La Ragazza-Elefante Di Annibale Libro Uno
Charley Brindley
Una giovane ragazza che stava per annegare viene salvata dal fiume da un elefante. Questo accadde vicino al campo di Annibale del 218 AC.
Nel 218 AC, Annibale condusse il suo esercito, assieme a 27 elefanti oltre le Alpi per attaccare i romani. Undici anni prima questo storico evento, sulle sponde di un fiume vicino a Cartagine, nel Nord Africa, uno dei suoi elefanti salva una ragazza dalle turbolenti acque di un fiume. Così cominciò il fantastico viaggi di Liada e dell'elefante Obolus.
Charley Brindley
La Ragazza-Elefante di Annibale Libro Uno
La ragazza-elefante di Annibale
Libro Uno
Tin Tin Ban Sunia
di
CharleyBrindley
charleybrindley@yahoo.com
www.charleybrindley.com
Arte di
© 2019 by CharleyBrindley tutti i diritti riservati
Traduzione di
Gabriela Gubenco
© 2019 Charley Brindley tutti i diritti riservati
Prima edizione inglese, marzo 2019
Questo libro è dedicato a
Brittney and Autumn Davis
Altri libri diCharleyBrindley
1. Oxana’sPit
2. The Last Mission of the SeventhCavalry
3. Raji Book One: Octavia Pompeii
4. Raji Book Two: The Academy
5. Raji Book Three: Dire Kawa
6. Raji Book Four: The House of the West Wind
7. Cian
8. Ariion XXIII
9. The Last Seat on the Hindenburg
10. Dragonfly vs Monarch: Book One
11. Dragonfly vs Monarch: Book Two
12. The Sea of Tranquility 2.0 Book 1: Exploration
13. The Sea of Tranquility 2.0 Book 2: Invasion
14. The Sea of Tranquility 2.0 Book 3: The Sand Vipers
15. The Sea of Tranquility 2.0 Book 4: The Republic
16. Annibale’sElephant Girl: Book TwoVoyage to Iberia
17. The Rod of God, Book 1: On the Edge of Disaster
18. The Rod of God, Book 2: Sea of Sorrows
19. Do Not Resuscitate
20. Henry IX
21. Qubit’s Incubator
In arrivo prossimamente
22. Dragonfly vs Monarch: Book Three
23. The Journey to Valdacia
24. StillWatersRunDeep
25. Ms Machiavelli
26. Ariion XXIX
27. The Last Mission of the SeventhCavalry Book 2
28. Annibale’sElephant Girl, Book Three
Vedasi fine libro per altri dettagli sui libri.
Capitolo Uno
Aggrappata a un albero morto, stavo andando alla deriva nella silenziosa notte, sforzandomi di sentire il minino rumore. Il silenzio, tuttavia, mi avvolse come uno spesso e bagnato mantello.
Perché sono nel fiume? Sono stata l’unica ragazza a esservi stata buttata?
Il fiume si muoveva sotto di me come un serpente che si stava svegliando. Mi sono spostata una ciocca dei capelli bagnati, dando un’occhiata in giro nella pericolosa oscurità.
Un suono simile a un tuono lontano si trasformò in un basso brontolio.
Cos’è quel rumore?
Il tronco su cui salii durante la notte girò lentamente, andando verso le sponde fangose. Pensai di poter finalmente scappare dall’acqua gelida, ma poi il fiume cadde e si impennò, trascinandomi nella corrente repentina. Quello che vidi nella fiocca luce dell’alba mi terrorizzò.
“Rapide!”Strillai.
Massicce rocce sorgevano come luccicanti denti neri. Balzai dal tronco, tentando di sfuggirvi, però l’arrabbiato fiume sembrava determinato a inghiottirmi.
Un’enorme roccia si stagliava avanti. Urlai, aggrappandomi a qualsiasi cosa per salvarmi. Mi contorsi, ma urtai la testa contro una roccia, e ciò mandò fitte di dolore al mio cranio.
Quando aprii gli occhi, mi trovai inchiodata contro un masso da un altro tronco. Qualcosa di verde e viscido copriva la corteccia in decomposizione, e due estremità dentellate spuntavano come le ossa rotte delle braccia. Un’acuta ondata di dolore mi andò dalla testa alle spalle mentre tentavo di spingere via il tronco.
La ruggente corrente mi prese le gambe, trascinandomi nelle rapide. Afferrai il tronco ma lo mancai.
Urtai contro i massi e precipitai nella schiumosa rapida finché non caddi in un laghetto profondo.
Quando venni a galla, respirando affannosamente, il viscido tronco mi spuntò vicino. Lo presi, lasciando che la corrente mi facesse girare piano.
Il minimo movimento mi causava un dolore atroce dal retro della testa alle tempie. Come mi distesi in acqua, tenendomi con una mano, vidi le nuvole e gli alberi sporgenti roteare nella luce mattutina.
Gli uccelli cinguettavano tra i ramidelle palme e una gentile brezza portò l’odore di terra asciutta e piante fiorite. Perché sono nel fiume? Mi faceva male la testa quando provavo a concentrarmi. Tutto quello che ricordavo erano due uomini che mi lanciavano da un ponte. Cos’è successo agli altri?
Sfinita dalla lotta contro il fiume, ero prosciugata di energia. La voglia di continuare; anche quella era sparita. Presi quindi un debole respiro e lasciai andare. Mentre affondavo nelle fredde profondità, il roteante mondo sfocò nell’oscurità e mi sentii sollevata.
All’improvviso qualcosa che si muoveva nell’acqua mi colse di sorpresa. Una creatura mi afferrò attorno alla vita. Mi divincolai spingendola via pensando fosse un serpente d’acqua. Il serpente mi tirò fuori dall’acqua. Tentai di gridare ma riuscii soltanto a tossire soffocando a causa dell’acqua che avevo inghiottito.
Il serpente strinse la presa, tentando di schiacciarmi. Spinsi contro il corpo avvinghiato ma era troppo forte. Mi alzò finché non arrivai a fissare un grande occhio circondato da rugosa pelle grigia. Spaventata da questa orribile immagine, non potei fare altro che tremare nella presa della creatura.
L’animale sbatté le palpebre e aggiustò la presa sulla mia pancia bagnata, tenendomi a distanza. Due lunghe corna si estendevano dalla sua bocca, incurvandosi da entrambi i miei lati.
Spinsi con tutta la mia forza. “Lasciami andare!”
Il mio strillo spaventò uno stormo di rondini che volarono via dalle palme. Sbatterono le ali in uno smorzato putiferio.
Il baccano deve aver spaventato l’animale, perché mi liberò.Il suo forte barrito mi inorridì. Nel momento in cui mi lasciò andare mi aggrappai a quello che non era un serpente, bensì una lunga e incurvata proboscide. L’afferrai con tutte le mie forze. Non volevo che il mostro mi mangiasse, ma non volevo neppure cadere su una di quelle corna.
Gridai mentre la bestia barrendo, si dirigeva verso la sponda spruzzando acqua e facendo fracasso, nel tentativo di liberarsi da me. Mi tenni stretta quando alzò in alto la proboscide, barrendo come se qualcuno gliel’avesse morsa.
Forse, nella disperazione, gliel’avevo morsa davvero, ma non potevo aver causato così tanto dolore da giustificare una tale furia. La creatura si fece strada nella sabbia, divincolandosi finché non finì con il didietro contro un enorme carrubo. L’albero vibrò dal tronco alla cima, così forte che una grande porzione secca si ruppe e cadde, colpendo la tesa dell’animale.
La bestia oscillò,chiuse gli occhi e cadde a terra in una nuvola di polvere, foglie e rami. La testa dell’animale colpì un masso e la sua spiralata proboscide, a cui ero aggrappata, si poggiò sulla parte superiore della sua enorme faccia.
Mi sedetti, tentando di prendere fiato mentre mi toglievo i capelli bagnati dalla faccia. Guardai l’immobile figura della grigia bestia.
“L’ho ucciso?”
Delle risate provennero da dietro di me, girandomi vidi sei soldati. Indossavano pettorali di cuoio spesso con incise delle scene di battaglia e delle protezioni di metallo ai polsi e agli stinchi.
“Avete mai visto qualcosa di simile?”
Un uomo dalla barba rossa mi indicò. Portava un elmetto lucente, con lunghi peli di animale attaccati al centro che andavano fino alla schiena. Ognuno di loro teneva una lancia in mano e aveva una spada nella cintura.
Un altro soldato gettò il suo scudo a terra, ridendo così forte da non riuscire a parlare. “Obolus, il potente elefante da guerra, messo a tappetto da una ragazzina!” Diete un colpetto sulla spalla al suo compagno. “E per aggiunta un’inutile bambinetta. Non avrà neanche dodici anni.”
Larghe strisce di pelle con ornamenti argentatipendevano dalle cinture dei soldati, creando delle vesti protettive sopra le loro corte tuniche.
“L’impavido Obolus,” disse il primo uomo “così coraggioso da calpestare centinaia di uomini in una volta, ma una terribile ragazzina si aggrappa alla sua proboscide e lui muore di paura.” Questo causò un’altra ondata di risate.
Volevo scappare, ma mi avevano circondata.
”Stasera facciamo un banchetto!”Aggiunse un uomo robusto dagli oleosi capelli neri. Infilò il suo elmetto sulla punta della lancia e la ondeggiò nell’aria. “Con zampe arrostite e stufato di orecchie di elefante.”
“Oh, sì. Due orecchie molto grandi,” rispose l’uomo dalla barba rossa.
Tirò fuori il suo pugnale e fece un gesto tagliente nell’aria. I pochi denti che gli erano rimasti erano giallastri e storti, di cui uno rotto che aveva lasciato un moncone seghettato. I piccoli occhi e il naso storto lo facevano sembrare strabico.
Mi si avvicinò, facendo cenno agli altri di seguirlo. Il freddo mi percorse la schiena, come se fosse un’unghia gelata.
Cosa mi faranno?
Indossavo solo un piccolo indumento ancora bagnato per via del fiume.
Dove sono?
Quando provai a concentrarmi un dolore mi linciò la testa. Mentre cercavo una via per scappare il cerchio di uomini mi si strinse intorno.
“Potrebbe davvero essere un problema serio.” Barba Rossa guardò i suoi amici, aspettando, a quanto pare, di essere sicuro di avere la loro attenzione. “Dobbiamo sperare e pregare che la nostra prossima battaglia non sia contro una legione di ragazzine mezze nude.” Tutti risero. “Perché in tal caso, i nostri elefanti da guerra ci calpesteranno tutti nel tentativo di sfuggire a uno scontro così orribile.”
Nel momento in cui aggiustò il suo coltello nella giusta presa per accoltellare, un uomo alto con un bastone passò attraverso il cerchio di uomini. Il colore del suo indumento era di uno strano rosso-viola, e il suo turbante era adornato sul davanti con un emblema dorato. Un pugnale ricoperto di gioielli era appeso alla sua intrecciata cintura di pelle. Era molto più anziano rispetto ai soldati, ma la sua postura era diritta e rigida.
I soldati si zittirono mentre lui camminava loro davanti. Indietreggiarono, guardandolo con attenzione. Barba Rossa ripose il pugnale nella fodera.
Il vecchio scrollò la testa, guardò la bestia e poi me. “Un cattivo auspicio,” mormorò. “Questo è sicuro. Molti moriranno in sacrificio a causa di questo segno della dea Tanit.”
Gli uomini parlottarono l’uno con l’altro, e potei notare dalla loro attenzione che le parole del vecchio avevano un grande peso.
Scesi dall’animale e indietreggiai per osservare il suo corpo enorme. Anche disteso sul fianco era più alto di me.
Un “elefante,” … era così che l’avevano chiamato?
Una mano mi toccò la spalla e trasalii. Quando mi girai un giovane uomo che non avevo mai visto mi porse il suo mantello. Non era uno soldato quindi presunsi che fosse arrivato con l’uomo che indossava il turbante. Presi il mantello e me lo avvolsi intorno al corpo, tremando per paura dei soldati e a causa del freddo del fiume.
Il manto mi riscaldò, ma sentii dolore da tutti i tagli e le ferite. Schiena, testa … mi faceva male tutto, e lo sfinimento mi indebolì le gambe.
L’uomo con il turbante alzò il viso al cielo e cominciò un canto funebre. I soldati pregarono, poggiando le lance nelle pieghe delle braccia e stringendosi le mani. Mentre gli altri mormoravano al cielo, il soldato dalla barba rossa abbassò la testa per fissarmi. Un animale affamato non avrebbe potuto spaventarmi di più.
“Ora va’,” mi sussurrò il giovane uomo.
Feci un passo indietro, inciampando e quasi cadendo. “Dove?”Chiesi.
A differenza degli altri soldati che erano barbuti e chiassosi, egli era ben rasato e aveva una voce dolce. Era facile guardare nei suoi occhi marroni del colore delle mandorle e del miele. Non portava alcuna arma né tantomeno indossava un’armatura, però aveva una piccola fascia attorno alla vita della sua tunica bianca. La fascia era dello stesso insolito materiale di cui era fatto l’indumento dell’uomo alto.
Mi poggiò una mano sulla spalla, guidandomi via dai soldati, quasi sul limitare della foresta. “Sbrigati ad andare su quel sentiero verso il campo e chiedi di una donna chiamata Yzebel. Ti troverà qualcosa da mangiare. Va’ veloce prima che arrivi Annibale e veda uno dei suoi elefanti a terra.”
Nonostante mi causasse dolore, corsi lungo la strada che portava nel bosco. Ero grata al conforto del suo mantello e sapevo che avrei dovuto ringraziarlo. Il manto spesso era chiazzato del verde dell’erba e di sfumature di marrone. Arrivava quasi a terra, coprendomi dalle spalle alle caviglie.
Mi fermai e guardai indietro ma il giovane uomo non c’era più.
Il grande bernoccolo sul retro della testa mi faceva più male che mai. Quanto lo toccai, un forte dolore mi attraversò la testa, stordendomi.
Se solo potessi distendermi e dormire un pochino.
Un angolino di erba, come un morbido letto verde si estendeva sotto una quercia vicina. Nel momento in cui feci un passo verso l’erba sentii dei lontani rumori. Un cane abbaiò e il fragore del metallo echeggiò nella foresta.
Il campo dev’essere vicino.
Camminai verso i suoni, troppo stanca per correre.
Vicino al sentiero, un ragazzo stava raccogliendo della legna. Indossava una tunica marrone e aveva i disordinati capelli raccolti all’indietro con un cordino di pelle. Mi sogghignò in modo sprezzante e mi domandai perché mai. Uno dei ramoscelli gli cadde dalle mani. Lo raccolse da terra e lo portò oltre la spalla come se volesse lanciarmelo addosso. Tenni gli occhi fissi su di lui e presi una roccia dentellata dalle dimensioni del mio pugno, alzandola in atteggiamento di sfida. Dopo essere sopravvissuta al fiume, all’elefante con le sue corna, e agli spaventosi soldati, non mi sarei fatta intimidire da un ragazzo. Era più alto di me, ma io avevo la roccia.
Lanciò il suo ramoscello, colpendo un albero vicino, poi si girò, portando il suo carico di legna lungo il sentiero. Dopo che sparì dalla vista, continuai sulla stessa strada, tenendo in mano la mia roccia.
Verso la fine del cammino, una leggera brezza portò odore di cibo, facendo brontolare il mio stomaco dalla fame.
Il sentiero conduceva fuori dalla pineta, girava intorno a una grande tenda grigia e poi giù verso il campo principale. Numerose tende e baracche in legno punteggiavano una serie di piccole colline, estendendosi come a formare una piccola città.
Seguii l’aroma del cibo fino alla tenda grigia dove una donna sedeva vicino al fuoco nella luce mattutina. Tagliava delle verdure in una pentola a basso fuoco. Diversi tavoli con delle panche di legno circondavano il focolare.
Si allungò per prendere una rapa e mi notò. I suoi occhi a mandorla del colore del miele si fissarono su di me.
“Dove hai preso quel mantello?”
Abbassai lo sguardo, trascinando i piedi a terra. Non sapevo cosa rispondere.
La donna mi si avvicinò con il coltello in mano. Indietreggiai.
“Quello è il mantello di Tendao. Da dove l’hai preso?”
Strinsi il mantello più forte attorno ame, poi mi ricordai il giovane uomo. Mi disse di chiedere di una donna che mi avrebbe dato qualcosa da mangiare.
“Conosce Yzebel?”
“Io sono Yzebel. Perché indossi il mantello di Tendao e chiedi di me?”
Mi venne più vicina e afferrò il mantello. Guardai il coltello nella sua mano e poi il suo volto. Serrò la mascella e accigliò la fronte, creando una distorsione nella sua bellezza.
Tenni il mantello chiuso, ma Yzebel era troppo forte. Lo aprì. Il cambiamento improvvisò che vidi in lei mi sorprese. I suoi lineamenti severi si trasformarono completamente, sembrava addirittura che un’altra persona avesse preso il suo posto. L’irritazione e la rabbia si addolcirono in compassione e tenerezza.
“Per la Madre Elissa!” Yzebel stava fissando il mio corpo pieno di ferite. “Che cosa ti è successo?”
Capitolo Due
Yzebel indossava un vestito di trapunta digialli e marroni sbiaditi e un lacero grembiule legato attorno alla sua vita stretta. I suoi lunghi capelli scuri erano intrecciati e legati in un complesso chignon alto. Non era vecchia, neanche a metà della sua vita.Trovai straordinario il fatto che non avesse rughe. I suoi tratti,dal colore della crema di cannella, erano delicati come il chiaro di luna sulla seta.
Abbassai lo sguardo sul mio corpo e notai i numerosi tagli e le ferite. Solo in quel momento realizzai che terribile disavventura ebbi affrontato. Mi faceva male tutto, soprattutto la nuca. Mi ricordai di essere stata malata e bollente, tanto bollente, prima che mi buttassero nel fiume. A parte quello, non rammentavo altro. La debolezza mi travolse e mi sentii fragile come un arto rotto esposto al gelido vento. Scossi la testa in risposta alla domanda di Yzebel.
“Sei così magra.”La donna richiuse gentilmente il mantello e mi strinse intorno le braccia.
Non riuscivo a ricordare se qualcuno mi avesse mai abbracciata prima. Lasciai la mia roccia, sperando che non l’avesse sentita cadere a terra.
“Hai i capelli bagnati.” Prese una lunga ciocca e me la sistemò sulla spalla, poi mi strinse la mano. “Vieni qua al caldo.”
Yzebel mi condusse vicino al focolare, dove mi sedetti appoggiandomi a un tronco. Il fuoco riscaldò il mio corpo dolente, e il fumo dei pini mi avvolse in modo piacevole e tranquillizzante. Fissai il fuoco, guardando le fiamme balzare e danzare. Ricordava un bagliore di vita.
Dov’è che va il fuoco dopo che tutta la legna è bruciata?
“Puoi mangiare contu luca con wuhasa?”Mi chiese.
“Sì.”Non avevo mai sentito di contu luca, però sapevo che avrei potuto mangiare qualsiasi cosa.
Yzebel prese una ciotola di terracotta e la pulì con un angolo del suo grembiule. Usò un cucchiaio di legno per riempirla con cereali fumanti mischiati con pezzetti di carne. Un pentolino di argilla poggiato su una liscia pietra vicino al fuoco conteneva una densa salsa rossa. Spalmò una cucchiaiata di salsa nel piatto.
Presi la ciotola dalle sue mani e vi intinsi le dita. Il cibo era bollente, ma non riuscivo ad aspettare di più. Il delizioso sapore del grano duro e dei salati pezzi di carne di montone mi scaldò l’animo, e la salsa wuhasa aveva un retrogusto piccante. Inghiottii senza masticare e intinsi nuovamente le dita nella ciotola. Prima che potessi prenderne un secondo morso, il mio stomaco vuoto si ribellò contro il cibo. Mi sentivo stordita e mi si strinse lo stomaco. Tentai di appoggiare il piatto sul tavolo, ma Yzebel riuscì a prenderlo prima che lo facessi cadere.
Strinsi le braccia intorno allo stomaco e inciampai andando verso un lato della tenda dove vomitai il poco cibo che avevo ingerito. Continuava a farmi male la pancia.
Le dolci parole di conforto di Yzebel e lo straccio bagnato sulla nucami portarono sollievo. Poco dopo, lo stomaco si tranquillizzò.La donna mi girò per lavarmi la faccia.
“Quand’è stata l’ultima volta che hai mangiato?”
Provai a pensare. “Non oggi.”
“Vieni. Penso che dovresti provare a bere un po’ di vino prima di mettere altro cibo nel tuo stomaco vuoto. Un pochino di vino ha un effetto calmante, ma troppo ti farebbe ubriacare come un corvo che mangia l’uva fermentata.”
