Futuro Pericoloso

Futuro Pericoloso
Mª Del Mar Agulló
I progressi della medicina sono riusciti a guarire tutta la popolazione mondiale, trasformando le malattie in semplici ricordi. A causa di queste pratiche mediche, il sistema immunitario della gente è stato indebolito ed è vulnerabile a nuovi virus mortali. Benvenuti nell'era dei virus e degli ologrammi. In futuro, parecchi secoli dopo l'epoca contemporanea, i progressi della medicina permetteranno alla popolazione di non ammalarsi. Tali progressi indeboliranno il nostro sistema immunitario, lasciandolo esposto a una moltitudine di nuovi virus mortali. Carolina e Keysi, due giovani virologhe senza troppe cose in comune, saranno incaricate di lottare contro i nuovi virus, trovando antigeni che li facciano sparire. Allo stesso tempo dovranno scoprire se stesse, mentre lottano contro le difficoltà della loro vita privata. Le due compagne stringeranno un'amicizia che le farà crescere come persone. Tutto si complicherà quando la cura di parecchi di questi virus diventerà un compito impossibile e il pianeta si ritroverà in una situazione critica. Dall'altra parte, Monica, una giovane donna, vedova, con due figli e senza lavoro, dovrà lottare per sopravvivere in una società ultramoderna, dove la tecnologia ha invaso tutto e dove il lavoro scarseggia. La sua vita cambierà drasticamente quando si innamorerà dell'uomo sbagliato. Abbi il coraggio di addentrarti nell'era olografica, un mondo futurista, pieno di tecnologia e dove l'umanità dovrà affrontare varie sfide, inclusa una sua possibile estinzione. Riusciranno le due giovani virologhe a trovare un antigene che salvi il mondo? Ce la farà Monica a mantenere la sua famiglia?

Mª del Mar Agulló
Futuro Pericoloso

FUTURO PERICOLOSO
Mª del Mar Agulló
Titolo originale: Peligroso futuro
© Mª del Mar Agulló, 2019
Traduttore: Aliki Zanessis (https://www.traduzionelibri.it/profilo_pubblico.asp?GUID=e16763a52e9972205097c643e9e776a2&caller=traduzioni)
Illustrazione di copertina: mores345
Disegno di copertina: © Mª del Mar Agulló
Prima edizione
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Per Xena


1. L’ordine partendo dal caos
In un laboratorio lavorava Carolina, una ragazza venticinquenne di Maiorca, che stava anche preparando una tesi di biologia. Studiava virus che colpivano gli umani in maniera mortale. Cercava possibili antigeni e poi, quando pensava che fossero pronti, li provava con “le provette umane”.
Le provette umane erano persone che di professione permettevano l’utilizzo del loro corpo per esperimenti clinici. Prima veniva iniettato loro il virus e poi l’antigene. Venivano sottoposti a molteplici prove prima, durante e dopo il processo. Chiunque poteva essere una provetta umana (ProHu), l’unica condizione era essere maggiorenne e non avere nessuna malattia mentale che danneggiasse la capacità decisionale. I laboratori li pagavano abbastanza bene. Anche se all’inizio la società era contraria, col tempo diventarono popolari. In quel periodo esistevano liste d’attesa.
Le provette umane esistevano per legge da duecento anni, da quando il governo della Finlandia legalizzò questi esperimenti con umani. Poi si aggiunsero altri paesi, finché la maggior parte si unì a questa decisione. Prima di essere permessa per legge, questa pratica era illegale e punita con il carcere per i lavoratori dei laboratori.
Molte persone morivano negli esperimenti. Alcune perché gli antigeni non funzionavano, altre a causa di infezioni. In caso di morte, la famiglia riceveva una quantità consistente di denaro per vari anni a secondo del contratto firmato. C’erano persone che non morivano, ma finivano per avere delle complicazioni, come paralisi facciale, perdita della vista, improvviso aumento di peso. Molte di queste complicazioni erano curabili, altre no. C’erano anche persone che presentavano mutazioni nel loro aspetto fisico: ad alcune venivano fuori macchie su tutto il corpo, altre presentavano cambiamenti del colore dei capelli, del colore degli occhi, dell’altezza, eccetera.
A quel tempo i virus letali si erano moltiplicati in modo esponenziale, cosa che rendeva indispensabile il lavoro di Carolina e dei suoi compagni.
***
Keysi era la tipica ragazza britannica dagli occhi blu e dai capelli biondi. Viveva in Spagna da tre anni, da quando aveva conosciuto a Londra il suo fidanzato attuale, un giovane studente spagnolo in Erasmus della sua stessa età. Keysi aveva lavorato nei laboratori di Inghilterra, Germania e adesso Spagna. I suoi genitori erano tedeschi e i suoi nonni inglesi, quindi non aveva problemi con le lingue.
Keysi era collega di laboratorio di Carolina da due anni. Erano coetanee e tra di loro si comportavano cordialmente. A Keysi piaceva lavorare in silenzio senza che nessuno la disturbasse, al massimo tollerava la musica classica. Invece Carolina parlava senza sosta, cosa che all’inizio infastidiva la ragazza britannica. Dopo i primi giorni in cui lavoravano insieme, Keysi disse a Carolina che non poteva concentrarsi se non la smetteva di raccontarle la sua vita. Da quel giorno si limitavano a scambiarsi i saluti giornalieri.
Il lavoro di Keysi nel laboratorio era lo stesso di quello della sua collega: cercare antigeni. A differenza di Carolina, lei sentiva il bisogno di trovare più di un antigene, non sopportava l’idea che ci fosse gente che sarebbe potuta morire per un suo errore. Durante le prove aveva già perso due provette umane; Carolina ne aveva perse tre.
– Buongiorno, signorine – disse un uomo di quasi due metri e dai capelli fitti, entrando dalla porta della Sala 4, la stanza dove lavoravano sempre le due virologhe.
– Buongiorno, signor Norberto – rispose Keysi.
– Vi porto cinque nuovi virus, abbiatene molta cura mentre li elaborate, è stato molto difficile trovarli per gli addetti alla raccolta dei virus. Il primo – Norberto sollevò un flaconcino che conteneva una sostanza verdognola – è un virus che abbiamo raccolto in India. Si calcola che lì abbia colpito trecentomila persone, delle quali sessantamila sono morte. Ha un livello due di priorità e nelle prossime settimane potrebbe passare al livello uno, se si estende ad altri paesi. Domande? – Norberto guardò Keysi e Carolina, che si guardarono —. Quest’altro – Norberto sollevò un flacone di forma sferica che conteneva una sostanza simile a sabbia rossa – è un virus che abbiamo trovato sul confine tra la Cina e la Mongolia. Lì l’hanno soprannominato “la sabbia volante” per le tempeste subite negli ultimi mesi, durante le quali questo virus – Norberto indicò la sfera – volava a causa del vento. Non si sa il numero di persone colpite, ha un livello cinque di priorità ed è molto pericoloso al contatto con l’acqua. Quest’altro – Norberto prese un flacone che conteneva una sostanza simile alla plastilina di colore blu marino – è un gran mistero. L’ha trovato la signorina González – la signorina González era la figlia di Norberto e la migliore del reparto della raccolta dei virus – sulle coste australiane mentre era in vacanza. Ha cominciato a uccidere molti animali marini che comparivano sulla costa. Successivamente il virus ha colpito le persone.
– Com’è passato dagli animali alle persone? – chiese Keysi.
– Per contatto diretto. La prima persona colpita, il paziente zero, è stata una delle persone che hanno trasportato i corpi senza vita degli animali.
– Come sappiamo che è stato quello il paziente zero? Le altre persone che hanno ritirato gli animali dalla spiaggia non sono state contagiate? – chiese Carolina.
– No, non sono state contagiate. Tutte le altre persone sono state analizzate e tutte erano e continuano a essere sane. Le persone successivamente colpite dal virus sono state due donne che si sono prese cura del nostro paziente zero in ospedale.
– Cos’è successo con il paziente zero?
– È morto dopo tre giorni dall’infezione, come anche le due donne e altre venti persone.
– Quando è successo tutto questo? Perché non si è detto niente alla televisione? – chiese Carolina.
– Carolina, scopriamo nuovi virus letali ogni giorno. Non possono dare notizie su tutti, il caos regnerebbe in ogni luogo dove comparisse un nuovo virus. Immagina cosa succederebbe in Australia se dicessero che c’è un virus che può farti fuori in tre giorni e che non è curabile. O in India, dove si è generato questo virus e dove sono morte sessantamila persone solo a causa sua. Il nostro lavoro è vincere la guerra contro questo male, che al giorno d’oggi è la prima causa di morte mondiale. Quando scoprirono la cura per il cancro, per l’Alzheimer e per tutte quelle malattie che ora fanno parte della storia, il nostro organismo divenne più forte, ma anche più debole, ed è di questa debolezza che si approfittano questi virus. – Norberto si avvicinò alla finestra e guardò fuori con nostalgia. Il suo bisnonno divenne famoso per aver scoperto un vaccino contro qualsiasi tipo di cancro. Per questa ragione lui diventò biologo. Così per vari decenni la gente smise di morire a causa di malattie. Però un giorno, a casa sua a Parigi, una donna iniziò a sentirsi male. Dopo tre ore morì a causa di un virus. Da allora i virus si moltiplicarono e ogni giorno si aprivano nuovi laboratori che studiavano questi virus in cerca di una cura. – Questo virus ha un livello tre di priorità. Se il numero di vittime aumenta, salirà al livello due. – Norberto indicò un flaconcino ovale che conteneva una sostanza di un colore giallo verdastro. Questo qui è un virus trovato qui, in Spagna, nel comune di Soria per l’esattezza. È stato rilevato ieri sera e una delle nostre squadre si è recata sul posto per raccoglierne dei campioni. Ha colpito due persone, una coppia di anziani. La donna è morta poche ore dopo il contagio avvenuto tra le due e le sei ore prima. Il marito è ancora vivo. Questo virus ha un livello nove di priorità. E infine abbiamo quest’altro virus – Norberto prese un flacone cilindrico che conteneva un liquido blu chiaro – che proviene da una fredda montagna della Norvegia. È stato trovato per caso: un alpinista stava camminando su per la montagna, quando iniziò a sentirsi male e a sanguinare dalla bocca. Corse finché poté, fino ad arrivare a un rifugio di alpinisti, dove, già incosciente, lo portarono a un ospedale. L’alpinista arrivò in ospedale in arresto cardiaco. Per fortuna poterono rianimarlo ed è ancora vivo. Tutti gli alpinisti del rifugio iniziarono ad avere gli stessi sintomi alcuni minuti dopo, come anche quelli che in quel momento si trovavano all’ospedale. Dopo diverse ore l’ospedale fu messo in quarantena e lo è tuttora.
– Mio Dio! Quante persone infette ci sono adesso? – chiese Keysi, che era rimasta a bocca aperta.
– Circa cinquecento persone fino a stamattina, forse adesso saranno mille. È molto contagioso e la cosa peggiore è che non sappiamo come avviene il contagio.
– Quando è successo tutto questo? – chiese Carolina.
– Ieri sera. Si saprà durante il telegiornale del mezzogiorno. Ha un livello due di priorità. Ragazze, al lavoro!
– Aspetta, perché abbiamo un campione di questo virus così presto? – chiese Carolina.
– Ce l’hanno mandato da un laboratorio norvegese. Secondo loro siamo i migliori.
Il laboratorio di Norberto, “Il faro della luce”, era prestigioso a livello internazionale. Per lavorare lì dovevi prima superare una serie di esami di teoria e di pratica molto severi.
La ricerca di antigeni aveva una lista di priorità da nove a uno, dove uno era il massimo livello. Inizialmente la priorità veniva stabilita a seconda del numero di vittime mortali, poi a seconda del numero di persone infette, finché alla fine ogni laboratorio sceglieva la priorità a seconda del proprio sistema. Il laboratorio di Norberto sceglieva la priorità per trovare un antigene basandosi su calcoli che prevedevano il numero di persone infette e di vittime mortali che ci sarebbero state nei giorni successivi.
Keysi annotava tutto quello che diceva Norberto su un taccuino, che poi condivideva con Carolina. La ragazza inglese aveva una memoria eidetica, quindi non aveva bisogno di prendere appunti mentre Norberto parlava.
Quel giorno sarebbe stato duro. Avevano portato loro cinque virus. Per scoprire gli antigeni potevano metterci ore, giorni, settimane o mesi. Ogni secondo era importante. Da persone come loro dipendeva la differenza tra vivere e morire.
Keysi continuò subito con il virus sul quale stava lavorando prima che arrivasse Norberto. Aveva un livello due di priorità e lei stava per trovare l’antigene.
– Credo di averlo trovato – disse Keysi.
– Cosa? – chiese Carolina, immersa nei suoi pensieri.
– L’antigene per il virus di Cancún. Lo manderò a Norberto perché lo provi lui, noi abbiamo già abbastanza lavoro.
– Non cercherai altri possibili antigeni? – Keysi cercava sempre diversi antigeni.
– Carolina, sono nervosa. Molte persone stanno morendo, dobbiamo affrettarci.
– Keysi, calmati. Così non sei d’aiuto. Se vuoi, puoi prenderti il giorno libero.
– Prendermi il giorno libero? Con questo caos? – chiese la ragazza inglese perdendo la pazienza.
– In questo caso, vai al bar, prenditi un caffè, rilassati, se vuoi chiama il tuo fidanzato – Keysi storse il naso – e poi, quando starai meglio, torna.
– Va bene, chiamerò Clara. – Clara era la segretaria di Norberto che faceva le veci del fattorino.
La segretaria di Norberto entrò nella sala dopo pochi minuti.
– Clara, porta questo antigene a Norberto. Digli che è pronto per essere provato e che è quello di Cancún.
– Clara, di’ a Norberto anche che mi piacerebbe avere una copia dei rapporti dell’ospedale dell’alpinista norvegese e del caso zero australiano – disse Carolina.
Keysi seguì il consiglio di Carolina e andò alla sala dedicata al relax, ma non avrebbe chiamato il suo fidanzato con il quale aveva litigato, forse per l’ultima volta.
Keysi tornò alla stanza dove lavorava, la Sala 4. Carolina aveva già iniziato a lavorare sul virus indiano.
La ragazza inglese rimase lì, in piedi, con la porta aperta, guardando la sua collega. Questa si girò e la guardò senza capire niente. Allora la ragazza inglese si mise a piangere e subito Carolina corse ad abbracciarla.
– Cosa succede, Keysi?
– Il mio fidanzato mi ha lasciato.
Carolina aveva visto il fidanzato della sua collega un paio di volte, durante le feste di Natale e a un altro evento organizzato dal laboratorio. Le sembrava un ragazzo molto attraente, ma un po’ antipatico.
– Forse non era il ragazzo migliore per te.
– Carolina, so che non lo era, però questo non facilita le cose. Ho lasciato tutta la mia vita in Inghilterra per lui, ho imparato lo spagnolo e sono venuta a vivere a Maiorca con lui.
– Non si può risolvere?
– Non si può risolvere? – ripeté Keysi —. Non voglio risolverlo.
– Pensavo che tutto andasse bene tra di voi.
– Andava bene, finché l’anno scorso rimasi incinta.
– Non ne sapevo niente – Carolina era sorpresa.
– Neanch’io, finché fu troppo tardi. Un giorno il mio fidanzato si svegliò a mezzanotte perché voleva un bicchiere d’acqua. Il letto era pieno di sangue. A quanto pare, stavo sanguinando perché qualcosa non funzionava dentro di me. Stavo abortendo e non sapevo neanche che fossi incinta. Lo ero da due mesi. Successe tutto molto in fretta. Nei giorni successivi ero triste, ma tutto continuava come al solito. – Keysi fece una pausa —. Dovremmo continuare.
– Certo – rispose Carolina.
Quella era stata la conversazione più intima che le due colleghe avessero mai avuto, e anche la più lunga. Continuarono a lavorare. Keysi adorava Richard Wagner, così Carolina si avvicinò al computer e avviò una playlist di Wagner senza dire niente.
Decisero che ognuna avrebbe creato un antigene per i cinque virus, condividendo i dati per accelerare il processo.

