Nel Segno Del Leone

Nel Segno Del Leone
Vignaroli Stefano
Anno 2019: ancora una volta, la studiosa Lucia Balleani e larcheologo Andrea Franciolini ci prenderanno per mano e ci guideranno attraverso gli arcani misteri della Jesi rinascimentale, tra vie, vicoli e Palazzi di un centro storico che, alle porte degli anni 20 del XXI secolo, inizia a rigurgitare dal sottosuolo antichi e importanti oggetti riferibili a epoche passate. Gli scavi archeologici di Piazza Colocci riserveranno infatti sorprese inaspettate agli occhi di tutta la popolazione jesina.Ricominciamo a seguire le vicende dei personaggi del XVI secolo attraverso le scoperte di antichi documenti e reperti archeologici da parte della giovane coppia di ricercatori dei nostri tempi. Nuovi venti di guerra ricondurranno infatti il Capitano darmi della Regia Citt? di Jesi ai campi di battaglia. Dopo i primi due episodi della serie Lo stampatore, eccoci giunti al finale, allultimo episodio della saga dedicata alla Jesi rinascimentale. Abbiamo lasciato Andrea quasi in punto di morte, soccorso dalla sua amata, celata sotto mentite spoglie. La trama si ? trasferita a Urbino, ma di certo i nostri due eroi, Andrea Franciolini e Lucia Baldeschi, dovranno ritornare a Jesi per coronare il loro sogno damore. Il matrimonio dovr? essere un evento festoso e sfarzoso, e dovr? essere celebrato dal Vescovo della Citt? di Jesi, Monsignor Piersimone Ghislieri. Ma siamo sicuri che oscure trame, del destino e degli uomini, non riusciranno a ostacolare per lennesima volta lunione tra Andrea e Lucia? I due amanti si sono ritrovati, e per nulla al mondo vorrebbero lasciarsi di nuovo. Andrea vuol finalmente far da padre alla sua bambina, Laura e, perch no, anche alla figlia adottiva di Lucia, Anna. Le bambine sono fantastiche, stanno crescendo sane e vispe nella residenza di campagna dei Conti Baldeschi, e Andrea si trova a godere della loro vicinanza. Ma venti di guerra condurranno di nuovo il Capitano darmi della Regia Citt? di Jesi ai campi di battaglia. E a lasciare ben presto la tranquillit? e la pace riconquistata. I Lanzichenecchi premono alle porte dellItalia settentrionale e il Duca della Rovere, in una strana alleanza con Giovanni De Medici, pi? noto come Giovanni Dalle Bande Nere, si prodigher? a evitare che le soldataglie tedesche raggiungano Firenze e persino Roma. Evitare il saccheggio della citt? eterna nel 1527 non sar? compito facile, n per il Duca Della Rovere, n per Giovanni dalle Bande Nere, n tantomeno per il Capitano Franciolino de Franciolini. Seguiamo ancora una volta le vicende dei personaggi del XVI secolo attraverso le scoperte di antichi documenti e reperti archeologici della giovane coppia di ricercatori dei nostri tempi. Di nuovo, la studiosa Lucia Balleani e larcheologo Andrea Franciolini ci prenderanno per mano e ci guideranno attraverso gli arcani misteri della Jesi rinascimentale, tra vie, vicoli e Palazzi di un centro storico che, alle porte degli anni 20 del XXI secolo, inizia a rigurgitare dal sottosuolo antichi e importanti oggetti riferibili a epoche passate.


Stefano Vignaroli
Stefano Vignaroli
LO STAMPATORE
Nel segno del leone
2019 2020 Stefano Vignaroli
Tutti i diritti di riproduzione, distribuzione e traduzione sono riservati
I brani sulla storia di Jesi sono stati tratti e liberamente adattati dai testi di Giuseppe Luconi
Illustrazioni del Prof. Mario Pasquinelli, gentilmente concesse dai legittimi eredi
Sito web http://www.stedevigna.com
E-mail per contatti stedevigna@gmail.com
Edizioni Tektime

Indice dei contenuti

1 PREFAZIONE (#u43c924f8-051d-5b06-a31a-263630691465)
2 PREMESSA (#udc11f0bd-5823-59e1-8452-ff25974fc8a2)
3 CAPITOLO 1 (#u6dda2b28-a973-5c77-a7f8-3c4f09304e7f)
4 CAPITOLO 2 (#ue00e9fd2-cc0e-5190-9b0e-d7d51a957245)
5 CAPITOLO 3 (#u31dd2bbe-8978-5b45-b878-c58d66c5772f)
6 CAPITOLO 4 (#u97ada355-d624-5bf0-b197-bb7db1c3c92b)
7 CAPITOLO 5 (#u8ed43c93-ed91-56aa-a09e-98686aae7fc9)
8 CAPITOLO 6 (#ucf9fa8d4-de58-5159-a28b-7235d07fe50c)
9 CAPITOLO 7 (#uf0ffc24a-d919-5c77-991b-555803ccd0ac)
10 CAPITOLO 8 (#ucecb3417-7fd1-588c-a91c-1792685a6835)
11 CAPITOLO 9 (#u034f2e8b-5f76-570a-9e97-7c981631c9bc)
12 CAPITOLO 10 (#u2be6b8aa-d827-55e3-9a95-adf131907936)
13 CAPITOLO 11 (#litres_trial_promo)
14 CAPITOLO 12 (#litres_trial_promo)
15 CAPITOLO 13 (#litres_trial_promo)
16 CAPITOLO 14 (#litres_trial_promo)
17 CAPITOLO 15 (#litres_trial_promo)
18 CAPITOLO 16 (#litres_trial_promo)
19 CAPITOLO 17 (#litres_trial_promo)
20 CAPITOLO 18 (#litres_trial_promo)
21 CAPITOLO 19 (#litres_trial_promo)
22 CAPITOLO 20 (#litres_trial_promo)
23 CAPITOLO 21 (#litres_trial_promo)
24 CAPITOLO 22 (#litres_trial_promo)
25 CAPITOLO 23 (#litres_trial_promo)
26 CAPITOLO 24 (#litres_trial_promo)
27 CAPITOLO 25 (#litres_trial_promo)
28 CAPITOLO 26 (#litres_trial_promo)
29 CAPITOLO 27 (#litres_trial_promo)
30 CAPITOLO 28 (#litres_trial_promo)
31 EPILOGO (#litres_trial_promo)
32 NOTE DELLAUTORE (#litres_trial_promo)
33 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI (#litres_trial_promo)
34 Note (#litres_trial_promo)
35 Ringraziamenti (#litres_trial_promo)

A Giuseppe Luconi e Mario Pasquinelli,
illustri concittadini che fanno
parte della Storia di Jesi




PREFAZIONE
Nel segno del leone chiude magistralmente la trilogia di ambientazione rinascimentale, dal titolo Lo stampatore, inaugurata da Lombra del campanile e seguita da La corona bronzea. Protagonisti, ancora una volta, sono lindomito condottiero, il marchese Andrea Franciolini e la contessina Lucia Baldeschi, condannati dal destino a rimandare costantemente le nozze, suggello di un grande amore. E con essi, i loro discendenti, gli omonimi Andrea e Lucia dei giorni nostri. Linaspettato richiamo alle armi, giunto dal duca dUrbino nel giorno del matrimonio, obbliga Andrea a recarsi, attraverso un periglioso viaggio, nel nord Italia prima e nei Paesi Bassi poi, e Lucia a farsi nuovamente carico della reggenza della citt? di Jesi e del suo contado. Cos? la narrazione si sdoppia: da un lato ci sono il cavaliere errante e le sue avventure, costellate e arricchite dallincontro con personaggi pi? o meno storici, come nel caso dellastuto e spietato Giovanni dalle Bande Nere e del rivale prima e amico poi, il duca Franz Vollenweider, mercenario, mezzo picaro e mezzo lanzichenecco. Dallaltro Lucia, madre premurosa, amante dalle intense passioni e governante rosa in unepoca dominata dagli uomini, che nel solo Bernardino, lo stampatore, trova una spalla, un confidente e un alleato. Sullo sfondo, lo scontro tra limperatore Carlo V e il papa con i suoi alleati, dal re di Francia ai vari signorotti delle citt? italiane, che stringono e rompono alleanze con fare machiavellico. Battaglie, intrighi, amori, sabba al chiaro di luna e, soprattutto, due grandi misteri, affiorati dalle viscere della terra, dagli scavi nella piazza prospiciente il Palazzo del Governo di Jesi, legano e scandiscono le vicende delle Lucie e degli Andrea di ieri ed oggi. Un antico codice, voluto e bramato addirittura da Hitler, e unicona, raffigurante il leone traverso, simbolo della citt?, turbano i sogni, generano angoscia e brama di conoscenza e inducono allazione. Una prosa fluida restituisce non solo i colori, ma anche i suoni e le atmosfere di luoghi e situazioni e incatena il lettore alla pagina, dal primo allultimo capitolo, in un crescendo di attesa, per le sorti dei protagonisti. Vignaroli firma un grande affresco storico, in un misto di fantasia ed erudizione, che sigilla degnamente lultimo atto di una grande trilogia.
Marco Torcoletti


PREMESSA
Dopo i primi due episodi della serie Lo stampatore, eccoci giunti al finale, allultimo episodio della saga dedicata alla Jesi rinascimentale. Abbiamo lasciato Andrea quasi in punto di morte, soccorso dalla sua amata, celata sotto mentite spoglie. La trama si ? trasferita a Urbino, ma di certo i nostri due eroi, Andrea Franciolini e Lucia Baldeschi, dovranno ritornare a Jesi per coronare il loro sogno damore. Il matrimonio dovr? essere un evento festoso e sfarzoso, e dovr? essere celebrato dal Vescovo della Citt? di Jesi, Monsignor Piersimone Ghislieri. Ma siamo sicuri che oscure trame, del destino e degli uomini, non riusciranno a ostacolare per lennesima volta lunione tra Andrea e Lucia? I due amanti si sono ritrovati, e per nulla al mondo vorrebbero lasciarsi di nuovo. Andrea vuol finalmente far da padre alla sua bambina, Laura e, perch no, anche alla figlia adottiva di Lucia, Anna.
Le bambine sono fantastiche, stanno crescendo sane e vispe nella residenza di campagna dei Conti Baldeschi, e Andrea si trova a godere della loro vicinanza. Ma venti di guerra condurranno di nuovo il Capitano darmi della Regia Citt? di Jesi ai campi di battaglia. E a lasciare ben presto la tranquillit? e la pace riconquistata. I Lanzichenecchi premono alle porte dellItalia settentrionale e il Duca della Rovere, in una strana alleanza con Giovanni De Medici, pi? noto come Giovanni Dalle Bande Nere, si prodigher? a evitare che le soldataglie tedesche raggiungano Firenze e persino Roma. Evitare il saccheggio della citt? eterna nel 1527 non sar? compito facile, n per il Duca Della Rovere, n per Giovanni dalle Bande Nere, n tantomeno per il Capitano Franciolino de Franciolini.
Seguiamo ancora una volta le vicende dei personaggi del XVI secolo attraverso le scoperte di antichi documenti e reperti archeologici della giovane coppia di ricercatori dei nostri tempi. Di nuovo, la studiosa Lucia Balleani e larcheologo Andrea Franciolini ci prenderanno per mano e ci guideranno attraverso gli arcani misteri della Jesi rinascimentale, tra vie, vicoli e Palazzi di un centro storico che, alle porte degli anni 20 del XXI secolo, inizia a rigurgitare dal sottosuolo antichi e importanti oggetti riferibili a epoche passate.
Stefano Vignaroli


CAPITOLO 1
Bernardino, sulla soglia della sua stamperia, che si affacciava in Via delle Botteghe, in corrispondenza dellarco dellantica Domus Verronum, con grande soddisfazione guardava sfilare il corteo nuziale. Alfine, dopo tanti ostacoli e alterne vicende, la contessa Lucia Baldeschi, in un radioso giorno della tarda estate 1523, si sarebbe unita in matrimonio con Andrea De Franciolini. Anzi, per la precisione, con il Marchese Franciolino De Franciolini, Signore dellAlto Montefeltro e Capitano dArme della Regia Citt? di Jesi. Il corteo vero e proprio era stato preceduto da rulli di tamburi e squilli di trombe, dallesibizione di sbandieratori, dalle evoluzioni degli eleganti rapaci lanciati in volo da abili falconieri, e ancora dalla sfilata delle famiglie nobili dei vari rioni della citt?, ognuna identificata dal proprio gonfalone e dallo stendardo del quartiere di appartenenza. La citt? era un tripudio di colori. Ogni via, ogni vicolo e ogni palazzo era addobbato a festa. Laria frizzantina di settembre, con lavanzare della giornata verso le ore centrali, aveva ceduto ai raggi del sole, che stavano riscaldando latmosfera in maniera davvero insolita per la stagione, tanto che molti nobili sciorinavano sudore allinterno dei loro abiti di broccato o velluto. Le pi? fortunate erano le nobildonne che avevano scelto di indossare freschi abiti di seta colorata. Bernardino aveva riconosciuto gli appartenenti alle pi? importanti famiglie Jesine, non solo dai vessilli, ma perch conosceva bene le loro fisionomie. I Conti Marcelli, i Marchesi Honorati, gli Amatori, gli Amici e i Colocci. Tutti diretti verso Piazza San Floriano per assistere alla funzione religiosa presieduta dal Cardinale Piersimone Ghislieri, vescovo molto amato dalla cittadinanza tutta. Dopo un passaggio di giocolieri e mangiafuoco e unaltra giostra di sbandieratori, comparve finalmente la sposa, bellissima, sopra un cavallo dal manto bianco candido, dalla criniera acconciata in fini treccine che ricadevano da un lato e dallaltro dellelegante collo dellanimale. Lucia indossava una splendida gamurra di seta damascata rossa, arricchita da motivi floreali disegnati a leggero ricamo in rilievo. Allo scollo rettangolare e ai bordi delle maniche era stato aggiunto del pizzo bianco. Labito, lungo fino ai piedi, abbellito da bottoni incastonati e gemme preziose, stretto in vita da una cintura finemente intrecciata, non consentiva alla damigella di sedere in sella al cavallo come unamazzone, cos? come ella era abituata. Entrambe le gambe dovevano essere poggiate dallo stesso lato della cavalcatura, rendendo ancor pi? difficile e faticoso mantenere lequilibrio sulla sella. Ma Lucia manteneva uno sguardo altezzoso, reggendosi leggera alle redini, senza mai guardare alcun cittadino fisso negli occhi. Si lasciava ammirare, senza ricambiare lo sguardo a chicchessia. Solo quando pass? accanto a Bernardino, il suo viso si illumin? e abbozz? un sorriso a mo di saluto rivolto al suo caro amico e mentore. Lo stampatore se ne accorse e se ne compiacque tra s e s. Guardando con ossequiosa ammirazione la Contessina Baldeschi, ramment? come il rosso fosse il colore preferito dalle spose del tempo. Il rosso era il simbolo della potenza creatrice e, quindi, della fertilit?, ma soprattutto i tessuti di quel colore erano i pi? costosi e apprezzati. Il corteo nuziale era ritenuto parte integrante della cerimonia. Di solito esso rappresentava una pubblica ostentazione delle ricchezze della famiglia della sposa, che sfilava per le vie della citt? nella sua pregiatissima veste nuziale, accompagnata dai nobili cavalieri della famiglia. Niente di tutto questo per Lucia Baldeschi, che non aveva voluto nessun presunto appartenente alla sua famiglia attorno a s. La sua sobria eleganza e il suo portamento era quasi quello di una regina che si recava allaltare per sposare il suo principe. Una regina che comunque si era fatta sempre amare dal suo popolo per ci? che era e non per ci? che voleva apparire. E non si sarebbe mai sognata di apparire in maniera diversa solo perch quello era un giorno speciale. Tutti i cittadini jesini avevano imparato ad amarla come donna dal carattere forte e determinato, ma nel contempo dallanimo buono e gentile. Bernardino si accod? al corteo che, di l? a poco, sarebbe giunto sul sagrato della Chiesa di San Floriano, dove ad attenderlo doveva esserci lo sposo insieme al Cardinal Ghislieri. L?, sul sagrato, si sarebbe svolta la cerimonia nuziale con lo scambio degli anelli. Dopo di che, sposi, celebranti e invitati sarebbero entrati in Chiesa, per la celebrazione della Messa vera e propria.
Anche se non lo dava a vedere, Lucia non stava pi? nella pelle dallansia. Non vedeva lora di scendere dal destriero e avvicinarsi al suo sposo, protendendo in avanti la sua mano sinistra, in maniera tale che lui la baciasse e la continuasse a tenere stretta alla sua. Ma appena il cavallo bianco mise piede nella Piazza, che a suo tempo aveva dato i natali allimperatore Svevo, fu subito evidente alla sposa e a tutto il suo seguito che il Capitano Franciolini non era al suo posto, sotto il baldacchino preparato alluopo davanti alla Chiesa. Il Vescovo, il Cardinal Ghislieri, accolse la giovane sposa allargando le braccia imbarazzato. Era evidente che non sapeva da che parte iniziare per riferire le dovute spiegazioni.
Uomini del Duca Della Rovere S?, erano proprio uomini del Duca Della Rovere quelli che si sono presentati poco fa. Hanno scambiato poche parole con il Marchese e gli hanno messo in mano una busta sigillata. Lui lha letta in un batter di ciglia poi, senza proferire parola alcuna, ? saltato sul suo cavallo ed ? partito di gran carriera dietro a quegli uomini. Prima di scomparire, si ? rigirato gridandomi Scusatemi con la Contessina, ma la mia persona ? richiesta a Mantova con la massima urgenza!