Sorrisi pensando al corvo ubriaco capitombolare nell’aria. Quando alzai lo sguardo, Yzebel mi fece l’occhiolino.
Mi sedetti accanto al fuoco, avvolta nel mantello di Tendao e sorseggiai il dolce vino annacquato.
“Bevine solo un po’,” mi disse. “Aspettiamo e vediamo se il tuo stomaco sgradirà il vino come ha fatto con il cibo.”
Annuii e misi giù la tazza. Un impetuoso caldo mi tranquillizzò lo stomaco, e sembrava che il vino potesse non tornare su. Mi allungai a prendere il coltello poggiato sulla pietra focolare e presi una delle rape da un cestino per pelarla, come avevo visto fare a Yzebel prima. Mi sorrise mentre tagliava le carote nella grande pentola. Lo stufato aveva un odore delizioso, ma non avevo alcuna intenzione di far arrabbiare una seconda volta lo stomaco.
“Non credo di aver mai incontrato qualcuno così silenzioso,” mi disse Yzebel. “Non hai niente da dire?”
Tagliai la rapa e la aggiunsi al contenuto della pentola, provando a pensare. Avevo ancora i pensieri tutti confusi e la testa mi faceva male più che mai. Yzebel probabilmente pensava che fossi una tonta oppure una sciocca.
Infine chiesi, “Cosa mangia un elefante?”
Le sopracciglia alzate di Yzebel erano l’unico segno del fatto che trovassebizzarra la domanda. “L’elefante?” ripeté. “Beh, mangia tutto quello che cresce. Se è abbastanza affamato, mangerà l’intera cima di un albero.” Prese un’altra carota. “Un grande elefante da guerra sarebbe capace di mangiare un intero caro di meloni oppure metà campo di grano duro. A volte anche un intero pagliaio.”
“Mangerebbe mai una bambina?”
Yzebel rise. “No, non mangia alcun tipo di carne, solo cose verdi e gialle che crescono dalla terra. Non mangerebbe mai un bambino. Bevi ancora un pochino di vino, ma non troppo in fretta.”
Feci come mi disse e presto la mia testa e il mio stomaco si sentirono meglio.
“Ora,” disse Yzebel, “prendi un po’ di contu luca ma questa volta mastica prima di inghiottire.”
Il cibo era ancora caldo e delizioso. Presi solo un piccolo boccone e rimisi giù la ciotola.
“Come ti chiami?”Mi chiese Yzebel mentre prendeva una grande cipolla gialla. Tagliò il fusto e mi guardò.
I miei ricordi si fermavano al punto in cui quegli uomini mi lanciavano nel fiume. Peròallo stesso modo in cui riuscivo a usare le parole per comunicare con Yzebel, conoscevo altre cose,come il vino: ne riconoscevo il sapore e sapevo come farlo.
Delle cose mi tornarono a mente, alcuni pezzettini alla volta. Sapevo che le ragazzine malaticce venivano abbandonate come la ceramica rotta e le ceneri del giorno prima, ma non mi ricordavo di aver mai avuto un nome.
Scossi la testa.
L’espressione di Yzebel si addolcì e abbassò lo sguardo. La cipolla che aveva tagliato era probabilmente più forte del solito. Guardò attorno al focolare come se cercasse qualcosa, e finì con il prendere un vecchio cucchiaio di legno. Esaminò una crepa nel manico per un po’ prima di parlare.
“Non hai un nome?”
Mi pulii la guancia con il dorso della mano. “No.”
“Beh,” rispose Yzebel, “troviamoti un nome allora. Penso sia un grande onore quando gli dei decidono che una ragazza dovrebbe scegliersi da sola il nome. Tu, no?”
Volevo esprimere il mio accordo e sapevo già che nome avrei voluto avere, ma frenai la lingua. Anche se non mi ricordavo di aver mai avuto un nome, ero a conoscenza del fatto che i bambini, e in particolare le ragazze, non dovrebbero parlare.
Come faccio a saperlo?
Ogni volta che cercavo di ricordare qualcosa la rimembranza mi sfuggiva come una colomba spaventata che sfrecciava dentro e fuori la nebbia.
Yzebel mi stava guardando, in attesa di una risposta, mantenendo la calma, come se capisse che avevo delle difficoltà con i miei stessi pensieri.
Non sapevo cosa dirle.
Forse dovrei raccontare a Yzebel del nome che vorrei avere.
Il mio stomaco stava meglio, ma la testa continuava a farmi male. Quando sbattevo le ciglia, puntini neri mi vorticavano davanti agli occhi: sparivano e apparivano accompagnati dal dolore. Scossi la testa nel tentativo di schiarirmi la vista.
“Ti va di sentire una storia mentre cucino?”Mi domandò.
“Sì.” Presi la mia ciotola di contu luca. “Per favore.”
“La storia parla della Dea Madre, Regina Elissa. Molte, molte estati fa, ancora prima della nascita del nonno di mio padre, la Regina Elissa, che i romani chiamano Dido, venne sulle sponde del Byrsa dalla sua antica terra dell’est. Chiese alle persone che abitavano qui un piccolo pezzo di terra dove potersi stabilire con i pochiche l’avevano seguita in mare. Il capo di quegli uomini furbi e disonesti le dissero,‘Potrai avere la quantità di terra che può essere circoscritta dalla pelle di un singolo bue, e il prezzo sarà un talento di argento.’”
“Talento?” Mi alzai per poggiare la ciotola vuota sul tavolo. “Cos’è un…?”
Tutto intorno a me sfocò e cominciò a girare. L’ultima cosa che vidi era Yzebel che voleva raggiungermi prima che cadessi.
* * * * *
Quando mi svegliai mi ritrovai distesa vicino al fuoco su delle pelli di animale, coperta con il mantello di Tendao. Il telone grigio sventolava a causa della brezza e una donna sedutami accanto mi stava guardando.
“Come ti senti?”Mi chiese la donna.
Mi misi a sedere lentamente, tentando di capire cosa fosse successo. Sentivo un ronzio nella testa, come uno sciame di api arrabbiate. Nel momento in cui mi diedi un’occhiata intorno, riuscii a schiarirmi i pensieri. Il tutto però mi pareva così strano: il fuoco scoppiettante, il pungente fumo che mi roteava intorno, e i tavoli che circondavano il fuoco della cucina come degli animali dalle gambe rigide che aspettavano di essere nutriti. La gialla luce del sole si intravedeva tra le cime degli alberi bagnava tutto di oro e ambra. Il viso della donna risplendeva nel bagliore del pomeriggio.
Mi ricordai che era Yzebel.
Tirai su il mantello per coprirmi le spalle, distesi le braccia e poi mi tocai la nuca. Il bernoccolo si era rimpicciolito e non faceva più così tanto male come prima.
“Bene,” risposi. “Sto bene.” Feci una pausa, provando a ricordare. “Mi stava raccontando una storia riguardo una regina e un bue, ma non mi ricordo la fine.”
“Ti ricordi la caduta?”
“No.”
“Hai dormito per tutto il giorno,” aggiunse Yzebel.
“Mi dispiace.”
“Non essere dispiaciuta, eri sfinita.”
“Potrebbe raccontarmi di nuovo la storia, per favore?”
“Lo farò.” Yzebel si alzò. “Ma prima, voglio che ti alzi così posso vedere se rischierai di inciampare e cadere nel fuoco come hai quasi fatto stamattina.”
Nel momento in cui mi alzai, Yzebel mi prese per spalle, guardandomi negli occhi.
“Stai per cadere?”
Scossi la testa, poi diedi un’occhiata alla ciotola vuota sul tavolo.
“Hai fame?”
“Sì.”
Yzebel riempì il piatto a metà con contu luca e me lo porse. Mi accomodai vicino al fuoco mentre la donna mescolava quello che stava cuocendo nella grande pentola e mi raccontò dall’inizio la storia della Regina Elissa.
Quando arrivò alla parte riguardo all’argento, domandai, “Talento? Cos’è un…?”
Yzebel mi guardò preoccupata, probabilmente pensando che sarei svenuta di nuovo, ma le sorrisi. Ricambiò il sorriso e continuò il racconto.
“Un talento è una grande tavoletta di argento.” Prese il coltello. “Due volte più lunga del mio coltello, e di peso pari a quello che un uomo riuscirebbe a portare in un giorno. Vale quanto sei, forse sette, elefanti da guerra.” Raccolse una carota e la tagliò. “La nostra Elissa era bellissima, aveva lunghi riccioli e un dolce sorriso, ma non era così stupida come appariva a quegli indigeni sempliciotti. Dopo un po’ accettò i loro termini. Poi, con l’aiuto delle sue domestiche, tagliò la pelle di un bue in numerose striscioline sottili e le sistemò formando un enorme arco che si estendeva dalla costa del mare, intorno alla collina e poi di nuovo verso la costa.
“‘Avrò questa terra, circoscritta dalla pelle di un solo bue,’ disse Elissa al capo di quella gente.
“Avendo capito di essere stati battuti in furbizia, i nativi, stringendo i denti, le diedero la terra augurandole buona fortuna nel costruirsi il suo piccolo villaggio. Andarono via con il talento di argento a rimuginare sulla loro perdita.
“Elissa aveva scelto una porzione della battigia che conteneva uno dei migliori porti naturali della costa sud del Mara Thalassa, chiamato anche Mare Internum dai romani. Ciò si rivelò un beneficio per la Regina Elissa e il suo villaggio che chiamò Città Nuova, la nostra Cartagine.”
Il ragazzo che mi aveva minacciato nella foresta con il suo bastone si avvicinò a Yzebel. Fui sorpresa nel vederlo e mi domandai perché fosse venuto al suo focolare.
Volle prendere un pezzo di carne dalla pentola, ma Yzebel gli afferrò la mano e la spinse via.
“Guarda come sono sporche le tue mani. Sai comportarti meglio.”
“Ho fame.”
“Puoi aspettare come il resto di noi. Hai portato la legna da fuoco a Bostar come ti avevo detto di fare?”
Annuì, ma i suoi occhi erano fissi su di me e sul mio piatto di contu luca. “Ha rubato il mantello di Tendao.”
“No, non l’ha fatto.”
Presi un grande pezzo di carne dal mio piatto e lo morsi. Osservai il ragazzo che appariva più grande di me, probabilmente di un anno. A differenza degli occhi marroni di Yzebel, i suoi erano di un banale grigio.
Qual è il colore dei miei occhi? Spero di averli marroni come i suoi.
“Allora perché lo indossa?” piagnucolò il ragazzo. Era scontroso con Yzebel e sogghignava come se lo disgustassi.
Yzebel sbatté il suo cucchiaio di legno contro il margine della pietra così forte, che pensai si sarebbe rotto. Lo guardò severamente finché egli non abbassò lo sguardo.
“Se non imparerai a frenare quella linguaccia, qualcuno ti taglierà quel velenoso pugnale dalla bocca. Mi hai capito?”
“Sì,” disse, guardandomi male.
Pensa sia per colpa mia che è stato rimproverato? Ha una bocca cattiva e si merita quello che ha ricevuto. Presi un’altra rapa dal cestino. Forse non avrà imparato nulla dalle parole di Yzebel, però io sì. E dal modo in cui lo tratta penso possa essere suo figlio, forse il fratello di Tendao. Peccato non sia per niente come il giovane uomo.
Volevo sentire di più riguardo la Regina Elissa e i suoi ondeggianti riccioli, il suo dolce sorriso e i suoi modi intelligenti, però non volevo che continuasse la storia in presenza del ragazzo. Volevo che la raccontasse solo a me, così che la possa conservare e tramandarla a un’altra ingenua ragazza ignorante delle belle cose.
Finii di pelare la rapa e dopo averla tagliata, guardai Yzebel e indicai il cestino. Mi annuì e io ne presi un’altra per continuare il lavoro.
Il ragazzo si lavò le mani, se le asciugò sulla tunica, e si sedette a terra. Prese una rapa e la pelò con un coltello che tirò fuori da una fodera alla sua cintura.
“Jabnet,” parlò Yzebel, “Sai dove si trova il sole?”
Quindi Jabnet è il suo nome. Uno stupido nome per uno stupido ragazzino. Il nome che mi sono scelta è molto meglio, e anche nobile, forse addirittura regale.
Jabnet guardò a ovest, dove il sole stava tramontando oltre le cime degli alberi dall’altro lato del campo. “Sì, Madre.”
Era alto quasi come sua madre. Se sorridesse occasionalmente potrebbe anche essere bello, peròla sua espressione inacidita rovinava completamente la sua intera immagine.
“Cos’è che devi fare ogni giorno quando il sole tramonta?”
“Pulire i tavoli.” Si ingobbì e si mise a fissare il pavimento. “E preparare le tazze, il vino e le torce.” Lasciò cadere nel cestino la rapa mezza pelata e si pulì il coltello con la manica.
“Devo ripeterti ogni giorno cosa fare a quest’ora?”
“No, Madre.”
Jabnet mi guardò male e rimise il coltello nella sua fodera. Quando fece per andare mi pestò di proposito il piede nudo con il suo sandalo. Il bordo della sua scarpa mi tagliò, ma mi rifiutai di dargli la soddisfazione di sentirmi piangere o lamentarmi con sua madre.
“Dopo l’arrivo dei soldati,” mi disse Yzebel, “ti prepareremo un posto dove dormire. Ti andrebbe di stare nella mia tenda stanotte?”
“Soldati?”
Non mi piacevano. Erano maleducati e brutti. Sapevo che avrebbero deriso me e il povero elefante Obolus. Potevo subire che tutti deridessero me, ma Obolus non poteva più difendersi. Lo stavano probabilmente facendo a pezzettini e stavano cucinando la sua carne sui loro fuochi, ridendo del suo rendersi sciocco. Mi sentivo triste per il povero animale e mi dispiaceva essere stata la causa della sua morte.
“Sì,” mi rispose Yzebel. “Alla sera, gli uomini vengono al campo per cercare… uhm… il piacere, poi alcuni cercano qualcosa da mangiare qui. Preparo sempre del cibo per loro, e se lo gradiscono, mi danno del rame o dei gingilli dalle loro conquiste sul campo di battaglia.”
“E se non gradiscono il suo cibo?”
“Beh, in tal caso lanciano cose e rompono le mie stoviglie.” Mi guardò e deve aver notato la mia espressione assorta. “Sto solo scherzando,” aggiunse. “Sanno di meglio che creare seccature alle Tavole di Yzebel.”
Non ero sicura di che cosa intendesse, ma sicuramente non volevo che si arrabbiasse mai più con me, come lo aveva fatto quando mi vide indossare per la prima volta il mantello di Tendao.
“Ora,” mi parlò, “mostrami tutte le tue dita.”
Misi giù la rapa e alzai le mani, estendendo le dita. Yzebel fece lo stesso, e poi abbassò le dita sulla sua mano destra lasciando alzato solo il pollice. La imitai. Ora avevo tutte le dita di una mano estese, più il pollice dell’altra.
“Questo è il numero di pagnotte di cui ho bisogno.” Mi spiegò.
“Sei.”
Alzò un sopracciglio. “Molto bene. Sono contenta tu sappia i numeri.” Mi indicò una grande brocca di terracotta vicino all’entrata della tenda. “Puoi portare quella caraffa di vino a Bostar e dirgli che è da parte della sua buona amica Yzebel in cambio delle sei pagnotte più fresche che ha?”
“Sì.” Ero ansiosa di aiutare in ogni modo possibile. “Dove trovo Bostar?”
“La tenda del fornaio è a due passi da qui.” Indicò a est. “In quella direzione. Sentirai l’odore del cibo quando ti ci avvicinerai.” Esitò prima di continuare. “Sii attenta con la caraffa. Non voglio che tu faccia cadere neanche una goccia. Quel vino è molto prezioso. Hai capito…?” Apparentemente si era dimenticata non avessi un nome.
“Obolus,” finii.
Yzebel spalancò gli occhi. Forse non capiva la parola. “Hai detto Obolus? È il grande elefante.”
“È il nome che voglio scegliermi.”
Jabnet risse da dietro di me, e realizzai che aveva sentito tutto.
“È in parte elefante,” disse. “Sapevo che c’era qualcosa che non andava in lei. Forse suo padre era un elefante e sua madre–”
Lo sguardo fulminante di Yzebel lo silenziò. Tornò a riempire le torce con olio d’oliva e coprirle di stoppini di cottone.
“Puoi sceglierti il nome che preferisci,” mi rispose. “Ma sei sicura che il nome dell’elefante sia quello giusto per te?”
“Sì.”
Presi la pesante caraffa e andai a cercare Bostar.
Capitolo Tre
La brocca di vino di Yzebel era chiusa per bene con un tappo di sughero messo bene ed era anche sigillata ermeticamente con un panno di cotone. Ho preso tra le braccia la pesante caraffa, tenendola da sotto con entrambe le mani.
Lungo il sentiero verso la tenta di Bostar, una varietà di attività catturò la mia attenzione: un fabbro stava trasformando la lunghezza di un metallo nero in una spada; un conciatore lavorava un disegno da battagli in un pettorale di pelle; e un vasaio si impegnava a trasformare un blocco di argilla in una grande anfora.
Una schiava, probabilmente della mia età oppure forse un po’ più piccola stava in piedi davanti a una tenda nera; usava un dispositivo rotante per creare dei filati di cotone. Su un lato del viso aveva il marchio del proprietario. Sorrise e disse qualcosa ma non capii le sue parole.
“Devo trovare Bostar, il panettiere, ma la prossima volta mi fermerò per parlare.”
Non diede alcun segno di avermi sentita. Aspettai, ma lei tornò al suo lavoro così io proseguii sulla via per trovare il fornaio.
Giunsi a una curva sul sentiero, un cammino andava giù da un lato mentre l’altro svoltava bruscamente nella direzione opposta. La tenda del panettiere era da qualche parte lungo il sentiero a sinistra, ma sull’altro, quello che conduceva tra gli alberi vidi la cosa più spettacolare della mia vita.
“Elefanti!”
Affascinata dalla vista e dal suono di così tanti elefanti, sistemai la caraffa tra le braccia e mi diressi verso di loro. Centinaia di elefanti, grandi e piccoli, fiancheggiavano entrambi i lati del sentiero tortuoso. La maggior parte di loro era grigia, ma alcuni erano più scuri, quasi neri. Alcuni avevano le orecchie piccoli, ma molti le avevano enormi, che agitavano avanti e indietro come se fossero dei ventagli. Gli elefanti più grandi erano legati a pali di metallo conficcati nella terra, mentre quelli più piccoli correvano liberi.
Alcuni animali mangiavano del fieno da dei mucchi lì vicino. Un ammaestratore spinse un melone nella bocca aperta del suo elefante. La bestia lo schiacciò muovendo la testa per catturarne anche il succo, poi inghiottì l’intera cosa, scorza, semi e tutto. Altri rompevano rami verdi e frondosi, più spessi del mio braccio, riducendoli, usando le loro proboscidi e zanne, alle dimensioni di un morso. Alcuni ragazzi correvano in giro con pelli di acqua fiumana, che versavano nelle fosse tra ogni coppia elefanti, facilmente raggiungibili affinché le bestie bevessero. Ridacchiai quando un elefante aspirò l’acqua nella sua proboscide e poi si fece una doccia per rinfrescarsi.
Odori forti e pungenti dalla grande congregazione di animali riempirono l’aria però non mi sembrava affatto sgradevole.
Gli elefanti erano belli, e le loro proboscidi erano sempre in movimento, mangiando, bevendo oppure afferrando oggetti vicini.
È così che Obolus mi ha tirato fuori dall–
Uno degli animali attirò la mia attenzione. Lungo la fila, a destra, c’era un elefante più alto degli altri. Mangiava da un piccolo pagliaio e occasionalmente anche un melone offertogli da un ammaestratore. Riconobbi qualcosa nel modo in cui si muoveva quando afferravaun carico di fieno e lo scuoteva prima di infilarselo in bocca. La forma della sua testa e delle sue orecchie mi sembravano familiari.
Che possa essere?
Affrettai il passo, e più mi avvicinavo all’animale, più me la sentivo che era Obolus. Però c’erano così tanti elefanti e Obolus non era forse morto, colpito da un ramo caduto da un vecchio albero vicino al fiume, sbattendo la testa contro un masso mentre crollava? Quelle zanne che si allungavano dalla sua bocca, erano molto lunghe e si incurvavano all’insù in modo grazioso, facendolo distinguere dagli altri.
È lui!
“Obolus!” Feci cadere la caraffa con il vino e corsi lungo il sentiero. “Obolus! Obolus!”