2. Sono una sopravvissuta
Erano le dieci del mattino. Monica aveva lasciato a scuola suo figlio minore, Samuel. Quel giorno era entrato in classe più tardi perché aveva un controllo medico. Samuel era nato come tutti gli altri bambini, ma qualcosa era cambiato quando aveva due mesi. Samuel stava rimanendo cieco, anche il nonno di Monica era cieco. Grazie ai progressi della medicina, un semplice intervento bastava per fermare la cecità e recuperare la vista perduta. Ogni sei mesi Samuel doveva andare a controllare che la sua vista fosse perfetta.
Monica camminava pensierosa verso casa sua. Era disoccupata, anche se, essendo vedova, riscuoteva una pensione. Doveva far fronte all’affitto della casa bifamiliare dove viveva con i suoi due figli, Samuel e Oscar. Doveva far fronte anche alle bollette mensili, all’abbigliamento sportivo per le lezioni di karatè di Samuel e a tutte le spese in generale. Suo marito era morto per un attacco cardiaco, quando hanno diagnosticato la cecità precoce a Samuel. Sfortunatamente non c’era una cura per tutto.
Colui che era stato suo marito era il padre di Samuel. Il padre di Oscar era un vecchio fidanzato delle superiori che non sopportava. Chiedergli un aiuto economico era l’ultima cosa che pensava di fare.
Per Samuel, che aveva quattro anni, suo fratello maggiore era come un padre. A quest’ultimo mancavano alcuni giorni per diventare maggiorenne.
Prima di arrivare a casa, incrociò una delle sue vicine. Si era comprata una macchina nuova molto costosa, che da sempre era l’ossessione di suo marito.
– Ciao, vicina.
– Ciao, Maribel.
– Ti vedo triste. Tutto bene con il controllo di Samuel?
– Tutto bene, grazie.
– Hai visto la macchina che mi sono comprata? – disse abbozzando un gran sorriso —. Non pensare che io abbia vinto la lotteria o qualcosa del genere. Questa ce la siamo procurata lavorando.
I vicini di Monica avevano una macelleria, che non stava attraversando il suo momento migliore. Monica dubitava che questa attività potesse portare grossi guadagni.
– Non pensare neanche che abbiamo rapinato una banca. Come ti ho detto, ce la siamo procurata lavorando. Se ti va, oggi pomeriggio possiamo portare te e i bambini a fare un giro. – Dopo aver detto questo, le fece l’occhiolino, salì sul suo veicolo nuovo fiammante e se ne andò.
Un’altra delle sue vicine uscì da casa sua per incontrare Monica di proposito.
– Hai visto la macchina di Maribel?
– Sì, Rocío, l’ho vista – Monica era stanca e voleva rientrare in casa.
– Ma sai come se la sono procurata? L’hai saputo?
– Mi ha detto che se la sono procurata lavorando.
– Lavorando? Io non lo definirei così. È andata in uno di quei posti dove ti iniettano un virus e poi ti iniettano l’antivirus. Se guarisci, diventi ricco sfondato, altrimenti, be’…
– Vuoi dire che hanno lavorato come ProHu?
– Ma non è lavorare, è avere fortuna. Vai a sapere quanto li avranno pagati.
– Rocío, è un lavoro, e per giunta molto pericoloso, ma allo stesso tempo necessario. Bisogna essere molto coraggiosi per lasciarsi iniettare un virus letale senza sapere se si sopravvivrà.
Dopo aver detto questo, entrò in casa senza ascoltare la sua vicina che le stava ancora parlando.
Le sue due vicine, Maribel e Rocío, si assomigliavano molto. Facevano a gara su tutto, volevano essere le prime a venire a sapere tutto. Tutti i vicini fuggivano da loro appena le vedevano avvicinarsi. Secondo Monica le sue due vicine pettegole erano insopportabili.
Subito dopo aver chiuso la porta suonarono il campanello. Monica aprì la porta, uscendo sul piccolo balcone della casa bifamiliare. Un uomo piuttosto basso, con pochi capelli e occhiali aspettava sulla porta.
– Ciao, Monica – la salutò l’uomo.
– Ciao, Ignacio.
– Tutto bene con Samuel?
– Sì, tutto perfetto – rispose Monica che pensava che i suoi vicini non l’avrebbero lasciata tranquilla un attimo.
– Mi fa piacere. – L’uomo si tolse gli occhiali e li pulì —. Ho visto che entravi e ne ho approfittato per venire a chiederti se hai già i soldi dell’affitto.
– Ignacio…
– Mi devi due mesi senza considerare quello in corso. Sono buono con te perché hai due figli a cui badare da sola, però anch’io devo mangiare.
Monica guardò istintivamente la pancia sporgente di Ignacio e senza sapere perché si mise a ridere. Ignacio la guardava arrabbiato.
– Mi dispiace, ma temo che la mia pensione da vedova non sia sufficiente.
– Be’, dovrai guardarti intorno per un altro posto…
Monica sbatté la porta senza lasciare finire di parlare Ignacio. Monica sapeva che le minacce di Ignacio non erano vere. L’anno precedente gli doveva sei mesi e non la cacciò via. Monica era una donna di trentaquattro anni abbastanza attraente, anche agli occhi di Ignacio. Lui ci aveva provato con lei da quando si trasferirono un paio di anni prima, dopo la morte di suo marito.
Ignacio era un suo vicino, ma era anche il proprietario di tutto l’isolato. Lo comprò subito dopo aver vinto la lotteria, in un periodo in cui le case bifamiliari andavano per la maggiore. Lui viveva in una di queste, invece le altre le affittava. Diversi vicini avevano provato a comprarle, ma lui si rifiutava dichiarando che così guadagnava più soldi.
Ignacio viveva da solo. Tutti i vicini pagavano puntuali, tranne Monica. Per questo, sentendo che anche lui doveva mangiare, si mise a ridere. Sapeva che non aveva nessun bisogno di denaro, l’esatto contrario di lei.
Monica si sedette alla sua scrivania e si mise a fare i conti. Neanche quel mese avrebbe potuto pagare l’affitto a Ignacio, era impossibile. Riguardò le offerte di lavoro su varie pagine web. Non c’era nessun posto dove avrebbe potuto lavorare: un’offerta molto ben pagata come ingegnere informatico, un’offerta per fare l’autista personale di un VIP, in un’altra offerta si cercava un avvocato, e così tutte le altre a seguire. Monica aveva iniziato a studiare architettura, ma dopo i primi due anni aveva abbandonato gli studi. Poi aveva frequentato vari corsi di design per interni ed esterni, dopodiché aveva lavorato come assistente di architetti, arredatrice e altri lavori simili. Aveva anche fatto la giornalista freelance per diversi mezzi di comunicazione.
Monica si alzò dalla scrivania e si diresse verso la finestra con una tazzina di caffè nella mano sinistra, la mano che usava di preferenza essendo mancina. Avrebbe chiamato per avere informazioni sull’annuncio per l’autista. Per iniziare poteva accettarla. La parte negativa era l’orario, avrebbe dovuto assumere una tata che restasse con Samuel al mattino e lo portasse a scuola.
A mezzogiorno Oscar e Monica mangiarono in silenzio dei maccheroni riscaldati, con il suono della televisione in sottofondo. Lei aveva una faccia seria.
– Mamma, cosa succede?
– Abbiamo problemi di soldi.
Oscar sorrise.
– Come sempre.
– Ti sembra divertente?
– No, mamma, ma non stiamo poi così male.
– Non posso pagare l’affitto, né le bollette…
– Mamma, smettila. Con la pensione da vedova e la pensione da orfano possiamo pagare tutto, se riduciamo alcune delle nostre spese.
– Hai ragione, possiamo pagare tutto tranne l’affitto, e con quello siamo in arretrato già da diversi mesi.
– Puoi chiedere aiuto ai nonni.
– Non chiederò aiuto a nessuno.
– Non essere superba, mamma. E a proposito di papà?
– Cosa?
– Sai, mio padre.
– Faccio come se non avessi sentito.
– Ma dovrebbe pagarti qualcosa.
– Preferisco non dovergli chiedere niente.
– Puoi sempre uscire con Ignacio.
Entrambi risero.
– Penso di rispondere a un annuncio di lavoro da autista abbastanza ben pagato.
– Autista? Tu? – Oscar rise.
– Non guido così male.
– E che ne dici di questo? Potrei farlo? – Oscar indicò un opuscolo, sopra il tavolo, di un laboratorio che aveva urgentemente bisogno di ProHu.
– Neanche per sogno, tantomeno quando c’è scritto “urgentemente”. Questo significa che hanno qualche virus molto pericoloso e hanno varie possibili cure. Tu non diventerai un esperimento da laboratorio.
– Dopodomani compirò diciotto anni. Allora non potrai impedirmelo.
– I miei figli non saranno ProHu.
– Pensavo che tu difendessi i ProHu.
– Li difendo, ma è molto pericoloso.
– La maggior parte sopravvive.
– Così dicono, non mostrano mai delle prove.
– Mamma, abbiamo bisogno di soldi. Lasciami parlare con mio padre.
– Ci penserò.
Oscar non conosceva suo padre, l’aveva visto solo in vecchie foto quando era un adolescente. Se lo avesse incrociato per strada, non se ne sarebbe nemmeno accorto. Nelle foto che aveva visto, notava una gran somiglianza con se stesso: entrambi di carnagione scura, con gli occhi scuri e un fascino indiscutibile.
A suo tempo il padre del figlio maggiore era stato il grande amore di Monica, ma tutto cambiò dopo che se ne andò con un’altra giovane donna. E anche se il padre di Oscar aveva tentato di vederlo quando era neonato, Monica si era sempre rifiutata.
Più tardi Samuel stava giocando in casa con suo fratello. Era mercoledì, quel giorno era la volta della caccia al tesoro. Dopo che Samuel e Oscar avevano fatto i rispettivi compiti, uno dei due fratelli nascondeva un oggetto e l’altro doveva trovarlo. Chi lo trovava per primo vinceva. Quasi sempre lo trovava prima Oscar, ma fingeva di non rendersene conto per lasciar vincere il fratellino.
Quel giorno Samuel cercava nell’armadio di Monica, che era uscita per fare acquisti. Samuel guardò nei cassetti della parte di sotto senza molto successo. Poi prese una sedia per provare ad arrivare alla parte alta dell’armadio, ma tirando un foulard di Monica che era lì, tirò involontariamente una scatola di cartone. Oscar, che era al piano di sotto, salì correndo appena sentì il rumore, pensando che suo fratello fosse caduto.
– Samuel, stai bene? – gridò Oscar, mentre saliva le scale.
– Sì, sto bene.
Oscar entrò nella camera di sua madre. Samuel era seduto a guardare dei fogli, tra i quali c’erano delle fotografie.
– Chi è questo signore? – chiese Samuel.
– È mio padre.
Oscar non voleva intromettersi nell’intimità di sua madre. Così iniziò a raccogliere i fogli e le fotografie e ordinò a Samuel di continuare a cercare in un’altra stanza. All’improvviso il suo cuore accelerò. C’era una foto di sua madre incinta con suo padre. Dietro la foto c’era il nome completo di suo padre, anche lui si chiamava Oscar. Ma in quella scatola c’era molto di più. Chiuse la porta e si mise a guardare tutto. C’erano lettere indirizzate a sua madre da suo padre, dediche, poesie. Quella scatola respirava amore. Trovò un numero di telefono, immaginò che fosse di suo padre. Ma ciò che trovò nel fondo della scatola fu la cosa peggiore per Oscar. C’erano vari giocattoli e figurine, oltre a varie lettere ancora chiuse. Aprì una delle lettere, era indirizzata a lui, tutti i giocattoli erano per lui, regalo di suo padre. Inoltre c’erano foto più recenti. Oscar pianse per tutto quello che si era perso. Prese le lettere indirizzate a lui e mise il resto nella scatola. Quando uscì dalla camera, sorrise e continuò come se niente fosse.
– Samuel, non dire a mamma che abbiamo visto la scatola.
– Perché?
– Perché si arrabbierebbe.
Ore dopo Monica rientrò. Oscar si comportava come se niente fosse. Tutto sembrava normale.
Di notte lesse ogni lettera e con ogni lettera pianse sempre più afflitto, cercando di non far rumore.
Il pomeriggio del giorno successivo Oscar teneva in una mano l’opuscolo del laboratorio e nell’altra il cellulare con il numero di suo padre composto. Decise di chiamarlo. Uscì in strada con il cellulare che squillava. Tre squilli. Quattro squilli. Prima del quinto squillo risposero. Si sentì una voce maschile, calda e tranquilla, come se fosse di una persona della sua stessa età. Oscar si paralizzò. E se avesse avuto altri fratelli?
– Pronto? – ripeté la voce all’altro lato della linea telefonica.
Oscar riattaccò ed entrò in casa. Sua madre lo guardò.
– Qualcosa non va?
– No, niente.
– Non sai mentire. Dai, dimmi, che succede?
– È che ho un compito di Scienze per cui sto facendo fatica.
– Dev’essere difficile perché tu faccia fatica.
Oscar sorrise. Aveva un coefficiente intellettuale alto, prendeva sempre voti alti.
Per cena mangiarono una ricetta della nonna di Samuel e Oscar.
– È molto buono, mamma – disse Samuel.
– Grazie – disse Monica meravigliata.
– Mamma, raccontaci la storia di come hai conosciuto il papà di Oscar.
Monica guardò in direzione di Oscar, lui arrossì.
– Quella di mio papà la sappiamo già, ce l’hai raccontata molte volte – continuò Samuel, dando enfasi a “molte”.
– D’accordo, quando finiamo di cenare, ve la racconto.