CAPITOLO 2
La rocca dei principi di Carpegna era un sicuro rifugio, data linaccessibilit? del luogo, arroccato comera su uno sperone roccioso, sovrastante un borgo di poche case sul Monte della Carpegnia. Erano passati ormai un paio di mesi dal memorabile 27 marzo 1523, giorno in cui Andrea era rimasto ferito in maniera grave, durante un torneo cavalleresco, per mano del vile Masio da Cingoli. Era ovvio che costui era invidioso della sua posizione e sperava nella sua morte, o quanto meno in una sua grave invalidit?, per entrare nelle grazie del Duca Della Rovere al suo posto. E ci aveva provato in tutti i modi, ma gli era andata male. Andrea aveva saputo solo in seguito che lo stesso giorno, lo stesso 27 marzo, il papa Adriano VI aveva firmato la bolla che provvedeva a legalizzare la posizione di Francesco Maria Della Rovere, confermando in suo favore tutte le singole concessioni fatte dai papi precedenti e annullando la sentenza di Leone X, che assegnava i territori di Urbino e del Montefeltro ai Medici. Il Duca era stato reintegrato nella sua posizione, e gli erano stati restituiti i suoi territori, per il censo annuo di 1340 fiorini per il Ducato di Urbino, 750 per la citt? di Pesaro e 100 per Senigallia. Solo San Leo e Maiolo, dove si erano attestate, tra il gennaio e il febbraio del 1523, le truppe di Giovanni De Medici, meglio conosciuto come Giovanni dalle Bande Nere, rimanevano sotto il dominio dei Medici, a far da cuscinetto tra le terre feltresche e quelle medicee.
Andrea si era ripreso in maniera davvero lenta, vuoi per la grave perdita di sangue subita, vuoi perch gli era stato di nuovo offeso un braccio gi? lesionato durante il sacco di Jesi. Aveva sperato, riaprendo gli occhi dopo giorni di agonia, di ritrovare accanto a s la sua amata Lucia, come era accaduto quando era stato ferito anni prima. Invece, la sola presenza che avvertiva era quella di un frate francescano, che si dava da fare con decotti e impiastri, di cui Andrea era sicuro che costui ignorasse le propriet? curative. Magari era stato istruito cos? dalla contessina che, non potendo rimanere accanto a lui, aveva affidato al frate i suoi rimedi. Rimaneva infatti stampata nella sua mente limmagine inconfondibile degli occhi di Lucia, intravisti attraverso la visiera di una celata prima di perdere conoscenza. Ma ne era sicuro? O era solo la sua immaginazione a farglielo credere? Gi?, limmaginazione di una persona con addosso la paura della morte, che gli fa travisare la realt? in favore di concetti a lui benevoli. In ogni caso, comunque fossero andate le cose, ora stava meglio. La spalla continuava s? a trasmettergli dolori lancinanti, ma era ora di riprendersi appieno e la prima cosa a cui pensare era la vendetta nei confronti di Masio. La vendetta ? un piatto che va assaporato freddo. E lui aveva avuto tutto il tempo di pensare al da farsi.
Stava recuperando le forze poco a poco, e i piani daltura del Monte Carpegna erano lideale per cavalcate tranquille e ristoratrici. Non si potevano temere imboscate, in quanto lorizzonte del tutto scoperto non consentiva a chicchessia di giungere di nascosto. Pertanto, al fine di ritemprare lo spirito e la muscolatura, Andrea era ormai solito sellare una mite cavalcatura di buon mattino e uscire nellaria pura e frizzantina che solo la montagna poteva offrire. Ogni giorno si sentiva pi? forte e pi? sicuro di s, anche se la spalla ancora gli doleva. Ma lui stringeva i denti, cercava di resistere come nulla fosse, e in breve i dolori si dileguavano come neve al sole. Desiderava essere di nuovo in piena salute, per raggiungere quanto prima la sua amata e la sua citt?, per mettere in atto la promessa di matrimonio, ma anche per riprendere in mano il governo della sua citt?. E in virt? di ci? che gli era stato concesso dal Duca Della Rovere, poteva esigere tutto ci? a pieno titolo. Non era pi? il semplice figlio di un mercante, per quanto nominato dal popolo jesino suo capitano. Ora era nobile, era un Marchese, con tanto di terre, anche se aspre terre di montagna, e per di pi? era nelle grazie del Duca di Urbino. Certo, doveva obbedienza a questultimo, ma si sentiva di poter tornare a Jesi in piena autonomia. Nonostante immerso in questi pensieri, non pot fare a meno di scorgere in lontananza la nuvola di polvere sollevata da un manipolo di uomini a cavallo che stava risalendo lungo la sterrata che conduceva verso la rocca. Ud? in lontananza i richiami delle sentinelle dagli spalti. Anche se le voci non sembravano allarmate, ci fu il colpo di cannone ad avvertire dellarrivo di un potenziale nemico. Poi, i rintocchi delle campane fecero capire ad Andrea che non cera pericolo, che chi si stava avvicinando non era in assetto da combattimento. Quando il gruppo cominci? a distinguersi meglio, not? un cavaliere dal portamento pi? fiero, su un destriero che superava in altezza tutti gli altri palafreni, cavalcati da armigeri dalle leggere armature. I colori erano quelli Medicei.
Giovanni De Medici, si disse Andrea tra s e s, il famoso e famigerato Giovanni dalle Bande nere, o meglio Ludovico di Giovanni De Medici, rinnegato in maniera ufficiale dalla sua famiglia in quanto figlio illegittimo di Giovanni il Popolano, ma comunque ancora legato con forza ad essa. Perch mai si sar? spinto fin qui? Avr? saputo della mia presenza? Sar? venuto a sfidarmi? Vorr? riprendersi i territori dellalto Montefeltro per conto della sua famiglia?
Linaspettato arrivo un po preoccupava Andrea, anche perch in uneventuale scontro con gli sgherri Medicei avrebbe avuto dalla sua solo pochi uomini al servizio dei Conti di Carpegna. Ed erano ben poca cosa rispetto alla fama che accompagnava i soldati di ventura del Capitano Giovanni dalle Bande Nere. Si rigir? verso la rocca, pensando che era meglio conferire con il Medici tra mura sicure e affiancato da uomini di sua fiducia, quando vide che gi? i Conti Carpegna, i fratelli Piero e Bono, erano usciti di gran carriera e stavano cavalcando verso di lui per portargli manforte. Certo di avere le spalle protette, si rigir? dunque verso i potenziali nemici, che erano ormai giunti a breve distanza da lui. Andrea pose mano allelsa della spada, assicurata alla sella della sua cavalcatura, stringendola, pronto a sfoderarla a qualsiasi cenno di ostilit? da parte dei nuovi arrivati. Il Dalle Bande Nere alz? un braccio, facendo segno al suo seguito di fermarsi, poi con un balzo scese da cavallo e si avvicin? a piedi, mantenendo le braccia larghe e sollevate. Il gesto era evidente e Andrea si rilass?, staccando la mano dallarma e scendendo a sua volta da cavallo. Quando fu a pochi passi da lui, luomo si profer? in una profonda riverenza. Andrea lo osserv?, lo squadr? dalla testa ai piedi, cercando di capire come mai a quella persona allapparenza cos? mite era stata associata la fama di guerriero spietato. Era un uomo giovane, avr? avuto s? e no sui venticinque anni, il viso ornato da una barba curata, non troppo lunga. I capelli, scuri e tagliati corti, erano evidenti grazie al fatto che il capitano non indossava celata di sorta e facevano da contorno a un viso tondo dallaria serena. Luomo non era neanche alto, visto cos? a terra. Con tutta probabilit? cercava di cavalcare animali alti e possenti per sovrastare chi gli stava intorno. Indossava un farsetto color terra bruciata, con ricamate sul davanti le cinque palle rosse e il giglio a tre punte, a simboleggiare la fedelt? alla sua famiglia di origine.
? un onore per me vedervi qui, messere, fece Andrea, abbozzando a sua volta un inchino a mo di saluto, ansioso di conoscere il motivo dellinaspettata visita. Or dunque, posso sapere che cosa vi ha spinto a muovere dalla rocca di San Leo, vostro indiscusso baluardo, fino al Monte della Carpegnia, che rappresenta per voi un terreno infido e pieno di perigli?
Giovanni si schern? e allarg? la bocca in un sorriso, poi Andrea lo vide avvicinarsi di pi? a lui, fino a porgli una mano sulla spalla, quasi in un gesto di amicizia. Da lui? Da uno che considerava un nemico? Doveva aspettarsi di cadere in una qualche trappola? Cera poco da fidarsi. Andrea si irrigid? e laltro abbass? il suo braccio, poi inizi? a parlare.
Porto buone notizie per voi, forse un po meno per me, esord? il Medici. Il Duca di Urbino si ? accordato col nuovo Papa, e
Mi state raccontando cose di cui gi? sono al corrente. Laccordo con Adriano VI ? avvenuto un paio di mesi fa!
Sulle labbra dellinterlocutore si stamp? di nuovo un sorriso.
Non mi interrompete, fatemi terminare. Non parlo del Papa che, credo ancora per poco, siede sullo scranno pontificio. Parlo del Vescovo di Firenze, di Giulio De Medici, che ben presto prender? il posto che gli spetta. Girano voci che Adriano Florensz abbia una salute molto cagionevole e che abbia una vita ormai breve. Se il buon Dio non lo richiamer? accanto a s, dovr? comunque rinunciare a breve alla carica. E il papato torner? di nuovo alla casa dei Medici.
E voi siete qui a volermi far credere che il mio signore, il Duca Della Rovere, da sempre acerrimo nemico della casata a cui appartenete, si sia gi? in segreto accordato con il Vescovo di Firenze, ancor prima di avere la certezza che sar? eletto al soglio pontificio? Ma fatemi il favore!
Credetemi! Per dimostrarvi la mia buona fede, vi ho portato un omaggio, che so per certo vi sar? gradito.
Con uno schiocco di dita, Giovanni fece cenno di avvicinarsi a uno degli sgherri rimasti a breve distanza. Questultimo balz? a terra e si avvicin?, andando a posare in terra, vicino al suo signore, una grossa cesta di vimini. Quindi si profer? in una riverenza e ritorn? indietro sui suoi passi. La tensione si poteva tagliare con il coltello. Tutti rimanevano in silenzio, persino i Conti di Carpegna si erano fermati a rispettosa distanza ed erano in attesa di come si sarebbero svolti i fatti. Lunico rumore che si poteva avvertire era il garrire degli stendardi, che si tendevano sotto la spinta del vento. Giovanni scoperchi? la cesta e afferr? il macabro contenuto, mostrandolo ad Andrea. Una testa mozzata di netto dal collo, ancora sgocciolante sangue, i capelli impigliati tra le dita di colui che con il braccio teso gliela stava sventolando fiero sotto il naso. Andrea trattenne a stento un conato di vomito, ma riconobbe a chi era appartenuto in vita quella specie di trofeo.
Il vostro peggior nemico, Messer Franciolini! Masio da Cingoli. Come vedete, mi sono preso la briga di fare in modo che non vi dia pi? noia. Me ne dovreste essere grato e riconoscente!
A dire il vero avevo altre intenzioni su di lui. Avrei descritto i fatti al Duca Della Rovere, tramite una missiva il cui contenuto avevo gi? in mente, reclamando un giusto processo per questo poco di buono. Lultimo dei miei desideri era quello di ucciderlo senza intervento della giustizia. Se lo avessi fatto, mi sarei messo al paro di lui. Sia mai che si dica in giro che il Marchese Franciolini ? un vigliacco!
Potevate sempre sfidarlo a duello, ma visto che qualcun altro ha pensato a lui, avete avuto salvo lonore e potete di certo ritenervi soddisfatto, e cos? dicendo Giovanni Dalle Bande Nere gett? con disprezzo la testa di Masio a terra, in prossimit? dei piedi di Andrea, riprendendo subito il discorso, prima che questultimo avesse modo di ribattere. Ma c? di pi?, e questa ? la bella notizia per voi. Io e miei uomini stiamo lasciando San Leo. Visti i termini dellalleanza tra i Medici e il Duca Della Rovere, non c? pi? nulla da temere in questi luoghi. Nei giorni prossimi le comunit? di San Leo e Maiolo ricadranno nella vostra giurisdizione. La nostra presenza ? invece reclamata a Brescia. Sembra che i Lanzichenecchi si siano mossi da Bolzano e premano alle porte di questa citt?. I Gonzaga da un lato e i Visconti-Sforza dallaltro, si sentono in pericolo, essendo il grosso delle forze Veneziane in questo momento impegnate in Dalmazia a respingere gli attacchi degli Ottomani. Il Della Rovere, da solo, non riesce a tener testa a quelle bande di soldatacci, e nessuno vuole che, dietro costoro, giunga lesercito di Carlo V dAsburgo a minacciare citt? come Milano, Firenze o, peggio, Roma. C? bisogno dei miei soldati di ventura, e il nostro comune amico, Francesco Maria, lo ha ben capito!
Se non fossi in queste condizioni, di certo il Duca avrebbe convocato me e i miei uomini a combattere al suo fianco, piuttosto che questo sanguinario con la faccia da angioletto, si disse Andrea tra s e s, guardandosi bene dallesprimere questo suo pensiero. Ma, in fin dei conti, forse ora ? meglio cos?. Via il Medici, questi territori al momento sono tranquilli e io potr?, appena possibile, far rientro a Jesi e sposare la contessina Lucia.
Gett? un ultimo sguardo alla testa di Masio, ne ebbe piet?, la raccolse e la rinfil? dentro la cesta, chiudendola con il coperchio, poi si rivolse a Giovanni.
Sono contento per voi, Messer Ludovico, e rimarc? la voce su questo nome, conscio di come fosse sgradito alla persona che gli era davanti essere chiamato cos?. Vi ringrazio di tutto e vi auguro buona fortuna.
Detto questo, si rigir?, balz? in sella al cavallo, raggiunse Piero e Bono, che erano rimasti fino a quel momento silenziosi spettatori, e si riavvi? al loro fianco verso la rocca, spronando la cavalcatura a passo veloce.
Uno sbruffone, non c? che dire!, si lasci? sfuggire Piero di Carpegna.
Gi?!, replic? Bono.
Lasciate perdere, intervenne Andrea. Non ci dar? pi? fastidio, e questo ? limportante. Piuttosto, fate recuperare la cesta con la testa di Masio. Voglio che gli venga data una degna sepoltura. Non sopporto davvero che qualcuno si sia preso la briga di fare giustizia per me, e non voglio che si dica che io abbia accettato con piacere lesecuzione sommaria di quel vile. Vigliacco era in vita e vigliacco rimane. Ma io non sono pari a lui!
Ed ? vero!, rispose ancora Piero. Avete un animo nobile e generoso, e tutti noi lo apprezziamo. Provvederemo a far sistemare i resti mortali di Masio. Anzi, manderemo qualcuno anche a cercare il resto del corpo, dopo che Giovanni Dalle Bande Nere avr? lasciato San Leo.