Gli ammaestratori, i ragazzi dell’acqua e gli aiutanti si fermarono per guardarmi. Il grande elefante girò di scatto la testa verso di me, rizzando le sue enormi orecchie. Il melone che aveva appena schiacciato gli cadde dalla bocca aperta. Uno degli ammaestratori venne avanti, allargando le braccia per fermarmi, ma chinai la testa e gli corsi intorno.
Quando gridai “Obolus!” un’altra volta, spalancò gli occhi e si sollevò sulle zampe posteriori, alzò la testa in aria e barrì attraverso la sua proboscide.
“Obolus, sei vivo.”
Cercò di allontanarsi da me, ma la sua zampa anteriore sinistra era legata a un palo di metallo conficcato a terra. Indietreggiò quanto la catena gli permetteva, scuotendo la testa e barrendo.
“Sono così felice di vederti.”
Calpestò la terra, emettendo un profondo barrito e spaventando gli altri elefanti, facendo sì che tutti tirassero le loro catene e urlassero. Gli ammaestratori urlarono correndo in giro, cercando di calmarli. Su e giù la fila il terrore si diffuse da un animale spaventato all’altro, e presto l’intero posto fu in subbuglio. I piccoli elefanti corsero in giro scatenati con le loro piccole proboscidi all’aria, strillando e scorrazzando come se Baal, il dio delle tempeste, li stesse rincorrendo.
Ero pietrificata. L’enorme bestia calpestava la terra e barriva, mandando ondate di paura attraverso di me, ma il suo comportamento sembrava un’artificiale mostra di forza. Quando tesi la mano facendo un passo in avanti, scosse la testa e cercò di indietreggiare. Il palo sembrò allentarsi quando l’elefante tirò la catena e parve quasi che potesse cedere, ma poi l’animale si tranquillizzò e tese la sua proboscide verso di me. Lo sentii prendere fiato, pensando che forse cercava di sentire il mio odore, cercando di capire.
Sapendo che le sue enormi zampe potevano calpestarmi come un topo sotto un albero che cadeva o che poteva mettermi KO con la sua proboscide, presi un respiro profondo, andai da lui e gli carezzai la zampa.
“Pensavo fossi morto e non ti ho mai ringraziato per avermi tirato fuori dal fiume. Mi hai salvato la vita.”
“Allontanati dal mio elefante!”Gridò qualcuno.
Ignorai l’uomo e guardai in uno dei grandi occhi marroni di Obolus. Era così alto che due uomini stando uno sopra l’altro non riuscirebbero comunque a raggiungergli la cima della testa. Continuava a emettere suoni minacciosi, ma si tranquillizzarono mentre abbassava la testa per guardarmi. Se lo avesse voluto, avrebbe potuto semplicemente alzare la zampa e calciarmi dall’altro lato del sentiero, però non lo fece. Però, con la zampa incatenata, continuava a colpire la terra e lottare contro la catena di metallo.
Ruvide mani mi afferrarono per le spalle, spingendomi via.
“Lasciami stare!”Urlai.
“Stai terrorizzando tutti gli animali,” mi ringhiò l’uomo. “Un’inutile ragazzina non ha motivo per correre qua in giro, spaventandoli. Guarda cosa hai fatto. Tutto il posto è in tumulto.”
Mentre mi trascinava indietro, scalciai e mi divincolai. “Lasciami stare!”Gridai.
“Ti spezzerò quel magrolino collo se non la smetti di gridare.”
Mi afferrò con entrambe le mani, stringendo la presa attorno il mio collo, strozzandomi. Gli graffiai i polsi, cercando di liberarmi dalle sue mani, ma era troppo forte. Il mio cuore batteva all’impazzata e il petto si sollevò mentre faticavo a respirare.
L’uomo mi fece girare, facendomi dare le spalle a Obolus. “Perché una bambina ignorante dovrebbe venir qui, urlando e…”
Le sue parole vennero interrotte e le sue dita si allentarono la presa alla mia gola. La proboscide di Obolus si avvolse intorno alla vita dell’uomo, sollevandolo da terra.
“No, Obolus!” Gracchiai. “Mettilo giù.” Mi massaggiai la gola e sentii le impronte delle mani dell’uomo dove mi aveva stretto il collo.
Obolus tenne l’uomo che urlava a testa in giù, in alto nell’aria. La tunica dell’uomo gli cadde sulla testa e un bastone cadde dalla cintura mentre scalciava e cercava di afferrare la proboscide dell’elefante.
Diedi un’occhiata al bastone. Era lungo quanto il mio avambraccio, rifinito in oro e inciso in modo intricato con viti e foglie. L’oro a un’estremità era modellato in un piccolo uncino smussato mentre l’estremità opposta era piatta. Sembrava una specie di bastone. Notai che alcuni degli altri uomini avevano bastoncini simili, ma i loro erano rifiniti in argento o rame anziché in oro.
Numerosi uomini accorsero con i loro uncini a manico lungo, ma invece di costringere Obolus a lasciar andare l’uomo, iniziarono a ridere. Ciò lo fece infuriare ancora di più.
“Colpitelo.”Gridò. “Uccidetelo! Fatemi scendere da qui.”
Gli uomini risero e indicarono l’uomo penzolante. Perfino i ragazzi dell’acqua erano venuti a vedere il divertimento.
“Obolus!”Urlai e schiaffeggiai la sua gamba. “Per favore, non fargli del male.”
L’elefante inclinò la testa per guardarmi. Mi alzai in sulle punte e gli diedi una pacca sulla parte inferiore dell’orecchio. Sbatté le palpebre, guardò l’uomo per un momento, poi di nuovo me.
Sapevo che ci sarebbe voluta solo una leggera pressione dell’enorme proboscide di Obolus per spremere la vita dall’uomo.
“Mettilo giù.” La mia voce si incrinò, non suonava affatto forte.
Obolus abbassò l’uomo a terra, rilasciando la presa. Il tipo cadde sulla terra, atterrando con forza su un fianco, poi ricadendo sulla schiena. Due lavoratori si inginocchiarono, cercando di aiutarlo.
“Così va meglio,”dissi a Obolus e presi la fine della sua proboscide tra le mani, poi lo guardai.“Grazie per avermi salvato di nuovo la vita, ma quest’uomo era solo arrabbiato perché ho disturbato te e tutti gli altri elefanti.”
L’uomo a terra respirava affannosamente mentre il tumulto lungo il sentiero si calmava. I cuccioli di elefante smisero di correre e abbassarono le proboscidi per guardare me e Obolus, che portò l’estremitàdella proboscidealla mia guancia e mi annusò il viso e i capelli.
“Ora,” dissi, “ti darò un melone da mangiare, e prometto di non correre e urlare di nuovo se non impazzirai per ogni piccola cosa.”
Raccolsi un grosso melone giallo accanto al pagliaio e glielo porsi. Arrotolò la proboscide e aprì la bocca. Lospinsi dentro e risi quando lo schiacciò. Abbassò la testa per me e io gli diedi una pacca sulla faccia.
“Bravo ragazzo.”
“La ucciderò.”
Quando sentii la voce roca alle mie spalle, mi voltai e indietreggiai contro la gamba di Obolus.
L’uomo si rimise in piedi.
“No,” disse un altro uomo che trattenne il primo uomo con una mano sul braccio. “Hai visto come lo ha calmato?”; Era un grande uomo, dalle spalle larghe e muscoloso, ma i suoi occhi erano profondi e pensierosi. Mi guardò con un’espressione gentile. “Sei quella che Obolus ha tirato fuori dal fiume, non è vero?”
Annuii.
“Come immaginavo.” Prese l’altro uomo per il braccio. “Ukaron, sai che questi poveri animali reagiscono a cose che non possiamo sapere. Hai visto come obbediva ai suoi ordini come se si fossero allenati insieme per tutta la vita. L’ho visto solo una volta, quando hanno portato quel ragazzo dalle Indie, quello abbattuto da un giavellotto romano a Messina. Come si chiamava?
“Ponichard.” Ukaron si rispolverò. “E allora?”
Fissavo Ukaron. La pelle del suo viso era troppo tesa, le labbra tirate in un ghigno costante, e gli zigomi e il mento quasi spuntavano attraverso la superficie. Aveva gli occhi socchiusi e bagnati come un uomo malato, ma forse era perché Obolus lo aveva quasi ucciso.
“Era lo stesso, Ukaron,” disse l’altro uomo. “Quel ragazzo, Ponichard, quando incontrò per la prima volta l’elefante Xetos. Ricordi che canaglia che poteva essere quell’animale. Tuttavia, dal primo momento in cui Ponichardlo toccò, Xetos era al comando del ragazzo, al punto che abbiamo dovuto sopprimere la bestia quando il ragazzo è morto in battaglia. E ora Obolus ha stretto un forte legame con questa bambina, e lei con lui. Non oso tentare di spiegare quale scopo gli dei abbiano per tali cose, proprio come non metto in dubbio la loro infinita saggezza. Ti suggerisco di non manomettere questa relazione tra la bestia e la bambina.”
“Ti sbagli, Kandaulo.” Ukaron mi tenne d’occhio mentre parlava con l’uomo. “È una bambina demoniaca. Ha tentato di far scappare questi animali per distruggere il campo. Se sono coinvolti alcuni dei, sono gli dei degli inferi.” Si asciugò un avambraccio peloso passandoselo sulla bocca, prese il bastone da un uomo accanto a lui e andò via.
“Va’ ora, ragazzina,” disse Kandaulo. “E la prossima volta che ti avventuri lungo Via degli Elefanti, ti suggerisco di farlo silenziosamente.”
“Sì, Kandaulo. Lo farò.” Accarezzai l’stremità della proboscide che si posò sulla mia spalla. La pelle grigia dell’elefante appariva ruvida e vecchia con tutte le rughe, ma al tatto era morbida e gentile. “Addio, amico mio. Dormi bene stanotte.”
Obolus si allungò in cerca di altro fieno e io ne presi una manciata per lui, ma poi mi ricordai.
“Oh, no,” sussurrai, “la brocca da vino di Yzebel!”
Lasciai cadere il fieno e corsi di nuovo sullaVia degli Elefanti.
Capitolo Quattro
Tutto quello che trovai fu una grande macchia fangosa di vino sul sentiero. Mi inginocchiai e spinsi le dita nel fango viola e marrone, non volendo credere a ciò che i miei occhi vedevano. Però era tutto vero: il prezioso vino passito di Yzebel non c’era più. Avevo fallito.
Si era affidata a me per portare il vino dal fornaio in cambio di pane, ma non ci sono riuscita neanche per metà. La vista di Obolus vivo aveva completamente confuso il mio senso di responsabilità e i miei sentimenti avevano messo in ombra il mio desiderio di fare qualcosa di buono per Yzebel. A peggiorare ancora le cose, la brocca era svanita. Qualcuno l’aveva presa, lasciando solo un’impronta di sandalo nel fango. Come potrei mai rimediare a tutto ciò?
Mi si strinse il cuore e iniziai a piangere. Yzebel non si sarebbe mai più fidata di me.
“Hai perso qualcosa?”Una voce familiare provenne da dietro di me.
Alzai lo sguardo e incontrai i morbidi occhi castani del giovane uomo del fiume. Quello di cui avevo indossato il mantello – Tendao.
“Il vino di Yzebel.” Mi asciugai le dita fangose sulla guancia. “È sparito.”
Tese la mano per aiutarmi, apparentemente non curandosi del fango. “Avresti dovuto portare il vino a Bostar in cambio delle pane?”
Annuii.
“Sai perché Yzebel voleva il pane?”
Risalimmolungo la Via degli Elefanti verso il bivio del sentiero.
“Per i soldati per quando verranno ai suoi tavoli stasera.”
“Sì, le piace avere del pane per loro all’ora di cena.”
“L’ho delusa, Tendao. E ora devo andare a dirle che cosa terribile che ho combinato.”
“Sì, glielo devi dire,”mi rispose. “Ma prima di farlo, fermiamoci davanti alla tenda di Lotaz.”
Non avevo sentito parlare di questaLotaz, ma non avevo alcuna fretta di tornare da Yzebel a mani vuote e ammettere di aver fallito.
Cercai di sfuggire all’immagine del volto severo di Yzebel pensando ad altre cose. La terra della Via degli Elefanti era morbida e calda sotto i miei piedi nudi. Pensai alle centinaia di elefanti euomini che l’avevano calpestata per molte stagioni, trasformando la terra in una polvere fine. Querce e pini fiancheggiavano il sentiero, fornendo ombra agli animali. Le lunghe ombre ora coprivano gran parte dell’ampio sentiero.
In cima alla collina, andammo a destra, come avrei dovuto fare prima. Dopo un po’ci imbattemmo in una tenda fatta di un materiale fino e sottile. I colori rosso, giallo e blu del tessuto a strisce brillavano nel crepuscolo. Le ombre tremolavano da una lampada che bruciava dentro. Davanti a essa c’era un tendalino frangiato, sostenuto da due lance di metallo conficcate nella terra. Un uomo di colore sedeva a gambe incrociate sotto la tenda.
“Va’da quello schiavo.”
Tendao mi fermò a una certa distanza, poi mi istruì riguardo cosa avrei dovuto dire all’uomo. Gli ripeteitutto, assicurandomi di aver capito.
“Ma sembra così cattivo, Tendao. Verrai con me?”
“No. Devi farlo da sola.”
Lo schiavo mi osservò intensamente mentre mi arrancavo verso di lui, i miei piedi che si trascinavano nella terra, riluttanti nel portarmi dove non volevo andare.
A dieci passi di distanza, mi fermai e dissi, “Lotaz.”
Non rispose,stette a fissarmi finché non abbassai gli occhi a terra. Alla fine parlò.
“Questa è la tenda di Lotaz. Perché sei qui?”
“Sono venuta per conto di Tendao.”
Lo schiavo balzò in piedi e si affrettò a entrare. Un momento dopo, ne uscì una donna magra. Era illuminata da entrambi i lati da una coppia di lampade a olio che pendevano dai supporti a lancia. Lotaz era bellissima con un abito di seta blu chiaro e un paio di pantofole abbinate. Un’ampia cintura scarlatta di corde intrecciate le stringeva la vita magra e una raffinata catena d’oro reggeva il fodero di un pugnale ingioiellato. La piccola arma le oscillava sulle cosce ad ogni suo passo. Le sue labbra erano dipinte di rosso e le sue guance eranodel colore dei boccioli di rosa, creando così un morbido contrasto con la sua carnagione cremosa. Una collana di argento eoro le adornava il collo.
Lo schiavo uscì per mettersi dietro di lei, con le braccia incrociate sul petto nudo. Incombeva come un’enorme ombra scura, in netto contrasto con la pelle bianca della donna.
“Che cosa sai di Tendao?”Mi domandò.
“Devo solo riferirle che farà come ha richiesto.”
Guardò oltre le mie spalle, scrutando il sentiero scuro in entrambe le direzioni. Guardai anche io, ma Tendao non era in vista.
“Perché ha mandato te?”
Scossi la testa, non sapendo come rispondere.
“Quando verrà esaudita la richiesta?” La voce di Lotazaveva un tono acuto ed esigente.
“Domani, prima del tramonto,” risposi ripetendo le parole che Tendao mi aveva detto di dire.
Sembrava riluttante a trattare con me riguardo questa transazione. Non capivo neanche perché fossi venutada Lotaz per conto di Tendao.
Dopo un momento, disse: “Molto bene. Aspettami qui.”
Lotaz entrò e tornò dopo un momento. In una mano, portava una brocca di vino quasi identica a quella che avevo perso. L’altra mano era invece chiusa, le dita serrate. Molti braccialetti decorati le tintinnarono lungo il polso quando fece per consegnarmi la brocca di vino. Poi si interruppe.
“Perché vieni da me così sporca?”
Guardai le mie mani tese; erano sporche di fango secco. Quando provai a pulirle, lo schiavo scomparve dietro la tenda per tornare poi con una bacinella d’argilla con dell’acqua, che mise ai miei piedi. Mi inginocchiai per lavarmi, la faccia che mi bruciava per l’umiliazione. Mi lavai rapidamente, mi alzai e mi asciugai le mani sul mantello.
Lo schiavo mi sorrise brevemente e mi fece l’occhiolino quando si mise tra me e la donna. Prese la bacinella e tornò al suo posto. Non sapevo se si sentisse dispiaciuto per me o se stesse solo cercando di essere amichevole con un’altra schiava. Lotaz certamente mi ha fatto sentire come una schiava.
Mi porse la brocca e io la presi tra le mie braccia: questa non l’avrei fatta cadere.
“Questo vino è il pagamento per il lavoro che Tendao farà per me,”disseLotaz. “Non lo pagherò più di così.”
Allungò l’altra mano e lentamente aprì le dita. Due grandi perle perfettamente abbinatee molto belle, riposavano nel palmo della donna. Tutto quello che potevo fare era fissare il lucente splendore delle gemme preziose che brillavano nella luce gialla delle lampade.
“Prendile,” ordinò Lotaz. “E assicurati che le perle vadano immediatamente da Tendao. Saranno usate per fare il lavoro. Mi hai capito?”
Annuii, spostando il vino per liberare la mano destra in modo da poter prendere le perle a Lotaz. Rimasi ferma, fissando la donna, non sapendo cosa fare.
“Vai!” mi disse con un cenno della mano, spingendomi via come se fossi un fastidioso moscerino.
Mi affrettai lungo il sentiero oscuro nella direzione in cui Tendao mi aveva detto di andare. Poco prima di arrivare all’angolo, guardai indietro per vedere Lotaz e lo schiavo che mi osservavano. Provai un grande sollievo quando passai dietro lo steccato dove Tendao mi aspettava.
“Vedo che hai li vino passito.”
“Sì.”
Tesi l’altra mano con le due perle. Le prese e io misi entrambe le mani sotto la caraffa. Ispezionò le perle, poi le lasciò cadere in una borsa di cuoio legata alla cintura.
“Ora,” disse, stringendo i cordoncini, “andiamo a cercare il panettiere Bostar e barattiamo quel vino con del pane.”
Fu una tale sorpresa. Il vino era un pagamento per Tendao in cambio di un servizio che doveva eseguire per Lotaz, ma sembrava disposto a lasciarmelo usare al posto della brocca che avevo perso. Perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere? E che servizio doveva svolgere per Lotaz? Decisi di chiedergli delle spiegazioni, ma parlò prima che avessi la possibilità di trasformare i miei pensieri in una vera domanda.
“Il tuo modo ardente mi ricorda qualcuno.”
“Chi?”
“Hai mai sentito parlare di Liada, lo spirito della roccia di Byrsa?”
“No, conosco solo la principessa Elissa,” risposi.
“Bene, questa storia ha molto a che fare anche con la principessa Elissa. Moloch, il dio dell’oltretomba, ha sepolto Liada nella roccia di Byrsa,” mi cominciò a raccontare
“Perché?”
“Quella era la sua punizione per aver fatto amicizia con un piccolo vitello che i sacerdoti avevano scelto per il sacrificio a Moloch.”
“Oh, no. Perché dovrebbero sacrificare un piccolo vitello?”
“Una vita giovane è più preziosa di una vecchia. L’idea non piaceva nemmeno alla schiava Liada. Durante l’ora più buia della notte, prima del giorno della cerimonia, si intrufolò nel recinto dove c’era il vitello, rimosse le catene e condusse la piccola creatura, insieme a sua madre, molto lontano per liberarle.
“Quando Moloch venne a sapere di questo atto insidioso, ordinò ai sacerdoti di incatenare la ragazza allo scoglio di Byrsa, lì intrappolò il suo spirito nella pietra e la seppellì. Poi fece sacrificare ai sacerdoti il corpo senza spirito di Liada, insieme ad altri nove bambini, sul suo altare. Questa brutale offerta fu il suo avvertimento per chiunque volesse intromettersi negli affari dei suoi sacerdoti.
“Quando la nostra Elissa venne a sapere della terribile disavventura di Liada, andò alla roccia di Byrsa e sentì lo spirito della roccia gridare in cerca d’aiuto. Mentre ascoltava la storia dell’eterna punizione di Liada, la principessa Elissa mise le mani sulla roccia. Quindi, usando nient’altro che una preghiera per la dea madre Tanit e il potere della sua forte volontà, divise la pietra in due, liberando lo spirito di Liada.”
Tendao rimase in silenzio per un po’e pensai che avesse perso il filo della storia.
“Che cosa è successo allora allo spirito della ragazza,”domandai, “dopo che la principessa Elissa l’ha liberata?”
Tendao mi guardò, poi riportò lo sguardo sul buio sentiero davanti a sé. “Per tutto questo tempo dalla liberazione di Liada, il suo spirito ha vagato per tutto il mondo, alla ricerca di una bambina che la accogliesse.”
Alzai lo sguardo su Tendao, pensando che avesse inventato questa storia solo per farmi stare meglio.
Mi sorrise. “È una delle tante leggende sulla nostra principessa Elissa e sono certo che sia vera.”