3. Quello che succede a Maiorca resta a Maiorca
Era mezzanotte, e anche se Carolina se n’era andata ore prima, Keysi continuava a lavorare come se fosse ancora pomeriggio. Nella stanza si sentiva la musica di Wagner. Mentre nella stanza suonava l’ouverture de L’Olandese Volante, Keysi credette di aver trovato un antigene per il virus indiano. Ci aveva messo cinque giorni. La sua collega non aveva ancora raggiunto nessun risultato definitivo. Keysi osservava nel suo microscopio come il suo virus colpiva l’altro, distruggendolo del tutto. Prese il telefono e chiamò Norberto.
– Ce l’ho – disse la virologa appena rispose al telefono.
– Chi sei?
– Sono Keysi.
– Keysi, hai idea di che ora è? – la voce di Norberto sembrava lontana.
– Mi dispiace molto, spero di non averti svegliato.
– Sì, Keysi, stavo dormendo, ma, dimmi, cosa hai?
– L’antigene per il virus indiano, è pronto affinché un ProHu lo provi.
– Mio Dio, parli sul serio?
– Assolutamente sì.
– Bene. Chiamerò Clara, anche se starà dormendo, così domani mattina presto lo proviamo.
– Domani? È troppo tardi. E se lo provassi io con me stessa?
– Cosa? Keysi, neanche per sogno, te lo proibisco.
– D’accordo, aspetterò.
Nel tempo trascorso da quando Keysi iniziò a esaminare il virus, il numero dei morti salì fino ai settantamila circa, anche se si prevedeva che potevano essercene all’incirca ventimila senza bisogno di contarli. In India regnava il caos. A causa di questo virus tutte le frontiere erano state chiuse. Migliaia di turisti erano rimasti bloccati nel paese aspettando che qualche laboratorio trovasse una cura. Era la solita procedura quando un virus diventava incontrollabile.
Keysi tornò a casa esausta. Incrociò dei turisti inglesi, evidentemente ubriachi, che camminavano mezzi addormentati. Appena entrò in casa, accese la TV e preparò qualcosa da mangiare. Non toccava cibo da circa dodici ore. Cambiò canale per vedere il telegiornale. Keysi restò a bocca aperta. Stavano preparando una nuova legge a livello mondiale, per cui avrebbero dovuto informare la gente su tutti i virus attivi, con ogni dettaglio. Keysi pensò alle parole di Norberto della settimana precedente. Se si fosse venuto a sapere di tutti i virus, laddove ce ne fosse stato uno la gente sarebbe impazzita, avrebbe svuotato i supermercati e si sarebbe trincerata in casa finché il virus fosse sparito.
Keysi si avvicinò al Centro di Controllo della casa, un sistema che controllava praticamente tutte le funzioni della casa, e lo collegò al suo cellulare. Dal cellulare premette “Riempire vasca da bagno”, poi premette le opzioni “Acqua calda” e “Bolle di sapone”.
Quando entrò nella camera da letto per prendere dei vestiti puliti, vi trovò il suo ex fidanzato che stava dormendo. Aprì l’armadio senza far rumore e prese dei vestiti. Doveva trovare un’altra casa, la situazione era sempre più scomoda. Tutte le case che Keysi aveva visto erano vecchie, prive di Centri di Controllo.
Alle sette del mattino successivo, Keysi, dopo aver dormito appena qualche ora, entrò dalla porta dell’ufficio di Norberto.
– L’hai provato? – gli chiese disperata.
– Buongiorno anche a te – Norberto stava guardando dei fogli sulla sua scrivania.
Keysi rimase in piedi a osservarlo.
– Sì – disse dopo aver firmato un foglio —, l’ho provato.
– Prime conclusioni?
– È un successo, per ora – disse cautamente —. Pensavo che Carolina e tu creaste un antigene per ogni virus prima di consegnarmelo – Norberto sollevò la testa per guardare la ragazza inglese.
– Lo so. Vedi, quando Carolina se ne andò, stavo finendo di creare il mio antigene. Così le chiesi se le desse fastidio che te lo consegnassi e mi disse di no.
– Bene, hai fatto un buon lavoro, Keysi. Abbiamo già un antigene, ne mancano quattro, a meno che ci portino più virus. Hai visto cos’è successo a Taiwan?
– No.
– Si è incendiato un laboratorio nel quale si esaminavano virus come questo. L’intera isola è in quarantena. Immagino che si risolverà subito. La cosa che mi dà più fastidio è che la gente sta cominciando a odiare le isole in cui ci sono dei laboratori. Sai che all’inizio permettevano di installare laboratori solo su isole per paura che succedesse qualcosa come l’incendio a Taiwan e che ci fosse un’epidemia virale? È assurdo. È arrivata Carolina?
– Non ancora.
Allora si sentì un rumore di tacchi che si avvicinavano, seguito da un profumo femminile di alta gamma. Dalla porta dell’ufficio entrò una donna scultorea, bruna, alta e magra.
– Buongiorno, Titania.
– Buongiorno, papà.
– Cosa mi porti oggi? Spero che non sia un altro virus.
– Sono passata solo a salutare – Titania sorrise – e a farti vedere questo – Titania mise sul tavolo i fogli che teneva, Keysi e Norberto si avvicinarono e guardarono con attenzione —. È una nuova macchina che rileva la presenza di un virus a distanza di chilometri. Mi hanno chiesto di provarla a Taiwan.
– A Taiwan? Non si può andare a Taiwan, è in quarantena.
– Me l’hanno chiesto loro. Non importa, papà, andrà tutto bene.
Norberto guardava sua figlia con preoccupazione. Anche se sua figlia era la migliore del suo reparto, tuttavia la situazione sull’isola asiatica era instabile.
Keysi uscì dalla stanza per lasciarli soli. Quando entrò nella stanza dove lavorava con Carolina, la Sala 4, si fermò a osservare tutto: i computer oleografici tattili, le numerose macchine e altri aggeggi da laboratorio sui tavoli bianchi attaccati alle pareti, gli sgabelli viola dove si sedevano, il grande tavolo bianco al centro che quasi non usavano, e le pareti, anche loro bianche, che riflettevano la luce che entrava dalla finestra, orientata verso sud, con una vista spettacolare sul Mediterraneo, dato che non c’era nessun edificio davanti.
Keysi iniziò a studiare il virus trovato sul confine tra la Cina e la Mongolia. Per essere un virus, aveva una bellezza insolita. Appena arrivò alle prime conclusioni, seppe che per trovare un antigene per quel virus ci sarebbe voluto tempo e, dato che il numero di morti era basso in confronto agli altri (non era così per il numero di persone infette), decise di lasciarlo da parte, fare un esame preliminare dei restanti tre virus e poi sceglierne uno.
Verso le nove del mattino, mentre la sua collega studiava il virus australiano, arrivò Carolina con una faccia di una che ha dormito poco. Keysi le indicò l’orologio olografico rosso sul muro.
– Ultimamente non dormo, i miei vicini fanno sempre festa, non vedo l’ora che se ne vadano – i vicini di Carolina erano quattro giovani francesi che quell’anno studiavano all’università delle Isole Baleari.
Carolina iniziò a lavorare, nel frattempo Keysi fece un salto alla sala dove i ProHu stavano provando il suo antigene.
– Come stanno? – chiese la ragazza inglese a una giovane infermiera che era appena stata assunta dal laboratorio.
– Stanno tutti bene.
Tornando, Keysi si fermò nel corridoio e guardò la galleria fotografica del suo cellulare. In quasi tutte le foto lei appariva sorridente insieme al suo ex fidanzato. Strinse le labbra e trattenne il desiderio di piangere. In quel momento si sentì impotente. Aveva lasciato alle spalle tutta la sua vita per un uomo che l’aveva abbandonata. Non aveva nessuno sull’isola.
Carolina notò che la sua collega entrava dalla porta con un’espressione triste sulla sua faccia.
– Stai bene?
– Sì, è solo che… Sai… Non mi resta nessuno sull’isola.
– Non dire così, hai me – Carolina non sapeva se avvicinarsi per abbracciarla o no, scelse di non avvicinarsi.
Keysi si sorprese della reazione di Carolina, cosa che avrebbe posto le basi per una futura amicizia tra le due colleghe.
Tutte e due continuarono a lavorare con la musica di Wagner in sottofondo, scambiandosi dati e consigli, in una relazione in cui c’era sempre più complicità.

