca-Cola e una mezza dozzina di shweji dorati per le signorine", intravidi le due con gli occhi spalancati mentre continuavo, "così avranno qualcosa da sgranocchiare mentre aspettiamo il nostro pasto". Ricordavo che gli shweji erano piccoli dolci di grano molto gustosi, ripieni di crema di cocco e uva passa.
Le ragazze si sorrisero mentre il cameriere si affrettava ad andare via, poi sorrisero a me. Era il primo segno di emozione visibile da parte loro. Dubito che bevessero Coca-Cola molto spesso, figuriamoci mangiare gli hamburger. Non mi importava delle monete in più che avrei speso; i loro bei sorrisi compensavano questo e molto di più.
Po-Sin mi portò il caffè, insieme alle Coca-Cola e aidolcetti. Prese un apribottiglie lucido dalla tasca del suo grembiule bianco e fece leva sui tappi delle bottiglie. Quando mise le bevande davanti alle ragazze, esse quasi coreografarono i loro movimenti, raggiungendo le grandi bottiglie, una usando la mano destra, l'altra la sinistra. Ognuna bevve un piccolo sorso prima di posare di nuovo le bottiglie sul tavolo.
Anche se Po-Sin non prestò molta attenzione alle ragazze, vidi gli sguardi sprezzanti degli altri commensali. Probabilmente si chiedevano quale fosse la nostra storia: un ventottenne caucasico seduto con due bambine eurasiatiche.
Cento domande mi frullavano in testa: dove avevano vissuto, dove andavano a scuola, chi era la vecchia che le aveva lasciate da me, dov'era la loro madre... ma non volevo sopraffare le ragazze bombardandole sul loro passato. Avrei usato la lettera per la nonna per avere più informazioni, ma per il momento trovavo piacevole solo guardarle.
Prima di scendere, ero andato in bagno per radermi e pettinarmi. Avevo trovato la mia tazza da barba bagnata e il pennello ancora schiumoso. Sorrisi, immaginando le ragazze frugare tra le mie cose e cercare di capire cosa fossero. Un rasoio giaceva nell'armadietto dei medicinali, insieme al mio bisturi. Mi piaceva usare il bisturi per tagliare le basette e i baffi, trovandolo molto più facile da maneggiare del rasoio. Entrambi gli strumenti erano estremamente affilati, e le ragazze erano state fortunate a non essersi tagliate quando il bisturi era caduto nel lavandino. Inoltre, avevano dovuto arrampicarsi sul lavandino per raggiungere l'armadietto dei medicinali. Mi dissi di stare più attento a dove lasciavo il rasoio e il bisturi in futuro.
Di tutte le situazioni che avevo considerato al mio ritorno in Birmania, la paternità istantanea non era nemmeno tra quelle remote. E le mie prestazioni fino a quel momento mi preoccupavano.
"Cosa devo scrivere nella lettera a vostra nonna?”Rivolsi la mia domanda a Suu-Kyi, ma rispose Marie.
"Dobbiamo dirle di venire a trovarci domani".
"Oh, l'America è molto lontana. Non credo che possa venire domani. Ma vorrà sapere delle cose su voi due".
"Quali cose, scusi?"
"Beh, dove andate a scuola..."
"Non siamo mai andate a scuola", disse Marie.
Ci fu qualcosa che mi lasciò perplesso in questa risposta, ma non riuscii a metterci il dito.
"In che tipo di casa vivete?"
"Non possiamo vivere in una casa".
Tutte queste risposte le diede Marie, e cominciai a pensare che forse non volevo sapere tutto. La loro situazione era probabilmente difficile nel migliore dei casi. Il mio cuore soffriva già con la consapevolezza di aver avuto due bellissime figlie negli ultimi sette anni e di non averlo mai saputo. Certo, Kayin non poteva contattarmi, non dove mi trovavo, ma comunque mi sentivo indegno di essere il loro padre.
"Tua nonna vorrebbe anche sapere quanti anni hai".
"Sette anni..." cominciò Suu-Kyi, ma sua sorella la interruppe.
"Otto", disse Marie, "quasi".
"Quando è il vostro compleanno?".
"L'11 luglio".
Mmm... luglio meno nove mesi -novembre. Novembre 1933. Forse ho sbagliato di qualche settimana, ma no, erano sicuramente le mie figlie. Non avevo alcun dubbio. Marie aveva il nome di mia madre ed entrambe le ragazze avevano gli occhi azzurri della madre. E quella vecchia signora alla mia porta mi conosceva. Chi era, e chi le aveva detto che ero tornato a Mandalay?
"I vostri compleanni sono il mese prossimo. Facciamo una festa di compleanno?".
"Oh, sì!" esclamarono insieme le due ragazze.
"Con torta e regali?" Chiese Suu-Kyi.
"Naturalmente. Non possiamo fare una festa senza torta e regali. Quando è stata l'ultima volta che avete fatto una festa di compleanno?".
"Quando avevamo cinque anni", disse Marie.
"Chi vi ha fatto la festa?".
"La mamma e..." Disse Suu-Kyi, ma sua sorella la fermò di nuovo.
"Solo la mamma". Marie guardò sua sorella.
Suu-Kyi abbassò le mani e fissò la tovaglia gialla. Le sue mani sembravano sempre in movimento quando parlava, come per ravvivare le sue parole.
"Dov'è Kayin? Dov'è andata vostra madre?"
"Due uomini l'hanno portata via", disse Marie.
"Quali uomini?"
"Due proprio come quelli laggiù". Marie indicò oltre me.
Quando mi voltai, vidi due uomini in uniformi militari identiche a due tavoli di distanza. Stavano conversando sottovoce davanti a piccole tazze di sake. Tutta l'agonia e il terrore degli ultimi otto anni improvvisamente si compressero in pochi battiti del mio cuore martellante: i due uomini erano ufficiali dell'esercito imperiale giapponese.
Capitolo Tre
Le ragazze mangiarono tutto quello che avevano davanti, svuotarono le loro bottiglie di Coca-Cola e finirono anche l'acqua. Pagai il conto, lasciai le mance a Po-Sin e al cuoco, poi chiesi a Marie e Suu-Kyi se volessero fare una passeggiata. Dovevo distrarmi dai pensieri inquietanti che mi attraversavano la mente.
Annuirono con diffidenza, forse non erano sicure di ciò che avevo in mente. Mi chiesi se il loro ultimo tutore avesse detto qualcosa di simile prima di consegnarle alla mia stanza d'albergo.
In strada, mi camminarono a fianco; Suu-Kyi mi prese la mano, ma Marie no. Camminammo lungo la 62ª strada e attraversammo la trafficata Theik Pan, a volte chiamata Burma Road.