“Ma come farà Liada a trovare qualcuno che la accolga?”
“Sta aspettando una ragazza che faccia amicizia con una povera bestia, schiavizzata come lo era lei stessa.”
Mentre camminavo, osservando il suolo e pensando al fatto che Liada fosse una schiava, mi resi conto vagamente che Tendao rimase indietro.
“Intendi dire come Obolus?”Chiesi.
“Che cosa dici, bambina?”Sentii una voce rimbombante provenire dal sentiero davanti a me.
Alzai lo sguardo per ritrovarmi a camminare verso un uomo molto grande. Indossava un lungo grembiule e il suo viso sorridente era sporco di farina di grano. Dall’aspetto dell’uomo e dal meraviglioso profumo di pane fresco, dedussi che doveva essere il fornaio. Tre lampade a olio appese sopra i suoi tavoli da lavoro distorcevano l’oscurità della serata.
Il mio viaggio verso la tenda di Bostar era durato molto piùdel volo di una freccia, ma alla fine, grazie a Tendao, ero arrivata con una brocca di vino da barattare per il pane di Yzebel.
“Veniamo dalla tua buona amica Yzebel,” dissi. “Vuole che scambiamo questa brocca di vino passitocon sei delle tue pagnotte più fresche.”
“Noi?”Chiese Bostar e si mise i pugni sui fianchi, sforzandosi di far assumere un’espressione severa alla sua faccia allegra. “Ti porti una rana tra le pieghe del mantello oppure ci sono degli aiutanti invisibili che si trascinano alle tua calcagna?”
Guardai dietro e scoprii che Tendao era scivolato via di nuovo.
“Mi ha appena detto–” Cominciai ma mi fermai.
Mi resi conto che il mio amico Tendao doveva essere un uomo molto timido che aveva grandi difficoltà a gestire le persone. Per qualche ragione, questo mi rese felice, perché sembrava che volesse che io parlassi per lui quando non poteva farlo da solo.
Guardai il fornaio e vidi che non riusciva mantenere la sua espressione seria a lungo. La sua pelle aveva il colore della sabbia sott’acqua e i suoi occhi scuri brillavano di una buona natura repressa. Già mi piaceva.
“Come fai a esserne a conoscenza del mio amico ranocchio che viaggia con me ed è così timido che sbircia solo con un occhio per vedere cosa sto facendo?”
L’uomo scoppiò a ridere e mi diede una pacca sulla spalla così forte che quasi feci cadere la mia preziosa brocca.
“Se non me lo togli,” dissi, tendendogli il vino,“morirò sicuramente nel tentativo di proteggerlo.”
Bostar ridacchiò e prese la brocca. “Vedo che stai imparando fin dalla tenera età la profonda responsabilità di prendersi cura degli oggetti di valore di un’altra persona.”
“Oh, sì. Sto imparando.”
Bostar portò il vino nella sua tenda. Quando tornò, nelle sue braccia teneva delle pagnotte rotonde e piatte.
“Queste sono le ultime di oggi. Ho finito di cuocerle appena prima del tramonto e le ho tenute, sapendo che la tua Yzebel avrebbe avuto bisogno di loro stasera per i suoi tavoli.” Mise i grandi pani su un panno ruvido steso sul suo banco da lavoro. “Ci sono sei pagnotte qui, più unaextra.” Raccolse gli angoli del panno e li legò in cima. “Puoi dirle che quella in più è tua per avermi fatto fare una bella risata alla fine di una lunga giornata. E assicurati di restituirmi il panno domani.”
“Grazie, Bostar.”Presi il fagotto pesante per appoggiarlo sulla mia spalla. “Vorresti che ti portassi un ranocchio dal fiume quando torno domani? Puoi portarlo nel tuo grembiule e non sentirti mai solo.”
Dopo un momento, il grande uomo sorrise, mostrando i denti bianchi e uniformi sotto i baffi ben rifiniti. “No, bambina mia. Sono grato agli dei che hai sostituito quel Jabnet dalla faccia acida. Se tu e Ranocchioveniste nella mia tenda ogni giorno, non mi dispiacerà mai più sopportare gli altri sciocchi.”
Sarebbe stato così facile rimanere un po’ a parlare con il fornaio:trovavo conforto nella sua presenza.
“Così va meglio,” disse Bostar. “Sapevo che eri capace di sorridere.”
Sì, mi sentivo molto meglio, ma dovevo ancora affrontare Yzebel e spiegarle cosa era successo alla prima brocca di vino.
“Devo andare a dire qualcosa a Yzebel. Arrivederci, Bostar.”
Lo sentii dire buonanotte da dietro di me mentre mi affrettavo con il fagotto con il pane.
Capitolo Cinque
Sulla viadi ritorno ai tavoli di Yzebel, cercai Tendao ma non lo vidi da nessuna parte lungo i sentieri.
Passai vicino alla tenda di Lotaz. Era illuminata all’interno e riuscii a vedere la sua sagoma svolazzare con la fiamma della sua lampada, un’ombra sfocata contro il tessuto. C’era qualcuno con lei. L’ombra scura di un uomo alto, rigido nella postura, le stava molto vicino. Anche la sua ombra svolazzava avanti e indietro, come se fosse incerto se avvicinarsi o allontanarsi da lei. Indossava uno strano cappello, alto davanti e basso dietro.
Camminai lungo il lato opposto del sentiero, stando lontana dalla tenda. Potevo sentire gli occhi dello schiavo di Lotaz su di me. Deve essersi nascosto da qualche parte nell’oscurità fuori dalla tenda, a guardare.
Al bivio, mi fermai a guardare Via degli Elefanti. Una leggera brezza raccolse le foglie cadute e le disperse lungo il sentiero. Sentii solo un ronzio silenzioso provenire da alcuni animali, un netto contrasto rispetto a prima, quando avevo mandato in subbuglio l’intera mandria. Alcune lampade appese oscillarono sui rami degli alberi e alcuni animali stavano sgranocchiandoil fieno rimasto, ma la maggior parte di loro si era sistemata per dormireoppure sonnecchiava in piedi. Un unico ragazzo dell’acquasi stava ancora dando da fare.
Mentre lasciavo Via degli Elefanti mi chiesi come dormisse Obolus. Si inginocchiava, appoggiando il suo grande peso sulle ginocchia oppure si girava su un fianco? Sicuramente, le sue costole si sarebbero spezzate sotto il suo grande peso. Forse dormiva in piedi, ma cosìrischiavadi cadere durante la notte. Decisi di andarci una notte, a vedere come si riposava.
Presto arrivai nel posto in cui la schiava aveva lavorato prima,girando il filato, ma non la vidi. La tenda era buia all’interno.
Il rumore dei tavoli di Yzebel mi arrivò ancora prima che io girassi su per l’ultima curva del sentiero. Immaginavo che dovessero essere i soldati a scherzare e ridere mentre consumavano la cena. Rabbrividii al pensiero di loro che mi prendevano di nuovo in giro. Ma ancora di più, temevo lo sguardo sul viso di Yzebel quando le avrei confessato del mio incidente con il vino.
Uno dei soldati annunciò il mio arrivo prima che potessi parlare con Yzebel. Voltò la sua faccia pelosa verso di me quando superai il primo tavolo.
“Dammi un po’di quel pane, ragazza!”Gridò. “Come pensi che possa mangiare questo stufato senza pane?”
Yzebel si voltò al suono della voce del soldato e quasi fece cadere una scodella calda dicontu luca nel grembo di un uomo. La sua espressione fu un misto di sorpresa e irritazione mentre mi fissava, ma presto mutò in sollievo. Poi guardò verso suo figlio Jabnet come a dirgli‘Te l’avevo detto’. Era al primo tavolo, a versare del vino nella tazza di un soldato.
Vidi Jabnet fissarmi, con gli occhi spalancati e la bocca aperta.
“Maledetto, ragazzo!”Urlò l’uomo della ciotola quando il vino viola straboccò sul bordo e gli corse lungo il braccio. “Allontanati prima che ti colpisca.”
Appoggiai il mio fagotto sul bordo di un tavolo e cominciai a sciogliere il nodo. Uno degli uomini afferrò una pagnotta dall’interno della stoffa prima che potessi aprirla. Ne strappò un pezzo e la passò a un altro uomo. Anche il soldato seduto di fronte a lui prese una pagnotta e la lanciò al tavolo successivo. Ne prese un’altra e lalanciò nelle mani in attesa di un uomo al quarto tavolo.
Presto rimase solo una pagnotta. L’uomo si allungò a prenderla, ma io la afferrai prima. Quella mi apparteneva e non avevo alcuna intenzione di rinunciarvi senza combattere. L’uomo mi lanciò un’occhiataccia e pensai che mi avrebbecolpita, ma uno dei suoi compagni gli lanciò un pezzo di pane. Rimbalzò sul suo naso e cadde nella sua ciotola. Afferrò il pane, mi fece un sorriso facendomi vedere gli spazzi tra i suoi denti e tornò a mangiare il suo stufato.
Lungo i tavoli, i soldati deglutirono rumorosamente il succo dello spezzatino e divorarono tutto come un branco di animali selvatici.
Mi affrettai verso il fuoco e posai il mio fagotto accanto al focolare.
“Ecco,” disse Yzebel, spingendomi tra le mani una pesante recipiente di legno. “Riempi qualsiasi ciotola vuota con questocontu luca a meno che non ti dicano diversamente. Poi fai lo stesso con lo stufato dalla pentola sul fuoco.”
“Sì, lo farò.”
Il delizioso aroma del cibo mi ricordò che avevo fame, ma avrei aspettato che i soldati fossero nutriti. Quando cominciaicon il primo tavolo, riempiendo ogni ciotola che mi veniva porta, Yzebel prese Jabnet per un braccio, tirandolo da parte. Gli disse alcune parole forti e gli scosse un dito in faccia, ma non riuscii a sentire quello che diceva.
Al terzo tavolo, un uomo aveva un lato intero persé stesso. Di fronte a luierano seduti cinque uomini chestavano divorando il loro cibo, a volte prendendo dei bocconi anche dalla ciotola del loro vicino. L’uomo solo sedeva in silenzio, i suoi occhi seguivano ogni movimento intorno a lui. Mi piacquero i suoi lineamenti; occhi distanti, linea della mascella forte, mento squadrato, i capelli lunghi folti e scuri. La maggior parte degli altri soldati era più vecchia di lui. Tuttavia, pensai che si comportasse in modo più maturo di tutti loro.
Tenni il cucchiaio di legno sopra la sua ciotola vuota per riempirlo con il grano duro e il montone fumanti, ma allontanò la mia mano.
“No,”mi disse. “Vorrei un’altra mezza ciotola del tuo vino.” Tese la sua tazza vuota e mi guardò per la prima volta. “Per favore,”aggiunse.
Non sapevo se fosse la sua gentilezza, il suo aspetto curato e pulito, o i suoi occhi. Avevano un’espressione che potrei descrivere solo come una forza calma, ma il mio giovane cuore eseguì un nuovo trucchetto nel mio petto. Il suo profumo mi fece venire in mente l’odore di pelle nuova e dello sforzo intenso. Su un uomo inferiore, sarebbe stato spiacevole.
Sbattei le palpebre quando un pugno peloso batté su un tavolo vicino, dove un nuovo sgradito arrivato urlava per il cibo.
Bastò uno sguardo dall’uomo accanto a me per zittire l’altro. A eccezione di Tendao e Bostar, tutti gli uomini del campo mi sembravano brutti, chiassosi e odiosi. Quest’uomo non era nessuna di quelle cose. Era giovane; la barba gli era appena comparsa. I suoi occhi erano di un marrone intenso, e il suo comportamento era forte, ma non prepotente. La sua pelle era più scura della mia di alcune tonalità. Il colore mi ricordava la piuma dell’ala di un falco.
“Sì,” dissi infine e posai la mia scodella sul tavolo. Gli presi la ciotola dalla mano. “Le porterò il vino.”
Mi affrettai a dove Jabnet versava il vino all’ultimo tavolo. Dopo avergli preso la brocca da vino, riempii a metà la tazza dell’uomo, quindi rimisi la brocca nelle mani di Jabnet.
Di nuovo al tavolo dell’uomo, misi la ciotola davanti a lui. “Vuole dell’altro stufato? Ne abbiamo ancora un po’ sul fuoco.”
Scosse leggermente la testa e prese la tazza, congedandomi con un movimento casuale della mano. Tutto ciò accadde in modo così fluido, che se avesse parlato, avrebbe potuto dire: “No, grazie. Puoi andare ora e occuparti dei tuoi doveri.”
Continuai il mio lavoro, prendendo la ciotola di contu luca per servire gli altri uomini. Alla fine del quarto tavolo, la mia scodella era vuota. Andai al focolare e cominciai a riempirla dalla pentola. Yzebel rimase accanto al fuoco, versando quello che era rimasto dello stufato.
“Chi è quell’uomo?”Chiesi, sussurrando a Yzebel.
“Quale?”Anche Yzebel mi sussurrò.
“Quello.”Indicai con la testa dietro ma non ho guardai dalla sua parte. “Seduto da solo.”
Yzebel diede una rapida occhiata alle mie spalle. “Quello è Annibale. Figlio del generale Amilcare.”
Mi ricordai che il nome di Annibale era stato citato da Tendao al fiume.
Yzebel si protese verso di me, continuando a sussurrare: “Spero che questi uomini riempiano presto le loro pance. Questo è l’ultimo che rimanedello stufato.”
“E anche delcontu luca.” Raccolsi il grano duro e la carne rimanenti con il cucchiaio di legno.
Yzebel mi fece l’occhiolino. “Beh, vediamo che cosa succede.”Allungalo, dandone a ogni uomo solo un po’.”
“Abbiamo ancora una pagnotta.” Annuii verso il mio fagotto a terra vicino al fuoco. “Se si arrabbiano con noi, possiamo buttarla fuori sul sentiero, e correranno tutti per farla a pezzi come un’orda di sciacalli.”
La faccia di Yzebel si illuminò e pensai che avrebbe riso, ma non lo fece.
“Vieni, ora,” disse Yzebel con un sorriso,“torniamo al lavoro.”
* * * * *
Un po’ dopo mezzanotte, anche l’ultimo dei soldati se ne andò. Avevano leccato pulita ogni ciotola.
Mi aveva fatto piacere vederli andare via.
Jabnet iniziò a pulire uno dei tavoli, ma Yzebel lo fermò, dicendo che avrebbe potuto lasciarlicosì fino al mattino. Tutti e tre abbiamo raccolto tutto il rame e i ciondoli che gli uomini avevano lasciato sui tavoli e li abbiamo messi insieme alla fine del primo tavolo. Jabnet e io ci sedemmo di fronte a Yzebel e la osservammo sistemare gli oggetti.
“Argento.”Tenne una grande moneta lucente alla luce della lampada.
“Penso che l’abbia lasciata Annibale,” dissi.
“Davvero?” Yzebel la girò per guardare dall’altra parte. “È romana.”
“Romana?”
Mi consegnò la moneta. “Sono le persone oltre il mare. Quelli che hanno sconfitto il generale Amilcare nell’ultima guerra.”
“Sembra davvero vecchia. È un cavallo con le ali?
“Sì,”rispose Yzebel. “I romani lo chiamano Pegaso. Pazzi a pensare che i cavalli possano volare.”
Sul retro della moneta c’era il contorno del volto di un uomo e alcune parole attorno al bordo. “Chi è?”Domandai restituendo la moneta a Yzebel.
“Qualcheromano morto.” Gettò di nuovo la moneta nella pila.
“Ho fame,”disse Jabnet.
Yzebel si guardò attorno verso tutte le ciotole vuote, poi le pentole accanto al fuoco; anche quest’ultime erano vuote. “Anch’io,”rispose, “ma hanno mangiato tutto.”
“No, non l’hanno fatto.” Corsi a prendere il mio fagotto dal focolare. Lo riportai al tavolo e tirai fuori l’ultima pagnotta. “Ho salvato questo.”
Yzebel rise e prese la pagnotta. La spezzò, dando a ognuno di noi un grosso pezzo di pane, poi prese una brocca dal tavolo. Scosse la caraffa e scoprì che conteneva ancora un po’di vino. Presi tre tazze da un altro tavolo e Yzebel vi versò il vino, dividendolo equamente tra le tre ciotole.
“Jabnet, portami la borraccia,” disse.
Il ragazzo scivolò dalla panca e si diresse verso il focolare, borbottando qualcosa sul vino. Quando tornò con la borraccia, Yzebel annacquò il vino; Jabnet e il mio molto più del suo.
Mangiammo il nostro pane mentre Yzebel esaminava un paio di orecchini con grandi cerchi d’oro e un pettine d’avorio.
Avevo quasi trovato il coraggio di raccontare a Yzebel del vino che avevo versato su Via degli Elefantiquando prese un anello dalla pila di ciondoli e lo diede a Jabnet. Lui lo studiò, poi provò a metterselo sul pollice, ma non ci entrava.
Dopo aver fatto scivolare l’anello sul mignolo, disse: “È tutto quello che otterrò?”
Yzebel ignorò il ragazzo e continuò a sistemare i gioielli sgranocchiando il pane. Alla fine raccolse un altro oggetto, lo esaminò per un momento, poi me lo porse.
I miei occhi si spalancarono e trattenni il respiro. “Per me?” Sussurrai.
Capitolo Sei
Non potevo crederci al fatto che Yzebel mi avesse dato il braccialetto. Realizzato in rame spesso, era largo e adornato da incisioni intricate. Al centro c’era un grande cerchio che racchiudeva l’immagine di qualcosa che non riuscivo a distinguere. Più lo guardavo da vicino e più dettagli riuscivo a scorgervi. Me lomisi al polso, ma mi scivolò giù, cadendomi dalla mano.
“Ecco.” Yzebel prese il braccialetto. “Lascia che ti faccia vedere.”
Lo esaminò per un momento. Uno spazio dalla larghezza del suo pollice separava le due estremità che si curvavano attorno al polso. Premette le estremità l’una verso l’altra, le lasciò andare, poi le strinse ancora una volta, avvicinandole. Mi fece segno di allungare la mano, quindi aprì leggermente il braccialetto per mettermelo al polso. Si adattò perfettamente, c’era abbastanza spazio per muoverlo ma non perché mi scivolasse dalla mano.
“Bellissimo.” Allungai la mano per ammirarlo. “È la cosa più incredibile che abbia mai visto. Grazie Yzebel. Non lo toglierò mai.”
Agitai il polso verso Jabnet in modo che potesse vederne la bellezza. Socchiuse gli occhi con il suo fare odioso.
“Vado a letto,”disse.
Sua madre gli diede la buonanotte e lui prese la nostra lampada per andare nella tenda.
Avvicinai un’altra lampada per esaminare il braccialetto sotto una luce migliore. All’improvviso, mi resi conto di ciò che vi era inciso.
“Elefanti!”Esclamai.
Due colonne di elefanti finemente incisi marciavano sui lati, verso la parte rotonda al centro. Il pezzo rotondo copriva parzialmente l’ultimo elefante su ciascun lato, dando l’impressione che l’animalevi abbia camminato proprio sotto di esso.
“Hai visto gli elefanti?”Girai il polso verso Yzebel.
Sorrise e annuì.
La parte centrale rotonda conteneva una piccola area levigata, a forma di fagiolo, con qualcosa che somigliava a uno stivale che si estendeva dal bordo superiore. Scaglie di blu si intravedevano sull’area circostante, facendomi pensare che potesse essere stato colorato una volta, ma non riuscivo a capirne il significato. C’erano simboli incisi sul lato esterno del cerchio, ma non riuscii a comprendere quello che dicevano. Domandai a Yzebel se lo sapesse, ma lei scosse la testa.
“Che cosa è successo alla brocca da vino che ti avevo dato per il fornaio Bostar?”Mi chiese.
Incurvai le spalle. Avevo temuto questo momento per tutta la sera. Giocherellai con il mio braccialetto, poi sospirai profondamente.
“Potresti riprenderti il braccialetto dopo che te l’avròdetto.”
“No. Hai lavorato duramente per me stasera. È tuo da tenere. Quando eri scomparsa per così tanto tempo, ho mandato Jabnet a cercarti, e lui ha detto che hai buttato giù la mia brocca di vino e che sei scappata via. Mi ha riportato i pezzi rotti.”
“È vero, suppongo. Sulla strada per la tenda di Bostar, ho attraversato Via degli Elefanti, dove vivono tutti gli elefanti. Quando ho visto quegli splendidi animali lungo entrambi i lati del sentiero, ho dovuto dare un’occhiata più da vicino. Avevo pensato di avvicinarmi solo un po’ per poi andare da Bostar per le tue pagnotte. Ma poi ho visto Obolus, ed era vivo! Pensavo fosse morto vicino al fiume.”