4. Una storia famigliare

onica, dopo aver sistemato gli avanzi della cena e pulito il tavolo, si sedette sul divano insieme ai suoi figli e iniziò il suo racconto, mentre Samuel la guardava impaziente e Oscar iniziava a leggere qualcosa sul suo cellulare.
– Conobbi il papà di Oscar molto tempo fa a scuola, quando lui stava per compiere dodici anni e io li avevo già compiuti. Era primavera, mi ricordo che a suo papà – Monica volse lo sguardo su Oscar, che fingeva di essere interessato alla storia che sua madre raccontava al fratellino – piaceva annusare i fiori delle pesche della scuola, cosa che attirò la mia attenzione.
– Avevate dei peschi nella vostra scuola? – chiese Samuel stupito.
– Avevamo alberi di tutti i tipi – Samuel aprì la bocca sorpreso —, sai che avevamo lezioni di agricoltura?
– Ci sono anche adesso – commentò Oscar senza alzare lo sguardo dal suo cellulare.
– Un giorno mi avvicinai a suo papà e gli chiesi perché lo faceva, mi disse che gli piaceva come profumavano. Io mi avvicinai fino all’albero e staccai un fiore per annusarlo, motivo per cui suo papà si arrabbiò con me. Non voleva che nessuno toccasse gli alberi. Non mi rivolse la parola durante tutto il corso.
– Cosa successe dopo? – chiese Samuel interessato.
– Durante il corso successivo mi chiese di aiutarlo con una materia. Studiavamo mappe antiche, dovevamo disegnarle, e io ero molto brava a disegnare. Così un giorno mi si avvicinò e mi chiese se volevo realizzare un lavoro con lui, io gli dissi di sì. Alla fine finii per fare da sola tutto il lavoro. Da allora tutti i giorni ci vedevamo durante l’intervallo e dopo le lezioni tornavamo sempre insieme a casa.
– E allora vi innamoraste? – chiese Samuel curioso.
Oscar alzò lo sguardo interessato.
– Ti ho già detto che sei un bambino molto intelligente? – Samuel iniziò a ridere.
– Per molti anni fummo inseparabili, finché rimasi incinta di tuo fratello.
– E adesso dov’è? – chiese Samuel.
Monica guardò Oscar, che la guardava.
– È in cielo con mio papà?
– No, tesoro, se ne andò.
– Dove? – insistette il piccolo.
– A volte c’è gente che se ne va e sparisce dalla tua vita.
– Come zia Victoria che vive a Londra? – Victoria era la sorella del padre di Samuel.
– Sì, una cosa del genere.
– Allora possiamo andare a vederlo?
Monica stava iniziando a innervosirsi.
– È che non sappiamo dove se ne andò – intervenne Oscar per aiutare sua madre ed evitare che sgridasse Samuel.
Più tardi Monica, dopo aver messo a letto il piccolo Samuel, scese in salotto e si sedette insieme a suo figlio maggiore.
– Grazie per prima.
– Non devi ringraziarmi. So che non ti è mai piaciuto parlare di mio padre e che quando lo fai, finisci per sembrare una persona con disturbi mentali.
***
Il giorno dopo Monica svegliò presto Samuel e lo portò nella camera di Oscar.
– Al tre – disse Monica a voce bassa.
– D’accordo.
– Uno, due e… Tre!
Al tre Samuel piombò sul letto di Oscar.
– Buon compleanno! – dissero Samuel e Monica all’unisono, mentre lei lanciava coriandoli colorati al festeggiato.
Erano le nove e mezza del mattino quando suonarono il campanello di casa. Monica aprì la porta, trovando Ignacio con una lettera.
– Mi dispiace, ti avevo avvertito molte volte.
Ignacio consegnò la lettera a Monica e se ne andò. Monica non aspettò di entrare in casa e aprì la lettera rompendo la busta. Era un ordine di sfratto. O pagava l’affitto entro i quattro giorni successivi o poteva già iniziare a fare le valigie.
Monica era esterrefatta, non poteva credere che Ignacio la lasciasse per strada. Forse avrebbe dovuto uscire a cena con lui per ammorbidirlo, cosa che aveva sempre rifiutato di fare perché la disgustava. Pensò a suo figlio maggiore, così tenace, che si preoccupava sempre del benessere degli altri. Lei avrebbe fatto qualsiasi cosa per i suoi figli, perfino perdere la sua dignità. Ma si preoccupava anche di quello che avrebbero potuto pensare di lei. Forse per Oscar non era stata un esempio da seguire, ma non voleva ripetere lo stesso errore con Samuel.
Suonarono di nuovo il campanello. Monica corse verso la porta con la speranza che Ignacio si fosse pentito. Al suo posto trovò Rocío, giusto ciò di cui aveva bisogno in quel momento.
– Ciao, vicina.
– Ciao, Rocío.
– Ho visto Ignacio passare di qui. Cosa voleva? Qualcosa non va?
Monica pensò a tutti gli anni in cui portava pazienza con le sue vicine, ai momenti in cui le sarebbe piaciuto dire loro che pensassero agli affari loro. Invece sospirò profondamente e molto educatamente le disse:
– Voleva solo sapere se ho i soldi per l’affitto.
Rocío sembrava poco soddisfatta.
– Festeggerai il compleanno di Oscar?
– Stasera esce con i suoi amici per festeggiarlo.
– E non organizzerai una festicciola qui?
– Non credo.
– Che peccato, avevo così voglia di una festa! Sai che Maribel sta cercando una fidanzata per Ignacio? Dovresti affrettarti, altrimenti ti sfuggirà.
– Non so di cosa parli – disse Monica confusa.
– Ho visto che ti ha fatto visita varie volte e che c’è un certo flirt innocente tra di voi.
– Sei unica, davvero – disse a voce alta, sebbene non ne avesse l’intenzione.
– Grazie, lo so, sono brava a prestare attenzione ai dettagli – disse tirando in ballo il suo ego —. Allora? Vuoi che gli dica qualcosa da parte tua?
Monica chiuse la porta senza rispondere. Forse cambiare casa non era una cattiva idea dopotutto.
Dopo che ebbe chiuso la porta, iniziò a suonare il telefono, che era in anticamera. Monica lo prese e premette il tasto verde.
– Buongiorno, è lei la signora Ibáñez? La chiamo dal servizio di autisti.
– Sì, sono io – rispose goffamente, mentre si dirigeva verso il divano per sedersi.
– Vede, abbiamo visto il suo curriculum e ci sembra una candidata molto interessante. Non si trovano persone così giovani che sappiano guidare macchine antiche. Certo che quelle moderne non si guidano. Potrebbe iniziare domani?
– Questo significa che sono assunta? – chiese Monica con un tono di voce troppo alto, mentre le si acceleravano i battiti.
– Certo, perché crede che l’abbia chiamata? – l’uomo all’altro lato della linea rise —. So che il lavoro è dal lunedì al venerdì, ma domani il mio cliente deve andare in ufficio per una riunione. Voglio che abbia chiare le regole, non gli rivolgerà la parola a meno che non lo faccia lui. Se un giorno dovrà accompagnare sua moglie o le sue figlie, sarà lo stesso. Il lavoro inizierà alle sette e mezza del mattino, ora in cui dovrà aspettare alla porta di casa del mio cliente. All’una del pomeriggio andrà a prenderlo al suo ufficio e lo porterà dove desideri. Quando scenderà dalla macchina, la sua giornata sarà conclusa. Inoltre è possibile che richieda i suoi servizi in altre date, come nel caso di domani, ma non si preoccupi, quelle ore le verranno pagate come straordinari. Per il lavoro di domani riceverà cinquecentosessanta simeoni. Guiderà una limousine del mio cliente che porteremo a casa sua oggi stesso.
Il simeone era la valuta universale da quando trecento anni prima il calo del valore di diverse monete, tra cui il dollaro statunitense e australiano, il peso messicano e lo yen giapponese, fu alla base di una grave crisi finanziaria in quei paesi e si decise che non aveva senso avere diverse monete nel mondo.
Una situazione simile si ebbe nel caso delle lingue: l’inglese e il russo vennero considerate come lingue universali, ma l’idea venne rifiutata quasi subito, sostenendo che fosse una perdita di valore culturale smettere di parlare le altre lingue. In quell’epoca esistevano centinaia di applicazioni e oggetti che fungevano da traduttori istantanei, senza aver bisogno di conoscere l’altra lingua.
***
C’erano due tipi di strade: quelle antiche e quelle automatiche. Le strade antiche erano state costruite molto tempo prima, erano vecchie, erano state asfaltate da molto tempo e in generale si faceva loro poca manutenzione perché erano poco transitate. Dall’altra parte c’erano le strade automatiche che ricevevano una manutenzione costante. Mentre sulle strade antiche le macchine avevano bisogno di un autista che le guidasse, sulle strade automatiche le macchine non avevano bisogno di un autista, dato che erano connesse a un sistema centrale elettromagnetico che portava la macchina da una parte all’altra senza bisogno di fare niente, salvo indicare il posto dove si voleva andare. Inoltre funzionavano con energia solare e non inquinavano.
Ogni tipo di strada aveva i suoi pro e contro. Sulle strade automatiche non si rischiava la collisione. Il sistema informatico stradale al quale si connettevano le macchine tracciava il tragitto, lo introduceva nella mappa e lo configurava affinché non ci fosse nessun rischio. Dall’introduzione delle strade automatiche, cento anni prima, non ci fu nessun incidente su questo tipo di strada. Per questa ragione la maggior parte delle persone viaggiava su questo tipo di strada.
Da qualche tempo era di moda guidare su strade antiche. Questo valeva soprattutto per i benestanti che volevano evitare gli ingorghi delle strade automatiche. Certo che la maggior parte di loro non sapeva guidare e doveva ricorrere ad autisti, un mestiere che era riemerso con questa moda dopo essersi estinto.
Monica non guidava una macchina antica da anni. Per questo era agitata. Decise di trascorrere il pomeriggio a guidare la vecchia macchina che teneva parcheggiata nel parcheggio sotterraneo e che non aveva toccato da quando si erano trasferiti. Se la conservava ancora, era perché correva voce che avrebbero introdotto un’imposta per poter circolare sulle strade automatiche, oltre alla tassa che si pagava annualmente.
Monica guidò fino a una vecchia e abbandonata zona industriale della sua città, Elche. Lì avrebbero installato un nuovo laboratorio per esaminare i virus, dopo la demolizione e la ristrutturazione dello stesso, prevista per la fine dell’anno.
Fino ad arrivare alla zona industriale, a vari chilometri dalla sua casa bifamiliare, la macchina di Monica si bloccò tutte le volte che lei si fermò.
– Bene, Monica, puoi farcela – si disse a se stessa —, fallo per i tuoi figli e, per favore, cerca di non farti licenziare il primo giorno.
Monica continuò a esercitarsi tutto il pomeriggio, andò persino a prendere Samuel a scuola.
***
Erano le dodici e mezza di sera quando Oscar entrò in casa.
– Ti sei divertito? – disse Monica dal divano.
– Ciao, mamma, molto.
– Sei tornato presto.
– Dopo tante ore con loro mi sono stancato – si giustificò Oscar sorridente.
– A tuo fratello sei mancato oggi pomeriggio.
– Perché non mi parli mai di mio padre? – chiese cambiando argomento e ricordandosi delle lettere che sua madre teneva nascoste.
– Vuoi davvero parlarne?
– Sì.
– Non sono pronta.
– Mamma, sono passati diciotto anni, voglio conoscerlo.
– Non so niente di lui da molto tempo. Magari potessi darti informazioni! Anzi, magari potessi dirti che tuo padre era meraviglioso o che ti ha cercato, ma non l’ha fatto, non si è mai preoccupato di te – mentì Monica.
Oscar andò in bagno per cercare di calmarsi. Da quando aveva scoperto le lettere di suo padre due giorni prima, aveva la sensazione di aver vissuto tutta la sua vita con un’estranea. Non conosceva più sua madre. Aveva sempre pensato che suo padre fosse la persona peggiore al mondo basandosi su quello che gli aveva detto sua madre, ma ora che aveva scoperto parte della verità, dubitava che sua madre fosse migliore. Quali ragioni poteva avere per non lasciare che gli si avvicinasse?
Monica salì per vedere se Samuel continuava a dormire. Quando scese di nuovo, trovò Oscar che guardava la TV angosciato.
– Guarda, mamma, è esploso un laboratorio di virus a Taiwan.
– È una tragedia. Per questo mi fa paura il fatto che vogliano costruire un laboratorio qui.
– È normale, Elche è la città più importante della Spagna. Il fatto che non ce ne sia uno qui è illogico – disse Oscar emozionato.
– Non andrai avanti con quella stupidaggine dei ProHu, vero?
– Stupidaggine? Ti sembra una stupidaggine rischiare la tua vita per salvare quella di altre persone? Io credo che si debba essere molto coraggiosi per fare qualcosa del genere – Oscar era turbato.
– L’hai appena detto tu stesso, rischi la tua vita. Che bisogno c’è di farlo?
– Qualcuno deve pur farlo, altrimenti tutti moriremmo. Se nessuno rischia, nessuno vince.
– E dev’essere mio figlio?
– Se c’è bisogno, sì.
– Cosa vuoi dimostrare?
– Cerco solo di aiutare, aiutare le persone malate a curarsi e aiutare te e Samuel con i soldi.
– Non devi farlo, ci sono già molti candidati.
– Sei un’ipocrita, mamma. Hai sempre detto che i ProHu sono eroi, ma non ti va l’idea che tuo figlio sia uno di loro. ProHu sì, ma senza sporcarsi le mani. Che coraggiosa che sei, mamma! – Oscar aveva le lacrime agli occhi.
– Vuoi parlare di coraggio a me? Chi ha cresciuto te e Samuel? Chi vi ha dato tutto?
– Immagino la stessa persona che da quando sono nato mi ha sempre negato di conoscere mio padre – disse Oscar cercando di recuperare la serenità.
– Non dire sciocchezze. Tuo padre ci ha abbandonato. Non so niente di lui da diciotto anni.
– Non continuare a mentire. So tutto, ho trovato la tua scatola.
– Hai rovistato tra le mie cose?
– Ti preoccupa di più che abbia trovato la tua scatola del fatto che è tutta la vita che mi stai mentendo? – alla fine Oscar crollò e iniziò a piangere.
– L’ho fatto solo per proteggerti.
– Da dove hai tirato fuori questa frase? Da un film?
– Aspetta, dove vai?
Oscar aprì la porta principale e uscì sbattendola.
– Oscar, aspetta!
Monica uscì in strada, ma era troppo tardi. Suo figlio, campione di atletica leggera, era già sparito.