Appena fuori Theik Pan, entrammo nel brulicante bazar di Nyaung Pin, dove gli acquirenti del pomeriggio si affrettavano ad acquistare articoli per la cena. Ricordavo tutto il rumore, il trambusto e l'abbondanza di colori brillanti. Il thanaka giallo delle donne mi fu immediatamente familiare.
Quando andai in Birmania la prima volta, chiesi a Kayin di parlarmene, e mi disse che le donne birmane, da centinaia di anni, raccoglievano la corteccia dell'albero thanaka, la riducevano in polvere, poi aggiungevano un po' d'acqua e ne ricavavano una pasta cremosa. La applicano in strati spessi sulle guance, e a volte sulla fronte e sul mento, in cerchi, strisce e spirali artistiche. Le donne lo considerano un fine cosmetico per migliorare la loro bellezza, così come un balsamo per la pelle per aiutare a prevenire le rughe. Lo mettono anche sul viso dei loro bambini per proteggerli dalle scottature.
Kayin l'aveva sempre usato prima di andare a lavorare all'hotel. Il direttore inglese aveva proibito a tutte le impiegate di usare il thanaka. Diceva che sembravano delle pagane incivili con quel "letame scuro" spalmato sulla faccia.
Io e le ragazze ci fermammo ad un chiosco pieno di gabbie di legno piene di anatre e oche. Il proprietario stava tagliando allegramente le teste di tre grassi uccelli per una cliente, un’anziana signora che indossava un longyi blu. Poco più alta di Marie, la donna era concentrata a contare le monete, mentre una giovane ragazza sventrava e puliva le anatre morte per lei.
Le gemelleosservavano come me, ma non so se la vista della morte le infastidisse. Suu-Kyi mi si avvicinò e rivolse la sua attenzione verso un grande uovo marrone sul fondo della gabbia appena liberata, mentre Marie sembrava fortemente interessata all'efficienza della ragazza con il coltello.
Avevo sentito molte persone commentare l'odore ramato del sangue. Io non ci avevo mai fatto caso, ma forse mi ci ero abituato. Il forte odore degli escrementi degli uccelli, tuttavia, era opprimente. Ce ne andammo mentre la mannaia cadeva su un altro pennuto, tagliando a metà un grido stridulo.
Nemmeno lo stridere degli uccelli condannati mi aiutò a sfuggire ai miei pensieri frenetici. Perché i soldati avevano portato via Kayin? Cosa le avevano fatto? Come avrei potuto trovarla? Avevo solo domande e nessuna risposta. Mi resi conto che il mio cervello funzionava ancora in modo irregolare, a malapena in grado di seguire un filo di pensiero per più di qualche minuto, probabilmente perché il mio recupero fisico era lungi dall'essere completo.
Il medico in Virginia mi aveva detto che ero pazzo a intraprendere un viaggio così lungo prima di recuperare le forze e che avrei potuto mettere in pericolo la mia salute futura allontanandomi dalla sua stretta sorveglianza. Raji mi aveva detto la stessa cosa, ma non in modo così diplomatico. Aveva usato meno parole, una delle quali era 'testa di legno'. Non avevo ascoltato nessuno dei due, perché la forza trainante della mia promessa mancata a Kayin era più forte di qualsiasi sentimento di autoconservazione. Suppongo che questo potrebbe essere un altro sintomo della mia mente confusa e assuefatta.
Sentii uno strattone alla mano e guardai Suu-Kyi.
"Hai visto?"
Indicò una piccola scimmia marrone legata ad una catena, che cercava di mordere una noce di cocco. Un cucciolo bianco e nero sedeva davanti alla scimmia e guardava la noce di cocco con grande interesse, come se aspettasse la possibilità di provare ad aprirla. La scimmia sbatté la noce di cocco a terra, che rimbalzò via. La cucciola vide la sua occasione e si avventò sulla noce di cocco, cercando di morderla, ma la sua bocca non si apriva abbastanza per fare presa sui denti.
I tuoni rimbombavano in lontananza mentre camminavamo. Sapevo che le ragazze dovevano essere preoccupate per la loro madre, ma non sarebbe servito a niente tenerci il muso per tutto il giorno. Così, decisi di trovare qualcosa per tenerle occupate mentre cercavo di capire cosa fare.
La leggera brezza portava un forte odore di pesce fritto e aglio.
"Suu-Kyi e Marie", dissifacendoci strada tra la folla. "Mi aiutereste a fare un po' di shopping?".
Accennarono con entusiasmo.
Nella nostra stanza d'albergo non c'erano attrezzature da cucina, ma pensai che un po' di cibo, e forse qualcosa da bere, sarebbe stato buono. E non consumando tutti i nostri pasti nella sala da pranzo dell'hotel, avremmo anche risparmiato un po' di soldi.
Marie e Suu-Kyi erano molto abili nel selezionare frutta matura, pane fresco, formaggio e altri articoli che non avrebbero dovuto essere tenuti in una ghiacciaia. Suggerii alcune bottiglie di Coca-Cola.
"Non è possibile", disse Marie. "Costa molto di più qui che in qualsiasi bazar di Mandalay. L'acqua del lavandino del tuo gabinetto ci andrà bene finché non impareremo a essere di nuovo ricchi".
Alzai un sopracciglio verso di lei, e lei mi guardò in modo molto severo.
Le due non erano timide nel contrattare i prezzi, avendo apparentemente una notevole conoscenza dei prodotti e dei costi. Sentii la piccola Marie dire a più di un mercante che sarebbe stata felice di andare dai loro concorrenti per risparmiare qualche anna; le piccole monete di bronzo, dodici delle quali fanno una rupia.
"Dobbiamo stare molto attenti ai nostri soldi", disse ad una donna, che alla fine accettò l'offerta di Marie della metà di quello che volesse per uno spicchio di formaggio. Parlavano in birmano e non credo che Marie sapesse che capivo la loro conversazione. Più sentivo la lingua, più la ricordavo, e la mia comprensione aumentava ad ogni parola pronunciata.
"Non mi sto arricchendo, sai", mi disse la donna mentre le consegnavo i soldi e Marie prendeva il suo formaggio. "Ho anche dei bambini piccoli da sfamare".
Essendo io straniero, parlò con un tono misurato e controllato, e forse un po' più forte del necessario. Capii il suo birmano, ma non riuscii a pensare alle parole per una risposta adeguata. Mi dispiacque per la povera signora e le feci scivolare altre due monete in mano, mentre Marie e Suu-Kyi esaminavano alcune mele gialle allo stand successivo. La signora del formaggio mi fece un sorriso a denti stretti indicando Marie, poi si batté la tempia destra con l’indice. Sì, volevo dirle che era molto intelligente, ma invece la ringraziai e mi affrettai a salvare il prossimo venditore dalla rovina finanziaria per mano delle mie nuove figlie.