Le raccontai di Obolus che mi tirava fuori dal fiume e di come era corso all’indietro contro l’albero, di comeè rimasto privo di sensi dopo che era caduto e dopo che la sua testa aveva colpito il masso.
Apparentemente, questo sorprese Yzebel. “È caduto?”
“Sì, pensavo di averlo ucciso.”
“Perché eri nel fiume?”
“Qualcuno mi ha gettato in acqua ieri sera.”
“Perché?”
“Non lo so. Mi sembra di aver dormito per tanto tempo. Non ricordo niente prima del fiume. Sono andata sott’acqua e Obolus mi ha afferrato con la sua proboscide.”
Yzebel masticò il suo pane e bevve un sorso di vino. “Ma non ti ricordi chi ti ha gettato nel fiume?”
“No.”
Prese l’ultimo boccone di pane e mi fissò. Alla fine, disse: “Continua.”
“Quando ho visto Obolus su Via degli Elefanti, ho lasciato cadere la brocca di vino e–” Mi fermai per pensarci su. “No, aspetta, la brocca non si è rotta. È caduta a terra, ma sono sicura che non si sia frantumata perché l’avrei sentito. Quando sono tornatadopo aver visto Obolus, c’era solo una grande pozzanghera di fango viola, quindi ho pensato che si fosse rotta, ma ora che ci penso, deve essersi aperta e il vino deve essere sgorgato. Poi è arrivato qualcuno che ha portato via la brocca. Ma è comunque colpa mia. Non avrei mai dovuto farla cadere.”
“Mmm. Avevo chiusobene quel tappo. Non penso potesse saltareviaanche sela brocca è caduta.” Yzebel guardò oltre le spalle verso la tenda buia dove dormiva Jabnet, poi si voltò a guardarmi. “Ma hai comunque avuto il pane da Bostar?”
“Sì. Mi ero sedutaa terra su Via degli Elefanti, piangendo, quando qualcuno mi ha chiesto se avessi perso qualcosa. Alzai lo sguardo e vidi Tendao lì in piedi.”
“Tendao!” Yzebel si sporse verso di me, spalancando gli occhi. “Come mai conosci Tendao?”
“Me ne hai parlato tu.”
“Io?” Si raddrizzò.
“Sì, oggi quando sono arrivata qui per la prima volta. Mi hai chiesto dove avessi preso il suo mantello.”
Guardò il mantello che stavo ancora indossando e si appoggiò al tavolo, avvicinando il suo volto al mio.“Dimmi esattamente come sei giunta a indossare il mantello di Tendao.”
“I soldati ridevano e prendevano in giro il povero Obolus e me al fiume dopo che lui aveva colpito la testa contro il masso. Non capivo cosa fosse successo e gli uomini mi spaventavano. Ero preoccupata per quello che mi avrebbero fatto. Avevo freddo e tremavo. Poi ho sentito questo mantello toccarmi le mie spalle nude. Ero trasalita, ma poi ho visto che era un giovane che sembrava gentile. Non aveva la barba e aveva gli occhi castani, proprio come i tuoi. Mi ha porto il mantello e–”
Yzebel mi interruppe. “Quanti anni pensi che abbia? L’età di Annibale?”
“No,”risposi. “Più giovane di Annibale, ma più vecchio di Jabnet. Tendao è il fratello di Jabnet?”
Yzebel non rispose; invece si studiò le mani, che ora erano serrate. Dopo un po’ deglutì e guardò fuori nell’oscurità.
La mia vita, per quanto ne sapevo, era iniziata quel giorno. Ma erano successe tante cose: Obolus che mi aveva salvato; i soldati minacciosi; l’uomo alto con la tunica rossiccia-viola che indossava un turbante; Tendao; Jabnet; Yzebel; Obolus di nuovo, vivo questa volta; Tendao che mi aiuta una seconda volta; Lotaz con i suoi numerosi braccialetti, ma nessuno più bello del mio; il grande schiavo; la ragazza che filava: ero ancora curiosa riguardoa lei; l’allegro Bostar; i rumorosi soldati all’ora di cena; e Annibale, il bel Annibale. Mi aveva ricordato il fiume, potente e profondo. Ma il fiume mi ha quasi ucciso, quindi perché l’ho paragonato a quello?
“Mi dispiace,” sussurrai a Yzebel. “Devo imparare a tenere a freno la lingua.”
“Sì.” Mi prese le mani tra le sue. “Tendao era il fratello di Jabnet.”
Volevo sapere cosa fosse successo, ma vidi le lacrime di Yzebel. No, avrei tenuto la mia curiosità sotto controllo, per ora almeno.
“Vieni.” Yzebel si alzò, asciugandosi la guancia. “È tardi e dobbiamo preparare un letto per te.”
La luna piena apparivasopra le cime degli alberi per illuminare i tavoli di Yzebel in un bagliore argenteo. I rumori del campo si spensero quando la gente si ritirò per la notte.
La tenda era più spaziosa all’interno di quanto mi aspettassi. Jabnet dormiva su un pallet accanto a una grande ruota di carro sul retro. C’era un altro letto sulla destra, vicino alla parte anteriore.
Yzebel posò la lampada su una scatola di legno al centro, slegò un fascio di stoffa e tirò fuori tre pelli di animali; ognuna aveva un lato più scuromentrel’altro lato era ricoperto da una folta pelliccia bianca. Le sparse per terra, di fronte al suo letto.
“Sarà un buon letto per te?”
Annuii e sorrisi. Sarebbe stato davvero bello. Pensai che sarebbe stato un posto morbido e caldo dove dormire.
Yzebel raccolse qualcos’altro che cadde dalle pelli: un vestito. Lo scrollò e fece un mezzo passo indietro. Guardò me, poi il vestito. Era uno dei suoi abiti. L’orlo le cadde ai piedi nudi.
“Prendi un coltello dal focolare,” disse.
Corsi attraverso l’apertura della tenda, afferrai un coltello e tornai di corsa.
Yzebel sollevò il vestito contro il mio corpo. “Tienilo sulle spalle, in questo modo.”
Mentre tenevo il vestito, Yzebel mi prese il coltello dalla mano. Si inginocchiò a terra, alzò lo sguardo per vedere se lo tenevo ancora come mi aveva indicato, quindi iniziò a tagliare una larga striscia dal basso.
“Quando i sacerdoti hanno portato via mio marito sei estati fa,”disse mentre lavorava l’orlo, “hanno preso anche Tendao. Era solo un ragazzo e non lo vedo da quel giorno. Stamattina quando sei venuta nella mia tenda, con indosso il mantello di Tendao, sono rimasta scioccata.”Tagliò il bordo inferiore del vestito per renderlo uniforme. “Poi l’hai visto di nuovo su Via degli Elefanti. Ora voglio sapere se qualcun altro lo ha visto e perché non torna a casa.”
Si alzò, mi tolse il vestito e mi disse di togliermi il mantello. Lo feci e lo posai sul letto, poi sollevai le braccia mentre mi faceva scivolare il vestito sopra la testa.
Quando fece un passo indietro, si mise le dita sulle labbra, cercando di non ridere. Mi guardai e cominciai a ridere. Jabnet si girò sul letto, borbottò qualcosa e tornò a dormire.
Le maniche erano troppo lunghe e il capo pendeva più come una tenda che come un vestito. Yzebel sorrideva ancora quando raccolse il pezzo che aveva tagliato dal basso. Usò il coltello per tagliarne una lunga striscia, poi fece un cenno per farmi girare intorno, mise la striscia di stoffa intorno alla mia vita, raccolse il vestito sul retro e annodò la cintura improvvisata. Quindi si alzò in piedi, mi strinse forte il laccio della scollatura, sollevandolosopra mio petto piatto e legandolo dietro al collo. Successivamente, tagliò le maniche appena sopra i gomiti.
Feci una giravolta in punta di piedi, osservando l’orlo del mio vestito svolazzare. “Grazie, Yzebel.” Mi fermai e la guardai.“Èmeraviglioso.”
“Non è perfetto,” Yzebel raccolse i pezzi di stoffa, “ma andrà bene fino a quando non ne creeremo uno nuovo per te.”
Mentre posava il panno e il coltello sulla scatola, rimasi lì, a guardarla mentre metteva via le sue cose e pensavo a quanto aveva fatto per me, come se fossi parte della sua famiglia, aveva anche parlato di un vestito nuovo.
Corsi ad abbracciarla, e lei mi mise le braccia attorno e mi strinse per un momento.
“Ora,” mi spinse a distanza di braccio, “è meglio che dormiamo un po’. Per prima cosa domani, dobbiamo andare a trovare carne fresca, grano duro, vino e–”
“Pane da Bostar,”finiial posto suo.
Ridemmo. Quindi, prima di spegnere la lampada, mi disse di andare a letto.
Mi sdraiai, mi coprii con il mantello di Tendao e ascoltai Yzebel che andavaa letto. “Buonanotte, Yzebel.”
“Buonanotte…qual era il nome che ti eri scelta?”
“Obolus,”risposi. “Ma ora che è vivo, non prenderò il suo nome. Penso che ‘Liada’ sia un bel nome.”
“Liada?”Chiese Yzebel. “Dov’è che l’ho già sentito?”
Tendao, volevo dire, ma rimasi in silenzio. Non volevo che il figlio maggiore di Yzebel fosse l’ultimo suo pensiero prima che si addormentasse.
Dopo un momento, Yzebel disse: “‘Liada’ è un bel nome per te. Buonanotte, Liada.”
“Buonanotte, Yzebel.”
Alzai il braccio sinistro, ma era troppo buio perchévedessi il braccialetto. Quindi, feci scorrere le dita lungo i lati e sentii gli elefanti intagliati fare il loro viaggio verso il misterioso nascondiglio. Mi chiesi quanti ce ne fossero sotto quello strano centro rotondo del braccialetto.
Dopo una giornata lunga e piena di eventi, ero molto stanca, ma la mia mente vagava ancora: pensavo a tutto quello che mi era successo. Pensai ad Annibale, Tendao e Obolus. Sapevo che dovevano dormire e mi chiedevo dove. Non avevo idea di dove dormissero Annibale o Tendao, ma sapevo esattamente dove si trovava Obolus. Provai a visualizzarlo sdraiato sul suo letto di paglia o sonnecchiare da alzato mentre e ondeggiava in piedi.
Mi sedetti sul mio letto e fissai Yzebel. Non sentii altro che il suo respiro lento e misurato e capii che si era addormentata. Così, presi silenziosamente il mio mantello, scivolai fuori dalla tenda e camminai al chiaro di luna verso Via degli Elefanti.
Quando arrivai al sentiero che serpeggiava tra gli elefanti, ne trovai alcuni sdraiati, altri che mangiavano fieno e uno succhiava l’acqua da un foro di irrigazione con la sua proboscide per spruzzarsela in bocca. Diversi stavano sonnecchiando in piedi. Ero sorpresa nel vedere così tanti di loro svegli. Uno cercò di raggiungere un melone che era rotolato oltre la lunghezza della sua proboscide. Lo raccolsi e quando aprì la sua bocca per me, glielo spinsi dentro.
L’atmosfera tranquilla del luogo era notevole. Quelli che erano svegli sembravano rispettare il sonno dei loro compagni, restando in silenzio mentre mangiavano o si muovevano, limitando il rumore a quellodelle catene ai loro piedi. Tutti i cuccioli di elefante erano distesi a terra accanto alle loro madri, tranne uno piccolo che veniva allattato.
Non vidi nessun addestratore o ragazzi dell’acqua, ma trovai Obolus sdraiato su un fianco che dormiva profondamente. Stando attenta a non svegliarlo, mi trascinai nell’incavo tra la sua proboscide arrotolata e il collo. Mi lisciai il vestito nuovo, stesi il mantello di Tendao su di me e mi rannicchiai lì, sentendomi al sicuro e al caldo. Sarei rimasta solo un po’, poi sarei corsa di nuovo nella tenda di Yzebel e mi sarai sistemata nel mio letto.
* * * * *
Mi svegliaiper via dei pezzi di fieno che mi cadevano in faccia. Dalla luce pallida, capii che sarebbe arrivata presto l’alba, ma non capii dove fossi. All’inizio pensai di trovarmi nella foresta, tra due alberi. I grandi pali grigi si alzavano su ogni mio lato e si incontravano sopra la mia testa in un enorme cielo grigio e rugoso. Inclinai la testa all’indietro e vidi una grande bocca che sgranocchiava un carico di fieno.
“Obolus,” sussurrai. “Quando ti sei alzato?”
La grossa proboscideoscillò verso di me e mi sfiorò il lato della testa. La strinsi e sentii Obolus inspirare mentre mi annusava la mano. Mi ci aggrappai per tirarmi su e scoprii che i suoi piedi erano posizionati così vicino a me, che sembrava quasi che mi trattenesse. Non sapevo come, ma era riuscito a rialzarsi senza disturbarmi, poi si è posizionato in modo da sovrastarmi.
Feci scorrere la mano lungo la grande zanna curva che si estendeva lontano davanti a lui. Se mi fosse stato possibile distendermici, la mia testa non avrebbe raggiunto la punta. Aveva due di queste grandi zanne, una su ciascun lato della sua proboscide. Mi ricordavano dei denti meravigliosi, molto lisci al tatto.
“Vedo che stai già facendo colazione, amico mio.”
Emise un suono rimbombante nel petto e subito sentii un suono quasi identico dall’altra parte della strada, seguito da un forte tonfo. Obolus sollevò il piede e lo lasciò cadere, facendo un tonfo ancora più forte. Un tonfo di risposta arrivò da più lontano lungo il sentiero. Non sapevo cosa stessero dicendo, ma questi grossi animali stavano conversando. Di questo ne ero sicura.
“Hai notato il mio braccialetto?” Alzai il polso affinché lo vedesse. Sbatté le palpebre e cercò dell’altro fieno.“Vedi quel melone laggiù?”
Indicai attraverso il sentiero una grande anguria verde che giaceva accanto al fieno di un altro elefante. Non ero sicurache avesse guardato nella direzione che avevo indicato, ma la sua proboscide si era arrotolata attorno al mio avambraccio.
“Lo prenderò per te, poi devo andare. Yzebel e io abbiamo un sacco di lavoro da fare stamattina, e devo tornare in fretta alla tenda prima che si svegli.”
Guardai da entrambi i lati diVia degli Elefanti per assicurarmi che nessuno degli uomini fosse in giro, poi corsi attraverso il sentiero, afferrai il melone e corsi di nuovo verso Obolus. Immediatamente sollevò la proboscide e aprì la bocca. Non potevo esserne sicura, ma un grande sorriso sembrava essergli apparso sul viso quando gli spinsi il melone in bocca. Quando inclinò la testa all’indietro e masticò, emise un suono divertente attraverso la sua proboscide sollevata. Questo causò il barrito del precedente proprietario del melone, seguito da un calpestio da parte di entrambi. Speravo di non aver iniziato una discussione tra quei due grandi compagni.
Un sussurro di lavanda tinse il cielo orientale quando raccolsi il mantello di Tendao e mi scrollai di dosso il fieno. “Arrivederci, Obolus. Devo tornare in fretta alla tenda di Yzebel. Ma tornerò presto, lo prometto.”
Capitolo Sette
Quando tornai ai Tavoli di Yzebel prima dell’alba, tutto era silenzioso. Usai l’attizzatoio per rastrellare i carboni, trovando alcune braci ardenti. Con un po’di ramoscelli e qualche soffio, il fuoco riprese vita. Vi aggiunsirami più grandi per ravvivarlo.
Yzebel uscì e si stiracchiò. “Buongiorno.”
“Buongiorno. Preparo la colazione?”
Guardò verso est, dove il sole sarebbe presto giunto sopra le cime degli alberi. “È meglio barattare per le provviste di buon’ora, mentre c’è ancora una vasta scelta.”
Jabnet ancoradormiva quando siamo partite.
Un marsupio di cuoio attaccato a una corda attorno alla vita di Yzebel conteneva tutte le monete, gli anelli e i ciondoli che i soldati avevano lasciato sui suoi tavoli la sera prima.
Abbiamo trovato il conciatoreal suo banco di lavoro nelle prossimità di un ruscello vicino al centro del campo. Rimasi in silenzio a guardare mentre Yzebel contrattava riguardo i vari tagli di carne. Una volta soddisfatta del montone e di un piccolo maiale che l’umo aveva steso, discussero molto sul valore dei gioielli che lei gli offriva in pagamento. Alla fine, lanciò un anello d’oro nell’affare e chiese tre polli vivi oltre alla carne. Il conciatoreesaminò l’anello per molto tempo prima di accettare. Yzebel gli chiese quindi di includere anche la gabbiadove erano custoditi i polli.
Sulla via di ritorno verso la tenda di Yzebel, bilanciai sulla testa la gabbia con i polli che schiamazzavano, mentre lei portava il maiale macellato sulla spalla. Avremo dovuto fare un secondo viaggio per il montone.
“Ora,”disse Yzebel con voceallegra, “questo è quello che chiamo un buon affare.”Il tono della sua voce variò con le parole. “Non solo abbiamo ottenuto il doppio della quantità di carne che volevo, ma anche i polli.” Si chinò per sbirciare sotto la gabbia che portavo. “Cosa ne pensi, Liada?”
“Penso che hai ottenuto molto per una moneta, due collane e un piccolo anello d’oro, ma non volevo parlare mentre contrattavi con l’uomo.”
“Sì.” Yzebel si raddrizzò e spostò il maiale sull’altra sua spalla. “È bene che tu guardi e impari. Non solo devi conoscere la qualità delle cose per le quali stai barattando, ma anche il valore degli articoli che hai da scambiare.”
Arrivammo alla tenda e Yzebel urlò al figlio pigro di svegliarsi. Dovette chiamarlo di nuovo prima che finalmente inciampasse fuori dalla tenda alla luce del sole, stropicciandosi gli occhi.
Borbottò qualcosa che non riuscivo a capire quando lei gli disse di fare la guardia al maiale e ai polli mentre andavamo a prendere il resto della carne.
Sulla via del ritorno dal conciatore, ci siamo fermate vicino ai piedi dellaCollina Rocciosa per barattare per il vino passito e il grano duro. Tornammo alla tenda con le braccia piene.
Dalla lunghezza delle nostre ombre capii che era quasi metà mattina.
“Ti ha rubato il vestito,” disse Jabnet mentre stendevamo le provviste su un tavolo.
Yzebel prese una brocca e versò del vino per me e per sé stessa. “No, nonl’ha fatto.”
“Allora perché lo sta indossando?”
“Jabnet.” Yzebel raccolse la borraccia per diluire il mio vino con una grande quantità di acqua. “Lo indossa perché gliel’ho dato. Mi stai stancando con le tue domande insensate. Vai nella foresta e raccogli della legna così possiamo iniziare a cucinare. Ho anche bisogno di un ramo forte per arrostire quel maiale sul fuoco. Non prendere il pino, la linfa rovina il sapore della carne.”
Jabnet mormorò qualcosa sulla linfa quando passò tra di noi. Yzebel alzò la mano e pensai che l’avrebbe colpito, ma lei scosse la testa e alzò gli occhi al cielo. Mi sorrise e si nascose un ricciolo ribelle dietro l’orecchio.
Quando finimmo di bere, mi diede due monete di rame, una minuscola catena d’oro e un paio di orecchini d’argento a cerchio. “Va’da Bostar,”mi disse. “Digli che abbiamo bisogno di sette pagnotte.”Esitò per un momento. “No, prendine otto oggi. Mostragli le monete e i gioielli e prenderà ciò di cui ha bisogno. È l’unico commerciante nel campo di cui ti puoi fidare in questo modo. Bostar non prende mai più del valore del suo pane. Impara da lui cosa cercare in un uomo; è uno dei migliori.”Fece cadere il resto delle sue monete e i gioielli su un quadrato di stoffa e mi consegnò la sua borsa vuota.
“Chi è l’altro?”Chiesi mentre mettevo i gioielli per Bostar nella borsetta.
Yzebel rise e piegò il panno in una custodia per contenere il resto dei suoi gioielli. “Non importa. Se ne viene uno, te lo indicherò.” Si infilò la borsetta appena fatta dietro le corde del grembiule, poi strinse la cintura del mio vestito. “Vedi dove si trova il sole?”
Mi protessi gli occhi e guardai il cielo. “È quasi mezzogiorno.”
“Torna prima che il sole raggiunga le cime degli alberi.”
“Lo farò. Non ti preoccupare.”