CAPITOLO 3
Eleonora era bellissima. Il suo corpo nudo, semi abbandonato sul letto, imperlato di sudore, rifletteva le fiamme del camino, assumendo una colorazione ambrata, che ravvivava di nuovo il desiderio di Francesco Maria. Far lamore con la sua sposa era molto pi? appagante che farlo con una servetta o, peggio, con una sgualdrina. Allung? una mano a sfiorarle un capezzolo. Lo sent? drizzarsi sotto il suo tocco delicato, poi vide Eleonora muoversi, risvegliarsi dal torpore e protendersi di nuovo verso di lui. Le bocche si unirono in un lungo bacio. Un incontro di labbra, di lingue, di corpi nudi ardenti di unirsi di nuovo, in un intreccio di lunghi capelli, biondi quelli di lei, scuri quelli di lui. Prima di penetrare di nuovo sua moglie, il Duca infisse i suoi occhi scuri, quasi neri, in quelli azzurro mare di lei.
Ti amo, le sussurr?, rendendosi conto che quelle due parole, allapparenza cos? semplici e scontate, non le avrebbe pronunziate in presenza di alcunaltra donna. Per tutta risposta, Eleonora prese il suo viso tra le sue mani calde, accarezz? la sua barba ruvida, accompagnandolo a distendersi supino sulle lenzuola di lino. Poi si mise a cavalcioni sopra di lui, facendo scivolare il suo membro turgido tra le sue cosce. Francesco Maria era in estasi. Gli piaceva moltissimo che fosse lei a prendere liniziativa. Guardava Eleonora dal basso dondolare sopra di lui, in un crescendo sempre pi? serrato di movimenti altalenanti, in un ritmo sempre pi? veloce e incalzante. Gocce di sudore, dalla fronte di lei, giungevano a imperlargli il petto, le gote, la fronte. Spinse le sue mani di guerriero lungo i fianchi della sua indomita puledra, fino a raggiungere i seni, per iniziare a carezzarli con movimento circolare. Sent? Eleonora eccitarsi ancora di pi?, sent? il suo fiato ansimante tramutarsi quasi in un grido di piacere. Cap? di non poter pi? trattenersi e inond? il ventre della sua donna che, raggiunto lorgasmo, grid? ancor pi? forte, poi si ferm? e si accasci? sopra di lui, facendo in modo che il suo membro ancora non abbandonasse le spire del grembo di lei. Francesco sospir?, sazio della nottata damore, attese che lerezione pian piano terminasse, poi scost? con delicatezza linerme corpo femminile. Sapeva bene che dopo il terzo amplesso, Eleonora si addormentava profondamente. Si assicur? che il suo respiro fosse regolare, ricopr? il suo corpo nudo con il lenzuolo, e si alz? dal letto, infilandosi le calze braghe. Port? alla bocca un paio di acini di dolce uva bianca poi, pensieroso, si avvicin? alla finestra ammirando i riflessi argentei della luna sulle acque del lago. Erano alcuni mesi che era ospite nel castello scaligero di Sirmione, un castello circondato dalle acque su tutti e quattro i lati e costruito in posizione strategica, sulla riva meridionale del Lago di Garda, dai Signori di Verona, proprio per contrastare i temibili nemici che immancabilmente scendevano dalle Alpi, lungo la vallata del fiume Adige. E in quel periodo il nemico era ancor pi? temibile, perch anzich essere costituito da un esercito regolare, era composto di sanguinarie bande armate di tedeschi, che venivano chiamati Lanzichenecchi, e che combattevano a tutto vantaggio dellimperatore Carlo V dAsburgo, ma lo facevano a modo loro. Le acque del lago erano tranquille in quella notte di met? Novembre e il paesaggio circostante, illuminato dalla luna e sovrastato dalle sagome delle montagne, era davvero suggestivo. Dalla finestra, Francesco Maria poteva gettare lo sguardo sulla darsena sottostante, un ampio piazzale dalla forma di quadrato irregolare, delimitato dalle mura del castello e invaso dalle acque del lago. Attraverso unapertura della cinta muraria, imbarcazioni anche di una certa stazza potevano trovare rifugio sicuro allinterno. La darsena era il luogo di stanza per la flotta scaligera, una flotta che difficilmente avrebbe visto il mare aperto, considerando che il lago non aveva emissari navigabili comunicanti con le rive dellAdriatico. Solo attraverso una serie di complicate manovre lungo canali dacqua artificiali e campi allagati le imbarcazioni potevano essere trasferite alla grande darsena presso la Cittadella armata della citt? di Mantova. Da qui, attraverso il Mincio, si poteva poi raggiungere con facilit? il grande fiume Po, lantico Eridano, e alfine navigare verso i territori Veneziani e verso il Mare Adriatico.
Guardando oltre le mura di settentrione, Francesco Maria, al momento, poteva osservare solo placide acque, punteggiate qua e l? di scafi, e baluardi montuosi, le cui cime avevano gi? cominciato a ricoprirsi della prima neve. Ma il nemico poteva comparire allimprovviso, da un momento allaltro, e il Duca non era contento che sua moglie Eleonora e il suo seguito fossero l?. S?, da un lato era felice di poter godere della sua compagnia e degli incontri amorosi come quello appena conclusosi, ma dallaltro temeva per la sua incolumit?. Erano passati quasi ventanni da quando si erano sposati. Certo, erano solo due ragazzini quindicenni al tempo del matrimonio, un matrimonio politico che aveva rafforzato lalleanza tra le famiglie Urbinate e Mantovana, ma le occasioni di stare insieme erano state davvero poche. Lei a Mantova, alla corte dei Gonzaga, e lui nelle Marche a combattere e combattere e combattere. Il primo figlio, Guidobaldo, che aveva ora nove anni, era arrivato dopo quasi due lustri dal giorno delle nozze, e quegli ultimi due mesi erano stati il primo vero periodo in cui Francesco Maria aveva potuto godere della sua vicinanza. Dal momento che la famiglia era riunita, si poteva anche pensare di mettere in conto qualche altro figlio, magari qualche femmina, in modo da nulla togliere al suo primogenito Guidobaldo. Ma sembrava che, nonostante i frequenti incontri amorosi degli ultimi tempi, Eleonora non accennasse a rimanere incinta. Che fosse ormai troppo anziana per procreare ancora? Ma no! In fin dei conti aveva trentatre anni, non era pi? una ragazzina, ma era di certo ancora in et? fertile. In tutto questo, il cuore gli suggeriva da un lato di tenere la moglie accanto a s, per poter godere del suo amore e della sua presenza, dallaltro di rispedirla a Mantova per proteggerla dagli orrori di uneventuale battaglia contro i famigerati Lanzichenecchi. Oltre tutto, era giunta proprio in quei giorni la notizia della morte del Papa Adriano VI, che era stato prontamente sostituito al soglio pontificio da Giulio De Medici, con il nome di Clemente VII. Non che fosse un evento inaspettato. Francesco Maria aveva previsto questo e i suoi emissari avevano lavorato per stringere patti con il Medici, ancor prima che fosse stato eletto Papa. Ma quello che lo preoccupava, e per cui non riusciva a dormire la notte, neanche dopo un appagante incontro con la bella Eleonora, era come avrebbe reagito Carlo V alla nuova situazione. Si sarebbe mosso, certo si sarebbe mosso su pi? fronti, in maniera ufficiale contro la Francia di Francesco I Valoise, contro il suo nemico di sempre, in maniera meno ufficiale facendo dilagare i Lanzichenecchi nellItalia Settentrionale al fine di soggiogare Milano e mirare a Firenze e Roma, per riunire tutti i territori italiani, oltre quelli gi? posseduti di Napoli, Sicilia e Sardegna, sotto lunica corona imperiale. Non sarebbe stato facile impedire allesercito germanico, una volta spianata la strada dai Lanzichenecchi, di raggiungere Roma, metterla a ferro e fuoco e arrivare alfine alla citt? di Napoli, alleata di Carlo V. Cera solo da sperare nel valore e nellintraprendenza di Giovanni Ludovico De Medici. E del suo uomo, che stava aspettando con ansia di giorno in giorno, il suo fido Marchese dellAlto Montefeltro. A interrompere lo scorrere dei pensieri di Francesco Maria fu lavvistamento della sagoma di unenorme imbarcazione, un trealberi battente bandiera della Repubblica Serenissima, che dalle acque del lago reclamava lapertura della porta daccesso alla darsena. Mentre le guardie, dal camminamento della ronda, mettevano in atto la serie di complicate manovre che avrebbero permesso lapertura della porta, il Duca si rese conto che, accanto allo stendardo raffigurante il leone di San Marco, disteso e con il classico libro aperto tra le zampe, ve ne era un altro pi? piccolo su cui campeggiava un leone rampante coronato. Era stato grazie ai raggi della luna che era riuscito a distinguere i disegni delle bandiere pur nel buio della notte. Il suo cuore era finalmente pi? sollevato. Quella bandiera era il segnale che aveva convenuto con i suoi uomini. Stava arrivando il Marchese Franciolino Franciolini, o meglio, il suo pi? fidato Capitano darmi, Andrea Franciolini da Jesi. Col cuore in gola, si termin? di rivestire e scese in fretta le scale, per raggiungere un ampio salone e disporsi in impaziente attesa. Terminate le manovre di attracco, chi scendeva dalle imbarcazioni, doveva per forza entrare in quella stanza. Il Duca fece chiamare alcuni domestici, che provvidero a imbandire la tavola al fine di accogliere a dovere i nuovi arrivati. Anche se lora era tarda, dopo un lungo viaggio, trovare di che rifocillarsi era di certo gradito a chiunque.
I primi a sbarcare furono i servitori, che provvidero ad accatastare sul molo bauli ed effetti personali dei nobili guerrieri che avevano accompagnato in navigazione. La servit? del castello si precipit? fuori, sia per trasferire i bagagli di ognuno nelle stanze gi? assegnategli, sia per indirizzare i servi appena sbarcati verso le ali del castello loro riservate, affinch potessero rifocillarsi, riposarsi e, se avessero voluto, approfittare della compagnia di qualche sgualdrina. Subito appresso scesero a terra i marinai, che furono tosto indirizzati verso le aperture che davano accesso al centro abitato di Sirmione, sul lato meridionale delle mura della darsena. Essi non vedevano lora di raggiungere le bettole, per banchettare, bere vino e adescare qualche bella paesana. Le donne delle terre Venete e Lombarde erano infatti rinomate in tutta la penisola per essere amanti appassionate e sempre disponibili. E poi parlavano con quellidioma cantilenante che avrebbe aperto il cuore anche al pi? burbero dei marinai. E il tutto per pochi denari, molto meno di quello che si era abituati a pagare in altre zone per i favori sessuali di certe donzelle.
Gli ultimi a scendere dalla grande imbarcazione furono i nobili guerrieri, ognuno scortato dai propri attendenti. Uno dopo laltro, varcavano la soglia dellampio salone dove venivano accolti dal Duca Della Rovere, che li invitava a congedare i sottoposti e sedersi alla tavola imbandita. Presto sarebbe stata festa, il cibo non sarebbe certo mancato e il vino sarebbe scorso a fiumi. A un cenno del Duca, alcune ancelle dalle colorate vesti trasparenti, che nulla lasciavano allimmaginazione, iniziarono a danzare sinuosamente su un lato della sala, al ritmo di una nenia richiamante atmosfere esotiche. Donne prese prigioniere e rese schiave durante le campagne della Serenissima contro limpero ottomano. Donne che provenivano dalle terre del Vicino Oriente e che sapevano far danzare il loro ventre in maniera indipendente dal resto del corpo. A un secondo cenno del Duca, le ragazze si liberarono delle tuniche colorate e mantennero indosso solo minuscoli costumi a coprire seni e pube. La musica cambi? e le giovani ancelle, una pi? bella dellaltra, una pi? sensuale dellaltra, iniziarono a esibirsi nella provocante danza del ventre. Intanto i servi riversavano sopra la tavola imbandita ogni ben di dio, dai pasticci di lepre, allarrosto di cinghiale, dalla selvaggina in agrodolce, ai conigli in salm?, alle verdure dai colori variegati, ai brodi di pollo e di manzo aromatizzati alle spezie. Le brocche di vino non facevano in tempo a fare la loro comparsa in tavola che gi? dovevano essere sostituite con altre piene.
Francesco Maria passava in rassegna i visi dei suoi ospiti. Il Duca di Orvieto, con una coscia di pollo in mano e un boccale di vino nellaltra, si era gi? avvicinato a una delle danzatrici, lanciando baci con le labbra unte in direzione di lei. Quella, per tutta risposta, si era liberata della parte superiore del costume ed era rimasta a seno nudo, continuando la danza in maniera ancor pi? provocante. Il Marchese di Villamarina, dal canto suo si era accomodato al desco, con la seria intenzione di mangiare e bere a saziet?, quasi infischiandosene dello spettacolo di danza. Scuoteva per? la testa al ritmo della musica. Messer Vittorio dei Gherardeschi, Conte della Caccia e Signore delle terre di Polverigi, si guardava intorno un po smarrito, come se tutto quello che stava accadendo nel salone non lo riguardasse affatto. Si avvicin? a Francesco Maria, lo salut? con rispetto e chiese di essere accompagnato nei suoi alloggi, in quanto era molto stanco e voleva riposare. Il Duca Della Rovere aveva scrutato tutti, ma non era riuscito ancora a individuare Andrea. Questultimo, in maniera del tutto inaspettata, entr? a un certo punto nel salone dallingresso opposto a quello da cui erano entrati tutti gli altri, quello utilizzato da chi proveniva dalla terraferma, dal centro abitato di Sirmione. Andrea appariva provato, era molto pallido e aveva gli occhi cerchiati di scuro.
Mio Dio, Andrea! Sembra proprio che le navi siano il tuo peggior nemico!, e cos? dicendo Francesco Maria si avvicin? al suo amico, stringendolo in un affettuoso abbraccio. Per fortuna ho altri progetti per te, e domani ne parleremo in tutta tranquillit?. Ora accomodati e godi appieno della mia ospitalit?. Potrai rinfrancare corpo e spirito, e domani ti sentirai un altro uomo!
Vide Andrea guardarsi intorno, ammirare la tavola imbandita, gettare lo sguardo sulle danzatrici orientali che, ormai quasi tutte a seni scoperti, qualcuna anche del tutto nuda, si concedevano alle voglie represse dei nobili guerrieri. Poi il giovane Capitano darmi si avvicin? alla tavola, pilucc? qualche oliva in salamoia, bevve una coppa di vino ed espresse il desiderio di congedarsi.
Raccontami del viaggio, Andrea! Come mai sei sceso dalla nave e sei giunto fin qui da terra?, prov? a trattenerlo Francesco.
Mio caro amico, lo hai detto tu stesso poco fa. Ne parleremo domani con calma. Ora sono molto stanco e desidero solo ritirarmi per riposare.
Vuoi che ti mandi compagnia in camera? Quelle bellezze esotiche sono in grado di far resuscitare un cadavere!
Ma non me. In questo momento non sarei in grado di sfiorare una donna, che non sia la mia promessa sposa, neanche con un dito. Fai conto che abbia accettato la tua offerta e porta la ragazza in camera con te.
Francesco Maria scoppi? in una risata.
Non posso! Nelle mie stanze c? gi? Eleonora. Anchio, in questi giorni, non sono in grado di sfiorare nessunaltra donna che non sia la mia amata.