5. Due sono meglio di uno
Keysi lavorava sul virus di Soria, faticava a studiarlo. Al computer suonava l’opera di Wagner La Cavalcata delle Valchirie. Carolina, che mostrava evidenti sintomi di mancanza di sonno, prendeva appunti su un quaderno per poi aggiungerli nella sua tesi. Keysi premette il pulsante Pausa e disse a voce alta alla sua collega:
– È come se fossero due virus, invece è uno solo.
Carolina si avvicinò a Keysi e guardò i dati provenienti dal computer.
– Keysi, hai mischiato due virus? Questi dati non sono possibili. Qui ci sono variabili di due virus, è chiaro che c’è qualche tipo di errore.
– Gli addetti alla raccolta dei virus devono aver commesso uno sbaglio.
– Dovremmo dirlo.
– Ma, Carolina, potrebbero licenziarli. Un errore così grave potrebbe causare un licenziamento.
– Mi sorprende che la pensi così, quando sei tu quella che trascorre più tempo qui perché è preoccupata per le persone infette.
– Lo so, ma mi preoccupo anche per i miei compagni.
– D’accordo. Elaborerò i miei campioni e confronterò i risultati con i tuoi, magari c’è stato un errore.
– Grazie, Carolina. Chiamerò l’ospedale di Soria per sapere come va l’anziano e, già che ci sono, chiederò che ci mandino più campioni, se è possibile.
Carolina si girò, riprese quello che stava facendo e venti minuti più tardi iniziò a studiare il virus di Soria. Keysi uscì alla ricerca del numero di telefono dell’ospedale di Soria.
Jacinto, un giovane attraente di ventisette anni della sezione della raccolta dei virus, entrò nella Sala 4, la stanza dove ogni giorno lavoravano Keysi e Carolina, spaventando quest’ultima, che era concentrata sul suo lavoro.
– Non sai bussare? – chiese Carolina arrabbiata.
– Mi dispiace.
– Ti dispiace? Jacinto, Keysi e io lavoriamo con del materiale molto delicato e siamo due delle poche persone che non indossano tute di isolamento, né nessun’altra protezione. Quindi, per favore, stai più attento.
– Lo so, ma non siete mai esposte direttamente. Io corro più rischi quando vado a raccogliere virus. La mia tuta potrebbe strapparsi e io potrei essere contagiato.
– E la tua interruzione avrebbe potuto provocare la caduta di questo flacone che tengo in mano contenente questo misterioso virus per il quale non abbiamo ancora una cura e contagiarci entrambi – Carolina si tratteneva dal piegare il suo braccio.
– Perché dici che è misterioso?
– Perché tutti i virus hanno le proprie variabili simmetriche. Da quando i virus si possono “catturare” abbiamo potuto scoprire che tutti hanno lo stesso modello simmetrico con le loro caratteristiche.
– Sì, questo lo sapevo già. Lavoro qui, ricordi?
Jacinto aveva da sempre una passione per i virus, per questo aveva iniziato a studiare Biologia per poi specializzarsi in Virologia Molecolare. Ma dopo essersi reso conto che avrebbe dovuto lavorato rinchiuso in un laboratorio, invece di Biologia studiò Raccolta e trattamento specializzato di microorganismi.
– Sottoponendo i virus alla viocula – la viocula era una macchina che mostrava tutte le caratteristiche osservabili di un virus, cosa che costituiva il punto di partenza per lo studio di ognuno di loro – tra gli altri dati ci mostra questo grafico – Carolina indicò lo schermo del computer.
– La tavola caratteristica.
La tavola caratteristica era un grafico simile a una catena di DNA, che mostrava le qualità uniche dei virus.
– Esatto. Qui possiamo vedere due tavole caratteristiche incrociate, cosa del tutto impossibile. Per questo crediamo che questo virus sia stato sottoposto a qualche tipo di contaminazione che l’ha alterato.
– Carolina, questo è impossibile, io stesso raccolsi questo virus.
***
Keysi chiamò l’ospedale dove si trovava l’anziano di Soria, avviando una chiamata olografica e mettendo il suo telefono sul palmo della sua mano. Solo i cellulari moderni disponevano di chiamate olografiche, gli altri dovevano accontentarsi di chiamate vocali o videochiamate. Rispondendo all’altro lato della linea, sul telefono di Keysi apparve l’ologramma di una donna di mezza età con segni evidenti di essersi sottoposta a una terapia estetica del viso.
Keysi spiegò alla donna la ragione della sua chiamata.
– Mi dispiace comunicarle, signorina, che l’anziano è morto ieri sera. La buona notizia è che per ora non ci sono altre persone infette.
La donna promise di inviarle più campioni del virus quello stesso giorno e la salutò.
Keysi tornò nella Sala 4, dove trovò Carolina che parlava con Jacinto.
– Devo andare. Ciao, Keysi – salutò Jacinto, che uscì dalla porta consultando l’ubicazione di un virus del quale doveva raccogliere dei campioni.
– Non dire niente – disse Carolina alla sua collega indicandola con il dito.
Keysi sosteneva la teoria che Jacinto fosse innamorato di Carolina, cosa che faceva innervosire quest’ultima, che considerava il suo giovane compagno solo come un amico.
– Non volevo dire niente – Keysi sorrise e tenne i suoi pensieri per sé —. Ho brutte notizie – annunciò – l’anziano è morto.
– Ci sono altre persone infette?
– Per il momento no. Ci manderanno più campioni oggi. – Keysi guardò dalla finestra. Era una giornata soleggiata, i turisti camminavano pigri e il mare brillava —. Credo che continuerò a studiare il virus australiano.
– Perché non ti riposi un po’? Stai chiusa qui a lavorare da quasi ventiquattro ore, hai bisogno di riposo.
– Cosa credi che penserebbero i famigliari delle persone infette, se sapessero che invece di cercare una cura mi sto riposando? – le chiese Keysi turbata.
– Non credo che tu sia d’aiuto essendo stanca.
– Non sono stanca! – protestò la ragazza inglese.
Verso le due del pomeriggio arrivarono i campioni del virus tramite la Rete di trasporto di merci altamente pericolose. Si trattava di una rete di piccoli tubi ignifughi, anticongelanti, che non si potevano rompere, di due metri quadrati di diametro, molto rapidi, che stavano sotto terra e che comunicavano con i laboratori. Altrimenti, nel caso delle isole come Maiorca, il virus arrivava fino a un aeroporto, dove veniva trasportato da un aereo speciale fino alla sua destinazione. All’inizio avevano iniziato a costruire la rete per il trasporto di merci, ma a causa degli alti costi al suo posto si costruì una rete più piccola che fosse di utilità medica. La rete era costruita in parallelo alla Rete di trasporto sotterraneo, una rete che trasportava passeggeri, che univa praticamente tutto il mondo e che aveva una velocità che sfiorava i duemila chilometri all’ora.
Clara si affrettò a portare i campioni nella Sala 4.
– Ecco a voi. Per qualunque cosa, chiamatemi – si offrì Clara, che quel giorno aveva una pettinatura all’antica, propria di due secoli prima, che simulava la figura di un leone feroce.
– Credo che uscirò un po’.
– Anch’io. Andrò a casa mia a mangiare. Potresti venire con me. Adesso che le mie compagne sono in viaggio sto da sola. Così non dovresti vedere… – Carolina evitò di nominare Raúl, l’ex fidanzato di Keysi.
– Non ce n’è bisogno, però ti ringrazio.
Carolina se ne andò di corsa, rovesciando una bibita nel corridoio del laboratorio. Keysi rimase un paio di minuti in più, controllando lo strano virus, cercando di trovare un difetto. Fuori dal laboratorio Jacinto l’aspettava.
– Keysi, aspetta.
La ragazza britannica si fermò di colpo, aspettando che Jacinto continuasse a parlare.
– Mi faresti un favore?
– Un altro?
– È uno piccolino.
– D’accordo, dimmi – cedette la ragazza inglese.
– Mi aiuteresti a sedurre Carolina?
Keysi assunse una faccia sorpresa.
– Jacinto, so che è dura, ma devi accettare che non le piaci.
– Ma le piacerò – disse allegramente.
– Non ti arrendi mai?
– Con lei no.
– Da quando la conosci?
– Da un paio di anni, da quando ho iniziato a lavorare qui.
– E da quando sei innamorato di lei?
– Credo da due secondi dopo che l’ho conosciuta.
– Non credo alle favole – disse seccamente.
– E lo dice quella che lasciò tutto il suo mondo e venne a vivere in Spagna poco dopo aver conosciuto un ragazzo.
Keysi arrossì.
– Non posso aiutarti.
– Sì che puoi, ma non vuoi. Dai, non ti costa nulla, trascorri tutto il giorno insieme a lei.
– Non abbiamo questo tipo di relazione.
Keysi continuò a camminare, finché arrivò al suo appartamento. Entrò e si rallegrò di essere da sola. Accese la sua macchina di cottura, mise tutti gli ingredienti negli scompartimenti indicati e aspettò che il merluzzo con patate arrosto accompagnato da salsa di porro fosse pronto.
La ragazza britannica iniziò a trangugiare il cibo per finire quanto prima e poter tornare subito al laboratorio. La sua ossessione di scoprire antigeni velocemente cresceva giorno dopo giorno. Quando stava finendo di mangiare, Raúl entrò nell’appartamento, accompagnato da una donna mora molto giovane e attraente.
– Oh, mi dispiace, Keysi, non sapevo che eri qui.
– Non scusarti.
La donna rimaneva in silenzio vicino alla porta. Teneva in mano una piccola valigia.
– Ti presento mia sorella Marina, è venuta da Alicante – Raúl e tutta la sua famiglia erano di quella città – per trascorrere qui alcuni giorni in vacanza.
Keysi si pulì i resti di cibo dalla faccia con un tovagliolo che profumava di vaniglia – la spezia preferita della ragazza inglese —, si avvicinò alla sua ex cognata e la salutò.
Marina e Keysi parlarono allegramente per un po’, finché la prima se ne andò con suo fratello, che voleva farle vedere questa bella città vicino al mare.
Keysi aveva dormito a malapena negli ultimi giorni e, anche se aveva detto alla sua collega che non era stanca perché non voleva ammetterlo, lo era. Si sdraiò sul divano con l’intenzione di chiudere gli occhi per alcuni secondi che si trasformarono in ore.
***
Carolina si sentì svuotata entrando nel suo appartamento, a nord della città. Viveva con due studentesse di Diritto, una di Valencia e l’altra di Barcellona, che in quel periodo erano in viaggio a Nizza. Col tempo erano diventate grandi amiche, anche se non aveva molte cose in comune con loro.
Aprì il frigo con la speranza di trovare qualcosa di appetitoso da mangiare, ma l’unica cosa che trovò furono avanzi di cibo che emanavano un odore sgradevole. Chiuse il frigo e scese al ristorante sotto casa.
Era un ristorante all’antica, dove la tecnologia era appena arrivata. La maggior parte dei ristoranti erano serviti da ologrammi che reagivano alla voce, inviando le ordinazioni dei clienti alla cucina, dove un complesso di macchinari preparava i pasti in maniera automatica. Il più delle volte il risultato non era piacevole per i clienti; invece i prezzi erano molto bassi perché non c’erano stipendi da pagare.
Un uomo di mezza età e un po’ grasso salutò Carolina affettuosamente, uscendo da dietro il banco e abbracciandola.
– Che bello che sei venuta a trovarmi – disse Pedro.
– Sono venuta a mangiare.
– Meglio, meglio – l’uomo si rallegrò molto.
Carolina guardò verso i tavoli, erano tutti vuoti.
– Come vanno gli affari?
– Male, come puoi vedere. Ho dovuto licenziare il mio cuoco, ora faccio tutto io. Queste macchine creano solo disoccupazione. Se non sai creare robot, se non sei uno scienziato o se non sai qualcosa di tecnologia dell’informazione, non servi per niente.
– Non dire così.
– Quante professioni hanno già fatto sparire? Tassisti, fattorini, autisti di bus, traduttori, operai della catena di produzione, conduttori televisivi, per non parlare dei professori, che sono rimasti solo nelle scuole, per non spaventare i bambini. Noi cuochi, commessi e simili siamo rimasti in pochi ormai. Hanno creato persino una macchina che crea macchine! Questo mondo sta smettendo di appartenerci. Fa’ attenzione che non scoprano macchinette che sappiano scoprire antigeni.
Carolina rimase a pensare a suo padre, che lavorava come bibliotecario prima di essere sostituito da un ologramma, e ai suoi professori delle superiori e dell’università, tutti ologrammi intelligenti anche loro. La ragazza maiorchina pensò che forse Pedro aveva ragione e che l’umanità era in pericolo di estinzione, essendo gli umani stessi il suo peggior nemico.
Pedro preparò a Carolina un piatto di chiocciole con salsa di pomodoro accompagnato da un’entrecôte. Per tutto il tempo che restò nel ristorante non entrò nessun cliente, cosa che la addolorò. Le era simpatico l’uomo, lo conosceva dal giorno in cui si era trasferita, quando si offrì di aiutarla a portare su le sue cose.
Carolina andò subito al laboratorio con la sua bicicletta. Odiava le macchine, soprattutto gli ingorghi che si producevano.
Quando entrò dalla porta della Sala 4, si sorprese non vedendo la sua collega al lavoro, ma non ci fece caso.
Carolina incominciò con la procedura da zero con i nuovi campioni arrivati da Soria. Dopo quattro lunghe ore il processo preliminare era completato. Rimaneva solo da verificare i dati e trarre delle conclusioni. Carolina si aspettava che i risultati fossero del tutto opposti. Dopo aver comparato entrambi i risultati, la ragazza delle Baleari non poteva essere più sorpresa. Quello che aveva appena scoperto avrebbe potuto cambiare il modo in cui i biologi studiavano i virus.
– Non ci posso credere! – disse a voce alta Carolina, che chiamò immediatamente Keysi, che era appena arrivata da pochi minuti e che stava parlando con Clara, e Norberto.
La ragazza britannica arrivò di corsa.
– Che succede?
– Non c’era contaminazione, sono due virus. I virus stanno evolvendosi o forse il nostro sistema immunitario continuerà a indebolirsi.
Norberto entrò in quel momento.
– Norberto, deve vedere questo.
Il direttore de “Il faro della luce” si avvicinò e guardò quello che Carolina gli stava mostrando.
– Stupefacente – disse Norberto, sorpreso dalla scoperta delle sue due dipendenti preferite, escludendo sua figlia Titania.
– Bisogna raccontarlo, è pericoloso possedere questa informazione e non condividerla – disse Keysi. Il suo capo la guardò molto serio.
– Ci fu un altro caso – incominciò a raccontare Norberto – fu molto tempo fa. – Norberto si avvicinò alla porta, si assicurò che non ci fosse nessuno ad ascoltare e la chiuse —. Fu dieci anni fa nell’oblast di Irkuskt, in Russia. Da quando esistono i ceppi di virus letali, prodotto dei nostri progressi in medicina, due o più virus non avevano mai convissuto in uno stesso corpo. Sappiamo che quando un virus si impadronisce di un corpo, non può entrarci un altro, essendo il corpo già ammalato. Dieci anni fa un uomo di ottanta anni fu trovato morto a casa sua, con un filo di sangue che usciva dalla sua bocca. Chiamarono subito un corpo specializzato nella raccolta di cadaveri infetti da virus. Quando arrivò al laboratorio nel quale lo portarono, iniziarono con il processo di ricerca, pura routine – Norberto prese uno degli sgabelli e si sedette, Carolina e Keysi lo guardavano attentamente —. Quando il biologo che lo stava esaminando iniziò con il processo, non percepì nulla di strano, niente lo fece sospettare che il corpo fosse portatore di due virus. Il biologo continuò con la procedura. Aveva quasi finito, quando si rese conto delle ferite interne al corpo. – Norberto si sfregò gli occhi —. Per prima cosa pensò che il virus fosse estremamente pericoloso. Così uscì dalla stanza e andò alla capsula che serve di passaggio tra il corridoio e le stanze molto pericolose, chiuse la porta con il codice cifrato, azionò il processo di eliminazione dei virus per eliminare qualsiasi traccia di virus che avrebbe potuto avere addosso, si sbottonò la tuta di isolamento e chiamò i membri della squadra di raccolta per dirgli di essere particolarmente cauti. Quando rientrò, vide qualcosa di veramente insolito: il cadavere si stava scomponendo a una velocità stupefacente. Nessun virus registrato aveva presentato quei sintomi post mortem, ma c’era un’altra cosa: le ossa stavano diventando nere. Dopo ancora due giorni di ricerca il biologo scoprì qualcosa che si credeva impossibile: un corpo poteva ospitare due virus contemporaneamente. Il biologo, affascinato da questa scoperta medica, continuò a studiare i resti del corpo, così come i campioni di virus che poté estrarre dallo stesso. – Keysi e Carolina restavano in silenzio, assorte dal racconto del loro capo —. Una mattina, quando il biologo arrivò sul suo posto di lavoro, scoprì un’altra cosa: non c’erano più due virus, ora si trattava di uno solo. I due virus avevano mutato, trasformandosi in un nuovo virus più potente. Inspiegabilmente era successo e, per quanto ne sappiamo, non è mai più accaduto. Spero che siate discrete, e con questo voglio dire che questa informazione non esca da questa stanza. Non parlatene in pubblico, capito?
Keysi e Carolina annuirono.
– Potremmo vedere campioni di questo virus o leggere rapporti?
– Non credo sia rilevante. I virus devono uscire dalle Camere isolate di sicurezza solo quando è davvero necessario.
Le Camere isolate di sicurezza erano centri di immagazzinaggio nascosti sotto terra o sotto il mare che conservavano campioni di virus e dei loro antigeni. Ogni laboratorio ne aveva una. Quella del laboratorio di Norberto si trovava a due chilometri a sud di Maiorca, nascosta sotto il mare. Vi si accedeva attraverso un sottomarino e per entrarci si doveva prima avere un’autorizzazione e poi superare una serie di lunghi e rigidi controlli di sicurezza.
Le uniche Camere isolate di sicurezza che non contenevano campioni di virus erano gli archivi di raccolta della storia di Cina, Australia, Canada e Francia, i semenzai di Islanda, Paraguay e Namibia e i centri di dati tecnologici di Giappone e Antartide.
– Avete fatto un ottimo lavoro, ma purtroppo nessuno lo saprà. A che punto siete con gli altri virus? Mi interessa in particolare quello trovato in Norvegia. Il numero di persone infette è salito a circa dodicimilacinquecento.
– Ho due possibili antigeni, ma non sono ancora conclusi. Con un po’ di fortuna li avrò pronti questa settimana – lo informò Keysi.
– Io ho quasi concluso un antigene per il virus australiano.
– Perfetto. Fatemi sapere quando saranno pronti. Sta morendo tanta gente.
Norberto uscì dalla stanza e le lasciò lavorare. Era preoccupato: sua figlia era a Taiwan, circondata da molti virus letali, e non poteva neanche chiederle come stava, dato che le comunicazioni erano state interrotte.
Mentre lavoravano, Clara entrò all’improvviso, nel momento in cui Carolina teneva in mano campioni del virus soprannominato “la sabbia volante”. Così le scivolarono e caddero.
– Oh, mio Dio! – gridò Keysi terrorizzata. Anche Clara gridò per poi uscire di corsa.
– Tranquille! Non si è rotto. Ripeto, non si è rotto – per fortuna Carolina aveva avvolto la sfera in una plastica di protezione.
– Menomale – Clara guardò il recipiente per assicurarsene —. Volevo comunicarvi che la presidente di Spagna verrà a visitare il laboratorio, fondamentalmente verrà a farsi fare una foto – Clara si girò per andarsene.
– Quando verrà? – chiese la ragazza maiorchina.
– Ah, sì! – Clara ansimava ancora —. Sono in estasi, dovrei andare in palestra – Clara sorrise —. Verrà la settimana prossima. Ci sarà una gran festa e ci darà il premio per il miglior laboratorio di Spagna.
– Non ho niente da mettermi – protestò Carolina, una volta rimaste sole.
– Posso darti qualche vestito.
– Mi accompagni domani a un negozio di abbigliamento?
– Abbiamo tanto da fare – disse Keysi con le braccia aperte.
– Ho bisogno di te, tu hai stile. Non ti farebbe male prenderti una mattina libera. Quando è stata l’ultima volta che non hai lavorato?
– Carolina, oggi ho dormito tutto il pomeriggio.
– È normale, non dormi quasi mai.
– D’accordo, ti accompagnerò – cedette Keysi, che si avvicinò al computer, collocò il suo dito sul lettore di musica e premette su Le fate di Wagner.
***
Arrivarono a un negozio di abbigliamento, aperto ventiquattro ore al giorno, verso le otto di mattina. Il personale del negozio era costituito da due ologrammi intelligenti che si attivavano con la voce. Keysi e Carolina entrarono nel negozio di abbigliamento facendo passare i loro braccialetti davanti allo schermo di identificazione.
I braccialetti che indossavano creavano un avatar personalizzato molto realistico per tutti i negozi, visibile tramite il cellulare. Avvicinando il braccialetto al codice di identificazione di ogni capo l’avatar indossava il capo automaticamente per vedere meglio come ti stava con un’alta affidabilità, senza bisogno di provartelo. Pochi negozi avevano ancora dei camerini.
La porta di uscita era diversa da quella di entrata. Se volevi uscire, dovevi passare da uno scanner che rivelava se indossavi capi che non avevi pagato. In questo caso la porta non si apriva e ti proibiva di uscire. All’inizio l’introduzione nel commercio del sistema con gli scanner ebbe dei problemi: a molta gente non venivano rivelati correttamente i diversi codici, quindi non poteva uscire.
– Non mi piace niente – Carolina guardava i vestiti poco convinta.
– Che ne dici di questa? – Keysi le mostrò una maglietta gialla con scollatura a becco e spalle a forma di dodecaedro.
– Cerco qualcosa di più vistoso.
La ragazza inglese approfittò del momento per parlarle di Jacinto.
– Perché non dai un’opportunità a Jacinto?
– Non me l’ha chiesto.
– Sai cosa sente per te.
– So cosa pensi.
La ragazza britannica si concentrò su un abito messo da parte in un angolo. Aveva la parte in basso più chiara, adornata con palline argentate.
– Dovresti prendertelo, ti starebbe bene – le disse Carolina avvicinandosi da dietro.
– Costa settecento simeoni, è troppo.
– D’accordo, se non te lo compri tu, te lo compro io.
– No, Carolina, sono molti soldi.
– Keysi, sono i miei soldi, e se voglio regalarti un abito, te lo regalo. Trascorri tutto il giorno nel laboratorio, non c’è niente di male se qualcuno ti regala qualche capriccio. A proposito, hai già trovato casa? Perché dover continuare a vivere con il tuo ex… Insomma, dev’essere complicato.
– Non lo è, andiamo d’accordo. E no, non ho trovato niente che mi piaccia, sono tutte case vecchie.
– Adesso sono di moda le case vecchie, io stessa vivo in una di quelle.
– Io non ho mai vissuto in una di quelle. A Birmingham vivevo in una casa stile cottage, abbastanza moderna. Anche in Germania avevo un Centro di Controllo, come qui.
– Non ti interesserebbe provare? Lo dico perché nel mio appartamento c’è una stanza libera.
– Non mi immagino con compagne di stanza.
– Credi che sopravviveresti senza che ti accendessero le luci o dovendo tirare l’acqua tu stessa?
– Sono progressi, ci facilitano la vita.
– Creano anche disoccupazione. Sotto casa mia c’è un ristorante all’antica, non ci entra nessuno. Alla fine finirà per chiudere.
– A me piacciono di più quelli all’antica che quelli moderni, ma ammetto che vado molto di più a quelli moderni perché sono più rapidi.
– Sì, questo è vero, ma il cibo fa schifo.
– Non in tutti.
– D’accordo, forse in tutta Maiorca ce ne saranno due o tre che servano buon cibo, ma neanche negli altri è così male. Ma il cibo dei robot da cucina personale è buonissimo.
– Questo è vero, immagino perché esistevano già da secoli e li hanno perfezionati, e dato che nei ristoranti moderni la gente non si lamenta e ci va sempre di più, non li perfezionano.
– Molta gente si lamenta, ma a bocca stretta.
– Guarda! – Keysi indicò emozionata un abito lungo e rosso scuro con le maniche lunghe —. Prenditelo, sono sicura che ti starà benissimo.
Carolina si avvicinò e passò il polso sul codice del capo. Automaticamente il suo avatar personale indossò il capo, convincendola del risultato.
– Lo adoro, Keysi. Grazie mille per averlo trovato. Se fosse stato per me, non l’avrei neanche visto.
– Non c’è di che. Ma se tu mi regali l’abito verde, io ti regalo quello rosso.
– Mi pare giusto.
***
Due giorni dopo Carolina credette di aver trovato un antigene per il virus australiano.
– Credo di avercelo – disse Carolina dopo aver messo in pausa il lettore di musica.
– Lasciami dare un’occhiata – Keysi controllò i dati dall’alto —. Speriamo che funzioni.
– Vado a chiamare Clara.
Prima che la ragazza maiorchina uscisse dalla porta, comparve Norberto.
– Dove volevi andare?
– Ad avvertire Clara che ho un possibile antigene per il virus australiano.
– Novità magnifiche, ma ricorda che puoi avvertirla da qui – Norberto indicò il teledoro, uno strumento che metteva in contatto tutto il laboratorio tramite chiamate o videochiamate.
– Pensavo che, data l’importanza della novità, dovessi dirglielo di persona.
– Va bene. Devo dirvi una cosa e non vi piacerà – Norberto divenne serio —. La prossima settimana verrà a trovarci un gruppo di virologhi cinesi del prestigioso laboratorio Albero Alto. Non si tratta di una visita di cortesia, vogliono vedere come lavoriamo e naturalmente vogliono lavorare con voi per tutto il tempo che rimarranno qui.
– Ma questo potrebbe ritardare il nostro lavoro – si lamentò la ragazza inglese.
– In effetti questo è il mio timore più grande. Se invece di andare avanti con la ricerca dovrete fargli vedere le tecniche, come funzionano i nostri aggeggi e via dicendo, mi preoccupa che ci mettiate troppo tempo per trovare degli antigeni. Farò il possibile perché vi lascino in pace. Keysi, a che punto sei con i possibili antigeni che mi avevi detto?
– C’è qualcosa che non va. Quando applico il virus sulle cellule sintetiche e poi inietto i miei antigeni, il virus cresce. Non so come, ma lo massimizzo, quando in realtà cerco di fare il contrario.
– È chiaro che hai una o più variabili al contrario – disse Carolina.
– È quello che ho pensato. Ho fatto altre combinazioni coerenti, ma continua a non funzionare.
– A volte essere incoerente è la cosa più coerente – disse Norberto.
– Come vanno i ProHu del virus indiano? – chiese Keysi, preoccupata se per caso il suo antigene avesse fallito.
– Stanno tutti benissimo e senza effetti secondari, non devi preoccuparti di niente. L’antigene è stato un successo.
Due ore dopo c’era un ProHu pronto per provare l’antigene creato da Carolina. Era un uomo giovane, di circa trenta anni, che sudava per l’ansia, steso su una barella.
– Si rilassi – gli disse una delle infermiere che lavoravano nella Sala delle prove.
– Hai una famiglia? Figli? – gli chiese Carolina per farlo rilassare.
– Due divorzi, quattro figli – rispose l’uomo senza guardarla.
– Sei molto coraggioso, poca gente osa essere ProHu.
– Lo faccio per i miei figli.
– Vuole essere addormentato durante il processo? L’avverto che questo potrebbe avere degli effetti negativi – lo informò l’infermiera.
– Mi ha chiesto se voglio morire addormentato?
– Non dire così, non morirai.
– A essere sincero, per me fa lo stesso. Chissà chi avrà creato questo siero miracoloso che mi inietteranno?
– Questo siero miracoloso come lo chiama lei è possibile che eviti che migliaia di persone muoiano e che altrettante vengano contagiate e finiscano allo stesso modo. E l’ho creato io – disse Carolina arrabbiata.
– Mi dispiace – si scusò l’uomo, guardando in faccia Carolina per la prima volta —. Sei molto giovane, non sapevo che le persone che studiano queste cose fossero così giovani. Sei anche molto bella.
Carolina arrossì di fronte al complimento dell’uomo.
– Farà male?
– Non lo so.
L’infermiera entrò nel modulo di isolamento dove si trovava il ProHu. Con la sua tuta di isolamento si avvicinò a lui, gli iniettò il virus e subito dopo gli iniettò l’antigene.
– Rimarrò qui un po’ a osservarlo. Se ho bisogno di aiuto, chiamerò uno dei medici.
– Adesso non resta che aspettare – disse Carolina all’infermiera.