Visitammo diversi stand prima che arrivasse la pioggia. Nessuno prestò molta attenzione al forte acquazzone. Si vide qualche ombrello, e alcuni negozianti aggiustare i teloni per incanalare l'acqua e farla gocciolare lontano dai clienti.
Le gocce di pioggia tropicali sono più grandi di quelle di altre parti del mondo. In Virginia erano come capocchie di spillo in confronto, mentre le gocce europee erano il doppio. Ma ai tropici, le gocce di pioggia diventano grasse prima di cadere dal cielo e fare plop e splash. Il battito sui teloni sparsi crebbe fino a diventare un forte rombo, poi improvvisamente si spense. Uscimmo da sotto un telone e proseguimmo per la nostra strada.
Le attività del mercato continuarono come prima della pioggia, e l'unica reazione delle ragazze fu quella di spazzolare le ciocche di capelli bagnati dal viso. Lo fecero con movimenti esattamente uguali, ognuna usando entrambe le mani per spostare i capelli dal viso e dietro le orecchie.
Dopo che Suu-Kyi comprò un barattolo di conserva di mango per una frazione del prezzo che l'uomo aveva chiesto inizialmente, arrivammo al posto che volevo: un negozio al coperto con una buona selezione di vestiti per bambini. Sapevo che i piccoli sacchi a pelo delle bambine non potevano contenere più di un cambio di vestiti, così pensai che sarebbe stato pratico per loro avere qualcosa di più.
"Ognuna di voi può scegliere due completi", dissi. "E un paio di sandali a testa".
Erano quasi fuori di loro per l'eccitazione, e poi andarono in confusione su cosa comprare.
"No", disse Marie a sua sorella, parlando in inglese a mio beneficio. "Non mi piace che tutti i vestiti siano uguali. Con quattro camicie e quattro vestiti diversi, possiamo scambiarli continuamente. Poi quanta gente penserà che siamo molto ricchi con così tanti vestiti?".
"Ma qualche volta", disse Suu-Kyi, tenendo in mano due vestiti arancioni brillanti con una stampa floreale verde e rossa, "potremmo volerci vestireuguali". Il suo sorriso di attesa mi sembrò molto dolce e persuasivo. Guardai la proprietaria del chiosco, una donna alta e di mezza età con spirali gialle su entrambe le guance che si aggirava nelle vicinanze. Lei non sorrise.
"Oh, piccola, Suu-Kyi", disse Marie, poi continuò in birmano. "Sarai davvero una bambina per sempre? Il mese prossimo avrai otto anni. Immagino che tu non ci abbia pensato, vero?".
"Sì, ci ho pensato". Suu-Kyi riappese i vestiti sullo scaffale. "Ma tu non hai pensato che nostro padre potesse essere contento di avere due figlie vestite uguali".
Questi battibecchi tra sorelle, quasi da donne, avevano un effetto calmante su di me. Mi includevano in ogni passo della loro piccola battaglia per vincere il dominio l'una sull'altra, ognuna cercando di attirarmi dalla sua parte. Ma io mi limitavo a sorridere, annuire o scuotere la testa a intervalli appropriati, rifiutandomi fermamente di favorire l'una rispetto all'altra, mentre prendevo vigore dalla loro spumeggiante esuberanza.
Dopo trenta minuti di prove di questo e di quello, mostrandomi diverse combinazioni per la mia approvazione, alla fine trovarono un compromesso su due completi uguali, più due completamente diversi. Dopo di che, scelsi due camicie da notte di cotone morbido, di colore rosa ed esattamente uguali. Mi ricompensarono con due bei sorrisi, anch'essi identici.
Quando la signora totalizzò il nostro conto e annunciò "Solo nove rupie e cinquanta", Marie fece una delle più belle dimostrazioni di sorpresa che abbia mai visto in vita mia. Si mise le mani sui fianchi e aprì la bocca, ma prima che potesse scontrarsi con l'esile signora che ci sovrastava tutti e tre, dissi "Grazie mille" e pagai l'intero importo. In soldi americani erano meno di due dollari, e pensai che se li fosse guadagnati tutti, sopportandoci così a lungo.
Quando Marie ed io ci allontanammo dal bancone, notai Suu-Kyi esaminare un barattolo giallo. Stava in piedi davanti a un tavolino che ne conteneva molti altri.
"Cos'è quello, Suu-Kyi? Chiesi.
"È crema thanaka".
Me lo mostrò. Gliela presi di mano e, come tutte le altre cose nel negozio, non c'era scritto il prezzo.
"Qual è il prezzo di questo, scusi?” Chiesi alla signora alta, mostrandole il barattolo.
"Sei anna". Guardai Marie. "No, cinque. Solo per clienti speciali".
Cercai di nascondere il mio sorriso mentre la pagavo. Marie probabilmente avrebbe potuto far scendere il prezzo a quattro.
* * * * *
Sia Suu-Kyi che Marie mi tenevano per mano tornando all'hotel, Marie non così stretta come sua sorella. I loro vestiti nuovi e il nostro cibo erano stipati in tre zaini sulle nostre spalle. Avevamo deciso di comprare gli zaini di tela verde quando ci eravamo resi conto che una pioggia monsonica improvvisa avrebbe potuto inzuppare tutto quello che portavamo.
Gli zaini si rivelarono doppiamente utili. Non solo tenevano tutto asciutto ed erano facili da trasportare, ma nascondevano il nostro cibo dagli occhi indiscreti del maggiordomo mentre passavamo nella hall.
Suu-Kyi voleva indossare i nuovi sandali sulla via del ritorno, ma Marie disse che le pozzanghere di pioggia lungo le strade acciottolate li avrebbero rovinati.
Tornati nella nostra stanza, appoggiammo tutti i nostri premi sul letto, poi le ragazze fecero una domanda, insieme come se avessero in qualche modo cospirato in anticipo sull'argomento.
"Possiamo avere il permesso di fare il bagno?". Chiese Marie.
"Prima di cenare?" continuò Suu-Kyi gesticolando verso il cibo sul letto. Poi aggiunse per ridere "Signor Busetilear".
"Penso che sia una buona idea. Allora..."
Prima che potessi finire con "potete provare i vostri nuovi vestiti", li presero e corsero in bagno. Sentire lo scatto della chiave nella serratura della porta del bagno mi fece sorridere, poi sentii il rumore dell'acqua riempire la vasca.
Al di là della porta finestra che dava sul balcone, vidi che le nuvole di pioggia erano state spazzate via e sostituite da un tramonto rosa, ocra e oro marmorizzato in un cielo blu mare. Presi una delle sedie e, dopo aver chiuso le tende dietro di me, mi sistemai nella fresca brezza e nella penombra del crepuscolo. Accesi un fiammifero sulla ringhiera di ferro per accendere la pipa, scossi la fiamma e riflettei su come la mia vita era cambiata nelle ultime dieci ore. Non ero più la stessa persona di quella mattina. Le mie figlie mi avevano trasformato da un uomo di ventotto anni senza carriera e senza soldi propri in un padre delle figlie di Kayin. Quand’ero arrivato a Mandalay, avevo un unico scopo: trovare Kayin. Ora dovevo occuparmi delle gemelle e trovare anche la loro madre.