CAPITOLO 4
Ognuno ? quello che persegue.
Io sono quel che sono, sono quel che amo,
amo quel che sono.
(Elio Savelli)
Andrea ancora non riusciva a capacitarsi del perch aveva seguito senza batter ciglio gli uomini del Duca, proprio pochi istanti prima della cerimonia di nozze con la sua amata Lucia. Il suo potente destriero bianco, ancora agghindato a festa, mordeva la strada, senza faticare affatto a star dietro agli armigeri che si dirigevano di gran carriera oltre lEsino, verso Monte Returri. La cavalcata era agevole, senza bardature, senza neanche la celata in testa. La folta capigliatura bionda di Andrea accarezzava laria svolazzando. Le maniche del farsetto cremisi si gonfiavano e si sgonfiavano ai capricci del vento. Ma la mente di Andrea era in subbuglio. Pensieri incapaci di essere tenuti a freno si affollavano nella sua testa e si affacciavano prepotenti verso le tempie, con la speranza di essere presi nella giusta considerazione.
Hai sempre perseguito la speranza di poterti unire in matrimonio con Lucia. E ora che era finalmente giunto il momento, che fai? La abbandoni l?, sul sagrato della Chiesa!, lo iniziava a torturare il primo pensiero. Ricorda, Andrea! Ognuno ? ci? che persegue nella vita! Non raggiungere i propri obiettivi significa fallire miseramente.
Io sono quel che sono!, si difendeva Andrea nei confronti di se stesso. Amo essere ci? che sono. E sono un uomo darmi, e come tale devo obbedienza a chi mi comanda. Quindi ho fatto la scelta giusta. Non ci si pu? sottrarre al proprio dovere per causa di una donzella.
Tu ami ci? che sei, ma sei anche ci? che ami, lo rintuzzava un secondo pensiero, senza dargli tregua, in un incredibile gioco di parole. E chi ami ? Lucia. Con lei dovresti essere un unico corpo e ununica anima. Che differenza cera nel seguire questi uomini adesso, nellimmediato, piuttosto che domani, o domani laltro o fra una settimana? E la tua bambina, Laura, a cui hai regalato sorrisi fino a questa mattina, facendole capire che adesso poteva confidare sullaffetto di un padre, che cosa penser? di te? Che sei un vigliacco, che ti sottrai allamore e agli affetti a seconda di come gira il vento. Non era lecito almeno spiegarle perch te ne stai andando?
Non sono una femminuccia, sono un Capitano darmi!, replicava con vigore lo spirito guerriero di Andrea. Se questi uomini avevano una gran fretta di condurmi con loro, un motivo deve esserci, e ben grave, da quello che ho potuto leggere sulla missiva inviatami dal Duca. Un guerriero non si sottrae al suo dovere. Mai! Tanto meno per questioni damore. Lamore pu? aspettare, il nemico no.
Immerso in queste disquisizioni mentali, Andrea non si era neanche accorto che, superata la torre di guardia in cima a Monte Returri, il drappello di soldati cui stava appresso, attraversato il breve centro abitato di Santa Maria delle Ripe, si stava dirigendo, in veloce discesa, verso la vallata del Fiume Musone. Mise a tacere tutti i pensieri e si concentr? sul percorso. Se si dovevano dirigere verso Mantova, la strada da seguire non era certo quella, che piegava verso meridione. Logica avrebbe voluto che si percorresse la strada Fiammenga fino a Monte Marciano e poi si risalisse lungo le coste Adriatiche, fino a Ravenna, per poi piegare verso Ferrara. E da l? raggiungere Mantova in maniera agevole, senza difficolt? alcuna. La strada che stavano percorrendo portava dritti al Castello Svevo del Porto, a sud del monte di Ancona, tra la foce del fiume Musone e quella del Potenza. Un castello fatto edificare a suo tempo da Federico II a difesa e baluardo di un importante porto in cui far stazionare la flotta ghibellina. Al solo pensiero del mare, Andrea ebbe un conato di vomito.
E ben presto, in effetti, la vallata del Musone si allarg? verso il mare Adriatico. Lasciata sulla loro destra, in alto sulla collina, limponente basilica di Loreto, dedicata al culto della Madonna e protetta da possenti bastioni, Andrea e i suoi compagni seguirono un ampio stradone per alcune leghe, giungendo in vista della loro meta. La sagoma del castello Svevo, con il suo imponente mastio che svettava verso il cielo, si avvicinava veloce. Il sole stava ormai calando verso lorizzonte e, mettendo al passo le cavalcature, si poteva ascoltare il rumore della risacca e annusare lodore salmastro portato dal vento. Il tramonto incendiava il cielo di un rosso acceso, sfumante in tonalit? di arancione laddove il sole stava nascondendosi dietro la linea dellorizzonte, marcata dai monti dellAppennino. Scene e colori che avrebbero infuso il sentimento della nostalgia nel cuore di qualsiasi persona, figuriamoci in quello di Andrea, gi? in subbuglio per tutta la vicenda che stava vivendo. Avrebbe voluto rigirare il cavallo e tornare di corsa a Jesi, alla sua amata, alla sua casa, ai suoi affetti. Ma ancora una volta, i nitriti dei cavalli e le grida degli armigeri lo riportarono alla realt?. Erano dinanzi allingresso principale del castello, in un grande spiazzo quadrangolare che, dal lato opposto, si apriva verso il mare. Mentre i suoi accompagnatori lanciavano grida alle guardie agli spalti, per farsi riconoscere e far calare il ponte levatoio, Andrea scrut? il porto. Il mare era calmo, piatto, quasi una tavola. Alcune stelle gi? brillavano in cielo, un cielo che stava assumendo i toni del turchese e che presto sarebbe divenuto ben pi? scuro, avvolgendo cose e persone nel nero mantello della notte. La sagoma di unenorme imbarcazione, un trealberi, colp? lattenzione di Andrea. In vita sua non aveva mai visto un vascello cos? grande. E la paura che lindomani vi sarebbe dovuto salire sopra attanagli? il suo cuore. Sullalbero pi? alto, quello centrale, sventolava lo stendardo della Repubblica Serenissima, un leone disteso, il leone di San Marco, con un libro aperto, il Santo Vangelo, tra le zampe anteriori. Quando il ponte levatoio fu disceso e le enormi ante del portale si aprirono, il capitano delle Scolte di guardia al castello usc? e si avvicin? ad Andrea, porgendogli un drappo ripiegato. Si pieg? al suo indirizzo in un ossequioso inchino e gli porse lo stendardo.
Andrea scese da cavallo, fece cenno alla Scolta di sollevarsi dalla posizione di riverenza e prese loggetto dalle sue mani. Dispieg? il drappo, in cui, su fondo di stoffa rossa, era stato realizzato, a fine ricamo, il disegno dorato di un leone rampante ornato della corona regale in testa.
Mio Signore, Marchese Franciolino Franciolini, combatterete sotto il segno del leone!, inizi? a proferire il luogotenente. Consegnerete domattina questo stendardo allequipaggio della nave, che provveder? a issarlo sul pennone, a fianco della bandiera della Serenissima. Il Duca Francesco Maria Della Rovere ha dato precise disposizioni. Il leone rampante, simbolo della Vostra citt?, ma anche di Federico II di Svevia, che concesse a suo tempo di ornarlo della corona imperiale, sar? il simbolo della Vostra forza e della Vostra autorit?.
La Scolta si interruppe e si fece consegnare una pergamena da un altro soldato, che era rimasto dietro di lui, a breve distanza.
Il Duca Francesco Maria Della Rovere vi nomina peraltro, come scritto in questa pergamena, Gran Leone del Bal?, titolo che vi conferisce grandi poteri e la possibilit?, anzi il dovere, di affiancare il comandante veneziano sul ponte del galeone da combattimento.
Cos? dicendo, arrotol? la pergamena e la consegn? nelle mani di Andrea.
Domattina allalba salirete a bordo con i vostri uomini e consegnerete le credenziali al Capitano da Mar Tommaso de Foscari. Due leoni e due capitani darme saranno uniti contro comuni nemici, da un lato i Turchi del Sultano S?lim, dallaltro i Lanzichenecchi teutonici. Il Duca Della Rovere confida nel fatto che terrete alto lonore dovuto alla vostra bandiera e a quella della Repubblica Serenissima, nostra alleata. E ora, mio Signore, permettetemi di condurvi alle vostre stanze per adire a un meritato riposo. Domattina sarete svegliato di buon ora, ancor prima del sorgere del sole.
Andrea era confuso, non sapeva cosa dire, e cos? rimase in silenzio. Certo il suo amico Duca sapeva lusingarlo con le onorificenze, ma cos? facendo trovava sempre il modo di mandarlo allo sbaraglio. Il fatto di imbarcarsi su una nave non gli garbava affatto, ma ormai era giunto fin l? e non poteva pi? di certo tirarsi indietro.
La notte si gir? e si rigir? tra le lenzuola, riuscendo a dormire poco o niente. Quando sprofondava nel sonno, era assalito da incubi che richiamavano alla sua memoria lunica battaglia combattuta in mare. Mare e sangue, fuoco e morte. E la figura del Mancino che lo tormentava, avvicinandosi a lui fino a divenire un gigante, che lo accusava di averlo lasciato morire tra i flutti. E si risvegliava in un bagno di sudore, rendendosi conto di aver dormito solo per pochi istanti. Quando giunse il servo incaricato della sveglia, prov? quasi sollievo nel potersi alzare. Era ancora buio fuori, ma dalla finestra poteva intravedere il trealberi alla fonda illuminato dalla biancastra luce di una luna quasi piena. Il servitore lo aiut? a indossare una leggera armatura, costituita da un corpetto in maglia a rete metallica con rinforzi pi? compatti alle spalle, agli avambracci e al collo. Sopra larmatura, un mantello di raso dal colore met? rosso e met? giallo. Nella parte gialla il disegno del leone di San Marco, in quella rossa il leone rampante coronato.
Queste vesti non riusciranno a proteggermi da un bel niente!, cominci? a lamentarsi Andrea col servitore che lo stava aiutando nella vestizione. Una freccia in petto e addio Marchese Franciolini! E che dire delle calze? Semplici braghe di cuoio, senza neanche borchie metalliche di protezione. Passami la celata, coraggio!
Niente celata, Capitano. Siete a posto cos?. A bordo bisogna essere leggeri, si deve avere la possibilit? di muoversi agevolmente, di correre da un lato allaltro del galeone e, se necessario, arrampicarsi sugli alberi. Unarmatura come quelle che siete abituato a portare nei combattimenti terrestri vi sarebbe solo dimpaccio. Credetemi, mio Signore!
Ti credo, e credo anche che non arriver? vivo a Mantova. Se non mi uccider? il mal di mare, mi uccider? il nemico. Sar? facile bersaglio per i pirati turchi. Mi crivelleranno di frecce e si ciberanno del mio cadavere. Ah, bel destino cui vado incontro, solo per far piacere allamico Duca!
Non dovete temere, mio Signore. Il galeone ? davvero sicuro e adatto a resistere a qualsivoglia attacco da parte di altre imbarcazioni. E il Comandante Foscari sa il fatto suo. Sa governare il vascello e combattere in mare come nessun altro al mondo. Vedrete. E ora rifocillatevi. Avrete bisogno di essere in forze per affrontare il viaggio, e cos? dicendo batt le mani, facendo entrare nella stanza altri servi con dei vassoi.
Il servitore che lo aveva aiutato a vestirsi, prese un calice dargento e gli fece lavare le mani con acqua di rose. Poi lo invit? a sedere al desco. Gli altri servi poggiarono dinanzi a lui, in sequenza, tre vassoi. Nel primo vi erano delle coppe, alcune ricolme di latte dasina, altre di succo di arance di Sicilia, altre ancora di latte di mucca fumante. Un secondo vassoio conteneva cibi dolci, pane di latte, ciambelle, biscotti, marzapani, pinocchiate, cannelloni alla crema, sfogliate, disposti in piattini ornati da larghe foglie di insalata. Il terzo vassoio era dedicato ai cibi salati, acciughe, capperi, asparagi, gamberi, accompagnati da una coppa ripiena di uova di storione allo zucchero. A parte, in alcune brocche, cerano dei vini, dal moscatello, al trebbiano, al vino dolce fermentato. Andrea aveva paura che, una volta a bordo del galeone, tutto ci? che avrebbe avuto nello stomaco sarebbe risalito verso le sue fauci. Avrebbe vomitato tutto ci? che avesse ingerito. Ma i profumi che solleticavano le sue narici erano troppo invitanti, e cos? inzupp? nel latte dasina alcuni biscotti e due ciambelle, trangugiando dietro il calice di latte di mucca caldo. Si guard? bene dal toccare i cibi salati e, soprattutto, i vini. Soddisfatto, si lasci? scappare un sonoro rutto, dopodich si dichiar? pronto a raggiungere limbarcazione veneziana.
Visto da vicino, il trealberi veneziano era davvero imponente. Andrea non aveva mai visto un vascello cos? grande, neanche quello dei pirati turchi affrontati pi? di un anno addietro. Not? con piacere come il galeone fosse molto stabile. Le onde passavano sotto lo scafo, ma la mastodontica nave, in effetti, proprio non sembrava muoversi. Al suo occhio attento non sfuggirono dei curiosi pannelli metallici, che ricoprivano in pi? punti le fiancate in legno dellimbarcazione. Mentre cercava di capire a cosa servissero, la sua attenzione fu richiamata dal Capitano della nave. Tommaso De Foscari si stava sbracciando, facendo cenno al giovane di salire a bordo attraverso una comoda passerella disposta tra il molo e la fiancata di sinistra della nave. Non senza un po di timore addosso, Andrea raggiunse il ponte, salutando il suo nuovo compagno davventura con un inchino. Mentre porgeva al Foscari lo stendardo con il leone rampante, da issare sul pennone a far compagnia al leone di San Marco, si rese conto che stare sopra quella nave non gli procurava alcun fastidio. Il galeone era tutt'altra cosa rispetto alla cocca su cui aveva perso due dei suoi migliori compagni, il Mancino e Fiorano Santoni. I movimenti dovuti allo sciabordio delle acque sotto lo scafo non si avvertivano affatto.
Come vedi, mio caro Franciolino, questo trealberi ? una delle migliori navi in dotazione alla flotta della Repubblica Serenissima, inizi? a spiegargli il Capitano da mar, circondandogli la spalla col suo braccio. ? una nave molto grande e pertanto ? molto stabile. Ma nel contempo ? anche agile e facile da manovrare. Oltre che dal vento pu? essere spinta, al bisogno, da due ordini di vogatori. Tra equipaggio, servi, vogatori e soldati, a bordo trovano posto pi? di cinquecento uomini. Quasi un esercito. E non ? tutto. ? una nave molto sicura. Ho notato, poco fa, come stavi rimirando le paratie metalliche sulle fiancate. Esse proteggono lo scafo dalle palle incendiarie del nemico. Al bisogno possono essere sollevate, creando una barriera ancor pi? alta delle mura della nave stessa e, tra una paratia e laltra, possono essere inserite delle bocche da fuoco, bombarde in grado di lanciare proiettili esplosivi contro gli avversari. Ma c? ancora di pi?. A bordo abbiamo ben cento archibugieri, uomini in grado di usare in maniera eccellente la nuova micidiale arma da fuoco inventata dai francesi. Non vedo lora di farti vedere questa macchina da guerra allopera.
Continuando a parlare, il Capitano aveva condotto Andrea fino al ponte di comando, dove aveva preso in mano il timone, spiegando come in gergo marinaro la parte anteriore della nave venisse chiamata prua e la posteriore poppa, il lato sinistro babordo e il destro tribordo. Poi inizi? a gridare ordini ai marinai al fine di preparare la nave a salpare. Gli ordini, pronunciati in stretto gergo marinaresco, erano del tutto incomprensibili ad Andrea.
Mollare lancora Ritirare le gomene Cazzare la randa Mollare il pappafico Issare le vele di trinchetto, erano tutti comandi di cui non comprendeva nel modo pi? assoluto il significato. In ogni caso, poteva osservare come, a ogni comando del Capitano da Mar, lequipaggio si muovesse in maniera veloce e precisa, senza alcuna incertezza. In breve, il galeone si distacc? dal molo e prese il largo, iniziando la navigazione verso nord, con un bel vento di scirocco che gonfiava le vele al massimo. Il Foscari teneva ben saldo il timone in mano e continuava a spiegare ad Andrea ci? che stava facendo.
Il Mare Adriatico ? un mare chiuso e anche piuttosto stretto tra le sponde italiane e quelle della Dalmazia. E quindi ? abbastanza sicuro. ? difficile che scoppino tempeste improvvise, come si incontrano quando si attraversa loceano per raggiungere il Nuovo Mondo. Ma comunque non ? da sottovalutare il fatto che a volte il vento gira e diventa pericoloso. Il Garbino, il vento che spira da terra, pu? sollevare il mare e provocare mareggiate anche imponenti. In pi? esso rende faticoso governare la nave, in quanto spinge le imbarcazioni verso il largo. Come puoi vedere, noi cerchiamo sempre di navigare piuttosto al largo per evitare le secche, ma sempre in vista della costa, cosicch non perdiamo mai la rotta. Il Garbino ti pu? fregare, facendoti perdere di vista la linea costiera e quindi disorientando i navigatori, in particolar modo quando il cielo ? nuvoloso e non ci si pu? orientare grazie al sole e alle stelle. Laltro vento che temiamo noi marinai ? la bora, il Buri?n, che porta neve e gelo, e spira soprattutto nella stagione invernale. La bora a volte ? cos? forte, da poter spazzar via tutto ci? che trova, compresi i marinai che si trovano sul ponte e che, se finiscono nelle acque gelide, hanno poche speranze di poter sopravvivere.
Mio caro Tommaso, lo interruppe Andrea, che ormai aveva preso confidenza col suo nuovo amico. Ti devo confessare che io sono molto timorato del mare. Non so neanche nuotare e ho avuto una bruttissima esperienza lo scorso anno al largo di Senigallia. Quindi, preferirei che tu evitassi di raccontarmi certi particolari. Gi? mi hai fatto venire i brividi. Se continui cos?, andr? in preda alla nausea e allora saranno dolori per il resto della navigazione. Oggi invece posso vedere una bella giornata, il vento che ci sta carezzando ? tiepido e gradevole, e questa nave ? talmente stabile che non avverto alcun malessere. Pertanto, lasciami godere questo viaggio, e raccontami magari delle tue imprese di guerriero. So che hai combattuto contro i Turchi in terra Dalmata Ma, quella che vedo l? verso la riva ? la sagoma della Rocca Roveresca? Siamo gi? giunti a Senigallia?
La nave ? veloce e abbiamo il vento favorevole. S?, siamo gi? giunti al largo di Senigallia. E visto che hai parlato di Turchi, tieniti pronto a incontrarli, perch queste acque sono infestate dai pirati del Sultano S?lim.
Lo so bene. Ah, se riuscissi a fargliela pagare per quello che mi hanno fatto perdere un anno fa! Due dei miei migliori amici hanno perso la vita nello scontro con quei bastardi infedeli. E io me la sono cavata per un soffio.
Ottimo, mio caro Franciolino. Allora, se ci troveremo a doverli combattere, mentre io governer? la nave, lascer? a te lonore di dare gli ordini a cannonieri e archibugieri. Ora ti spiegher? come.
La navigazione prosegu? tranquilla fino a pomeriggio inoltrato. Il Capitano Foscari stava per predisporre il galeone ad attraccare al porto di Rimini per trascorrere la nottata, quando una vedetta, dalla sua postazione in cima allalbero pi? alto, grid?: Nave pirata a tribordo! Galeone battente bandiera Turca, in assetto di battaglia.
? Sel?m!, sussurr? Andrea al Capitano Foscari, cominciando gi? a provare una certa eccitazione allidea della tenzone.
Il Capitano da Mar grid? alcuni ordini in gergo marinaresco. Andrea non ci capiva nulla, ma pot di nuovo ammirare come, a ogni comando, lequipaggio della nave si muovesse in perfetta sincronia per assecondare il volere del comandante. In pochi istanti, vennero sollevati i pannelli metallici protettivi del lato destro della nave, le bocche da fuoco furono caricate e gli artificieri si misero in posizione di combattimento. Gli archibugieri, invece, caricate le loro armi, si spostarono sul lato sinistro del galeone, in prossimit? delle mura di babordo.
Sar? tuo lonore di ordinare di fare fuoco, disse il Foscari, rivolto ad Andrea. Ma non prima che il nemico abbia fatto la prima mossa!
Lasciamo che i pirati ci attacchino? Non ? imprudente?
Vedrai!
Il colloquio tra i due fu bruscamente interrotto dallattacco nemico. Una gragnola di palle incendiarie part? dal vascello turco. Molte piovvero in acqua, spegnendosi in una nube di vapore e spruzzi dacqua salata, a diversi piedi di distanza dalla nave veneziana. Alcune palle colpirono i pannelli metallici, e anche queste caddero in mare, senza procurare danno alcuno allo scafo. Andrea si sent? a un certo punto investito da uno zampillo di acqua tiepida, sollevato da una delle palle incendiarie caduta assai vicino al ponte di comando. Bagnato come un pulcino si prepar? a ordinare di rispondere al fuoco. Gli artificieri avevano caricato i cannoni con palle esplosive. Andrea ordin? di accendere le micce, mentre il suo amico Tommaso predisponeva la manovra successiva.
Fuoco a volont?! Non diamo loro la possibilit? di aggiustare il tiro, e cerc? un solido appiglio per reggersi forte, prevedendo il rinculo dovuto alle esplosioni contemporanee di almeno quaranta cannoni.
Ma, con sua somma meraviglia, vide partire i colpi, accompagnati da nuvole di fumo in corrispondenza delle bocche da fuoco, senza che la stabilit? del galeone fosse intaccata pi? di tanto. Certo, un po la nave inizi? a oscillare e la veloce manovra ordinata dal Capitano subito dopo peggior? non di poco le condizioni dello stomaco di Andrea. Ma doveva resistere. Non poteva farsi prendere dal mal di mare. La nave puntava ora veloce la prua verso il galeone turco. Erano state ammainate le vele, e ci si muoveva solo a forza di remi. Infatti la manovra doveva essere precisa, non ci si poteva affidare ai capricci del vento. Due ordini di vogatori per lato potevano spingere la nave alla velocit? voluta in ogni istante dal capitano, per il tramite del maestro dei rematori, chiamato sottocomito. I proiettili esplosivi avevano fatto il loro dovere. Avevano colpito il trealberi turco in pi? punti, provocando gravi danni. Lalbero maestro era stato abbattuto e diverse falle erano state aperte sullo scafo, che si stava ormai inclinando sul fianco destro. I pirati stavano calando le piccole imbarcazioni da arrembaggio sul lato opposto, verso il mare aperto, sia per abbandonare la nave che stava per affondare, sia perch non si davano mai per vinti e si sarebbero preparati allarrembaggio della nave veneziana. Sia Andrea che Tommaso De Foscari sapevano bene che la religione di quei bastardi insegnava loro che morire in battaglia significava essere assunti in gloria dal loro Dio. Nessuno di loro si sarebbe mai arreso. Avrebbero combattuto fino a morire tutti, ma se un solo manipolo di quegli spietati pirati fosse riuscito a salire a bordo, diversi uomini avrebbero perso la vita. Certo, ben presto i Turchi sarebbero stati sopraffatti, ma essi sarebbero comunque riusciti a fare numerose vittime. E Tommaso non avrebbe voluto perdere neanche uno dei suoi uomini. Pertanto la manovra doveva essere precisa. Guid? la nave ad aggirare il galeone turco, in modo di trovarsi tra esso e le barchette dei pirati. Andrea pot a questo punto rendersi conto di quanto micidiale fosse la nuova arma chiamata archibugio. I cinquanta archibugieri spararono allunisono contro le piccole imbarcazioni allordine gridato dal Capitano Franciolini, giusto nel momento in cui il Capitano da Mar gli fece il cenno convenuto. Gli uomini colpiti dalle palle degli archibugi venivano decimati come mosche: teste che si spappolavano, corpi che venivano proiettati in acqua come fantocci di pezza, gambe e braccia che venivano strappate da tronchi che rimanevano per breve tempo ancora agonizzanti, per poi morire dissanguati. Mentre gli archibugieri caricavano di nuovo le armi, i pirati rimasti in vita si gettarono in acqua per cercare di sottrarsi al tiro. Ma la seconda raffica non fu meno distruttiva della prima. Fu ordinato di sparare anche qualche palla esplosiva con i cannoni, in modo di affondare le scialuppe dei turchi. Qualche freccia sibil? sopra le teste di Andrea e Tommaso, ma nessuna and? a segno. Gli archibugieri e gli artificieri erano ben protetti dalle mura della nave e dai pannelli mobili. In mare si inizi? a delineare una chiazza rossastra, una specie di isola di sangue, i cui abitanti erano frammenti di legno bruciacchiato e cadaveri sformati. Per fortuna lattenzione di Andrea era rivolta invece a ununica imbarcazione che si stava allontanando dal luogo della battaglia. Era un po pi? grande delle altre, aveva un piccolo albero con una vela quadrata, al di sopra della quale sventolava un vessillo rosso con una semiluna e una stella bianca.
? il sultano! Se ne sta scappando con i suoi uomini fidati, esclam? Andrea, eccitato. Inseguiamolo. Potremmo catturarlo e farlo prigioniero. Il Duca Della Rovere ce ne sar? di certo riconoscente!
Il Capitano De Foscari mise un braccio intorno alla spalla dellamico, nel tentativo di placare il suo animo.
Lasciamolo. Non vale la pena rischiare. ? comunque un uomo pericoloso. Abbiamo vinto la battaglia. Possiamo continuare il nostro viaggio, ormai senza pi? intralci di sorta.
Ma Nel giro di breve si riorganizzer?, e torner? a infestare i nostri mari e terrorizzare le nostre citt? costiere!
Cos? dicendo, Andrea abbass? la testa, un po mortificato. E vide quello che non avrebbe mai voluto vedere. Il sangue, i cadaveri, i pezzi delle barche distrutte. Questa volta non riusc? a trattenere il groppo allo stomaco. Il conato di vomito risal? con forza. I movimenti della nave, per quanto lievi, erano ormai insopportabili. Sent? le gambe cedergli. Si accasci? sulle ginocchia.
Tommaso chiam? un paio di armigeri, che subito furono accanto a lui.
Accompagnatelo sotto coperta, nella mia cabina, e fatelo distendere nella mia branda. Ha condotto in maniera egregia lassalto ai pirati, ma ? un combattente di terra. E il sangue, in mare, fa tutto un altro effetto. Vegliate sul suo riposo. Io passer? la nottata qui, sul ponte di comando.