* * * * *
Sulla strada per la tenda di Bostar, mi imbattei nella ragazza schiava del giorno prima. Era seduta su un piccolo sgabello fuori dalla tenda nera, con un cesto di cotone accanto a lei. Mi fermai a guardarla prendere un bastone affusolato non più lungo del suo avambraccio. Una spirale di argilla, come una piccola ruota, era montata vicino a un’estremità del bastone. Mi fece un sorriso smagliante e prese una capsula di cotone dal cestino, buttò via alcuni semi, dipanò alcuni fili e li unì alla lunghezza di quello già avvolto attorno all’asta del suo strumento. Quindi fece girare la pesante ruota e iniziò adaggiungere le fibre dalla capsula di cotone mentre un nuovo filo si avvolgeva attorno all’asta rotante.
La ragazza era così esperta nel suo compito, e le sue dita erano così veloci e agili che il filo sembrava allungarsi da solo. Prese altro cotone dal cestino, tolse i semi, dipanò le fibre e lolavorò nel filo di lana, continuando a far girare la ruota.
Quando lo strumento prese a ruotare più velocemente, si alzò e aggiunsealtro cotone alla fine del filo. Presto fermò l’asta rotante, che si era ingrossata nel mezzo per via del filo che vi si era avvolto intorno, quindi legò l’estremità del nuovo filo a quello già arrotolato in un gomitolo e iniziò a srotolare il filo astaper aggiungerlo al gomitolo crescente.
“Tin tinbansunia,” mi disse porgendomil’asta.
Il marchio lerovinava il bel viso. Anche lo schiavo di Lotaz aveva un marchio, ma il suo era un simbolo diverso che si era cicatrizzato molto tempo fa. Il marchio di questa ragazza sembrava una freccia con tre punte e aveva un serpente attorcigliato all’asta. La brutta bruciatura sembrava essere recente e non ancora completamente guarita.
“Cosa?”Chiesi.
“Tin tinbansunia.” Tirò il filo ancora avvolto attorno all’asta.
“Tin bim sole?”
“Tin tinbansunia.”
“Tin tinbansunia,”dissi e allentai la presa sulle estremità dell’astache avevo tra le mani in modo che ruotasse liberamente.
La schiava annuì e tornò a lavorare avvolgendo il filo sul gomitolo mentre io tenevo l’asta dello strumento.
“Non capisco cosa significhi.”
Quando finì il filo sull’asta, la prese e ne iniziò a girare uno nuovo.
“Conosci la donna chiamata Lotaz?”Le chiesi.
La ragazza schiava fece girare la ruota e lavorò il filo sempre più a lungo, apparentemente ignorandomi.
“Lotaz ha i capelli lunghi e ricci,” dissi. “E si tinge le labbra ele guance.”
Presi una capsula di cotone dal cestino, rimossi i semi e dipanai alcune fibre come avevo visto fare alla ragazza. Mi prese il cotone e lo lavorò rapidamente in tutta la sua lunghezza. Presi un’altra capsula e continuammo a lavorare, ma lei non reagì a nessuna delle mie parole.
“Senti quello che sto dicendo?”
Nessuna risposta.
“I tuoi capelli sono in fiamme!”
Prese un’altra capsula di cotone dalla mia mano ma non disse nulla.
“C’è un soldato orribile che corre qui per tagliarci a pezzetti e darci da mangiare ai leoni!”
Ancora nessuna risposta. Alla fine, dissi,“Tin tinbansunia.”
La ragazza sorrise. Apparentemente, poteva sentire ed era soddisfatta di ciò che le avevo detto, anche se non avevo idea di cosa le avessi detto.
Continuammo in questo modo, lei filava, mentre io dipanavo il cotone e parlavo del campo, Yzebel, Obolus e la mia avventura con la brocca di vino. Le ho anche raccontato di aver visto Annibale e di quanto fosse bello.
Pensavo avesse circa la mia età, dodici estati, forse un po’più giovane, snella e alta meno di due frecce. La sua carnagione era più profonda del colore di una pesca color cannella, con gli occhi scuri come la notte nella foresta. Non disse una parola e non mi prestò alcuna attenzione se non per prendere le capsule di cotone dalle mie mani per lavorarle.
Presto trasformammo il cestino di cotone in tre grandi gomitoli di lana. La ragazza li mise nel cestino, poi lo raccolse e mi passò accanto.
“Tin tinbansunia,” mi disse.
Per quanto ne sapevo, avrebbe potuto significare “Arrivederci, piacere di averti conosciuta” oppure“Ho finito, ora puoi andare” oppure“Per favore, non disturbarmi di nuovo.”
Mentre sedevo a gambe incrociate sul tappetino quadrato dove ero stata per gli ultimi due gomitoli di lana, fissavo la ragazza che si allontanava da me, sentendomi sola.
Dopo qualche passo, si fermò, guardò indietro e con un grande sorriso disse, “Tin tinbansunia.” Inclinò la testa nella direzione in cui si era diretta, come per dire: “Dai, vieni. Cosa stai aspettando?”
Mi alzai di scatto e corsi a camminare accanto a lei. “Tin tinbansunia?”
Indicò il sentiero e mi diedeun manico del cestino, così lo portammo tra di noi. Il sentiero conduceva su una ripida salita, dove poi si snodava attraverso una pineta sul lato oscuro dellaCollina Rocciosa. Le tende e le baracche sottostanti lasciavano il posto a capanne fatte di tronchi, con tetti di rami di paglia. Sembrava che avessimo lasciato il quartiere più povero e fossimo entrati in uno più ricco.
Le capanne erano distanziate e nessuno sembrava esserci nei paraggi. In basso, il rumore delle attività continuava, con molte persone che si occupavano delle loro faccende, ma lì nella foresta, tutto ciò che sentii fu la brezza tra le cime degli alberi e un corvo solitario gracchiare in lontananza.
“Chi abita qui?”
Non mi aspettavo alcuna risposta, ma pensai di poter leggere qualcosa nell’espressione della ragazza. E infatti così fu. Il semplice sorriso della ragazza era sparito, sostituito da uno sguardo di apprensione.
“Tin tinbansunia,” sussurrò e indicò una piccola capanna alla fine di un sentiero laterale, lontano dagli altri. Era circondato da alberi alti e scuri.
L’apprensione sul viso della ragazza divenne un’espressione di terrore. Capii che non voleva andare lì.
“Torniamo indietro.”Indicai il sentiero.
Guardò dove avevo indicato ma poi si trascinò verso la capanna. Tenevo ancora il manico opposto del cestino, quindi andai con lei, ma senza alcun entusiasmo.
Quando ci avvicinammo alla capanna, la porta si aprì cigolando sui cardini di cuoio e uscì un uomo ripugnante. Indossava solo la parte inferiore di una tunica legata con una corda sotto il suo enorme ventre e un paio di stivali neri. La sua testa con i capelli arruffatiera poggiata su spalle arrotondate, e sembrava che non avesse il collo. Non avevo mai visto così tanti peli su nessuno prima d’ora. Gli coprivano il petto, la pancia e gran parte del viso. Probabilmente anche la sua schiena, ma non volevo vederealtre parti di lui.
Rosicchiò l’ultimo pezzetto di carne dall’osso di un piccolo animale e lo gettò da parte. “È tutto quello che hai fatto?”Ringhiò alla ragazza, facendo un gesto verso il cestino.
La sua voce roca e rauca mi irritò. Qualcosa di grasso gli scorreva dall’angolo della sua bocca.Sputò per terra ai miei piedi. Mi guardò e si asciugò il mento con il dorso della mano.
La ragazza e io arretrammo. Non avevo mai saputo che un uomo grasso potesse muoversi così in fretta, ma si sporse in avanti e fece oscillare la mano prima che avessi l’occasione di voltarmi. Chiusi forte gli occhi, aspettandomi di sentirlo colpire il mio viso, invece colpì la ragazza. Non era uno schiaffo, le aveva tirato un forte pugno. Il colpo la fece sbattere contro un albero. La parte posteriore della sua testa colpì il tronco e lei si afflosciò, cadendo a terra.
Lasciai cadere il cestino e corsi dalla ragazza, inginocchiandomi al suo fianco. La feci girare e piansi. Il sangue le scorreva dalla bocca e dal naso e un livido viola cominciava a formarsi sul lato del suo viso. Aveva gli occhi chiusi.
“Tin tinbansunia,” sussurrai e la presi tra le braccia.
Non vidi arrivare lo stivale dell’uomo.
Capitolo Otto
Lo stivale pesante dell’uomo grasso mi colpì nel fianco, facendomi cadere all’indietro. Provai a gridare, ma non ne avevo fiato. Mi misi in ginocchio e mi sporsi in avanti, stringendomi lo stomaco con entrambe le mani, facendo fatica a respirare. Mentre l’uomo afferrava il braccio della ragazza per trascinarla verso la sua capanna, provai ad alzarmi, ma sentii una grande pressione sul mio petto e caddi di nuovo a terra, ancora senza fiato.
La ragazza aprì gli occhi e fece un debole tentativo di rimettersi in piedi, ma inciampò e cadde mentre l’uomo la trascinava via. Gridò e afferrò un palo vicino alla porta con la mano libera, ma lui la staccò via, la portò dentro e sbatté la porta. Sentii poi il bullone di legno cadere in posizione, segno del fatto che la porta veniva bloccata.
* * * * *
Non so per quanto tempo restai lì a piangere, ma alla fine riuscii ad alzarmi. Mi girava la testamentre raccoglievo le foglie e i ramoscelli dai tre gomitoli e li mettevo nel cestino. Quando poi posizionai il cestino accanto alla porta, non sentii alcun rumore all’interno. Bussai e aspettai una risposta, ma non ne arrivò nessuna. Bussai più forte e cercai di aprire la porta, ma non cedeva.
“Tin tinbansunia,” sussurrai attraverso una crepa nel legno. Non mi rispose nessuno
Dopo un altro momento, mi allontanai, dirigendomi verso il sentiero. Per quando arrivai alla tenda di Bostar, le mie lacrime si erano asciugate. Mi sentivo male. Non solo mi faceva male lo stomaco e il fianco, ma mi sentivo ferita nel profondo. Non era un sentimento che riuscivo a capire. Mi disturbava, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato non aiutando la ragazza. Volevo solo andare da Obolus e rannicchiarmi in quel luogo morbido tra il suo mento e il petto dove avevo dormito la sera prima.
Feci un sorriso a Bostar perché sembrava felice di vedermi e disse che gli piaceva il mio vestito. Era un omone come quello sullaCollina Rocciosa. Gli diedi il quadrato di stoffa del giorno prima, che avevo nascosto dietro la cintura, e lo vidimettere fuori le pagnotte. Sicuramente non era paragonabile all’uomo che aveva colpito Tin Tin Ban Sunia così forte.
“Hai…”cominciai con tono rauco, non rendendomi conto del fatto che non avessi più la voce. Deglutii e ricominciai. “Possiedi uno schiavo, Bostar?”
Lui corrugò la fronte e studiò il mio viso prima di rispondere. “No, bambina mia. Non posso permettermi schiavi.”
“Oggi abbiamo bisogno di otto pagnotte.”
Lo guardai per un momento mentre sistemava il pane sul panno. Quindi presi due monete e i gioielli che Yzebel aveva spedito con me e glieli porsi.
“Quanto costa uno schiavo?”Chiesi.
Bostar prese la minuscola catena d’oro per esaminarla. “Uno schiavo costerebbe una manciata di queste.” Teneva la catenina da una sua estremità.
“Oh.” Rimisi il resto dei gioielli nella borsa.
“Aspetta qui un momento.” Andò nella sua tenda.
Strinsi le corde della mia borsa e raccolsi gli angoli del panno per legarli insieme, però Bostartornò con altre pagnotte.
“Questa catena d’oro è troppo per otto pani. Eccone altri tre, così siamo pari.”
“Mm,”dissi. “Yzebel aveva ragione.”
“Riguardo cosa?”Aggiunsele pagnottealle altre sul panno.
Yzebel mi aveva detto che Bostar era un uomo buono, un commerciante leale. Come faceva a saperne degli uomini? Come fa una ragazza a imparare la differenza tra le persone, distinguendo il bene dal male?
“Vedi dov’è il sole, Bostar?”
Lanciò uno sguardo al cielo. “Quasi alle cime degli alberi.”
“Yzebel mi ha detto di tornare ai suoi tavoli prima che raggiungesse le cime degli alberi.”
“Allora dovresti sbrigarti, Piccola.” Mi legò la cintura dietro; si era allentata quando avevo tolto il panno per il pane. “Ti vedrò domani?” chiese.
“Potresti vedermi ogni giorno per molto tempo.”Lo guardai.
“Ottimo. Questo significa che gli dei non sono scontenti di me.” Si fermò, mi guardò, poi aggiunse, “Non ancora.”
Lo fissai, chiedendomi a quali dei pregasse e perché. Quell’uomo di Via degli Elefanti aveva detto che gli dei degli inferi dovevano avermi creato per provare a far ribellare gli elefanti contro gli ammaestratori. Forse quegli stessi dei stavano operando quando quell’uomo ha ferito Tin Tin Ban Sunia.
“Non pensarci su così tanto, Piccola. Questo è solo un po’ di umorismo da fornaio.”
“Bostar?”
“Sì?”
“C’è un uomo sullaCollina Rocciosa, che vive in una baracca tra gli alberi. È grande come te, ma è coperto di peli. Lo conosci?”
Bostar tirò su i quattro angoli del panno per legarli insieme.“Quello che commercia i fili?”
Annuii.
“Ne ho sentito parlare.”
“Ha una schiava che tratta molto male.”
“Sì, dicono che si occupi di schiavi.”
“Penso sia un po’più giovane di me e molto dolce, anche se non parla la nostra lingua.”
“Molti degli schiavi portati a Cartagine provengono da luoghi lontani dove si parlano lingue strane.”
“Sono stato lassù con lei oggi, e lui le ha tirato un pugno.”
Le mani di Bostar si fermarono dov’erano, in cima al fascio.
“Tutto ciò che ha fatto di sbagliato è stato fare solo tre gomitoli per lui. Non pensava che fossero abbastanza, quindi l’ha colpita in faccia.”
Bostar scosse la testa. “Così crudele,”disse. “Non c’è mai alcun motivo per colpire un bambino.”
Non gli ho parlato del fatto che dell’uomo che mi abbia dato un calcio nel fianco.
Quando presi il fagotto, Bostar mi mise una mano sulla spalla. “I mercanti del male alla fine incontreranno la salvezza.”
Non capii cosa significasse.
Bostar deve aver visto l’espressione confusa sul mio viso, perché sorrise e disse: “Non preoccuparti, bambina. E ricorda, le cose vanno sempre per il meglio.”
“Me lo ricorderò, Bostar. Arrivederci.”
“Arrivederci,” disse mentreme ne andavo. “Fai attenzione.”
* * * * *
Non volevo passare per dove avevo incontrato Tin Tin Ban Sunia prima. Mi chiesi se ci fosse un altro sentiero che mi avrebbe portato a Yzebel, ma mi sentii forzataa passare vicino alla tenda della ragazza schiava. Vidi un altro cestino di capsule di cotone poggiato sul tappetino e accanto al suo strumento per la filatura. Lei non c’era e il posto sembrava deserto.
Poco oltre la tenda, qualcuno mi parlò da dietro. Mi girai, quasi perdendo l’equilibrio e anche il carico di pane.
“Mi hai spaventata.”
“Mi dispiace.” Queste erano le parole morbide di Tendao.
Il mio fianco midoleva più di prima, ma non volevo dire a nessuno cosa era successo. Felice per un po’ di riposo, appoggiai il mio fardello sull’erba accanto al sentiero e pensai a quanto Tendao sembrava essere come Annibale, tranne per il fatto che Tendao non possedeva la forza dell’autorità che vedevo in Annibale. Obolus, anche se un elefante, era anche lui un maschio, più forte di tutti loro, ma si spaventava per le piccole cose, come facevo io.
“Andraida Lotaz per me?” Chiese Tendao.
Esitai, non volendo vederla di nuovo. Ma sapevo che Tendao aveva problemi a parlare con le persone e mi aveva aiutato, per cui non avrei neanche dovuto fermarmi per pensarci.
“Certo.”
Mi diede un oggetto. “Questo deve arrivare da lei prima del tramonto.”
Quando lo presi da lui, era molto più pesante di quanto mi aspettassi. “Che cos’è?”
“È la nostra dea, Tanit. Lotaz la vuole per il suo altare.”
La figura in cima all’oggetto era adorabile e aggraziata, alta due mani e scolpita in onice nera, con pietre blu lucide per occhi. Le due perle che Lotaz mi aveva regalato la sera prima erano ora modellate in orecchini pendenti. La dea Tanit sedeva su un trono che si trovava su una base quadrata, il tutto scolpito da un unico blocco di pietra.
“L’hai fatto tu?”Lo guardai.
“La pietra è stata scolpita un paio di giorni fa. Avevo solo bisogno delle perle per completare la statua.”
“È così bella.”Notai alcune parole scolpite sulla base. “Sai fare le parole?”
“Sì, un po’.”
“Dimmi le parole.”
“Io sono Tanit tua dea tua Tanit sono io,” lesse Tendao.
“Mi insegnerai?”
Tendao mi guardò per un momento, poi distolse lo sguardo e si volse verso il sentiero. Alla fine, si girò di nuovo verso di me.
“Perché tu–”Abbassò la voce. “Perché vuoi imparare le parole?”
“Voglio imparare tutto. Parole, elefanti, persone.”
“Ti insegnerò, ma devi promettermi di non dirlo mai a nessuno. I sacerdoti vietano a chiunque al di fuori del tempio di saper leggere e scrivere.” Indicò ogni gruppo di simboli sulla statua mentre li pronunciava. “Noti qualcosa di insolito nello schema delle parole?”
Le guardai di nuovo ma non riuscii a capire cosa volesse dire. “Mi dispiace, Tendao, non so leggere. Vedo solo che alcune parole sono ripetute.”
“Sei più brillante di quanto pensi, amica mia. Sì, le parole si ripetono.”Lesse di nuovo, questa volta partendo dall’estremità sinistra della riga anziché dalla destra, ma tutto suonava esattamente come prima. “Vedi, si legge lo stesso, siada destra che da sinistra.”
“È fantastico, Tendao. Tutte le parole sono scritte in questo modo?”
“No, non tutte.”
Poi mi ricordai del mio braccialetto. “Puoi leggere questo?”
Spostai la statua nell’incavo del braccio destro e gli tesi il polso sinistro per farglielo vedere. I suoi occhi si spalancarono mentre ruotava il braccialetto sul mio polso per esaminare le belle incisioni.
“Dove l’hai preso?”
“Uno dei soldati l’ha lasciato sul tavolo di Yzebel ieri sera. Me l’ha dato lei.”
“Questo non è stato fatto qui o a Cartagine.” Esaminò l’altro lato. “Nessun artigiano della nostra regione può fare un lavoro di così tanta qualità.”
“Riesci a leggere le parole?”
“Parole?”Chiese. “Dove?”
“Intorno al cerchio in alto, parole molto piccole.”
“Ah, sì. Adesso le vedo. Queste parole sono nostre, ma l’artigiano non proviene da qua.”
“Dì le parole per me.”
“‘Tutti gli elefanti tornano in Valdacia,’”disse Tendao.
“Valdacia?”
“C’è dell’altro. Inclinò la testa per leggere il resto, continuando attorno al cerchio, da destra a sinistra. “Non importa quanto lontano vaghino.”
“Che cos’è Valdacia?”Domandai.
“Non ho mai sentito parlare di quel posto.”
“Tutti gli elefanti tornano in Valdacia,” dissi. “Qual è il resto?”
“Non importa quanto lontano vaghino.”
“Tutti gli elefanti tornano in Valdacia, non importa quanto lontano vaghino.” Ripetei la frase e tolsi il polso dalla sua mano per vedere le parole da sola. Mentre socchiudevo gli occhi nella luce fioca, improvvisamente mi resi conto che il sole sarebbe presto scomparso dal cielo. “Oh, no!”Eslamai.“Devo tornare in fretta ai tavoli di Yzebel.”
“Sì,”disse Tendao. “Si sta facendo tardi.”
“Guarda il pane mentre vado a Lotaz con la statua.”
“Lo farò.”
Corsi lungo il sentiero, tenendo tra le braccia la statuetta di Tanit. Il dolore al fianco era quasi insopportabile, ma dovevo sbrigarmi.
Quando arrivai alla tenda di Lotaz, il suo grande schiavo sedeva sul tappeto, con le caviglie incrociate e gli avambracci appoggiati sulle ginocchia. Si alzò quando rallentai.
“Dunque,” disse. “La Ragazza Elefante ritorna.”
“Ragazza Elefante?”
“Ho sentito di come hai creato frastuono tra tutti gli animali su Via degli Elefanti.”
“Non ho creato alcun trambusto tra di loro.”
“Davvero?” Lui sorrise, e potei vedere che non intendeva nulla di male; mi stava solo prendendo in giro.