Per qualche ragione, trovavo che la prima di queste due responsabilità fosse una prospettiva deliziosa, anche se non sapevo nulla di bambini o di come crescerli. L'unica esperienza a cui potevo attingere era la mia infanzia e il modo in cui i miei genitori mi avevano cresciuto. Pensai che avessero fatto un buon lavoro. Cioè, tenendomi sulla strada giusta fino al mio diploma all'Accademia e poi all'università. Dopo di che, avevo quasi distrutto il resto della mia vita, e anche quella di Raji. Era un peccato che non avessero potuto mantenere il controllo su di me, almeno fino alla fine della scuola di medicina. Ma allora gli eventi non avrebbero mai preso la piega che hanno preso e io non avrei mai incontrato Kayin -e non avrei nemmeno avuto Suu-Kyi e Marie che facevano il bagno nella mia vasca e prendevano il controllo della mia vita.
Pensai all'inizio della giornata, all'incidente con il mio bisturi, poi alla misera cena preparata sul letto.
"Sono all'altezza?" Mi chiesi ad alta voce.
Non riuscivo a rispondermi, sia perché la mia mente era incapace di seguire più di qualche semplice evento verso una conclusione logica, sia perché continuavo a tornare alla deriva su Kayin.
Portata via da due ufficiali giapponesi. Cosa può significare?
Potrebbero averla messa in un "campo di conforto" per essere usata dai soldati giapponesi. Oppure, conoscendo Kayin, avrebbero potuto arrestarla per motivi politici. In ogni caso, era in guai seri e dovevo capire cosa fare.
Qualcuno a Mandalay mi conosceva. Quella persona aveva ovviamente detto alla vecchia donna che ero all'hotel e le aveva dato il numero della stanza in modo che potesse portarmi le ragazze. Lui o lei, chiunque fosse, doveva sapere qualcosa di quello che era successo a Kayin. Ma chi poteva essere?
La mia pipa fredda cadde a terra quando qualcuno aprì le tende del balcone con uno strattone.
Capitolo Quattro
Con la mano feci per afferrare l'arma secondaria ormaiandata da anni, ma poi sentii la voce musicale di una delle mie figlie.
Le ragazze stavano in piedi davanti a me tendendo aperta la tenda.
"Le presento le nuove Marie e Suu-Kyi. Cosa ne pensa, signore?"
Il mio cuore martellante si calmò guardandole. Erano pulite, i loro lunghi capelli neri perfettamente divisi di lato e pettinati, e con indosso le loro nuove gonne a tubo con canottiere colorate. Una gonna si estendeva fino ai sandali di pelle della ragazza ed era blu navy, con una stampa di colori vivaci. Il suo gilet era rossoe la camicetta bianca. La gonna dell'altra era quasi altrettanto lunga a strisce diagonali rosse e gialle, e il suo gilet era blu. Anche lei indossava una camicetta bianca. Erano belle prima, ma ora erano da togliere il fiato.
Con grande sforzo, mi trattenni dal sorridere. Invece, aggrottai le sopracciglia, cercando di imitare al meglio Marie, mi grattai la testa, presi la pipa, aprii la bocca per parlare, la richiusi, e le guardai criticamente dalla testa ai piedi. Poi feci un movimento per farle girare, cosa che fecero.
Quando mi guardarono, vidi un'espressione di grande preoccupazione e apprensione sul volto della gemella di destra -Suu-Kyi, immagino. Ma sua sorella cominciò a sorridere.
"Ti piace, ti piace, Signor Papà", disse Marie. "Non cercare di fare la faccia arrabbiata con noi".
Non potei più continuare a fingere. Misi la pipa fredda in tasca e le abbracciai entrambe a me.
"Sì", sussurrai, "voi due siete le..." Non riuscii a finire, il groppo in gola mi fermò. Deglutii e ricominciai. "Le due ragazze più belle del mondo intero".
Si sciolsero dal mio abbraccio con un paio di risatine.
"No, non è vero", disse Suu-Kyi. Afferrò la mano della sorella e la tirò verso il bagno. "Restaqui alla finestra un minuto", disse e corsero via.
Presto mi si presentarono altre due belle ragazze, questa volta vestite con i loro identici abiti di gonne verde pallido e camicette gialle.
"Ora siamo le due più belle", disse la ragazza di sinistra.
Sorrisi e concordai.
"Siamo uguali", disse la gemella sulla destra. "Come puoi indovinare chi è Marie?".
"E chi è Suu-Kyi?" disse l'altra, tendendo le mani, come se tenesse in equilibrio qualche lungo oggetto. Entrambe ridacchiarono di gioia.
Non ne avevo la minima idea. Per tutto il giorno avevo studiato i loro volti, cercando la minima caratteristica o tratto che mi aiutasse a distinguerle. Una lentiggine, una fossetta, la lunghezza dei capelli... qualsiasi cosa che mi aiutasse a identificarle, ma non c'era niente. Erano perfettamente identiche. Tutto quello che potevo fare era tirare a indovinare.
"Questa". Indicai quella a sinistra, "è Suu-Kyi".
"No!" disse lei ridendo. "Io sono Marie".
"E io sono Suu-Kyi".
"Farò delle piccole targhette con il nome e le metterò su ciascuna delle vostre camicie. Così saprò sempre chi è Marie e chi è Suu-Kyi".
Si misero a ridere e dissero che mi avrebbero detto ogni mattina chi era chi e che me lo sarei dovuto ricordare per tutto il giorno.
"Va bene, ma ora ditemi chi preparerà la nostra cena".
"Io, io", gridò Suu-Kyi correndo verso il letto dove era sparso il nostro cibo.
"E io." Marie corse dietro a sua sorella.
Liberarono il tavolino e disposero tutto il cibo. Era una bella cena a base di pane, banane, formaggio e acqua. Come dessert, mangiammo della conserva di mango su dei cracker, insieme a delle arachidi tostate.
Erano poco dopo le nove quando finimmo di pulire il tavolo e di impacchettare il cibo rimanente in modo che si conservasse per il giorno successivo. Dopo essere andate in bagno per mettersi le loro camicie da notte abbinate, appesi i loro nuovi vestiti nell'armadio. Poi preparai dei letti per loro alle estremità opposte del divano, usando la coperta e i cuscini in più.