CAPITOLO 5
Un guerriero non pu? abbassare la testa,
altrimenti perde di vista lorizzonte dei suoi sogni. (Paulo Coelho)
Nel dormiveglia, cullato dallo sciabordio delle onde, che scorrevano ritmiche sotto lo scafo del galeone alla fonda nel porto di Rimini, ad Andrea ripassavano avanti agli occhi le immagini degli ultimi due mesi, trascorsi accanto alla sua amata Lucia e alle due splendide bambine, alle quali si era affezionato in una maniera che non avrebbe mai creduto possibile. Amava Lucia, cos? come amava Laura, frutto del loro amore, cos? come amava Anna, che cos? tanto somigliava alla sua mamma adottiva. Di certo cera sangue della famiglia Baldeschi in quella piccola, anche se non era uscita dal grembo di Lucia, ma da quello di una presunta strega che aveva finito i suoi giorni tra le fiamme. E il sospetto di chi avesse ingravidato quella presunta strega era ormai divenuto certezza per Andrea. Cera lo zampino del Cardinal Baldeschi, dello zio di Lucia, non poteva darsi altra spiegazione, ma ormai egli era morto e non poteva pi? arrecar loro alcun fastidio, come aveva fatto in passato. Il solo pensiero di quel truce personaggio gli metteva addosso i brividi. Non molto tempo era passato da quando, dopo aver sistemato tutti i suoi affari nel Montefeltro, si era congedato dai Conti di Carpegnia ed era rientrato a Jesi in una calda giornata di fine luglio. Come nella precedente occasione, rivedere le mura, le porte, le torri, i torrioni e i campanili della sua citt? aveva suscitato in lui emozioni difficili da contenere. Ma questa volta poteva entrare in citt? a testa alta, forte di un titolo nobiliare, protetto del Duca di Urbino. E a pieno diritto poteva reclamare di essere nominato Capitano del popolo e di poter convolare a giuste nozze con la sua promessa sposa.
Dopo una breve sosta presso il palazzo paterno, giusto per darsi una rinfrescata e cambiarsi dabito, si era precipitato verso la residenza di campagna dei Conti Baldeschi. Sapeva bene, infatti, che non avrebbe trovato Lucia nel Palazzo del Governo, n tanto meno nel Palazzo Baldeschi in Piazza San Floriano. Si era presentato alla servit? e si era fatto annunciare alla padrona di casa. Lucia si era fatta attendere un bel pezzo, ma quando aveva varcato la soglia del salone a piano terra, Andrea era rimasto colpito dalla sua fulgida bellezza, come fosse la prima volta che la vedeva. Indossava una gamurra di seta verde, che metteva in risalto i suoi lineamenti e le sue fattezze femminili. Gli occhi nocciola, al centro del viso pallido, erano quasi fissi su di lui. Erano dolci e al tempo stesso penetranti. Lo scollo del vestito mostrava con generosit? le spalle e la fossetta tra i seni, la pelle chiara quasi come latte. Una collana di perle bianche le ornava il collo e lacconciatura dei capelli era studiata per rendere giustizia al bel viso della dama. La cascata di capelli scuri era tirata indietro da una treccia che circondava la nuca, in modo tale da lasciare del tutto scoperta la fronte. Nel viso perfettamente ovale, dai lineamenti delicati, le labbra spiccavano di un vermiglio innaturale, donato dal colore ottenuto dai fiori di papavero. Le sopracciglia appena accennate e la fronte alta, spaziosa, le donavano laspetto di una vera Signora. Ai suoi fianchi, una per lato, le due bambine di circa sei anni, del tutto somiglianti a lei nellaspetto, nel portamento, nelle sembianze e nellacconciatura, la tenevano con delicatezza per mano. Le uniche differenze tra le due bimbe erano laltezza e il colore dei capelli, una un poco pi? alta, longilinea e dai capelli biondi e ondulati, laltra poco pi? bassa e dai capelli lisci e neri, rasati nella parte alta della testa per dare risalto allampiezza della fronte. Andrea aveva capito, gi? fin dallaltra volta in cui aveva intravisto le bimbe giocare nel giardino di quella stessa villa, che la sua figlia doveva essere la bionda. Senza nulla togliere alla moretta, era una bimba bellissima e aveva due occhi celesti proprio uguali ai suoi. Lucia aveva mandato le bimbe a sedersi su un divanetto e aveva porto la mano destra al cavaliere, che laveva presa tra le sue, si era inginocchiato e gliela aveva baciata.
Su, su! Alzatevi!, gli aveva detto Lucia, le gote che le si stavano infiammando. Sollevandosi, Andrea si era trovato con il suo viso a brevissima distanza da quello di lei. Limpulso era stato quello di avvicinare le labbra alle sue e baciarla a lungo, ma si dovette trattenere a causa della presenza della servit?, ma soprattutto delle due bimbe.
I due rimasero cos?, per un po, fissandosi negli occhi, senza proferire parola. Poi Andrea si schiar? la voce.
I vostri occhi nocciola. Credo di averli visti lultima volta dietro una celata sollevata. Eravate voi il giorno del torneo a Urbino. Ne sono sicuro. Ho riconosciuto i vostri occhi. Dello stesso colore, al mondo non ce ne sono altri. Siete voi che mi avete salvato la vita, che avete bloccato Masio. E non capisco proprio, non mi capacito di come una damigella, bella e delicata come voi, abbia avuto la forza e il coraggio di intervenire in una maniera degna di un uomo darmi.
Dovete ancora conoscermi a fondo, Messer Franciolino - o posso ancora chiamarvi Andrea? In ogni caso, dietro la facciata di femminilit?, ho saputo sempre farmi valere, anche in situazioni che richiedevano non solo forza, ma anche astuzia, cervello e ragionamento. E nessuno ? mai riuscito a gabbare la qui presente Contessina Lucia Baldeschi. E vi assicuro che ci hanno provato in molti.
Immagino che questi anni per voi, qui in citt?, non siano stati semplici. Mi hanno raccontato che vi siete assunta delle responsabilit? non indifferenti. E che ve la siete cavata in maniera egregia. Mi hanno anche riferito che siete una temeraria e pi? di una volta vi siete avventurata in viaggi anche perigliosi, e per di pi? senza scorta. Una cosa davvero azzardata per una dama del vostro rango.
A queste parole, Lucia aveva abbassato lo sguardo, sospirando. Andrea, avendo capito di aver toccato un tasto forse dolente per la sua amata, aveva riportato il discorso su un piano diverso.
Certo, dopo i fatti di Urbino, mi sarei aspettato di trovarvi al mio fianco, di essere assistito dalle vostre amorevoli cure, come ai tempi del sacco di Jesi. Invece mi sono ritrovato in un castello sperduto e solitario, con la sola compagnia di due burberi Conti montanari, e di un piccolo manipolo di loro servi.
Ho provveduto a che foste curato, ma non potevo rimanere nel Montefeltro. Ero giunta fin l? in incognita, solo per vedere voi. E ora che state bene, aspetto che siate voi a
Ma certo, ma certo, avete ragione appieno, e si prostr? di nuovo ai piedi della sua amata, riprendendole la mano tra le sue. Vi chiedo umilmente scusa per essermi dilungato in inutili chiacchiere. Lo scopo della mia presenza qui ? uno e uno solo. Quello di propormi come vostro sposo. ? strano doverlo chiedere direttamente a voi, di solito la mano di una dama si chiede per intercessione del suo genitore, o di un suo tutore. Ma meglio cos?. Sono pronto a dichiararvi il mio amore immenso, e credo che anche il vostro cuore batta forte per questo cavaliere, come pi? volte mi avete fatto capire.
Lucia gli intim? di alzarsi per la seconda volta. Andrea si sollev?, continuando a tenere la mano di lei. Sentiva il profumo di acqua di rose, che lo stava facendo inebriare, quasi fosse ubriaco. Ancora una volta ebbe listinto di baciarla. Avvicin? con delicatezza il suo busto a quello di lei, fino a sentire la pressione dei suoi seni contro il suo torace. Le sfior? la gota con le labbra, in un leggerissimo bacio, quasi impercettibile. Lucia si retrasse un po.
E avete capito bene. S?, sono pronta a sposarvi, a una sola condizione, che vogliate essere padre di entrambe le bimbe.
E questo ? scontato. Lo voglio essere. Sono due bimbe meravigliose e, a quanto vedo, gi? ben educate. Di questo bisogna rendervi merito.
Credo che ora sia bene vi congediate. Dovrete far visita al nostro amato Vescovo, al Cardinal Ghislieri, e prendere accordi con lui per la cerimonia nuziale. Io sar? disposta ad attenermi a tutto quello che il Cardinale vorr? predisporre. Andate, ora!
La nave veneziana, per quanto stabile fosse, era pi? soggetta a movimenti di rollio e beccheggio avvicinandosi alla costa. Le manovre dovute allattracco, inoltre, accentuavano detti movimenti, cos? come risvegliavano la nausea e il mal di testa di Andrea. Dalle voci dei marinai, cap? che si stavano avvicinando alla Marina di Ravenna. Dalla piccola finestrella della cabina del comandante si intravedeva una fitta pineta a far da cornice alla costa. Tirandosi su dalla branda, sbatt la testa sul soffitto della cabina, che per quanto fosse una delle pi? alte, situata fra il secondo e il terzo ponte di poppa, era sempre pi? bassa rispetto alla sua altezza. Giusto mentre combatteva un conato di vomito, cercando di inghiottire la bile che risaliva dallo stomaco, entr? nella cabina il Capitano da mar.
Ci fermeremo qui, alla Marina di Ravenna, per alcuni giorni, al fine di rifornire la nave di viveri e munizioni. Fino al Delta del Fiume Padano occorreranno altri due giorni, poi risaliremo il Po fino a Mantova. Da qui a Mantova, il viaggio sar? molto meno agevole rispetto a ci? che ? stato finora. Soprattutto la navigazione fluviale creer? non pochi problemi. Potremo trovare delle secche, dei tratti di fiumi pi? stretti, insomma non sar? facile giungere fino a destinazione con una nave cos? grande. Accetta il mio consiglio, sbarca qui. Ti far? procurare dei cavalli e una scorta. Via terra, raggiungerai Ferrara, dove sarai ospite per qualche giorno del Duca dEste, nostra amico e alleato. Da Ferrara a Mantova la strada non ? lunga. Ti invier? un messaggero non appena la nostra nave sar? giunta nella citt? dei Gonzaga e ci riuniremo l?.
Andrea fu sollevato dalla proposta. Non vedeva lora di sbarcare e poter balzare finalmente in sella a un cavallo.