“Beh,” dissi, “c’è stato un po’di trambusto.”
“Un po’di tumulto a volte è una buona cosa.”
“Come ti chiami?”
“Sono Ardon. E tu?”
“Liada.” Mi piacevaArdon e pensai che potesse aiutarmi. “Voglio parlarti di una schiava, ma devo tornare ai tavoli di Yzebel. Posso dare questo a Lotaz ora? È di Tendao, il lavoro che ha promesso per la brocca di vino passito.”
“Lotaz non è qui al momento. È andata a incontrare Artivis. Di quale schiava parli?”
“Quella che fa i gomitoli di cotone, alla tenda da quella parte.” Feci un cenno con la testa.
“Quellaalta più o meno così?” Tese la mano, con il palmo verso il basso. “Con gli occhi scuri?”
“Sì,”risposi.
“Perché chiedi di lei?”
“Per favore, devo andare adesso. Lo darai a Lotaz quando tornerà?” Gli tesi la statua. “Parlerò domani della ragazza schiava.”
Prese la statua e io corsi di nuovo da Tendao. Gli riferii che Lotaz non era lì.
“È andata da qualcuno chiamato Artis.”
Tendao parve sorpreso da questa notizia. “Vuoi dire ‘Artivis’?”
“Sì, Artivis. Il suo schiavo ha detto che Lotaz è andata a incontrarlo.”
“Devo andare.”
Si allontanò in fretta, lungo il sentiero.
* * * * *
Quando arrivai ai tavoli di Yzebel con le sue pagnotte, era il tramonto, ma non era ancora buio. Nessuno dei soldati era ancora arrivato.
“Hai un grosso carico da trasportare,”mi disse quando misi il mio fagotto su un tavolo.
“Sì, Bostar ci ha dato undici pagnotte per la catenella.” Le porsi la borsa, poi, senza pensare, premetti la mano sul fianco destro.
“Perché ti tieni il fianco in quel modo?”
“Oh,” dissi, togliendomi la mano per sciogliere il nodo del panno con il pane. “Non è niente.”
Se le avessi detto cosa era successo con il grassone sullaCollina Rocciosa, avrebbe potuto decidere di non mandarmi più a fare commissioni. Oppure avrebbeanche potuto insistere sul fatto che Jabnet mi accompagni. Volevo dimostrarle che avrei potuto lavorare da sola e non finire nei guai.
Yzebel aprì la borsa e si versò nel palmo le monete di rame e gli orecchini rimanenti. Sorrise.
“Hai fatto un buon lavoro con Bostar.” Ripose gli oggetti nella borsa e tirò forte il cordoncino. “Ma ora mettiamoci al lavoro. I soldati saranno qui presto.”
Jabnet aveva il maiale allo spiedo su un secondo fuoco, quindi mi sono data da fare con le lampade. Quando furono tutte illuminate, tagliai i meloni gialli e raccolsi i semi, sentendomi molto sollevata dal fatto che Yzebel non mi avesse chiesto perché ci avevo impiegato così tanto tempo per prendere il pane.
“Per favore, sguscia quelle arachidi per me,” mi disse da accanto al fuoco, dove stava tagliando le carote per lo stufato. “Metti una ciotola piena su ogni tavolo e cospargili di sale. Ma solo un poco. Il sale è prezioso fino a quando i prossimi carri con i buoi non attraverseranno il deserto.”
Finii con le arachidi e misi otto ciotole di terracotta vuote su ogni tavolo, insieme a cucchiai di legno, come se gli uomini li avrebbero mai usati.
Subito dopo il tramonto, arrivarono due soldati e chiesero di essere nutriti. Riempii le loro ciotole con lo stufato e servii loro fette di melone, insieme a piccole fette di pane. Arrivarono altri uomini e presto tutti i tavoli furono occupati. Mi affrettai da un soldato all’altro con i succosi bocconcini di maiale che Yzebel aveva tagliato.
“Annibale verrà stasera?” Chiesi quando allungai una ciotola per prendere un pezzo che Yzebel stava tagliandodall’osso.
“No. Probabilmente sta cenando con quella donna, Lotaz.”
La guardai. ‘Quella donna?’Cosa intendeva? Ho sentito un accenno di veleno nelle parole di Yzebel, come se Lotaz fosse un tipo di creatura diversa da lei?
Proprio mentre stavo per chiederle cosa intendesse, un uomo affamato urlò per avere altra carne.
Per tutta la notte, ci fu un andirivieni di soldati. Cercai Annibale, ma quella notte non venne. Alla fine, solo tre uomini rimasero ai tavoli. Impiegarono molto tempo con il loro cibo e le bevande, parlando di una grande spedizione in preparazione per Gadir, in Iberia. Non sapevo nulla dell’Iberia, quindi decisi di chiedere a Yzebel più tardi.
Qualche tempo dopo mezzanotte, gli ultimi tre uomini se ne andarono. Yzebel, Jabnet e io iniziammo a pulire i tavoli.
“Bene,”disse Yzebel, “almeno hanno lasciato un po’di cibo per noi stasera.”
Raccogliemmo le monete e i gioielli dai tavoli, poi ci sedemmo per cenare.
“Dov’è Iberia?”Chiesi a Yzebel.
Prima che potesse rispondermi, quattro uomini ubriachi vennero lungo il sentiero, barcollando verso di noi.
“Ha-ha!”Urlò uno di loro. “Guardate là, amici miei. È proprio la Ragazza Elefante.” Mi indicò e rise. “Chiamiamo il potente Obolus, e lei lo farà ballare sui tavoli per l’intrattenimento di stasera.”
Riconobbi l’uomo odioso. Era l’ultima persona che avessi mai voluto vedere.
Capitolo Nove
I quattro soldati barcollarono verso un tavolo e si sedettero sulle panche. Fecero cadere una lampada e l’olio fiammeggiante si sparse rapidamente lungo il tavolo, accendendo un piccolo fuoco e facendoli scoppiare a ridere. Jabnet indietreggiò e anch’io, non sapendo cosa fare.
Yzebel si tolse il grembiule sfilacciato e soffocò le fiamme. Gli uomini la applaudirono per il suo trucco geniale, poi sbattettero le mani sul tavolo per avere del cibo e qualcosa da bere.
Jabnet sostituì la lampada rovesciata e diede loro le ultime tre ciotole di cibo. Quando portai una ciotola vuota sul tavolo perché condividesseroil cibo con il quarto uomo, avevano già inghiottito quella che avrebbe dovuta essere la nostra cena.
“Occhio!”Gridò l’uomo che avevo riconosciuto. “La brutta Ragazza Elefante ci stenderà, come fa con tutte le bestie della foresta.”
I suoi amici trovarono questa osservazione molto spiritosa, e apparentemente anche Jabnet pensò che fosse divertente, perché rise alle mie spalle. Il soldato rumoroso era lo stesso che mi aveva preso in giro quando Obolus mi aveva tirato fuori dal fiume. I suoi piccoli occhi grigi erano troppo vicini a un naso storto e i pochi denti che gli erano rimasti erano storti, spezzati e gialli. I suoi capelli assomigliavano a un groviglio di erbacce secche e mi chiedevo perché non fossero rossi come la sua barba trasandata. Non mi piaceva né lui né i suoi amici e desideravo che non mi chiamasse“Ragazza Elefante.”
Sapevo che sarebbe stato più saggio andare via, invece gli diedi la mia occhiataccia più cattiva. Non fece altro che continuare a ridere di me.
“Uh-oh,” disse uno dei soldati. Le tre dita medie della sua mano sinistra erano state tagliate, lasciando solo il pollice e il mignolo, che usava come se fosse un granchio. “Sta’ attento, Sakul, ti sta facendo il malocchio.”Mi schioccò le sue dita da granchio.
Altre risate. Ero così vicina a Sakul, che il suo cattivo odore mi fece star male. Avrebbe potuto facilmente allungare la mano e tirarmi uno schiaffo oppure stendermi con un pugno, proprio come il grassoneaveva fatto con Tin Tin Ban Sunia. Ma poi anche io avrei potuto colpirlo o graffiargli la faccia, e l’avrei fatto se non avrebbe taciuto. Le mie mani erano serrate così forte che sentivo le unghie tagliarmi i palmi.
“Liada!” Yzebel mi chiamò dal focolare. “Vieni ad aiutarmi.”
Fissai gli occhi viscidi di Sakul, rendendomi conto che erano vuoti e umidi, proprio come il suo cervello stordito.
Dopo essermi allontanata, sentii uno degli uomini dire,“Ti sei salvato per un pelo, Sakul.”
“Affetta quegli ultimi due meloni per loro,”mi disse Yzebel. “E io vedo se riesco a tagliare un altro po’ di carne dalle ossa di questo povero maiale.”
Presi un coltello dal focolare. “Non diamo loro altro vino. Ne hanno avuto abbastanza.”
Jabnet ridacchiò e andò a un altro tavolo, per prendere una brocca di frescovino passito e quattro tazze da dare agli uomini.
Conficcai il mio coltello in un grande melone per aprirlo. Dopo aver estratto e gettato via i semi, ne pugnalai un altro.
“Liada,” disse Yzebel a bassa voce. La guardai. “Credo che quei meloni siano già morti,”continuò, facendomi l’occhiolino.
Sì, avevo fatto un macello. Portai le quattro metà gialle sul tavolo, le tagliai a pezzi chebuttai nello spazio tra gli uomini. Sembrava che si divertissero a essere nutriti come animali, in competizione tra loro per vedere chi riuscisse a fare i rumori più disgustosi. Forse un trogolo per terra sarebbe stato più adeguato viste le loro abitudini alimentari.
“Non è rimasto molto, ragazzi.” Yzebel raccolse i pezzetti di maiale arrosto con le dita e lasciò cadere la carne nelle loro scodelle. “Siete arrivati un po’ tardi per la cena.”
Quando si sporsesul tavolo per prendere una ciotola, Sakul le mise una mano sul fianco. “Il tuo cibo raffinato non è l’unica cosa che sazia l’appetito di un uomo.”
Yzebel si raddrizzò e pensai che tirasse indietro la mano per schiaffeggiarlo, ma si spostò soltanto una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Con mia sorpresa, gli sorrise dolcemente.
“Sakul,” disse Yzebel, “Pensavo che trovassi piacere soltanto nel lanciare il giavellotto e saccheggiare villaggi indifesi?”
Due dei suoi compagni scoppiarono a ridere, e dopo un momento, quello con la mano da granchio ci arrivò e si unì a loro nell’ilarità, agitando la mano deforme come per afferrare le mosche nell’aria.
“Lanciare il giavellotto è divertente,”rispose Sakul, “ma non è il mio unico talento.”
Ciò suscitò borbottii di ammirazione da parte dei suoi commilitoni, poi risate sbuffanti.
Non ci trovai nulla di divertente nella sua osservazione. Guardai Jabnet mentre rideva insieme agli uomini ubriachi, fingendo a quanto pare di capire le battute degli adulti.
“Liada,” disse Yzebel. “Porta a questi begli uomini una pagnotta.”Sorrise ancora una volta a Sakul, poi li lasciò al loro pasto.
Quando lasciai cadere il pane sul loro tavolo, Sakul mi afferrò il polso e lo ruotò, costringendomi a inginocchiarmi. Strinsi i denti e lo fissai, rifiutandomi di piangere.
“Anche una schiava ignorante ne sa abbastanza per tagliare il pane di un uomo,” ringhiò. “Dovrei spezzarti–”
“Basta, Sakul!” Yzebel tornò in fretta al tavolo. “Lasciala andare!”
Sakul si voltò a guardare Yzebel, che lo fissava,standogli vicino. La sua mano destra era nascosta dietro di lui. Dopo un momento, sorrise e lasciò andare il mio polso, spingendomi all’indietro nella terra.
“Conosci Tashid e Glotel?” Gli chiese Yzebel.
Mi alzai e mi strofinai il polso dietro la schiena, poi mi avvicinai a Yzebel.
“Sì,” disse Sakul, “conosco quelle due teste di melone.” Mi tenne sott’occhi. “Sono inutili lanciatori di frecce della seconda truppa.”
“E dove cenano?”
“Ai tavoli di Soja, suppongo.”
“Cosa dà loro Soja da mangiare?” Chiese Yzebel.
“Carne secca di cavallo e pane raffermo.”Sakul guardò la sua ciotola di tenero maialino arrosto. “Lo stesso che ottengono tutti quando vanno ai suoi tavoli da cortile.”
“Ha mai dato loro lo stufato di agnello?”
“No.”
“E da bere?”
“Quel terribile aceto di fichi che lei chiama vino.”
“Sì,”disse Yzebel. “Quei due lanciatori non sono più i benvenuti ai miei tavoli perché litigano spesso, sono cattivi e maleducati. Anche il tuo nome potrebbe essere aggiunto a quell’elenco se mettiun’altra volta le mani sui miei figli o li tratti come schiavi.”
Sakul borbottò qualcosa e bevve un sorso del suo vino.
“Puoi trattarmi come ti pare, ma non toccare i miei figli,” continuò Yzebel, posandomi la mano libera sulla spalla. “Mi hai capito, Sakul?”
Sbatté la sua tazza vuota sul tavolo e prese la pagnotta. “Certo.” Mi consegnò la pagnotta. “Ora, cara piccola Ragazza Elefante, per favore, mi puoi tagliare il pane?”
Il suo tono era un po’troppo dolce, ma presi la pagnotta e mi avviai verso il focolare per andare a prendere un coltello.
Yzebel mi fermò. “Ecco,”mi disse, porgendomi il coltello che aveva tenuto contro la schiena di Sakul.
I suoi occhi si spalancarono alla vista del coltello proveniente da dietro di lui, ma poi rise e batté la mano il tavolo, facendo rimbalzare le ciotole e la lampada sulle assi di legno.
“Yzebel!”Gridò. “Devi unirti a me sul nostro prossimo campo di battaglia. Potremmo passare dei bei momenti insieme.”
“Sì, Sakul. Non appena imparerai a cucinare, io imparerò a uccidere le persone.”
Questo sembrò divertente agli uomini, ma non pensai che lei volesse fare una battuta.
Yzebel tornò al focolare.
Dopo aver affettato il pane, iniziai a pulire i tavoli, stando lontana dagli uomini.
Quando Sakul volle un’altra ciotola, con una brace ardente dal fuoco, guardai Yzebel, che mi annuì. Usai un bastone per prendere un carbone incandescente e metterlo nella ciotola, chiedendomi cosa volesse farne. Portaila ciotola all’estremità del tavolo e la posai, spingendola verso Sakul. Mi fece il suo sorriso da lupo, poi prese la ciotola, slacciò una borsa dalla cintura e tirò fuori una manciata di foglie secche, che sbriciolò nella ciotola sopra la brace ardente mentre i suoi amici guardavano con crescente interesse. Poisi portò la ciotola alle labbra e soffiò delicatamente fino a quando un denso fumo grigio non si diffuse nell’aria. Sakul inspirò profondamente il fumo e chiuse gli occhi. Dopo aver trattenuto il respiro per un momento, aprì gli occhi e passò la ciotola sul tavolo a uno dei suoi amici. L’altro uomo ripeté il rituale, poi il terzo tese la mano per la ciotola.
Sentii l’odore del fumo; puzzava da animale morto. Sentii il mal di stomaco e dovetti scappare. Tornai a pulire i tavoli mentre gli uomini ridacchiavano e ridevano di ogni cosa sciocca che si dicevano.
Sopportaiil balbettare chiassoso degli uomini fino a quando il cibo e il vino non finirono. Alla fine si alzarono dal tavolo e si allontanarono barcollando. Sentii Sakul dire qualcosa riguardo una visita a Lotaz. I suoi tre amici erano entusiasti dell’idea.
Dopo che il suono delle loro voci scomparve lungo il sentiero, Yzebel entrò nella tenda e io raccolsi gli oggetti che i quattro uomini avevano lasciato in cambio della loro cena. Non c’era molto; una piccola moneta d’argento, una catena d’oro con una pietra blu penzolante e tre monete di rame. Li aggiunsi al resto dei guadagni della notte sul primo tavolo.
“Guarda cos’ho,” disse Yzebel quando uscì dalla tenda.
Mi voltai e i miei occhi si spalancarono alla vista. “Hai messo da parte una pagnotta.”
“Sì,”rispose Yzebel con un sorriso. “Proprio come hai fatto tu ieri sera.”
Ci siamo divertiti a mangiare il nostro pane in pace mentre ordinavamo gli oggetti lasciati sui tavoli.
“Cos’era quella roba orribile che Sakul ha bruciato nella sua ciotola?”Chiesi a Yzebel.
“Foglie di canapa. Il fumo rende gli uomini più ubriachi del vino.”
“La cosa mi ha disgustata.”
Jabnet puntò il mento verso di me e disse a Yzebel,“Non è tua figlia.”
Lo fissai, cercando di capire cosa intendesse dire. Poi mi ricordai che Yzebel aveva detto a Sakul di tenere le mani lontane dai suoi figli.
Yzebel corrugò la fronte e studiò il viso di suo figlio per un momento. “È mia se vuole esserlo.” Mi fece l’occhiolino.
Sorrisi e annuii, prendendo un altro morso del mio pane. Jabnet poteva avere l’intera pila di monete e gioielli per quanto mi interessava, Yzebel mi aveva appena dato qualcosa di molto più prezioso.
Finimmo la nostra misera cena, poi il capriccioso Jabnet andò a letto senza nemmeno dare la buonanotte a sua madre.
“Buonanotte, Jabnet,” sussurrò lei mentre raccoglieva una monetina, e poi la lasciava cadere sul tavolo.
“Chi ha lasciato questo?”Chiese, sollevando un pezzo di gioielleria per farmelo vedere.
“Sakul.”
“Davvero?”
“Sì.”
“Avvicina la lampada. Voglio vedere qualcosa.”
Spostai la lampada verso Yzebel e lei fece penzolare la catena d’oro con una piccola pietra blu davanti alla fiamma. Lei sorrise e la spostò lentamente in modo che si frapponesse tra me e la luce tremolante.
“Yzebel!”Esclamai. “Una stella.”
Lei sorrise.
“Una stella perfetta,” dissi contando con il dito. “Con sei punte che si espandono.” Con la luce che la attraversava, la pietra blu pallida divenne di un brillante blu-verde, come l’acqua e il cielo mischiati insieme. “È uno zaffiro stellato, proveniente dal lontano est, le stesse terre da cui provengono le spezie. Questa è una pietra molto preziosa.”
Yzebel mi fissò, ovviamente sorpresa dalle mie parole. Diedi un’occhiata da lei alla pietra e tornai a guardare il gioiello.
“Per tutti i cieli, come fai a saperlo?”Chiese lei, studiando lo zaffiro.
Scrollai le spalle e scossi la testa. “Non ne ho idea. Le parole mi sono uscite di bocca da sole.”
“Una cosa è certa, hai già visto una pietra come questa prima.”
“Sì, ma dove?”
“Conosci la pietra con il suo nome, da dove proviene e sai qualcosa riguardo il suo valore.”
Annuii, ma ero sconcertata. “Quel Sakul dalla testa di bue, non sapeva nemmeno cosa avesse.”
Yzebel sollevò un sopracciglio. “Lo pensi davvero?”
“Dubito che distinguerebbe uno zaffiro dallo zampetto di un maiale. Pensava di lasciarci un gingillo senza valore.”
“Forse ci ha dato il suo oggetto più prezioso.”
Alzai un sopracciglio, facendola ridere.
“Domani,”disse, “andremo da Bostar e vedremo cosa ne pensa.”
“Sì, potrebbe darci venti pagnotte per quello zaffiro.”
“Ah! Se è uno zaffiro stellato come dici tu, potrebbe darci tutta la sua pasticceria. Forni, tavoli, buoi, tende e tutto il resto.”
“Davvero?” Ci pensai su per un attimo. “Poi potremmo cuocere il nostro pane e scambiare il pane con il cotone.”
“Cotone? Perché cotone?”
“Così potremmo trasformarlo in filo.”
“Non so nulla dei filati. E tu?”
“Potrei imparare.”
“Scopriamo quanto vale questa piccola pietra prima di andare a cuocere il pane e filare il cotone,”mi rispose.
* * * * *
Quella notte, aspettai per essere sicura che Yzebel dormisse profondamente prima di andare via.
Quando arrivai alla tenda della ragazza schiava, il cestino di cotone e il suo attrezzo rotante erano spariti. Non sapevo cosa pensarne, nel bene o nel male, qualcosa era successo da quando ero passata con il mio carico di pane prima del tramonto.
Mi ci volle solo un momento per decidere cosa fare. Con la mano sul mio fianco, corsi lungo il sentiero che portava allaCollina Rocciosa e nel bosco. Seguii il sentierosu cui Tin Tin Ban Sunia e io avevamo portato il cestino con i filati, arrivando infine al sentiero che portava alla solitaria capanna dove viveva il grasso uomo peloso.