Quando tirai il bordo della coperta fino al mento della prima, mi abbracciò e mi sussurrò la buonanotte. Le augurai la buonanotte e di fare sogni d'oro. Quando rimboccai le coperte alla seconda, mi diede la buonanotte ma non si mosse per abbracciarmi. Sapevo quale fosse.
“Buonanotte, Marie.”
Vidi i suoi occhi spalancarsi. Poi sorrise e si allungò per abbracciarmi.
"Buonanotte, Signor Busetilear". Si lasciò cadere di nuovo sul cuscino.
Mi sedetti sulla sedia di fronte al divano per guardarle fintanto che non si fossero addormentate. Verso le dieci, mi infilai il pigiama e mi sdraiai in silenzio sul letto.
Mi piaceva pensare al buio, con la lampada spenta e solo i fiochi rumori della tarda serata che filtrano dalla strada sottostante. Nella notte, avrei potuto ripercorrere il passato, cercare di trovare qualche legame con il presente e riconsiderare il futuro.
Non so perché mi sia venuta in mente Raji. Ma eccola lì, in tutta la sua grazia e il suo spirito caparbio. Nel 1928, io e lei eravamo in lizza per il titolo di primo della classe alla scuola di medicina. Sentivo la sua voce così chiaramente come se fosse con me in quel momento.
"Scacco matto in tre", disse da dietro la spalla del mio avversario. Ma erano passati tredici anni.
Amavo gli scacchi e ho sempre pensato di essere un discreto giocatore, ma odiavo i commentatori nel corso della partita. La guardai e di sfuggita colsi il sorriso del mio avversario all'osservazione di Raji.
Rajani NavanaDevaki, un'indiana di Calcutta. Il suo nome significa "occhi notturni", ed è proprio così. Occhi scuri e lunatici, intelletto incisivo, combattiva in modo esasperato, elegantemente magra, bella e comunista sfegatata.
Lei ed io eravamo membri della squadra di dibattito alla Theodore Roosevelt University. Ci esercitavamo costantemente, stabilendo le nostre posizioni e difendendole con argomenti calmi, ordinati e il più delle volte perspicaci. Comunismo e capitalismo erano argomenti frequenti nelle nostre discussioni.
Qualcosa mi svegliò. Un suono, un movimento, non so cosa, ma sembrava che avessi dormito solo per un momento. Guardai la finestra e vidi la luna crescente che pendeva bassa sulla città buia.
Forse è stato solo un sogno.
Chiusi gli occhi per riaddormentarmi, ma improvvisamente mi alzai di scatto: le ragazze!
Saltai fuori dal letto, accesi la lampada e mi affrettai verso il divano. Ripresi fiato. La coperta era stata gettata da parte: Marie e Suu-Kyi erano sparite!
Cos’è successo? Dove sono?
Corsi alla porta d'ingresso, ma era chiusa dall'interno. Il bagno era vuoto quando accesi la luce e controllai dietro la porta. La finestra! No, eravamo al settimo piano. Andai comunque verso la finestra, poi le vidi raggomitolate accanto al mio letto, sdraiate sui loro piccoli materassini. Erano sul lato opposto a quello in cui ero sceso dal letto, altrimenti le avrei calpestate. Non erano nemmeno coperte, indossavano solo le loro camicie da notte rosa.
Il mio cuore batteva forte mentre mi avvicinavo a loro e le guardavo per un momento per assicurarmi che stessero respirando. Stavano bene, dormivano tranquille.
Presi la coperta dal divano per stenderla su di loro, poi mi infilai nel letto e mi stesi con la testa appoggiata sulla mano, guardandole, osservando il lento movimento del loro respiro. Pensai alla tremenda responsabilità che avevo davanti a me. Mi sentivo in obbligo verso le bambine, una buona dose di paura e un meraviglioso sentimento di famiglia. Dopo un po' chiusi gli occhi, ma prima di addormentarmi decisi che la sera dopo avremmo spostato il divano vicino al mio letto.
* * * * *
La mattina dopo mi svegliai presto per il movimento sul letto e l'odore di arance fresche. Aprii un occhio e vidi due facce sorridenti al mio fianco. Aprii l'altro occhio e vidi due arance che stavano per essere sbucciate con il mio bisturi e il mio rasoio. Se saltassi in piedi e gridassi loro di fermarsi, potrebbero rischiare di tagliarsi un pollice.
“Marie e Suu-Kyi,” dissi, con moderata calma. “Lo sapete quanto sono affiliate quelle cose?”
Annuirono e continuarono a tagliare la buccia delle arance.
"State facendo molta, molta attenzione?"
Mi sorrisero.
Con supremo ritegno, mi sedetti lentamente e trattenni il respiro mentre continuavano a tagliare le bucce, tagliando di tanto in tanto grossi e succosi pezzi di polpa d'arancia gocciolante.
"Uh-oh. Ahiii!" urlò una di loro lasciando cadere l'arancia.
Afferrai il rasoio e le tirai la mano verso di me per ispezionare quella che sapevo sarebbe stata una ferita aperta e sanguinante.
A parte il fatto che era bagnata di succo d'arancia, la sua mano era perfettamente a posto. Lei rise all'espressione sulla mia faccia.
"Marie!" Dissi, convinto che Suu-Kyi non avrebbe mai fatto una cosa del genere. "Piccola canaglia. Vuoi che ti dia subito la prima sculacciata della giornata?".
Suu-Kyi mi guardò con un gran sorriso. "Uh-oh. Ahiii!" gridò, imitando Marie. Fece cadere la sua arancia.
Risero mentre prendevo il bisturi da Suu-Kyi e lo pulivo. Pulii anche il rasoio, lo richiusi, poi infilai entrambi gli strumenti sotto il cuscino.
"Ora, una di voi due conosce la parola "cattivo"?
Scossero la testa.
"Beh, è la parola per le ragazzine che si comportano male e spaventano a morte il padre".
"Heebie-seedies?" disse una di loro.
"Seebie-heebies", disse sua sorella.
"Heebie-jeebies". Appoggiai i piedi sul pavimento. Seduto sul bordo del letto, mi stiracchiai. "Dov'è la nostra colazione? Dov'è il mio caffè?"
Presero le arance e corsero al tavolo, dove il resto del cibo era già sparso.
"Ecco il suo caffè, Signor Heebie-jeebies", disse una delle ragazze, porgendomi un bicchiere d'acqua.
"Mmm... un caffè piuttosto corto, direi". Bevvi un sorso. "Chi sei tu?".
"Marie, naturalmente".
"Naturalmente." Immersi la punta del dito nell'acqua e le toccai il naso. "Ora ti ho segnata per tutto il giorno".
Lei incrociò gli occhi, cercando di vedere la fine del suo naso.
Quando finimmo la nostra colazione a base di arance, formaggio e marmellata di mango, andai alla scrivania e tirai fuori una busta e un foglio di carta. Svitai il coperchio della mia penna stilografica e cominciai una lettera, pronunciando le parole ad alta voce mentre scrivevo.