CAPITOLO 6
La bellezza salver? il mondo
(Fedor Dostoevskij)
Infangato fino al collo, Andrea aveva la fronte imperlata di sudore, nonostante il freddo pungente dellinizio di un inverno che, a passi veloci, avrebbe aperto le porte allanno 2019. Lamministrazione comunale era stata chiara. Entro la successiva primavera, Piazza Colocci doveva essere ripristinata e gli scavi archeologici, che avevano portato alla luce i resti dei piani bassi del vecchio palazzo del governo, sarebbero stati interrati. Il tutto era gi? stato fotografato, i reperti principali trasferiti al nuovo museo archeologico, al piano terra del Palazzo Pianetti-Tesei, e ormai era stato concesso fin troppo tempo a cittadini, turisti e curiosi per dare una sbirciata, del tutto gratuita, alla piazza scoperchiata. Ma Andrea non era soddisfatto, non si dava per vinto. L? sotto, a un livello pi? basso, ci dovevano essere i resti dellantico anfiteatro romano. Prova ne erano le antiche palle del gioco della palletta, antica disciplina risalente allepoca dei Romani. Tale gioco, noto anche come Harpastum, o gioco della palla sferica, era parte integrante dellallenamento dei gladiatori ed era giocato soprattutto dalle legioni a presidio dei confini. Secondo Andrea, le palle ritrovate circa venti anni prima in fondo al pozzo del cortile interno del Palazzo della Signoria non erano riferibili al gioco settecentesco della pallacorda, come era stato asserito sinora. Esse erano invece la testimonianza che in quella zona si svolgevano, tra il I secolo a.C. e il III secolo d.C., giochi in cui venivano coinvolti gladiatori e schiavi, alla stessa stregua di quelli ai quali si poteva assistere a Roma allinterno del Colosseo. Certo, non poteva calarsi in fondo al pozzo per sfondarne le pareti, ma secondo lui un passaggio dalle stanze dellantico Palazzo del Governo ai livelli sottostanti ci doveva essere per forza. Tutto stava a trovarlo. Le costosissime rilevazioni radar che aveva fatto eseguire del tutto a sue spese gli davano ragione, ma ogni volta che pensava di essere vicino alla scoperta sensazionale del possibile passaggio cera qualcosa che andava storto. L? dei collettori di fogne che non potevano essere toccati se non rischiando di allagare tutto, l? paratie metalliche a protezione e consolidamento delle fondamenta del Palazzo della Signoria. Qui resti di focolari, che non potevano essere toccati, se non scatenando le ire del delegato ai Beni Culturali e Artistici. E ora ci si era messa anche la neve. Dallotto dicembre, una nevicata precoce ma abbondante gli aveva impedito di lavorare per alcuni giorni. Poi, quando la neve si era sciolta, aveva lasciato una tale quantit? di fango, che quasi era impossibile reggersi in piedi dentro gli scavi senza scivolare in continuazione. Irritato, infreddolito, con i nervi a fior di pelle, sollev? il piccone. Avrebbe dato una picconata secca al muro di fondo, quello che separava il vecchio palazzo del Governo dalle fondamenta dellattuale, terminato di costruire intorno allanno 1.500, ma si ferm? col braccio in aria. Qualcosa aveva richiamato lattenzione del suo sguardo. Il fango, scolando verso il basso, aveva lasciato scoperto un particolare che non aveva mai notato prima. Un arco a volta limitato dagli antichi mattoni, quasi a pelo del suolo che stava calpestando e che rappresentava il pavimento del piano terra di quellantico edificio, delimitava senza dubbio unapertura, anche se occlusa da detriti e semi interrata.
Di certo i mattoni che delimitano questarco sono di fattezza pi? antica rispetto al resto, hanno un aspetto pi? irregolare, sono pi? scuri. Magari sono proprio di epoca romana
Andrea si sfreg? le mani soddisfatto, alit? su di esse per riscaldarle un po e si guard? intorno per cercare gli attrezzi giusti, abbandonando il piccone. Cerc? di ripulire lipotetica apertura, per quanto possibile a mani nude, aiutandosi con una piccola pala zappa pieghevole per asportare i detriti, rifinendo poi il lavoro con un pennello per togliere polvere e terriccio. Poco alla volta, venne alla luce una porta in legno, abbastanza ben conservata, chiusa con un chiavistello. Non sarebbe stato difficile aprirla o sfondarla ma, non sapendo cosa avrebbe trovato al di l? ed essendo ormai limbrunire, decise che per quel giorno si poteva ritenere soddisfatto e che poteva sospendere i lavori per riprenderli il giorno successivo.
Meglio tornare a casa e ricontrollare le rilevazioni radar. Non vorrei avere sorprese. E poi meglio farsi aiutare da qualcuno. La prudenza non ? mai troppa in questi casi. Sia mai che aprendo quella porta possa provocare dei crolli. Al che tutto il lavoro di mesi e mesi andrebbe a farsi benedire.
Radun? gli attrezzi, mise la sacca da lavoro a tracolla, usc? dagli scavi e si diresse gi? per Costa Baldassini, per raggiungere la sua dimora. Il calore accogliente della sua abitazione e lodore di fumo delle sigarette consumate dalla sua compagna lo misero di buon umore. Gett? la sacca in terra presso lingresso, cerc? per quanto possibile di liberare le scarpe dal fango e sal? le scale di corsa. Trov? Lucia addormentata, con un braccio e la testa poggiati sul tavolo del soggiorno, il notebook acceso avanti a lei e la cicca di una sigaretta ancora fumante nel posacenere. Le carezz? i capelli con delicatezza, evocandone il risveglio.
Mio Dio, Andrea! Sono crollata. Dovevo essere proprio stanca. Ho lavorato tutto il giorno per cercare di interpretare un nuovo documento, che ho ritrovato qui tra le scartoffie della tua biblioteca e che si riferisce al periodo in cui il tuo antenato Andrea Franciolini and? a combattere nei Paesi Bassi a sostegno del re di Francia contro limperatore Carlo V dAsburgo. A parte il periodo politicamente ingarbugliato, per cui il papa parteggiava ora per la Francia, ora per limpero, la cronologia delle date in questo documento appare strana. E poi c? questa raffigurazione, che sembra unimmagine molto pi? antica rispetto ai tempi di cui stiamo discutendo. ? un leone traverso, disteso, inciso su pietra, mi sembra. Non capisco che significato abbia: non ? n il leone rampante simbolo di Jesi, n il leone di San Marco, simbolo della Repubblica Veneziana. Sembra pi? unicona, un altorilievo su pietra, proveniente da qualche abitazione o da qualche costruzione di epoca romana, quasi somigliante a quelle piastrelle decorative che adornano la sagoma del portale di questo palazzo.
Come ormai ben sai, quelle piastrelle erano decorazioni di un antico tempio romano che sorgeva nellantichit? in questo luogo, e che sono state rinvenute durante gli scavi delle fondamenta.
Appunto. E quindi la mia idea ? che chi ha disegnato questa illustrazione si sia rifatto a una decorazione dellantico anfiteatro romano, che sorgeva pi? o meno tra Piazza Colocci e Via Roccabella. In fin dei conti i leoni venivano utilizzati dai romani, allinterno delle arene, nei combattimenti con i gladiatori.
E spesso ne facevano scempio. Che spettacoli orribili! Eppure al tempo erano graditi alla popolazione. In ogni caso, visto che siamo in argomento debbo riferirti che proprio poco fa forse ho individuato un passaggio che potrebbe condurre ai resti di questo antico anfiteatro. Sono riuscito a isolare una porta in legno, a un livello pi? basso rispetto al resto degli scavi, che secondo me avrebbe dovuto dare accesso alle cantine dellantico Palazzo del Governo. E se i conti tornano, quelle cantine dovrebbero corrispondere con antichi ambienti riferibili ad alcune zone dellanfiteatro.
Hai provato ad aprire la porta?
No, ho bisogno degli strumenti adeguati e di qualcuno che mi assista. Non vorrei provocare crolli.
E chi vuoi trovare come assistenti? Siamo prossimi alle festivit? natalizie, tutti i tuoi amici archeologi si sono dileguati ormai da un pezzo e lamministrazione comunale ha gi? deciso di chiudere gli scavi a breve!
Credo che basti una persona. E credo che chi fa al caso mio sia ora qui di fronte a me.
Oh, scordati di coinvolgermi in unaltra delle tue balorde avventure solo perch fai leva sul fatto che sono innamorata di te, replic? Lucia, indignata. Non ho alcuna voglia di rimanere sepolta viva tra i ruderi di un anfiteatro romano. E poi, sai bene che soffro di claustrofobia.
Lo so, ribatt Andrea sornione. Ma so anche che la tua curiosit? di studiosa riesce a prevalere su tutte le paure. Ne hai dato dimostrazione in passato. E se pensi che l? sotto potresti rinvenire licona originale rappresentante quel leone traverso
Ehi, pensi di riuscire sempre a farmi fare quello che vuoi?
Lucia allung? nervosa una mano verso il pacchetto di sigarette e ne sfil? una per accendersela. Rimase con la sigaretta in bocca e laccendino acceso in mano, interrotta dallo squillo del suo cellulare. Sul display compariva un numero di cellulare, non salvato in rubrica e preceduto dal prefisso internazionale +49.
Lucia e Andrea si scambiarono uno sguardo interrogativo, poi lui le fece cenno di rispondere. Lucia attiv? il vivavoce, in modo che anche Andrea potesse ascoltare la conversazione. Dallaltro capo del telefono, una voce maschile inizi? a parlare in lingua italiana quasi perfetta, anche se con accento marcato sulla erre.
Parrrlo con la Contessina Lucia Baldeschi-Balleani?
Per servirla! A cosa debbo lonore?
Lasci che mi prrresenti! Sono Sua Altezza Imperiale e Rrregale, lArciduca Sigismondo dAsburgo Lorena, Granduca titolare di Toscana e Gran Maestro dell'Insigne Sacro Militare Ordine di Santo Stefano Papa e Martire.
Accidenti!, si lasci? sfuggire Andrea in un bisbiglio, per non far arrivare la sua voce al microfono del telefono. Magari ha deciso di continuare a finanziare le nostre ricerche archeologiche!
Lucia mise lindice avanti al naso, per intimare al suo compagno di fare silenzio.
? un piacere per me apprendere del suo interesse per la mia persona. A cosa debbo, se mi ? lecito chiedere, questo onore?
Vedo che ha ricevuto unottima educazione, e di questo devo congratularmi con lei e con la sua famiglia. Ma veniamo al dunque. Vede, ai sensi dell'articolo 5 dell'attuale Statuto dellOrdine di Santo Stefano, e in conformit? agli antichi Statuti dell'Ordine stesso, ogni anno scelgo tre nobiluomini da elevare al grado di Bal? Gran Croce di giustizia, in considerazione di alti meriti acquisiti nella vita, nel lavoro e nello studio. Mai prima dora questa onorificenza ? stata riservata a una donna. Ma, visti i risultati dei suoi lavori di ricerca sulle origini e sulla storia della sua nobile famiglia, mi sono sentito per questanno di fare uno strappo alla regola. E ho deciso che sia lei la prescelta per essere da me nominata Cavaliere di Gran Croce del Bal?. Pertanto, la invito ufficialmente alla cerimonia di investitura, che si terr? a Firenze nel giorno del Santo Natale.
Ma, Natale sar? appena tra quindici giorni! Ho degli impegni, sia di lavoro, sia personali. Sa, il mio fidanzato, la mia famiglia, cerc? di prendere tempo Lucia, un po confusa.
Non si preoccupi. Venga pure a Firenze in compagnia del suo fidanzato o di altri membri della sua famiglia. Chiaramente, il viaggio per lei ? del tutto a mie spese. Le sto gi? inviando per e-mail la prenotazione per il treno Frecciarossa Ancona Firenze, andata e ritorno, in prima classe. Laspetto con ansia!, e riattacc?, senza neanche darle il tempo di rispondere.
Andrea e Lucia si guardarono l? per l? con aria allibita, poi scoppiarono in una risata.
Cavaliere di Gran Croce del Bal?! I miei rispetti, Madonna!, declam? Andrea con aria canzonatoria, proferendosi in un inchino. Penso di avere abbastanza motivi per iniziare a essere geloso. A mie spese, ti accompagner? a Firenze, non c? da fidarsi.
Ma dai! Sua Eccellenza Imperiale e Regale sar? di certo una vecchia cariatide, replic? Lucia con aria divertita.
Sua Altezza, non Sua Eccellenza, la corresse Andrea. In ogni caso, la voce sembrava abbastanza giovanile. Non mi fido, non mi fido. Verr? con te, sempre che tu decida di andare, sia mai che ti lasci andare da sola! E poi non possiamo trascorrere il Natale uno distante dallaltra, non se ne parla nemmeno. Firenze ? una bella citt?, una delle citt? pi? romantiche dItalia. Meglio non sprecare loccasione di regalarti il pi? appassionante bacio della tua vita sopra lArno, sul Ponte Vecchio.
Oh, e da quando in qua saresti diventato romantico, tu che sei sempre stato un ammasso di muscoli e testardaggine?
Beh, da quando mi hai fatto ingelosire!, sorrise Andrea. Ma al di l? di questo, Firenze ? una bellissima citt? darte e potremmo unire lutile al dilettevole. In fin dei conti qualcuno scrisse La bellezza salver? il mondo, o sbaglio?
Fedor Dostoevskij ne Lidiota. Prima di sbilanciarti nel pronunciare una citazione, cerca di essere sicuro di conoscere fino in fondo ci? di cui trattasi, altrimenti piuttosto che la figura dello studioso fai quella
Dellidiota!, scoppi? in una risata, si avvicin? a Lucia, la strinse in un caloroso abbraccio, avvicin? le sue labbra al suo viso profumato e inizi? a baciarla.
Lultima parola ? sempre la tua, eh?, riusc? a pronunciare Lucia ansimante, cercando di riprendere fiato e sfilandosi la camicetta. Sent? le mani di Andrea andare a cercare la fibbia del reggiseno per slacciarla, poi lo vide togliersi la maglia per rimanere anche lui a torso nudo. Lurgenza dei corpi nel cercare il reciproco contatto li trascin? in camera da letto, dove fresche lenzuola accolsero i due amanti ormai del tutto nudi.
La bellezza salver? il mondo, ripet Andrea, facendole capire che questa volta lallusione era rivolta solo a lei.