6. Ti sei perso, ma io ti ho trovato
Samuel si svegliò alle quattro del mattino piangendo per colpa di un incubo. Trovò Monica al piano di sotto seduta sul divano, con un’espressione addolorata. Monica aveva passato tutta la notte a svegliare tutti i suoi conoscenti e vicini per chiedergli se sapevano dov’era suo figlio Oscar. Nessuno sapeva niente.
Monica rimase seduta sul divano, con Samuel che dormiva con la sua testolina sulle sue gambe, ed era addolorata per la discussione con suo figlio. L’unica persona che non aveva chiamato era il padre di suo figlio, ma escluse subito che Oscar potesse essere con lui. Non sapeva dove viveva e non si era portato dietro il cellulare, quindi in pratica era impossibile.
La sveglia iniziò a suonare alle sette del mattino. Quel giorno iniziava a lavorare di nuovo. Monica si alzò dal letto, aveva dormito solo pochi minuti. Al suo fianco stava dormendo suo figlio minore. Dopo essersi vestita, lo svegliò.
– Svegliati, cucciolo – Samuel emise un lamento —. Svegliati o ti faccio il solletico.
– No! – protestò il piccolo.
– Preferisci Maribel o Rocío?
– Nessuna delle due.
– Devi scegliere, la mamma deve lavorare.
– Non posso rimanere con il mio fratellino?
– Il tuo fratellino non c’è, scegli – lo sollecitò Monica mentre si pettinava.
– Rimango solo.
– Non è possibile.
– Vengo con te.
– Non è possibile neanche questo.
– Cavolo, mamma, è che Maribel e Rocío non mi piacciono.
Trentadue minuti dopo, Monica arrivava a casa del suo cliente. La casa era una grande villa in periferia, circondata da alberi rigogliosi.
Un uomo imbronciato, con un vestito completamente bianco e con un fazzoletto viola nella tasca della sua giacca, che teneva in mano un bicchiere di plastica pieno di caffè, aprì la porta posteriore della limousine che guidava Monica.
– È consapevole del fatto che è arrivata due minuti più tardi? Spero che non si ripetano più dei ritardi, sennò dovrò licenziarla – l’uomo fissò il sedile di copilota —. Chi è questo bambino? – Monica arrossì.
– Mi dispiace, è mio figlio, non sapevo dove lasciarlo e… – si scusò Monica.
– Già, sì, si risparmi le sue scuse, non mi interessano e non mi piacciono le persone che ne hanno sempre una pronta, preferisco le persone decise. Non mi importa che abbia portato suo figlio, mi piacciono i bambini. Ma perché non parte?
– Mi dispiace, non so dove lavora. Potrebbe dirmi dove andare?
– Non le hanno dato l’indirizzo?
– No.
L’uomo sospirò.
– D’accordo, stavolta le dirò dove andare. E, per favore, non si scusi più e non mi dia del lei, non sono così anziano.
L’uomo aveva un aspetto giovane, nonostante fosse pieno di capelli bianchi. Monica calcolò che doveva avere all’incirca quaranta anni.
La donna di Elche mise in moto la limousine seguendo le indicazioni del suo capo. Era agitata, non voleva rovinare il suo nuovo lavoro dal primo giorno. Il tragitto durò appena dieci minuti. Se fosse andata per una strada automatica, ci avrebbe messo più di cinquanta minuti. Monica iniziò a capire il senso dell’utilizzo delle strade antiche: evitare ingorghi e arrivare prima alla meta.
– Sono piacevolmente sorpreso di lei – l’uomo regalò un sorriso a Monica per la prima volta —. Quanti anni hai? – chiese a Samuel.
Samuel alzò la mano nascondendo il pollice e indicando un quattro. L’uomo gli si avvicinò e gli accarezzò la testolina.
– Ci vediamo all’una, non arrivi in ritardo stavolta – disse rivolgendosi di nuovo a Monica, che fece sì con la testa.
L’uomo si mise degli occhiali da sole abbastanza moderni e scese dalla limousine, con così tanta sfortuna che rovesciò il resto del caffè sui pantaloni bianchi.
– Merda! Cazzo!
Samuel e sua madre risero mettendo la mano davanti alla bocca per nascondere la risata. Il capo di Monica si girò e sorrise forzando le labbra.
La donna di Elche si diresse con suo figlio verso un parcheggio abbandonato non molto lontano dall’azienda del suo capo, ricordandosi delle parole dell’uomo che l’aveva chiamata il giorno prima per dirle di non allontanarsi dall’azienda.
– Dobbiamo aspettare in macchina fino a che finisca?
– Sì. Vuoi che giochiamo a qualcosa?
Samuel scosse la testa per dire di no.
– Preferisco leggere.
– Sai, anche a tuo papà piaceva molto leggere.
– Mamma, quando andrò all’aldilà, lo vedrò?
– Non lo so, amore mio, speriamo di sì – gli rispose molto dolcemente.
Samuel prese uno dei due libri che si era portato e iniziò la lettura. Monica, invece, cercò su Internet il suo nuovo capo. Si chiamava Alexis, aveva quaranta anni come aveva immaginato e, quando era più giovane, era stato sulla copertina di numerose riviste a causa dei suoi scandali. Da quello che poté scoprire, si era sposato quattro volte, tutti matrimoni brevi tranne quello attuale, che durava già da quattro anni e dal quale erano nate le sue due meravigliose figlie: Yolanda di tre anni e Aura di un anno e mezzo. L’azienda dove l’aveva lasciato, “Il diamante dorato”, apparteneva alla sua famiglia da tre generazioni. Si occupava della fabbricazione e della ricerca di nuovi aggeggi tecnologici. Inoltre costruiva centri di immagazzinaggio dell’energia solare e bacini idrici in zone molto piovose per un progetto a scopo umanitario che permettesse di avere elettricità e acqua potabile a costo zero nelle case, un progetto annunciato anni prima, che Monica e altre persone bisognose non vedevano l’ora che si realizzasse.
Rovistando tra le foto da adolescente di Alexis, finalmente se lo ricordò. Se non l’aveva riconosciuto, era per colpa del suo grande cambiamento fisico. Quando era più giovane, era cicciottello, aveva la faccia piena di brufoli e si poteva dire che era brutto. Adesso, non potendo dire che era bello, era molto attraente, in parte grazie al suo aspetto più maturo. Da giovane aveva avuto un sacco di ragazze che gli si avvicinavano per i suoi soldi. Monica si ricordò che una di quelle ragazze era proprio una sua amica dell’infanzia che non ebbe molta fortuna. La sua attuale moglie era una vecchia modella svedese di biancheria intima, famosa per aver sfilato tre volte per la prestigiosa sfilata del disegnatore italo-spagnolo Fiordi Ramos e per aver avuto qualche particina in film famosi.
Senza che se ne rendesse conto, intenta com’era a scoprire nuovi dettagli sul suo capo, l’orologio segnò l’una meno un quarto. Monica mise in moto la limousine e si avviò.
Alexis salì senza dire una parola. Iniziò subito a leggere qualcosa sul suo cellulare, di stragrandi dimensioni. Monica lo guardava dallo specchietto retrovisore. Le sarebbe piaciuto scoprire di più sul suo nuovo capo, ma non osava parlargli, e inoltre non doveva. Quando arrivarono alla villa, scese senza salutare ed entrò in casa sua. Monica pensò che era antipatico.
Appena tornò a casa, vi entrò precipitosamente e cercò suo figlio maggiore, ma Oscar non era tornato. Subito dopo essersi assicurata che suo figlio non fosse tornato nel lasso di tempo in cui era al lavoro, suonarono il campanello di casa. Monica corse alla porta pensando che dovesse essere suo figlio. Invece vi trovò Ignacio con una rosa rossa un po’ pallida nella mano sinistra e uno sguardo che assomigliava un po’ a quella di un attore che recita in modo esagerato cercando di sedurre e un po’ a quella di un sadico assassino.
– Ciao, bella – disse mentre abbassava lo sguardo.
– Cosa vuoi, Ignacio? – chiese Monica mettendo le braccia sui fianchi.
– Non voglio arrivare alla difficile situazione di doverti sfrattare, quindi ci stavo pensando. Da sempre ho notato una certa attrazione tra noi – Monica tossì per non ridere —, ma dato che ieri Maribel mi ha detto che tu senti qualcosa per me, mi è parsa una buona idea uscire insieme. Se tu fossi parte della mia famiglia, non dovresti pagarmi l’affitto. Pensaci, sarebbe stupido rimanere per strada perché non vuoi uscire con me. In futuro potremmo persino sposarci e avere dei figli, se vuoi, anche se non mi piacciono molto i bambini.
– Credo di non averti capito bene. Mi proponi di prostituirmi in cambio dell’affitto?
– No, mi hai capito male. Io voglio solo che trionfi l’amore. Siamo due persone innamorate, perché non stare insieme?
Monica pensò che aveva sentito abbastanza stupidaggini, quindi rifiutò qualsiasi offerta dicendogli con durezza:
– Per te non sentirò mai niente di simile all’amore, quindi mettitelo in testa. Non tornare mai più per farmi una proposta così indecente come quella che mi hai appena fatto.
Monica si girò e sbatté la porta, davanti alla faccia stupita di Ignacio, che rimase lì in piedi senza sapere come reagire.
***
Erano le nove del mattino quando la porta principale si aprì. Monica vi accorse turbata. Oscar entrò con la faccia stanca.
– Tieni – disse Oscar a sua madre, consegnandole una busta.
Monica l’aprì, meravigliandosi della quantità di denaro che conteneva.
– Dove li hai presi? E dove sei stato da quando te ne sei andato? – chiese turbata.
– Tranquilla, sto bene. Paga Ignacio – disse con voce serena.
– No, finché non mi dici dove hai preso tutti questi soldi.
– Me li hanno dato i nonni, bastano per un anno intero.
Monica rimase a bocca aperta.
– Vedi, mamma, a volte non essere orgogliosi non è così brutto.
– Voglio che glieli restituisca subito – disse con tono autoritario.
– Ne abbiamo bisogno, o questi o la strada.
– Non più. Oscar, ho un lavoro, mi hanno assunta come autista.
Ora era Oscar a essere meravigliato.
– Cosa? Pensavo fosse uno scherzo. Sulle strade antiche guidano solo pazzi che cercano una scusa per sfidare la morte.
– Non mi succederà niente, le strade antiche sono quasi deserte.
– È quel quasi che mi preoccupa.
– Riguardo all’altro ieri… – Monica cambiò argomento.
– Non voglio parlarne.
Oscar iniziò a camminare verso le scale.
– Oscar, tuo padre non è come credi.
– Mamma, per favore, ho detto che non voglio parlarne.
– Ma abbiamo bisogno di parlarne.
– Parlare di cosa? Del fatto che sei una bugiarda?
– Ti ho deluso, vero?
– Non sai quanto.
Oscar salì al secondo piano e si chiuse in camera sua. Monica, invece, prese il cellulare e chiamò i suoi genitori.
– Chi è? Non vedo niente – si sentì parlare una voce femminile all’altro lato della linea.
– Non è una chiamata olografica, è solo vocale – una seconda voce si unì alla conversazione.
– Mamma, papà, sono io. Monica.
– Tesoro, devi comprarti un cellulare più moderno perché ti possiamo vedere come se tu fossi qui.
– Te ne regaleremo uno – disse suo padre.
– Nonni! – disse Samuel uscendo dalla cucina.
– Tesoro, attiva la videochiamata, voglio vedere mio nipote.
– Mamma, non ce n’è bisogno. Samuel, sali in camera tua – ordinò a suo figlio.
Samuel obbedì e salì le scale di corsa.
– Perché avete dato soldi a Oscar? Non ho bisogno dei vostri soldi.
– Io credo di sì, ci ha detto che vi avrebbero sfrattato.
– Papà, non intrometterti, ho già trovato lavoro.
– Bene, figlia, bene. Comunque tienili.
– Non ho intenzione di farlo.
– Questo tuo orgoglio ti farà fuori. Sai chi ho visto ieri dal parrucchiere?
– No, mamma.
– La madre di Oscar.
– La madre di Oscar sono io.
– Figlia, sei molto brava a fare la finta tonta. Sai cosa mi ha detto?
– Non ho voglia di indovinelli, mamma.
– Mi ha detto che vuole vedere suo nipote, e ne ha il diritto. Diciotto anni e l’ha visto solo nelle foto.
– Le hai fatto vedere foto di mio figlio? – chiese arrabbiata.
– È sua nonna. Per tua fortuna Oscar non ha avuto la faccia tosta di chiedere la custodia condivisa.
– Non avrete mica detto qualcosa di questo a mio figlio?
– Non gli abbiamo detto niente, ma se ce lo chiede, glielo diremo.
– Papà, è una questione tra me e mio figlio.
– Ti sbagli, è una questione tra tuo figlio e sua nonna.
Nel pomeriggio, come ogni ultima domenica di ogni mese, Monica e i suoi figli andarono insieme al cimitero a visitare la tomba del padre di Samuel, Miguel. Anche se era passato del tempo, il dolore per la perdita era ancora presente. Per Monica, Miguel aveva significato trovare la persona perfetta per lei, perderlo aveva significato un duro colpo. Se aveva potuto continuare con la sua vita, l’aveva fatto per i suoi figli. Per Oscar, era come se in Miguel avesse trovato il padre perduto, quello che tanto desiderava e che ora aveva scoperto di aver potuto avere se non fosse stato per la cupidigia di una madre che non gli permetteva di vederlo. Ma ora che conosceva parte della verità, era pronto a conoscerlo e a completare l’enigma che circondava l’adolescenza dei suoi genitori.