"13 giugno 1941. Cara nonna Marie, i nostri nomi sono Suu-Kyi e Marie".
Le ragazze erano ai lati della mia sedia, a guardarmi scrivere. Continuai, ma senza parlare:
Il nome di nostro padre è...
Cominciai, ma poi esitai, chiedendomi se questo fosse il modo migliore per iniziare la lettera.
"Vincent Busetilear", disse quella alla mia destra.
Posizionai la penna per scrivere il mio nome, ma non scrissi nulla. Non avevo pronunciato l'ultima riga ad alta voce.
"Sai leggere l'inglese...". Guardai la ragazza, chiedendomi quale fosse. Quando la vidi incrociare gli occhi, cercando di vedere la fine del suo naso, dissi "Marie".
Lei guardò sua sorella, poi me. "Poco, ma sappiamo leggere".
"Chi vi ha insegnato l'inglese?" Mi ricordai di essere stato infastidito da qualcosa quando le avevo sentite parlare per la prima volta: il loro inglese era molto buono, ma la vecchia non lo parlava affatto.
"La mamma ci ha insegnato", disse Suu-Kyi.
"La mamma ha detto", continuò Marie, "che saremo andate in America di lì a poco, quando saresti venuto a prenderci".
"E," disse Suu-Kyi, "in America avremmo dovuto parlare un inglese perfetto per parlare con nonna Marie".
"Kayin vi ha detto che sarei venuto a prendervi?"
Annuirono.
Che terribile calvario deve aver passato la loro madre. Kayin ed io avevamo passato solo una settimana insieme prima della partenza mia e diRaji. Erano passati otto lunghi anni e per tutto il tempo Kayin mi aveva aspettato.
Aveva insegnato loro l'inglese. Poi mi venne in mente quella sera al palazzo, la nostra prima notte insieme. All'inizio di quella serata, l'inglese di Kayin era ‘non così buono’, come diceva lei. Diceva le frasi al contrario, pronunciava male le parole e inciampava su parole sconosciute, chiedendomi aiuto. Poi, dopo ore di conversazione formale, avevamo parlato di politica seduti sul bordo del fossato e il suo parlato iniziava a migliorare. Non l’avevo notato quella sera, ma più parlava di liberare la Birmania dagli inglesi, più il suo inglese migliorava. Alla fine della serata, parlava inglese quasi bene quanto me.
Non sapevo cosa fare. Perché aveva finto di avere un inglese stentato quando ci eravamo incontrati la prima volta? Ovvio, quando si infuriava nel discorso contro i signori britannici, parlava troppo velocemente per mascherare il suo inglese quasi perfetto.
Suu-Kyi inclinò la testa di lato e mi sorrise. Deve aver visto l'espressione assente sul mio volto. Mi scrollai di dosso la preoccupazione per i vecchi tempi, le restituii il sorriso e mi concentrai sul nostro attuale dilemma: è successo qualcosa a Kayin, poi la vecchia mi ha consegnato le gemelle.
"Chi è la donna che vi ha portate qui ieri?".
"Zia Thuy", disse Suu-Kyi.
"Ha detto che dobbiamo partire con te", disse Marie. "Se restiamo a Mandalay, ci saranno molti problemi".
"Per quanto tempo siete state con zia Thuy?". Chiesi a Marie.
"Da quando quegli uomini hanno preso la mamma".
"Quanto tempo fa è successo? Sono passati molti mesi?".
"No, non tanto tempo. Solo due giorni prima del festival di ZayCho".
Così poco, pensai.
Il festival di ZayCho era stato celebrato solo tre settimane prima. Se solo fossi arrivato il mese scorso. Tuttavia, non avrei potuto farci niente. Non ero del tutto guarito, avendo solo recentemente ripreso il controllo della mia vita. Sono venuto a Mandalay appena ho potuto.
"Finiamo la lettera a vostra nonna. Poi dobbiamo trovare vostra madre".
Marie mise un braccio intorno a me e appoggiò la testa sulla mia spalla.
Nostro padre è Vincent Fusilier, scrissi. Nostra madre è Kayin.
Misi giù la penna e spostai indietro la sedia.
"Ora", dissi, stando in piedi accanto alla scrivania, "se sai leggere l'inglese, penso che tu sappia anche scriverlo". Guardai Suu-Kyi e lei guardò sua sorella. Marie fece per salire sulla sedia, ma io la fermai, facendo cenno a Suu-Kyi di provare per prima.
"Ma cosa devo scrivere?". Suu-Kyi girò il viso verso di me.
"Scrivi qualsiasi domanda che hai per tua nonna, ma prima scrivi il tuo nome, così saprà chi di voi stai facendo le domande".
Suu-Kyi prese la mia penna stilografica e avvicinò il pennino al naso.
"Non devi annusare qualsiasi cosa ti capiti tra le mani", disse Marie, tamburellando le dita sullo schienale della sedia. "Prova a vedere se riesci a scrivere il tuo nome". Marie mi guardò, poi alzò gli occhi verso il soffitto.
Suu-Kyi, scrisse. Il mio nome è questo. Le sue lettere erano ordinate e regolari, tutte leggermente inclinate verso destra, e aggiungeva un piccolo ricciolo alla lettera ‘e’ quando arrivava alla fine di una parola.Ha dei bambini nella sua Virginia?
“Bene,” dissi, “molto bene.”
La sua grammatica non era perfetta, ma la sua calligrafia era meravigliosa. Per una bambina di sette anni che non era andata a scuola, la sua scrittura era eccezionale. La madre doveva aver passato molte ore a insegnare loro.
"Dille dei nuovi vestiti che abbiamo", disse Marie.
Il signor Papà ci ha anche comprato dei vestiti nuovi, scrisse Suu-Kyi.
"Dille delle arance", disse Marie, ed entrambe risero.
"Sì", disse Suu-Kyi, "questo la farà sentire felice".
Quando iniziò a scrivere, non la interruppi con correzioni o suggerimenti. Se la cavò con l'aiuto di Marie. L'unico aiuto che mi chiese fu per scrivere‘arancia’, e poi ‘scimmia’ quando raccontò della nostra avventura al mercato. Sapevo che a mia madre sarebbe piaciuta questa lettera e probabilmente l'avrebbe riletta mille volte, sì, dopo aver superato lo shock di essere diventata nonna.
Marie fece avvicinare la sorella e si sedette sulla sedia accanto a lei. Dopo qualche altra riga, Suu-Kyi diede la stilografica a Marie, che la prese, la spostò sulla mano sinistra e scrisse il suo nome, poi chiese alla nonna Marie quando sarebbe venuta a trovarla. Raccontò delle anatre e delle oche al bazar, ma tralasciò la parte in cui la testa veniva tagliata. Descrisse poi tutte le cose che portammo in camera e come tenemmo i nostri alimenti nel cassetto del comò in modo che gli addetti alle pulizie non li trovassero e li buttassero fuori dalla finestra. Non mi chiese alcun aiuto per l'ortografia.