CAPITOLO 7
Cavalcare nella pianura Padana in quella stagione fu considerato da Andrea quasi peggio che navigare in mare aperto. Abituato alle colline e alla montagne delle sue amate terre, non si sarebbe mai aspettato di avanzare per leghe e leghe in un terreno del tutto piatto. Ma lelemento peggiore era lumidit?, la nebbia che faceva perdere il senso dellorientamento, tanto era fitta in certi punti, e si infiltrava sotto i vestiti fino ad arrivare a tormentare le ossa. Per non parlare dei sentieri, che spesso si perdevano nel fitto della boscaglia o che portavano dritti a paludi e acquitrini, impossibili da attraversare, costringendo a lunghi e interminabili aggiramenti, se non addirittura a ritornare indietro sui propri passi a scegliere unaltra diramazione della strada. E per fortuna i due soldati che lo accompagnavano erano pratici dei luoghi, altrimenti Andrea avrebbe gi? rinunciato a raggiungere Ferrara, gettandosi a terra e rimanendo in bal?a delle insidie della natura selvaggia della piana dellEridano. Finalmente, usciti dal bosco di Porporana, un ampio tratto di campagna coltivata si estendeva, verso il borgo di Pallantone, fino alla riva del fiume Po. Dopo il mezzogiorno, il sole era riuscito a trionfare sullumidit?, e cos? Andrea not?, non senza disappunto, che senza protezione del bosco e della nebbia, lui e i due armigeri che lo accompagnavano erano del tutto allo scoperto e facile bersaglio di eventuali malintenzionati. Non fece neanche in tempo a terminare questa considerazione, che due cavalieri stranamente bardati li superarono di gran carriera, sollevando schizzi di fango e brandendo sopra le loro teste delle daghe un po pi? lunghe di quelle che Andrea era abituato a usare.
Chi sono?, chiese Andrea preoccupato.
Lanzichenecchi. Le spade che avete visto sono dette Lanzichenette, o Katzbalger. Questultimo termine, nella loro lingua, significa pelliccia di gatto. Qualcuno vuol dire che, essendo i portatori di questarma di bassa estrazione sociale, essi sono incapaci di acquistarsi un fodero vero e proprio e quindi utilizzano la pelle di un felino domestico in sostituzione di esso. Ma non ? cos?. Molti Lanzichenecchi, pur combattendo come soldati mercenari, appartengono alla ricca borghesia o alla nobilt? teutonica. Il termine Katzbalger ? in effetti riferito alla ferocia ferina con cui essi combattono. In battaglia sono capaci di gettarsi tra le prime linee dei picchieri nemici, passando sotto la selva delle lance protese e vibrando quelle spade come mannaie, al fine di spezzarle. Ma non si fanno alcuno scrupolo neanche di mutilare gli avversari, mirando a parti del loro corpo non protette dalle armature. Datemi retta, mio Signore, ? gente pericolosa. Meglio starne alla larga.
Se sono cos? pericolosi come riferite, come mai sono liberi di scorrazzare cos? per le nostre terre?
Sono mercenari, e quindi liberi di mettersi al soldo del Signore che li paga meglio. I peggiori di loro sono quelli pagati a doppio soldo. Essi sono i pi? spietati, addestrati a combattere in prima linea o in zone considerate ad alto rischio. E pertanto vengono pagati con una paga doppia.
Non ? che magari il termine doppio soldo significa che non si facciano scrupolo di mettersi al servizio di due padroni allo stesso tempo, infiltrandosi come traditori o spie tra le file del nemico?
Pu? anche darsi! Ve lho detto. ? gente di cui non c? da fidarsi. Ma bando alle chiacchiere!, prosegu? Fulvio, il fido armigero. Il borgo di Pallantone ? rinomato per le sue taverne. Cucinano la cacciagione come in nessun altro posto che io conosca
E la accompagnano con un ottimo vino rosso frizzante. Una vera prelibatezza, aggiunse Geraldo, laltro armigero che fino a quel momento non aveva mai parlato.
Andrea, attraversando le strade del borgo, not? diverse insegne di locande e taverne, ma i suoi accompagnatori si diressero sicuri fino alla piazzetta principale, dove uninsegna a bandiera indicava in scritte a caratteri gotici la Locanda dei guardiani degli argini. In effetti dalla piazza si avvertiva distintamente il rumore dellacqua che scorreva con impeto nella golena subito dietro gli edifici di quel lato. Andrea e i suoi accompagnatori legarono le cavalcature agli anelli infissi nel muro esterno della taverna, si assicurarono di avere le spade nei rispettivi foderi ed entrarono nel locale. La sala era piuttosto gremita e lodore di cacciagione cucinata in salm? si mescolava alla puzza di sudore emanata dagli avventori. Un uomo grassoccio, dal viso rubizzo e la fronte imperlata di sudore, con un sinale bianco legato attorno alla vita, venne loro incontro e li accompagn? a un tavolo libero.
Cosa gradiscono lor signori?
Portaci un buon pasticcio di quaglie, pernici e coturnici. E un bel boccale di lambrusco per ognuno di noi, ordin? Fulvio, facendosi portavoce di tutto il gruppo.
Non fece in tempo a terminare di pronunciare queste parole, che la porta fu spalancata in malo modo con un calcio sferrato dallesterno da un individuo di stazza robusta, seguito subito dietro da un altro uomo della sua stessa risma. Entrambi tenevano la spada in mano, anzich infoderata. Accortisi della presenza dei Lanzichenecchi, la maggior parte dei presenti si alz? dai tavoli, cercando di guadagnare luscita, al fine di evitare inutili scaramucce con uomini noti per la loro arroganza e prepotenza. Pi? di un uomo, in prossimit? della soglia, inciamp? per caso nello stivale di uno dei due. Chi rotolava in terra non aveva neanche il coraggio di affrontare lo sguardo del Lanzichenecco. Si rialzava, si scrollava la polvere di dosso e usciva dalla taverna a gambe levate. Andrea, Fulvio e Geraldo rimasero ai loro posti, fissando il loro sguardo sui nuovi arrivati quasi con aria di sfida. Quelli, sul momento, finsero di non farci neanche caso. Presero posto a un tavolo lasciato libero dai precedenti avventori, sbattendo con fragore le loro Katzbalger sopra di esso. Uno dei due afferr? una brocca di lambrusco, la port? alla bocca, ne tracann? ampie sorsate, e infine si esib? in un rumoroso rutto.
Scheisse! Bleah! Questo vino ? merda. Oste, portaci della birra.
Sapete bene che non abbiamo birra dalle nostre parti, rispose quasi balbettando luomo dalla faccia rubizza e dalla sudorazione che stava aumentando in maniera notevole. Se non gradite il vino rosso, posso andare gi? in cantina a prendervi un buon bianco fresco. Vi assicuro che non ve ne pentirete!
Te ne pentirai tu, di non averci servito della birra!
Uno dei due Lanzichenecchi scatt? in piedi e afferr? luomo da dietro, stringendogli un possente braccio intorno al collo. Andrea vide il cameriere diventare in viso sempre pi? rosso, sollevato da terra dalla notevole altezza del suo aguzzino, i piedi penzolanti a un palmo dal pavimento. Se non fosse intervenuto, quelluomo a breve sarebbe morto soffocato.
Ora basta!, esclam? Andrea alzandosi in piedi. Se volete attaccare briga, non prendetevela con una persona inerme. Non c? divertimento. Combattete da uomini, e non da vigliacchi, contro chi ? armato al pari vostro.
Il Lanzichenecco, colto alla sprovvista, allent? la presa, permettendo al locandiere di riprendere fiato. Ma il suo amico, che fino a quel momento era rimasto seduto al suo tavolo, afferr? la sua spada e si diresse minaccioso verso Andrea. Questultimo, estraendo la sua spada dal fodero, cerc? di studiare a colpo docchio il suo avversario.
Molti muscoli, ma poco cervello. Devo giocare dastuzia. Vediamo. La spada ? possente, e tenuta con una sola mano. Ma la guardia ? particolare, costituita da un tondino in ferro sagomato a forma di otto, come quella dei grandi spadoni da battaglia. Posso parare il suo fendente in calata, ma non riuscirei a fargli sfuggire larma di mano. Io sarei sbilanciato, a quel punto, e il ritorno incrociato non mi lascerebbe scampo. In un batter docchio, con un sol colpo, potrebbe staccarmi la testa dal collo. E addio Andrea!
Perch ti impicci di cose che non ti riguardano amico? Non ? buona educazione interrompere una discussione in cui non si ha voce in capitolo. Specie per un nobile che sulla propria casacca ha ricamato il disegno di un leone rampante. Ors?, dimostrami quanto di leonino hai nel tuo sangue!
Solo il tavolo di legno apparecchiato separava Andrea dal Lanzichenecco. Fulvio e Geraldo si erano alzati dalle loro sedie e si stavano dirigendo verso laltro energumeno, al fine di evitare che anche lui afferrasse la spada. Furono lesti ad afferrarlo sottobraccio, uno per lato, costringendolo ad abbandonare la presa sul locandiere. Poi Fulvio estrasse uno stiletto e glielo appoggi? contro il collo, in modo da renderlo inoffensivo. Andrea, dal canto suo, vide il suo avversario sollevare la Katzbalger. Si mise con la sua daga in posizione di difesa, ad attendere il fendente da parare. Attese il colpo calante ma, facendo una finta allultimo momento, permise alla spada del lanzichenecco di proseguire la sua traiettoria e, per inerzia, di trascinarsi dietro il braccio che la reggeva. Il filo tagliente della Katzbalger si and? a infiggere sul tavolo, spaccandolo in due. Il teutone, squilibrato, cadde in terra insieme alla spada. La brocca di Lambrusco, volata in aria, disegn? una traiettoria ad arco, ricadendo e schiantandosi proprio sulla sua testa. Intorno al lanzichenecco si and? formando una chiazza rossa di vino e sangue. Andrea approfitt? dello stordimento momentaneo dellavversario per giungergli sopra e appoggiargli la punta della spada contro la nuca.
Come ti chiami, amico?, gli chiese sollevandolo per un braccio e riportandolo in posizione eretta, ma senza abbassare la guardia, continuando a minacciarlo con la punta della spada.
Franz, rispose quello.
Bene, Franz. Per oggi sei fortunato. Mi tengo la tua spada e ti risparmio la vita. Ma non capitare pi? sulla mia strada, perch non sar? altrettanto clemente con te una seconda volta, e cos? dicendo lo spinse verso luscita, lo rigir? e lo cacci? fuori con un calcio nel sedere, mandandolo a mangiare la polvere della piazza antistante. Non and? altrettanto bene al suo compare, che giaceva in terra senza vita nella pozza del suo stesso sangue. Fulvio non aveva esitato ad affondare la lama dello stiletto al minimo tentativo del suo avversario di divincolarsi per sfuggire alla presa.
Luomo dal viso rubizzo stava guardando allibito la scena. Nel frattempo era uscito dalle cucine un altro locandiere, molto somigliante al primo, sia pur con meno capelli in testa, con tutta probabilit? suo fratello.
Che cosa avete combinato?, intervenne questultimo. Siete folli! Siamo abituati alle angherie di questi bellimbusti. Li lasciamo sfogare, si ubriacano, fanno qualche danno, sfasciano qualcosa, ma poi se ne vanno e per giorni e giorni viviamo in pace. Ora invece
Non passeranno due giorni che di questo locale non rimarranno che ceneri fumanti, replic? il fratello, massaggiandosi il collo dolorante. E i guardiani degli argini verranno ritrovati in fondo alla golena, finitici chiss? come!
Immagino che i guardiani degli argini siate voi due, disse Andrea, rivolto ai due locandieri. Intanto, in fondo alla golena gettiamoci questo goto!
In effetti, mio Signore, non ? stata una buona idea lasciare libero quel Franz. Di certo torner? qui in forze a pretendere la sua vendetta. E noi non saremo pi? qui. Saranno loro due a farne le spese, intervenne Fulvio, indirizzando un cenno alla volta di Geraldo, che lo aiut? a tirar su di peso il cadavere, trascinarlo fino alla finestra e, attraverso quella, scaraventarlo nel canale che scorreva dietro la locanda.
Andrea, Fulvio e Geraldo si sporsero dal davanzale, osservando con aria soddisfatta come la forte corrente stesse portando via con s il corpo inerte del Lanzichenecco.
Trover? il modo di offrire adeguata protezione ai nostri ospiti, sentenzi? Andrea. Ne parler? col Duca di Ferrara. Sono certo che invier? qui alcune sue guardie a loro protezione. Fulvio, Geraldo! Andiamo. Cerchiamo di raggiungere la citt? prima che faccia sera.
I Guardiani degli argini si soffermarono allingresso della locanda, guardando i tre cavalieri allontanarsi fino a sparire nella foschia pomeridiana. In cuor loro sapevano che nessuna guardia del Duca DEste sarebbe mai arrivata in quel luogo sperduto per offrire protezione a due locandieri. Non restava che sprangare il locale e allontanarsi da Pallantone. Ne andava delle loro vite.


CAPITOLO 8
Bernardino usc? davanti alla sua bottega con una copia del suo ultimo lavoro in mano. Voleva vederlo alla luce del giorno, osservare come erano venute le illustrazioni a colori. Con quelledizione illustrata della Divina Commedia aveva superato non solo il suo predecessore Federico Conti, ma anche se stesso. Bernardino aveva ripreso ledizione fiorentina del poema del sommo poeta Dante Alighieri. Sapeva che nellanno del Signore 1481, Lorenzo Pierfrancesco De Medici aveva commissionato a Sandro Botticelli la realizzazione di cento tavole illustranti le scene del poema. Di queste cento il Botticelli ne aveva realizzate solo diciannove, che erano state incise su lastre, per poter essere stampate, dallincisore Baccio Baldini. Non essendo stata portata a termine lopera da Sandro Botticelli, ledizione fiorentina, che presentava uno spazio bianco allinizio di ogni canto, era stata alla fine commercializzata senza immagini. Il sogno di poter realizzare unedizione principe della Divina Commedia, con tutte le illustrazioni stampate a colori, era stato coltivato da Bernardino per anni e anni. Era riuscito a far disegnare le tavole mancanti, sullo stesso stile del Botticelli, da alcuni monaci benedettini dellAbbazia di SantUrbano, in quel di Apiro. Ma il vero tocco da maestro, che gli aveva permesso di veder realizzato il suo sogno, era stato quello di aver fatto rintracciare da alcuni suoi fidi collaboratori le incisioni del fiorentino Baccio Baldini. Questultimo era stato dato per morto a Firenze nel 1487, allet? di cinquantuno anni. Erano passati altri trentacinque anni e, dunque, fosse stato vivo, sarebbe stato ultra ottuagenario. Cosa rara, ma non impossibile, si era sempre detto Bernardino. E in effetti si sapeva che dalla sua bottega continuavano a uscire finissimi lavori di incisione su oro e rame, che non potevano essere opera dei suoi giovani allievi. Dietro cera il suo zampino, che continuava a lavorare nellombra. Perch volesse farsi credere morto, anche se le ipotesi erano assai, nessuno lo sapeva con certezza. Qualcuno diceva che volesse sfuggire ai creditori a cui doveva somme esorbitanti. Altri raccontavano che temesse le ire del Botticelli, in quanto non aveva soddisfatto le sue aspettative nel realizzare le incisioni delle lastre con cui dovevano essere stampate alcune sue opere a decorazione del poema di Dante Alighieri. Fatto sta che le diciannove lastre prodotte a suo tempo erano rimaste nella bottega dellincisore e non erano state pi? stampate. Non solo, ma non erano state pi? reclamate n dal Medici che le aveva commissionate, n da Botticelli, che aveva ideato i disegni.


Paolo e Valentino, due fedeli lavoranti di Bernardino, si erano recati a Firenze e avevano individuato la bottega dellincisore. Di lui, neanche lombra. Forse qualche anno addietro era morto davvero e i suoi allievi erano riusciti in effetti ad affinare le tecniche di bottega fino a raggiungere e superare larte del loro maestro. Non fu impresa facile per Paolo e Valentino, ma alla fine lofferta in denaro fece capitolare gli allievi di Baccio, che cedettero le incisioni delle opere del Botticelli per una somma di tremila fiorini doro. Molto pi? di quello che valessero in effetti, ma Bernardino era convinto che avrebbe di certo recuperato la somma con i dovuti interessi, qualora fosse riuscito a stampare la sua Divina Commedia. I frati avevano realizzato non solo le illustrazioni mancanti, ma anche le incisioni delle stesse su lastre di rame, che Bernardino avrebbe poi riportato su lastre di piombo, pi? idonee per la stampa. Usare inchiostri colorati per le illustrazioni non era una novit?, ma implicava passaggi lunghi e ripetitivi per poter ottenere un buon risultato. Oltre il nero, Bernardino aveva usato il rosso, il blu e il giallo. Non pi? di quattro colori, si era detto, altrimenti non ne sarebbe venuto a capo.
Sfogli? con soddisfazione pagina per pagina, apprezz? ognuna delle cento illustrazioni, annus? lodore della carta stampata, tast? con i polpastrelli la copertina in pelle seguendo con le dita le incisioni del titolo, lettera per lettera, la D, la I, la V, e cos? via. Alz? alfine gli occhi verso il cielo azzurro, terso, senza nuvole, del primo pomeriggio di una giornata di fine marzo. Ammir? le rondini che gi? volteggiavano nellaria, animandola con i loro garriti. Era stanco, si sentiva stanco. Avrebbe voluto essere una di quelle rondini per vedere il mondo da una prospettiva diversa, dallalto, volando come loro e scendendo in picchiata su tutto ci? che attirasse la sua attenzione. Ma capiva, dalla pesantezza delle sue gambe, che let? si faceva sentire ogni giorno di pi?. A grandi passi stava per raggiungere i sessantanni, e non erano pochi, soprattutto per uno che aveva sempre lavorato come lui. Ebbe la sensazione di un vuoto nel torace, il cuore fare un tuffo come quando si prova una paura improvvisa. Alcuni battiti mancati, qualche colpo di tosse, e il cuore riprese a ritmo accelerato, per poi acquietarsi nel giro di qualche istante. Era una sensazione sgradita, ma alla quale Bernardino da qualche tempo si stava abituando. Rimessa a fuoco la vista, a pochi passi da lui si materializz? la nobile Lucia Baldeschi.
Bernardino! Come siete pallido! Che succede?
Oh, niente di grave, Madonna Lucia. Palpitazioni. Ogni tanto il mio cuore fa le bizze, ma ho imparato che imponendomi di fare qualche robusto colpo di tosse, esso riprende il suo ritmo regolare.
Niente di grave, dite? Avete una certa et?, e i segnali che vi manda il cuore non vanno sottovalutati, o queste palpitazioni, come le chiamate voi, vi porteranno diritto alla tomba. E questa sarebbe unevenienza a me ben poco gradita. Tenete!, e gli allung? una piccola boccetta di vetro scuro, contenente del liquido. Quando avvertite questi disturbi, mettetene un paio di gocce in bocca. Ma non ingoiatele, trattenetele a lungo sotto la lingua e rimetteranno in sesto il vostro cuore, riportandolo a un ritmo e a una forza di contrazione normali. Se poi la vostra tachicardia cos? si chiama in termini medici il vostro disturbo dovesse peggiorare, ogni sera prima di coricarvi assumete un goccia di questo elisir, trattenendolo sotto la lingua come vi dicevo pocanzi. Cos? facendo sarete preservato da nuovi attacchi, che potrebbero prima o poi rivelarsi fatali.
Mia Signora, volete incutermi timore? So di essere anziano, so che lincidente occorsomi durante lincendio della mia stamperia non mi ha lasciato indenne, so di avere anche qualche acciacco dovuto al fatto che sono anni che lavoro con il piombo, ma da qui a volermi far credere che sia a un passo dalla tomba
Non dico questo, Bernardino. Dico solo che dovete riguardarvi. Sapete bene quanto tenga a voi e alla vostra amicizia. E infatti ? per questo che sono qui. Volevo dirvi che mi recher? ad Apiro i giorni prossimi, e cos? ero passata a salutarvi.
Lo stampatore infisse i suoi occhi in quelli nocciola della nobildonna. Ammir? la sua bellezza, ammir? come, da ragazza che era, nel giro di breve tempo fosse diventata una donna matura, ancor pi? bella e piacevole. Avvolta nella sua gamurra dalle tonalit? del celeste, stretta in vita da unelegante cintura di cuoio, la generosa scollatura che metteva in mostra la curva dei suoi seni, Lucia era di una bellezza che mozzava il fiato. I capelli neri, lunghi, erano raccolti dietro la nuca in una treccia, mentre la fronte era circondata da un semplice laccio in cuoio, abbellito sul davanti da una pietra preziosa dello stesso colore azzurro dellabito che indossava. Bernardino, che non si era mai voluto legare a nessuna donna in vita sua, capiva che lunica di cui si fosse innamorato, con cui era riuscito a condividere la passione per le arti, per la poesia e per la letteratura, era in quel momento a un passo da lui, ma era del tutto irraggiungibile. Non solo non avrebbe mai fatto lamore con lei, ma da lei non avrebbe neanche mai ottenuto un bacio o una carezza. Doveva accontentarsi dei suoi sguardi, dei suoi sorrisi, delle sue parole. E gi? era tanto. Per il resto, poteva solo sognarla.
Madonna, perch andare ad Apiro? Non c? pi? nessuno che vi leghi a quei luoghi. Sono luoghi dannati da Dio, popolati da demoni e da servi del demonio, streghe e stregoni. Voi siete una nobildonna, perch volete essere scambiata per una guaritrice o, peggio, per una strega?
Oh, avanti, Bernardino! Cosa sono questi discorsi? Vi ha fatto male lavorare con i frati dellabbazia di SantUrbano? Anche loro sono di Apiro, eppure vi hanno fatto comodo per il vostro lavoro. Per preparare infusi e medicinali come quello che vi ho fornito or ora, ho bisogno di raccogliere piante officinali. E ad Apiro, soprattutto nella zona di Colle del Giogo, se ne raccolgono tante e di ottima qualit?. E poi questa ? la stagione migliore per raccoglierne. Inoltre sfrutter? la fioritura dei Crocus per ricavarne i preziosi stimmi e potr? trovare anche tanti buoni germogli di asparagina. Cos? potr? rifornire anche le mie cucine. Star? via qualche giorno e ritorner? ritemprata nel corpo e nello spirito. Linvernata ? stata lunga e lho passata nellangoscia per non aver avuto alcuna notizia di Andrea. Ora ho bisogno di distrarmi un po, e di farlo a modo mio. Tra laltro, mi piacerebbe anche far visita a Germano degli Ottoni, il reggente della Comunit? di Apiro.
Vedo che i miei consigli sono come parole gettate al vento. Datemi ascolto almeno in questo: fatevi accompagnare da una scorta fidata! In pi?, a questo punto, visto che vi recherete in quel di Apiro, voglio chiedervi un piccolo favore, e mise nelle mani di Lucia il prezioso libro che fino a pocanzi aveva rimirato. Questa ? la prima copia da me stampata della Divina Commedia contenente le illustrazioni realizzate proprio dai frati di SantUrbano. Fermatevi allAbbazia e consegnate il volume al Padre Guardiano, salutandolo e ringraziandolo da parte mia. Credo che sar? ben felice di vedere questopera finalmente ultimata, e di tenerne una copia a corredo della biblioteca del Convento.
Siete sicuro di volervene separare? Mi sembra che sia lunica copia che abbiate finora stampato!
Ne ho verificato la qualit? e ho tutto pronto per stamparne centinaia e centinaia di copie. Ritengo giusto che questa prima copia sia da consegnare alla comunit? di frati che tanto ha lavorato per la sua realizzazione.
Bene, Bernardino, se ? la vostra volont?, sar? ben lieta di portare a termine questa missione per vostro conto.
Lucia fece quasi scomparire il tomo infilandolo sotto braccio. Poi si avvicin? con delicatezza allo stampatore, sfiorandogli una guancia con le sue labbra, a mo di saluto. Bernardino fece finta di nulla, ma il suo cuore era in subbuglio. Mentre la guardava allontanarsi, si abbandon? seduto su una panca di legno, in prossimit? dellingresso della bottega. Mise una mano in tasca e strinse la boccetta che gli aveva dato Lucia. Ma non fece in tempo a mettere in bocca qualche goccia del medicinale, perch croll? prima. Ansim?, cercando aria, le palpebre si abbassarono. Sent? che il cuore non batteva pi?, era fermo. Scivol? dalla panca, fino a giungere in terra, poi tutto intorno si fece buio. Quando riapr? gli occhi vide Valentino, il suo garzone, sopra di lui, che gli stringeva il naso con le dita e spingeva forte il suo fiato allinterno della sua bocca. Gli fece cenno di smettere, trovando la forza di portare fino alla bocca la boccetta che ancora stringeva in mano. Riusc? a versare qualche goccia, trattenendola sotto la lingua. Nel giro di qualche istante si sent? pervadere da uno strano calore, riconquist? le sue forze, si ritir? in piedi, rifiutando laiuto di Valentino che gli tendeva la mano, e ritorn? dentro la bottega.
Paolo! Valentino! Preparate le macchine. Si va in stampa!