La luce della luna proiettava ombre nere lungo il sentiero. Corsi dietro uno degli alberi e mi premetti contro il tronco, nascondendomi lì per osservare la capanna. Gli unici suoni che sentii furono un cane che abbaiava da qualche parte in basso nell’accampamento principale e il mio respiro uscirein brevi sbuffi. Nulla si mosse da nessuna parte. Corsi dietro un altro albero più vicino alla porta principale e rimasi perfettamente immobile, ascoltando. Niente, non un suono provenne dall’interno.
Corsi a un lato della capanna e mi avvicinai a una finestra, ma era chiusa. Dopo un momento, mi diressi verso il retro della capanna e trovai un’altra finestra con le persiane aperte. Mi avvicinai al bordo della finestra per sbirciare dentro; era buio pesto. Mi chinai sotto la finestra per guardare dall’altra parte ma non vidi comunque nulla. Mi appiattii contro il muro e ascoltai. Sentii un debole suono come respiro affannoso, ma forse erano solo il mio respiro irregolare e il mio cuore.
Se fossi stato più coraggiosa, sarei scivolata dentro e avrei cercato di trovare Tin Tin Ban Sunia nell’oscurità, ma sarei solo riuscita a farla picchiare di nuovo.
Correndo da un’ombra d’albero alla successiva, raggiunsi il sentiero e tornai al campo con il cuore pesante.
* * * * *
Su Via degli Elefanti, trovai Obolus che sgranocchiava il fieno al chiaro di luna.
“Ciao, Obolus.”
Sembrava non notarmi mentre cercava altro fieno. Il suo essere a mio agio con me nelle vicinanze era un buon segno. E sapevo cosa gli avrebbe fatto piacere.
“Torno subito.”
Guardai su e giù per il sentiero per essere sicura che non ci fosse nessuno in giro, poi attraversai la strada per prendere un enorme melone a strisce verdi. Era così grande che non riuscivo quasi a trasportarlo.
Quando tornai da Obolus, sollevò la proboscide e aprì la bocca, ma il melone era troppo pesante per me perché potessi sollevarlo. Pensai di lasciarlo cadere a terra per aprirlo e dargliene un pezzo alla volta, ma poi avrebbe perso il succo che gli piaceva così tanto. Sollevai il melone, e questa volta l’animale arricciòla sua proboscide sotto il frutto, e insieme glielo abbiamo infilato in bocca. Inclinò la testa all’indietro, schiacciando il melone come un grosso uovo. Dopo averlo finito, mi sfiorò con la sua proboscide, facendomi quasi cadere.
“Obolus,” dissi ridendo. “Faresti meglio a non spingermi così.”
Gli afferrai la zanna con entrambe le mani, tirando più forte che potevo. Alzò la testa, sollevandomi da terra. Urlai ridendo e lui gentilmente mi posò a terra.
“Vorrei potermi arrampicare sulla tua testa e cavalcare sulla tua schiena come fanno i conduttori di elefanti.” Gli diedi una pacca sul lato del viso. “E perché non dormi? È molto tardi, lo sai.”
Quando cercò altro fieno, andai dall’altra parte del suo pagliaio e presi un oggetto simile a un mattone.“Che cos’è questo, Obolus?”
Lo sollevai in modo che potesse vederlo. Era una specie di blocco compresso contenente carote, datteri e olive, insieme ad altre verdure verdi e gialle.
Obolus lasciò cadere il fieno e prese il mattone. Se lo mise in bocca, lo sgranocchiò e deglutì.
“Beh, spero che fosse qualcosa che potresti mangiare.”
Qualunque cosa fosse quel mattone, sembrò soddisfare la sua fame perché si inginocchiò sulle zampe anteriori, abbassò quelle posteriori a terra e rotolò piano su un fianco.
“Vedo che finalmente ti riposerai un pochino.”Afferrai un carico di fieno e lo lasciai cadere a terra vicino al suo petto, l’animale ci arrotolò la proboscide. “No!”La spostai via. “È il mio letto quello che stai cercando di mangiare.”
Sparpagliai il fieno e vi strisciai sopra, posando la testa sulla sua proboscide arrotolata. Emise un grande sospiro e sapevo che presto si sarebbe addormentato. Rotolai su un fianco e chiusi gli occhi.
Qualche tempo dopo quella notte, mi svegliai di soprassalto: qualcuno si era mosso nel fieno accanto a me!
Capitolo Dieci
Rotolai via, pensando che potesse essere Sakul. Sbattei contro la proboscide di Obolus ma poi capii chi era l’altra persona.
“Tin Tin Ban Sunia!”Gridaie mi allungai per abbracciarla. “Ero così preoccupata per te.”
L’elefante alzò la testa per vedere quale fosse il problema.
“Va tutto bene, Obolus.” Gli accarezzai la proboscide. “È la nostra amica Tin Tin Ban Sunia. Vedi, è una ragazza,proprio come me.”
Il grande elefante ci guardò per un momento, poi posò la testa e chiuse gli occhi.
“Fammi vedere la tua faccia.”Girai delicatamente la testa della ragazza. Alla luce della luna, vidiil suo brutto livido viola e l’occhio nero. Il suo labbro spaccato era gonfio e scolorito. “Ucciderò quel vecchio grassone per quello che ha fatto. Perché è così cattivo con te?”
“Tin tinbansunia?”Chiese lei, indicando l’enorme animale che stava dormendo accanto a noi.
“È Obolus, è un mio amico. Mi ha tirato fuori dal fiume, poi mi ha salvato da Ukaron, che ha cercato di soffocarmi. In questo modo.”
Mi misi le mani attorno alla gola, alzai gli occhi e tirai la lingua fuori dal lato mentre scuotevo la testa. Lei rise e mi spostò le mani dalla gola.
“Sei scappata?”Chiesi. “Sai che verrà a cercarti domani mattina.”
Tin Tin sorrise, accarezzando il fieno dove eravamo sedute.
“È il mio letto. Mi piace dormire qui, vicino a Obolus.” Mi distesi sul fieno. “Sdraiati come me, cosìpotremo guardare le stelle.”
Mi distesi per farle vedere come e lei si sdraiò accanto a me.
“Tin tinbansunia,” disse e indicò una stella che sembrava più luminosa delle altre.
“È bellissimo.”
C’erano molte cose che volevo chiederle. Il lato del suo viso doveva farle male, e anche la nuca, nel punto in cui aveva colpito l’albero. E il marchio sul suo viso – come deve aver gridato quando l’ha marchiata. Mi chiedevo da dove venisse e come avesse imparato a creare il filo e quale lingua parlasse. Probabilmente era curiosa riguardo a me, chiedendosi da dove venissi e perché dormissi accanto a un grande elefante.
Cercai di ricordarmi dove fossi solo tre giorni fa, ma ben poco era rimasto nella mia memoria. La mia vita sembrava essere iniziataal fiume, poco prima che Obolus mi salvasse dall’annegamento.
Perché quegli uomini mi hanno gettata nel fiume? Chi erano?
Non riuscivo a ricordare nulla. Ricordavo solo di aver avuto molto caldo e di non aver voluto altro che dormire, poi la forte proboscide di Obolus mi si era avvolta intorno per tirarmi fuori dall’acqua.
“Tin tinbansunia,” dissi
La ragazza ridacchiò e mi si rannicchiò vicino.
* * * * *
Mi svegliai per via della paglia che mi cadeva sul viso. Obolus torreggiava su di me, mangiando dal suo pagliaio prima dell’alba. Mi chiedevo se Tin Tin dormisse ancora, ma se n’era andata.
“Dov’è andata?”Chiesi a Obolus quando mi alzai e mi stiracchiai.
La sua grande proboscidemi si avvicinò e mi si avvolse attorno alla nuca per poggiarsi sulla mia spalla. La accarezzai.
“Immagino che volesse andare via prima che l’uomo grasso si svegliasse e scoprisse che non c’era.”
Sollevai la sua proboscide dalla mia spalla.“Torno subito,” dissi, poi camminai lungo Via degli Elefanti.
Accanto al sentiero, trovai quello che cercavo: più di quei blocchi alimentari. Ce n’era una pila dietro un pagliaio a metà del sentiero. Ne presi due e tornai di corsa da Obolus.
Gli piacevano davvero quei blocchi. Quando finì il secondo, succhiò l’acqua dal suo abbeveratoio e se laversò in bocca.
“Devo andare, Obolus.” Gli diedi una pacca sul lato del viso. “Verrò a vederti più tardi oggi dopo aver terminato il lavoro.”
Emise un suono rimbombante e sollevò un po’ di terra con la zampa. Non ero sicurase volesse dirmiarrivederci oppurese avesse ancora fame.
* * * * *
Tornai alla tenda prima che Yzebel si svegliasse, quindi spazzai via le ceneri dal fuoco della notte precedente per scoprire alcuni carboni ardenti. Vi aggiunsi dei ramoscelli e delle foglie e presto il fuoco divampò. Dopo aver riempito una pentola con l’acqua dalla borraccia, la posizionai sulle pietre del focolare.
Yzebel sembrò sorpresa quando uscì dalla tenda e mi trovò a lavorare al focolare, ma poi sorrise e inspirò profondamente l’aria fresca del mattino.
“Partiamo presto per barattare per leprovviste,”disse Yzebel. “Poi andremo a vedere Bostar per quanto riguarda lo zaffiro.”
“D’accordo.”
Spinsi tre grossi bastoncini di legno sotto la pentola, mi alzai e mi lavai le mani, pronta per partire.
Il sole sorse non appena oltrepassammo la fine di Via degli Elefanti e continuammosul Sentierodelle Ceramiche. Stavamo andando dall’uomo dell’orzo per vedere se avesse del grano duro.
“Sei mai stata nella città di Cartagine?”Chiesi.
“Sì, ma è un posto enorme, con così tante persone che sono sempre di corsa. Ci vado solo se mi serve assolutamente qualcosa che non posso trovare qui.”
Un carretto a due ruote venne verso di noi sullo stretto sentiero. Un vecchio con una tunica laceravi zoppicava accanto. Schioccò la frusta sulla testa del bue. Yzebel e io ci spostammo dal sentiero per lasciarlo passare. Vidi le ceramiche ammucchiate nel carretto. Tutte le ciotole, i vasi e le brocche erano decorate con navi dipinte, soldati ed elefanti. Uno strato di paglia faceva loro da cuscinetto sulla pista accidentata. Aveva infilato altra paglia tra i vari pezzi.
Tornammo sul sentiero per continuare il nostro cammino. “Ti piace vivere nel campo?”Chiesi.
“Sì, mi piace. Qui puoi conoscere le persone e fare amicizia. In una città grande, a nessuno importa degli altri. La loro unica preoccupazione è separarti dai tuoi averi. Se non hai nulla di valore, allora sei inutile per loro.”
Oltre le ceramiche, arrivammo a un conciatore. L’odore del posto era terribile, come l’odore della carne in decomposizione, ma Yzebel si fermò per dire buongiorno. La sua tenda era attaccata al lato di un carro a due ruote, ma le ruote erano a raggi, e non solide come quelle del carro del vecchio con il carico di ceramiche. Una tenda da sole copriva il suo spazio di lavoro e gli faceva ombra, e diverse pelli di capra erano stese tra i pali di supporto affinché si asciugassero. Una pila di spessi pellami di bue giaceva alle sue spalle. Usava un martello di legno e una serie di piccoli pugni di ferro per decorare una corazza di cuoio con una scena di battaglia. Il pettorale giaceva su un blocco di legno rotondo posizionato sulle sue cosce.
L’uomo disse buongiorno e sorrise mentre metteva da parte il suo lavoro. Si alzò in piedi e fui sorpresa di vedere che non era molto più alto di quando stava seduto. Le sue gambe magre si piegarono e dovette alzare lo sguardo per guardarci.
Una donna uscì dalla tenda e prese le mani di Yzebel tra le sue.
Yzebel sorrise alla moglie del conciatore. “Buongiorno, Avani.”
“E questa chi è?”Avani mi indicò.
“Lei è Liada.”
“Liada? Laprigioniera della Rocca di Byrsa?”
Annuii.
“È lì che avevo già sentito quel nome.” Disse Yzebel. “Proviene dalla leggenda della principessa Elissa.” Mi guardò, corrugando la fronte.
“Dove l’hai trovata?” Chiese Avani a Yzebel.
Yzebel si voltò di nuovo verso la donna. “È arrivata ai miei tavoli solo l’altro giorno e ha deciso di restare.”
“Ti sarà di grande aiuto, Yzebel. Hai sempre da fare con tutti quei soldati che vengono ogni notte.”
Yzebel mi mise un braccio attorno alle spalle. “Potrebbe essere,” disse e mi fece l’occhiolino.
Lasciammo il conciatore e sua moglie e oltrepassammo molti altri pellettieri mentre il sentiero percorreva un dolce pendio e attraversava gli alberi di carruba. Le lunghe e sottili foglie degli enormi alberi frusciavano nella brezza mattutina.
“Come si chiama questa collina?”Chiesi.
“Fonte fredda,”mi rispose Yzebel. “A causa della sorgente che scorre da sotto una grande pietra dall’altra parte. L’acqua è sempre gelida, anche nei giorni più caldi.”
In fondo alla collina, arrivammo a un altro sentiero che si chiamavaSentiero dei Tessitori.
“Tutti nel campo prendono la loro acqua fresca dalla sorgente.”
Abbiamo visto molte persone impegnate a realizzare tessuti lungo entrambi i lati di questo nuovo sentiero.
“Dove vanno tutte le ceramiche e le stoffe?”
“Quasi tutto ciò che viene prodotto nel campo va all’esercito,”rispose Yzebel. “Soprattutto, ci sono armi e armature, ma i soldati hanno bisogno anche di altre cose. Abiti, ciotole, cibo, tende e qualsiasi altra cosa ti venga in mente. Ciò che l’esercito non compra va a Cartagine. Poi i mercanti caricano tutte le merci sulle navi per portarle attraverso il mare per barattare per oro, argento, spezie, seta e buoi.”
Il numero di persone che conoscevano Yzebel era incredibile. Parlò con molti di loro lungo ogni sentiero.
Arrivammo in una piazza ombreggiata da alberi nel mezzo del Sentiero dei Tessitori, dove venti donne e ragazze, insieme a un uomo, erano tutte impegnate ai loro telai.
Una donna tesseva su un telaio verticale, mentre due ragazze identiche presero un grande quadrato di materiale da una vasca piena di acqua tinta. Le ragazze attorcigliarono il tessuto tra loro per strizzarlo, poi lo appesero a una corda stesa tra le palme vicine.
Lungo la parte inferiore del telaio della donna, pesanti pietre stringevano le corde verticali mentre lei correva avanti e indietro una spoletta trasversalmente, tirando dentro e fuori il filo intrecciato tra le corde. Una volta completate tre o quattro file, usò un pettine in osso per spingere i fili intrecciati contro le file precedenti.
“Buongiorno, Yzebel.”La tessitrice lasciò oscillare la spoletta. “Non fai colazione con noi?”
“Oh no, Riona. Dobbiamo andare dall’uomo dell’orzo prima che finisca il grano.”
“Vedo che hai un’aiutante oggi.” Riona mi sorrise e sembrò non sentire le parole di Yzebel. “Kazza, Belala,” chiamò le sue figlie. “Portate il latte di quella capra e il burro che avete preparato ieri sera.”
“Sì, Madre,”risposero le ragazze insieme quando finirono di appendere il tessuto rosso-viola per farlo asciugare al sole del primo mattino.
“Questa è Liada,”disse Yzebel. “È–”
“Tu e Liada sedetevi su quel tronco,” disse Riona, prima che Yzebel potesse finire. “Vedo se ci è rimasto del pane di Bostar.” Aprì il lembo della tenda e scomparve al suo interno.
“Guarda,” dissi a Yzebel quando ci sedemmo. Indicai un cestino pieno con grandi gomitoli di lana accanto al telaio della donna. Pensai a Tin Tin con il suo strumento rotante e alla rapidità con cui le sue mani lavoravano.
“Quello è il filo per la stoffa di Riona,”mi spiegò Yzebel.
I gomitoli di lana erano tinti di giallo, marrone e rosso. “Non è bello”, chiesi, “come usa i diversi colori per intrecciare un motivo nel tessuto?”
“Sì. Si chiama armatura. Mi chiedo quanto del tessuto di Riona ci serviràper creare nuovi abiti per noi e una tunica per Jabnet.”
Guardai Yzebel, chiedendomi se avessi sentito bene. Nuovi abiti per noi? Mi piacerebbe tanto avere un vestito fatto con il tessuto di Riona.
Kazza e Belala portarono una brocca di latte e una grande ciotola con del burro. Entrambe le mani delle ragazze erano macchiate di quell’insolito colore rosso-violetto. Quella che trasportava il burro lo porse a sua sorella e corse a prendere un panno spesso da stendere a terra. Sistemarono il latte e il burro sul panno. La madre uscì con il pane e tutte e tre si inginocchiarono per terra, le due sorelle vicino a me, con la madre di fronte a loro. Le ragazze mi guardarono mentre la madre tagliava il pane e vi spalmava uno spesso strato di burro. Sembravano particolarmente interessate al mio braccialetto. Nessuna delle due indossava gioielli.
“Kazza,” disse Riona. “Come facciamo a bere senza tazze?”
La ragazza ridacchiò e si alzò per andare a prendere le ciotole.
“Com’è la vita ai tavoli di Yzebel?” Chiese Riona, porgendomi una fetta di pane imburrata.
“È impegnativagiorno e notte,”rispose Yzebel. “Stiamo andando a prendere carne di capra, orzo, vino… cos’altro ci serve, Liada?”
“Meloni, arachidi e abbiamo quasi finito il sale.”
“Tutti sono a corto di sale,”disse Riona. “Sta diventando molto prezioso.”
“Per favore, Madre, posso chiedere?”
“Che cosa c’è, Kazza?”
“No, non sono Kazza, Madre.” La ragazza alzò gli occhi al cielo. “Sono Belala.”
“Oh, un giorno vi taglierò un orecchio o un naso solo per potervi distinguere l’una dall’altra.”
Non ero sicura che questo fosse divertente, ma quando le ragazze si sciolsero in risatine, risi anche io.
“Va bene, Belala,” disse sua madre. “Fa’ la tua domanda.”
“Dove hai preso il tuo braccialetto?”Chiese lei, cercando di soffocare le sue risate.
“Me l’ha dato Yzebel.”
“Possiamo vederlo?” Chiese Kazza.
Allungai loro il polso mentre prendevo un morso di pane. Girarono il braccialetto per studiarlo da ogni angolazione.
“Elefanti!”Esclamò una di loro.
“Sì,”rispose l’altra. “E guarda qui, in alto. È bellissimo.”
“Hai visto le parole?”Chiese una ragazza all’altra.
“Parole?” Guardò più da vicino. “Sì, mi chiedo cosa dicano le parole.”
“Tutti gli elefanti tornano a Valdacia,” citai senza guardare il braccialetto, “non importa quanto lontano vaghino.”
Yzebel quasi si strozzò con un boccone di pane. Bevve un po’di latte per schiarirsi la gola.
“Come fa a saperlo?”
Prima che potessi rispondere, Riona chiese,“Sei stata nel tempio di Tanit? Ti stanno insegnando a leggere e scrivere parole? Non ho mai sentito parlare di una ragazza che impara le parole.”
“No,” dissi,“è stato–”
Yzebel mi interruppe. “Non si è mai avvicinata al tempio.”Mi guardò. “Non è vero?”
“Oh, Yzebel,” disse Riona, “indovina chi ha visto Belala uscire dal tempio?”
“No, Madre,” disse Belala. “È stata Kazza a vederlo.”
“Allora Kazza. Dov’è il mio coltello per tagliare una di quelle orecchie? Kazza, dì a Yzebel chi hai visto proprio ieri uscire dal tempio di Tanit.”
Kazza alzò gli occhi su Yzebel, poi su sua madre, che annuì, spingendola a parlare.
“Tuo figlio,” disse la ragazza a Yzebel.
“Jabnet?”Chiese Yzebel. “Uscire dal tempio? Ma ieri non avrebbe potuto andarci.”
“No,”la corresse Kazza, “non Jabnet. Tuo figlio maggiore, Tendao.”
Capitolo Undici
Notai che le uniche volte in cui l’atteggiamento positivo di Yzebel si rabbuiavaera alla menzione di suo figlio Tendao. Quando la figlia di Riona disse di averlo visto al tempio, l’espressione di Yzebel passò in pochi battiti di ciglia dalla sorpresa allo sgomento, e infinealla tristezza.
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