Con l’aggiunta di una nota alla fine, la lettera era lunga quasi tre pagine. Dissi a mia madre che stavamo cercando Kayin e che speravamo di tornare presto a casa, tutti e quattro. Poi le chiesi se Raji avesse già lasciato la Virginia come previsto.
Chiesi alle ragazze di vestirsi mentre io scrivevo l'indirizzo di mia madre sulla busta. Portai con me il rasoio e il bisturi in bagno, dopo aver finito di radermi e lavarmi,li misi in un nascondiglio sicuro dietro la vasca.
Quando uscii dal bagno, avevano quasi finito di spalmarsiilthanaka sulla faccia l’una dell'altra. Quando finirono, una tenne il barattolo, mentre l'altra riavvitava il coperchio. Poi si girarono con i volti sorridenti e decorati di giallo verso di me e si pulirono le mani su un asciugamano.
"Bellissime", dissi. "Andiamo a spedire la nostra lettera alla nonna".
Scendendo le scale per andare all'ufficio postale, mi resi conto che la lettera avrebbe impiegato almeno trenta giorni per raggiungere la Virginia, forse di più. La posta aerea non aveva ancora raggiunto questa parte del mondo, così decisi di trovare un ufficio telegrafico e inviare la lettera come telegramma. Arrivati nella hall dell'hotel, chiesi all'anziana signora alla reception dove trovare un ufficio telegrafico.
"Non so di nessun ufficio del telegrafico", disse. "Ma potresti provare con l'American Express. Probabilmente possono mandare un telegramma per te".
"Ah, buona idea. Dov'è il loro ufficio?"
Mi diede le indicazioni, era a pochi passi dall'hotel.
All'ufficio dell'American Express parlai con il direttore, un geniale inglese di nome Brockman. Gli consegnai le tre pagine scritte a mano e spiegai cosa volessi fare.
"Tre pagine sarebbero abbastanza costose da inviare in un telegramma", disse. "Tuttavia, se tua madre ha un conto presso l'American Express, posso inviare le tue informazioni via cavo al nostro ufficio di New York. Loro controlleranno il suo conto e, se è in regola, potranno inviare il telegramma da lì e addebitare il costo sul suo conto. È il modo più economico che mi viene in mente".
"Sì, lei ha un conto. Ha viaggiato per cinque mesi in Africa diversi anni fa, e ricordo che ha raccolto parte dei suoi fondi all'ufficio dell'American Express a Nairobi".
"Pensi che le dispiacerebbe che il costo del cavo e del telegramma fosse addebitato sul suo conto?"
"Sono certo che sarà felice di pagare".
"Va bene, allora. Torni domani sul tardi e le dirò se New York è riuscita a mandarle il telegramma".
Gli diedi il nome e l'indirizzo di mia madre. "La prego di far inviare al suo operatore il messaggio esattamente come è scritto".
Lui diede un'occhiata alla lettera che giaceva sulla sua scrivania. "Le dispiace?" chiese, raccogliendo le pagine. Apparentemente, voleva leggere la lettera per essere sicuro che lui e il suo operatore potessero capire ciò che era scritto.
"Prego."
Guardai la sua faccia mentre leggeva. All'inizio corrugò la fronte, e potei vedere che si tirò indietro per ricominciare. Poi sorrise. Alla seconda pagina ridacchiò. Stava ancora sorridendo quando finì l'ultima pagina.
"Chi è Marie?" Guardò da una ragazza all'altra.
Le ragazze stavano accanto alla mia sedia, una per lato. Marie si chinò vicino a me, i suoi occhi sul signor Brockman.
"Sonoio", sussurrò.
"Bene, Marie", disse lui, "hai scritto una lettera molto bella a tua nonna. E anche tu, Suu-Kyi". Le fece un occhiolino.
Guardai le ragazze: stavano sorridendo.
"Io stesso ho una moglie birmana", disse il signor Brockman. "E siamo genitori di un bambino di nove anni. Quindi, come vede, abbiamo molto in comune, lei ed io".
"Incontrate molti pregiudizi, lei e la sua famiglia?
Si mise a ridere. "Oh mi scusi. Certo, non è divertente. È solo che non mi è mai stata posta la domanda in modo così diretto. Il pregiudizio è il nostro compagno costante. Ma cosa si può fare? Conto sulle dita della mano destra il numero di matrimoni misti che conosco. Tutte quelle coppie stanno bene insieme, ma siamo esclusi dalla maggior parte degli incontri sociali, sia anglosassoni che birmani".
"Capisco. Se solo potessi trovare Kayin, noi quattro staremmo bene".
Sentimmo un leggero tocco alla porta dell'ufficio del signor Brockman.
"Avanti."
La sua segretaria aprì la porta e disse che un signore era arrivato per il suo appuntamento.
"Sì, signor Fusilier", disse il signor Brockman quando si alzò e allungò la mano attraverso la scrivania per stringere la mano. "Trasmetteremo la sua lettera a New York esattamente come scritta, insieme alle istruzioni".
"Grazie, signor Brockman". Gli strinsi la mano. "Torneremo domani sul tardi per vedere se ha ricevuto una risposta".
Con mia sorpresa, e del signor Brockman, Marie si alzò in punta di piedi e si allungò per stringergli la mano.
Il suo viso si illuminò in un ampio sorriso prendendo la mano della ragazza.
* * * * *
Sulla via del ritorno all'hotel, ci fermammo in un piccolo caffè per una tazza di caffè e due bicchieri di latte. Mentre guardavo le ragazze bere, pensai ai miseri avanzi di cibo nel nostro cassetto e decisidi trovare un modo per fornire loro una dieta più sana.
Lasciammo il caffè e camminammo lungo la 62ª strada. Chiesi loro di mostrarmi dove avevano vissuto con zia Thuy. Mi portarono lungo una strada laterale e attraverso diversi vicoli. Più camminavamo, più i quartieri peggioravano. Mattoni e malta diventarono legno e argilla. Dopo altri quattro isolati, le baracche di latta con i tetti di paglia di palma facevano sembrare gli edifici di legno della zona precedente più imponenti al confronto. Fogne a cielo aperto correvano in mezzo alle strade sterrate, e bambini dagli abiti stracciati giocavano nel fango, nella spazzatura e nella sporcizia. Nuvole di mosche e zanzare si alzarono dal fango e ci ronzaronoattorno. Feci dei piccolo respiri, cercando di non inalare il fetore ripugnante che proveniva dalle pozze verdastre di letame.