7. Tutti insieme
Keysi stava leggendo su un giornale digitale una notizia con il seguente titolo: Il prestigioso laboratorio maiorchino “Il faro della luce” trova l’antigene per il virus che ha ucciso centinaia di persone in Australia, orgogliosa della sua collega.
Era seduta all’entrata del laboratorio, con il suono del mare calmo in sottofondo. Dopo aver letto tutta la notizia, si alzò e rifece i controlli di sicurezza dell’entrata. Prima dovevi giustificare la tua presenza nel laboratorio, poi dovevi far passare dal sistema la tua scheda di autorizzazione. Se tutto era corretto, si apriva la prima porta, tutta di vetro. Poi dovevi passare da un rivelatore di materia che rivelava qualsiasi materiale, che fosse metallico, di plastica, di legno o di qualsiasi altro tipo che potevi indossare. Infine, dovevi entrare in una stanza a quadri e cristallina che rilevava residui di virus.
***
Mancava un giorno all’arrivo dei virologhi di Albero Alto e Keysi e Carolina non avevano ancora trovato un antigene per “la sabbia volante”, l’unico virus che rimaneva in laboratorio e per il quale non avevano ancora una cura.
– Questo virus è uno dei più complessi che abbia mai visto. La sua reazione con l’acqua è incredibile. Sono stupefatta, è affascinante. Non avevo mai visto un virus che reagisce così con un elemento concreto e ignora tutti gli altri. Potrei lasciar andare il virus nella stanza e non ci succederebbe niente, sempre che rimanga secco. Sembra che venga contagiato attraverso l’acqua. Sì, di sicuro è questo il modo in cui entra nel corpo. La tavola caratteristica è stupefacente. Ne avevate mai vista una così lineare? Sicuramente no. Dovremmo studiarlo a sua volta – la maiorchina osservava attraverso un microscopio la reazione del virus una volta esposto all’acqua.