Una banda di bambini, tra i quattro e i dodici anni circa, corsero verso di noi, chiedendo l'elemosina. Mi tirarono le mani e implorarono soldi o cibo. Cercai di ignorarli, continuando a camminare, ma diventarono più insistenti, correndoci intorno e tirandomi i vestiti e le tasche. Sapevo che se avessi dato loro qualcosa, avrei attirato un altro centinaio di bambini disperati sulla strada. Mi sentivo un turista insensibile, non volendo condividere il mio denaro con i bisognosi.
Alla fine, Marie ne ebbe abbastanza e diede un calcio negli stinchi al ragazzo più grande. Era una testa più alto di lei e avrebbe potuto facilmente buttarla a terra, ma lui si limitò a fissarla strofinandosi la gamba.
"Vattene da qui, figlio di Ba Ma Yapaw!" gridò lei in birmano. "O dirò alla polizia di venire a portarvi tutti in prigione, dove gli affamati vi mangeranno per cena. Ora tornate ai vostri buchi nella terra e lasciate in pace mio padre".
I bambini scapparono in tutte le direzioni, tagliando dietro le baracche. Guardai Marie, che mi rivolse un dolce sorriso.
"Ecco la casa di zia Thuy". Suu-Kyi indicò una baracca poco più avanti.
Il posto era composto da alcuni fogli di lamiera ondulata arrugginita inchiodati insieme. Le fronde di palma coprivano il tetto, lasciando un buco nel mezzo per permettere al fumo del fuoco di cottura di uscire.
La porta d'ingresso consisteva in alcune tavole deformate inchiodate tra loro. Un pezzo di corda serviva da chiavistello.
Le mie bambine vivevano in questo posto terribile.
Bussai leggermente, temendo che la porta potesse crollare; nessuna risposta. Bussai ancora; niente.
"Zia Thuy non c'è", disse una vocina nelle vicinanze.
Vidi un ragazzo sbirciare dal lato di un'altra baracca dall'altra parte della strada. Era quello che Marie aveva preso a calci.
"Dov'è andata zia Thuy?". Chiesi in birmano.
"A trovare il capo per delle zampe di pollo". Il ragazzo si scansò.
"Dove..." La mia voce gracchiò. Deglutii e provai di nuovo. "Dove vivevate con vostra madre prima di venire qui da zia Thuy?"
"Più giù da quella parte". Marie indicò il vicolo.
Più in là, la fogna a cielo aperto in mezzo alla strada correva verso una fila di squallide baracche appoggiate tra loro, come se si sostenessero a vicenda. Se una delle baracche fosse stata abbattuta, sarebbero sicuramente crollate tutte. Le baracche si trovavano sulle rive fangose di una lugubre pozzanghera. L'acqua stagnante giaceva immobile sotto uno strato di melma ripugnante.
Afferrai le mani delle ragazze e cominciai a risalire la strada. Non potevo accettare tutto questo, sapere che avevano vissuto in condizioni così marce.
Le mie figlie non avrebbero mai dovuto sopportare una vita del genere.
Quando raggiungemmo la prima strada asfaltata, chiamai un risciò e dissi all'uomo di portarci alla Casa dei Registri. Volevo controllare i certificati di nascita delle ragazze per vedere se potevo trovare qualche informazione su Kayin.
Era una corsa di mezz'ora fino al quartiere di Myingyan, dove si trovavano gli edifici del governo. A piedi ci sarebbero volute due ore o più.
All'interno della Casa dei Registri, ci vollero quasi venti minuti perché il vecchio impiegato curvo trovasse il libro dei registri corretto. Posò il pesante volume sul bancone e sfogliò le pagine, cercando i nomi delle ragazze. Finalmente trovò la pagina e girò il libro per mostrarmelo.
La loro data di nascita eral’11 luglio 1934. KayinMycinYankizera il nome della loro madre. Nel riquadro dove sarebbe dovuto comparire il nome del padre c'era un grande rettangolo riempito di nero, che cancellava ciò che era stato scritto prima.
"Cosa significa questo?". Chiesi al vecchio. Il mio birmano era lento e contaminato da un pesante accento inglese.
"Non ho capito" disse lui, scostandosi i capelli grigi e filamentosi dall'orecchio e stringendo la mano dietro di esso.
Ripetei la domanda, indicando il rettangolo nero.
Lui tirò il libro dalla sua parte del bancone, poi regolò i suoi piccoli occhiali rotondi dalla punta del naso fino agli occhi acquosi. La sua lunga unghia seguì ogni riga leggendo tutto, finché non arrivò al riquadro nero. Grattò l'unghia sul rettangolo, poi sgranò gli occhi. Il vecchio guardò verso di me, poi di nuovo verso il registro.
C'era una specie di impronta o sigillo ufficiale. Era di un tenue colore rosso, di forma ottagonale, con un cerchio più scuro al centro. Parole in caratteri birmani erano all'interno del cerchio, e proprio al centro c'era un'impronta che sembrava essere una corona. Il bordo inferiore dell'impronta si sovrapponeva al rettangolo nel modo in cui un timbro postale attraversa l'angolo di un francobollo. Una firma attraversava il cerchio interno.
L'impiegato guardò alle sue spalle un giovane uomo di schiena.
"Che cos'è?" Chiesi.
Lui mi guardò, con gli occhi spalancati. Indicai l'impronta rossa e ripetei la domanda.
"Sigillo reale", sussurrò. "Non può guardare. Sigillo reale di segretezza. È proibito vederli". Chiuse il libro e si affrettò a metterlo a posto.
"Aspetta un attimo", lo chiamai. "Voglio vederlo".
Ma il vecchio se la svignò nella stanza sul retro, sbattendo la porta.
L'uomo più giovane si avvicinò al bancone. "Cosa le serve, prego?", chiese.
"Quel vecchio mi ha mostrato gli atti di nascita delle mie figlie". Parlai in inglese, non volendo perdere tempo a trovare le parole giuste in birmano. "E quando ho chiesto di un sigillo rosso sul documento, ha chiuso il libro e lo ha portato via".
"Aspetti un momento". Mi rispose il giovane in inglese. "Mi riferirà qual è il problema".
Andò nella stanza sul retro, chiudendosi la porta alle spalle. Ma uscì subito, tornando al bancone con un'aria di cupa preoccupazione.
"Qual è il suo nome, prego?".
Gli risposi. Mi chiese dove abitassi e gli diedi l'indirizzo dell'albergo e il numero della stanza.
"E queste bambine, sono le sue figlie? Mi dica anche i loro nomi".
Scrisse tutto quello che gli dissi, poi senza preavviso annunciò "Tuttavia, è chiuso".
Tirò giù la finestra smerigliata, e sentii il chiavistello scattare in posizione con un forte scatto metallico.
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