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Futuro Pericoloso Mª Del Mar Agulló
Futuro Pericoloso

Mª Del Mar Agulló

Тип: электронная книга

Жанр: Современная зарубежная литература

Язык: на итальянском языке

Издательство: TEKTIME S.R.L.S. UNIPERSONALE

Дата публикации: 16.04.2024

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О книге: I progressi della medicina sono riusciti a guarire tutta la popolazione mondiale, trasformando le malattie in semplici ricordi. A causa di queste pratiche mediche, il sistema immunitario della gente è stato indebolito ed è vulnerabile a nuovi virus mortali. Benvenuti nell′era dei virus e degli ologrammi. In futuro, parecchi secoli dopo l′epoca contemporanea, i progressi della medicina permetteranno alla popolazione di non ammalarsi. Tali progressi indeboliranno il nostro sistema immunitario, lasciandolo esposto a una moltitudine di nuovi virus mortali. Carolina e Keysi, due giovani virologhe senza troppe cose in comune, saranno incaricate di lottare contro i nuovi virus, trovando antigeni che li facciano sparire. Allo stesso tempo dovranno scoprire se stesse, mentre lottano contro le difficoltà della loro vita privata. Le due compagne stringeranno un′amicizia che le farà crescere come persone. Tutto si complicherà quando la cura di parecchi di questi virus diventerà un compito impossibile e il pianeta si ritroverà in una situazione critica. Dall′altra parte, Monica, una giovane donna, vedova, con due figli e senza lavoro, dovrà lottare per sopravvivere in una società ultramoderna, dove la tecnologia ha invaso tutto e dove il lavoro scarseggia. La sua vita cambierà drasticamente quando si innamorerà dell′uomo sbagliato. Abbi il coraggio di addentrarti nell′era olografica, un mondo futurista, pieno di tecnologia e dove l′umanità dovrà affrontare varie sfide, inclusa una sua possibile estinzione. Riusciranno le due giovani virologhe a trovare un antigene che salvi il mondo? Ce la farà Monica a mantenere la sua famiglia?

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