CAPITOLO 9
La primavera ? estasi.
Fiorire ? un atto damore.
(Anonimo)
Prima di lasciare la citt?; Lucia si rec? al Palazzo Vescovile per salutare il Monsignor Piersimone Ghislieri, che fu lieto di riceverla nella sala delle udienze.
Mia cara Contessina, sono ben felice di vedervi, profer?, tendendo la mano inanellata verso la giovane, prostrata ai suoi piedi. Su, su, alzatevi, e ditemi, piuttosto! Novit? da parte del Vostro promesso sposo? Si sa quando sar? di ritorno? Quando potr? finalmente unirvi in matrimonio?
Eh, quante domande, Vostra Eminenza. Avessi le risposte, sarei ben lieta di rendervene partecipe. Purtroppo, i miei informatori mi segnalano che Andrea ? stato inviato lo scorso autunno a combattere nei Paesi Bassi, ad affiancare i soldati francesi nella sporca guerra contro Carlo V dAsburgo. Linverno ? stato lungo, e di Andrea e dei suoi compagni darmi non se ne ? saputo pi? nulla. Ma il mio cuore mi dice che ? di certo vivo.
Da quello che so, i francesi stanno avendo la peggio, tanto che il nostro Papa Clemente VII, per non essere travolto dagli eventi, sta cercando di tessere una possibile alleanza con lImperatore, al fine di salvaguardare lo Stato della Chiesa.
Davvero? E al resto dellItalia, il nostro beneamato Papa non pensa? Cos? facendo aprirebbe la strada ai Lanzichenecchi, che potrebbero giungere fino a Milano, saccheggiarla, e da l? spingersi a Firenze e finanche a Roma. E i nostri, che stanno dando man forte allesercito francese, che fine faranno?
Dobbiamo avere fiducia nel nostro Santo Padre. Vedrete, andr? tutto per il meglio. Ma ditemi il vero motivo che vi ha spinto a venirmi a trovare. Non credo, Contessina Lucia, che siate venuta qui a parlare di guerra e di politica. Quindi?, e il Cardinale si mise in atteggiamento di ascolto, guardando la giovane di sottecchi, con occhi furbi.
Lucia arross? leggermente, sentendosi osservata cos? da un alto prelato. Cerc? di dissimulare limbarazzo, distaccando lo sguardo dagli occhi del Cardinale e fissando le fiamme allegre del grande caminetto.
Per alcuni giorni star? lontana da Jesi, e dunque non potr? seguire, come ho fatto per tutto linverno, il governo e lamministrazione della citt?. Pertanto, in mia assenza, rimetto queste funzioni, che con tanta fiducia mi avete a suo tempo affidato, nelle vostre mani. Chiaro, fino al mio rientro.
Bene, non ho problema in questo, anche se sono pi? esperto in governo delle anime, piuttosto che delle faccende materiali e terrene. Ma, di grazia, ditemi dove volete recarvi, e per quanto tempo sarete assente. Non avrete intenzione di raggiungere il vostro amato nei Paesi Bassi, mettendo a rischio la vostra stessa vita?
No, non vi preoccupate. ? mia intenzione star via solo pochi giorni. Andr? verso lAppennino e raggiunger? labbazia di SantUrbano. Ho una missione da compiere per conto di Bernardino, lo stampatore. Devo consegnare ai frati Benedettini, fratelli a Voi ben cari, una copia della Divina Commedia realizzata dal mio caro amico tipografo e arricchita con le illustrazioni disegnate dalla mano degli stessi monaci. Coglier? loccasione per raccogliermi qualche giorno in meditazione e preghiera e fare penitenza. Dopo la lunga invernata trascorsa, ne avverto proprio il bisogno.
Bene, mia cara contessina. Non voglio ostacolare in nessun modo questa vostra volont?. Ma permettetemi di farvi accompagnare da alcuni uomini di mia fiducia. Vi faranno da scorta, e io mi sentir? pi? tranquillo.
Lucia, che non aveva alcuna intenzione di essere controllata giorno e notte dagli sgherri del Cardinale, fece finta di pensarci un po su, poi riprese la parola.
Vi ringrazio, Vostra Eminenza, e Lucia si abbass? un poco per riprendere la mano del Porporato e baciare lanello per congedarsi. Ho gi? dato ordine a quattro miei uomini di preparare i cavalli e le provviste. Sono gi? ben scortata. Non preoccupatevi per me.
Come ovvio, lindomani mattina di buon ora, ancor prima dellalba, Lucia impart? istruzioni alle governanti delle bambine, svegli? lo stalliere, fece sellare Morocco, e se ne part? al galoppo, senza alcuna scorta e senza alcuna provvista.
Giunse allabbazia di SantUrbano che era pomeriggio inoltrato. Laria era frizzante. Anche se splendeva il sole, le montagne intorno erano ancora innevate. Risalendo da Esinante verso labbazia, Lucia si era fermata in unampia radura costellata di fiori colorati. La caratteristica di questi bei fiori, chiamati Crocus, era quella di spuntare in prati di montagna subito dopo lo scioglimento della neve. Gli stimmi dei crocus erano molto ricercati da massaie e guaritrici. Le prime, dalle piantine coltivate che fiorivano in autunno, ricavavano lo zafferano, ottimo condimento di colore giallo rossiccio da usare per rendere saporiti piatti particolari. Le guaritrici sfruttavano invece le propriet? medicamentose dei fiori selvatici, che in natura sbocciavano a primavera. Gli stimmi di questi ultimi andavano essiccati appena raccolti e poi conservati in vasetti di vetro ben chiusi. Il Crocus, oltre ad avere propriet? digestive, sedative e tranquillanti, poteva infatti risultare tossico, soprattutto se assunti a dosi elevate oppure se gli stimmi non fossero stati essiccati a dovere, secondo le regole tramandate di madre in figlia. Pertanto, una volta soddisfatta di quanto raccolto, Lucia fu lesta a saltare di nuovo in sella al suo destriero per raggiungere labbazia. Tra le altre cose avrebbe chiesto al Priore, Padre Gerolamo, di utilizzare lessiccatoio di cui senza dubbio era fornita la farmacia del convento. Ma, giunta sul posto, la prima cosa che le balz? allocchio, e che fece passare in secondo piano tutto il resto, fu il carretto di Padre Ignazio Amici, abbandonato nel piazzale erboso. Certo, era ricoperto di un bello strato di polvere, a dimostrazione che era l? da un bel pezzo. Ma il fatto che Padre Ignazio potesse giungere l? da un momento allaltro le metteva non poca ansia addosso.
Il Priore, con ogni probabilit?, aveva scorto dalla finestra della sua cella la damigella titubante nel piazzale dellabbazia. E cos? era uscito per aiutarla a scendere da cavallo e per darle il benvenuto.
Mia Signora, sono veramente onorato dalla vostra presenza. Ma, ditemi, come mai siete giunta fin qui, in questa stagione ancora rigida, e per di pi? da sola, senza alcuna scorta? Non ? poco prudente per una nobildonna andare in giro come fate voi?
Beh, ora che vedo quel carretto, qualche timore inizia anche a venirmi addosso.
Non preoccupatevi, sorrise Padre Gerolamo. Se vi riferite a Padre Ignazio Amici, credo che non avremo pi? a che fare con lui e con le sue manie inquisitorie. Un anno e mezzo fa, dopo aver inscenato quella farsa di processo su al Colle dellAggiogo, ? scomparso e nessuno ha saputo pi? nulla di lui. Ma vi assicuro che non si aggira in questi boschi come un lupo. Qualcuno prima o poi lo avrebbe avvistato. Io stesso ho fatto dei sopralluoghi e ho trovato delle tracce inconfutabili che mi hanno reso convinto che il nostro fratello Ignazio, il giorno stesso delle ignobili esecuzioni, abbia messo i piedi in fallo, precipitando allinterno di una risorgiva sulfurea. Satana lo ha richiamato a s, ? precipitato dritto dritto allinferno!
Bene, anche se non auguro la morte mai a nessuno, neanche al mio pi? acerrimo avversario, questa notizia mi conforta. Ma veniamo ai motivi della mia visita.
Sicuro, ma non qui, mia Signora. Sta iniziando a fare freddo. Venite con me, raggiungiamo la biblioteca. Converseremo avanti a un bel camino acceso.
La biblioteca era di per s un ambiente caldo e confortevole. Le pareti erano quasi del tutto ricoperte di scaffalature ricolme di libri. Ogni sezione era contrassegnata da una lettera dellalfabeto, a indicare liniziale del titolo dei testi ivi conservati. Alcuni frati lavoravano in assoluto silenzio, seduti ad alcuni scrittoi, disposti al centro della stanza. Un grande camino spandeva luce e calore a tutto lampio salone. A un cenno del Priore, gli amanuensi riposero in buon ordine i loro strumenti e si congedarono, uno dopo laltro. In breve Lucia rimase da sola con Padre Gerolamo. Per prima cosa gli consegn? il prezioso tomo affidatole da Bernardino. Il Priore lo apprezz?, dapprima annusandolo, per sentire lodore della carta stampata, poi sfogliandone alcune pagine, infine soffermandosi su alcune delle illustrazioni.
Un ottimo lavoro!, si pronunci?, dirigendosi verso la sezione della biblioteca contrassegnata dalla lettera D. Ringraziate il vostro amico tipografo. Pochi al mondo sanno lavorare come lui.
? lui che ringrazia voi. Senza il vostro lavoro, la sua opera avrebbe avuto ben pi? scarso valore. Ed ? per questo che ci teneva a farvi avere la prima copia che ha stampato.
Ne sono lusingato, e anche i miei confratelli lo saranno. Ma veniamo a noi. Fra non molto caleranno le tenebre, e immagino che abbiate bisogno di ospitalit?. Non abbiamo suore qui a SantUrbano, quindi dovr? farvi preparare una stanza per la notte nella foresteria. Spero non abbiate timore di dover rimanere da sola.
Non preoccupatevi, sono molto stanca e dormir? come un ghiro. E poi si tratta solo di una notte. Domattina allalba ripartir?. Far? una visita di cortesia al Sindaco Germano degli Ottoni e rientrer? a Jesi prima di domani sera. Ma vorrei chiedervi ancora un paio di cosette. Innanzitutto vorrei pregare, e quindi vi chiederei di poter partecipare alla preghiera dei vespri insieme ai vostri confratelli.
E per questo non c? problema. Recitiamo la preghiera vespertina nella chiesa e c? sempre qualche fedele ad assistere. Prendete posto nella navata centrale e rivolgetevi al Signore come meglio ritenete. Ci sono anche dei Padri confessori, se volete approfittare. Avete qualche altra richiesta, mia Signora?
S?, se mi ? concesso. Lultimo favore che vorrei chiedervi ? quello di far essiccare per me gli stimmi dei Crocus che ho raccolto stamani. Sapete bene che vanno essiccati il prima possibile, per sfruttarne le loro propriet? medicinali.
Purtroppo, in questo non posso accontentarvi. Il fratello che curava la farmacia era molto anziano ed ? venuto a mancare giusto qualche mese fa. Non abbiamo ancora avuto modo di sostituirlo, e quindi non c? nessuno che sia in grado di usare lo strumentario che era di sua pertinenza.
Lucia stava per chiedere di poter fare lei il lavoro ma, conscia che la richiesta sarebbe stata motivo di serio imbarazzo per il Priore, si trattenne. Avrebbe dovuto trovare una valida alternativa per essiccare gli stimmi prima di tornare a Jesi. Non sapeva come, ma ci avrebbe pensato.
Bene, certo, capisco. Fornitemi almeno alcuni vasetti di vetro per conservarli in modo adeguato.
Va bene, mia Signora, per quelli non ci sono difficolt?. Dopo i vespri, potrete consumare la cena in refettorio con noi e, alla fine del pasto, il nostro fratello custode vi consegner? i vasetti di cui avete bisogno.
Vi ringrazio moltissimo, Padre, e prima di andarmene non mancher? di elargire una generosa offerta al vostro Convento.
Piuttosto che sulle preghiere e sui vasetti di vetro, i pensieri di Lucia erano concentrati su ben altri interessi, anche nel corso del colloquio con il priore. Era ben conscia che in quel giorno, 21 di Marzo, ricorreva lequinozio di primavera, ma la notte che stava per giungere sarebbe stata ancor pi? magica per la circostanza astrale che prevedeva sia il novilunio, sia lentrata del sole nella costellazione dellariete. Nella sua testa risuonava una frase che spesso la nonna le aveva ripetuto: La luna nuova in ariete porta il fuoco sacro dellamore, che ci render? tutte libere.
Cos?, una volta rimasta sola nella stanzetta della foresteria, pi? volte si era affacciata alla finestra ad ammirare la volta celeste, che si presentava ai suoi occhi come un tappeto di stelle luminose, in cui la luna non si vedeva, ma la sua presenza si intuiva come un disco scuro evidente in un preciso punto del cielo. Ricordava una per una le parole della preghiera che la nonna Elena le aveva insegnato, da rivolgere alla Terra, alla Buona Dea.
Rendimi libera.Accendi il Fuoco Sacro eRendimi libera di essere.Rendimi libera di Amare. Rendimi libera e mi insegnerai ad aver dentro di me tutti gli amori del Mondo.
Prov? un brivido lungo la schiena al pensiero che qualcuno dei frati avesse potuto intuire pocanzi i suoi pensieri. Linquisizione era unistituzione della Chiesa molto potente, anche in quei luoghi sperduti, e non era proprio il caso di doverci aver a che fare. Ma ora il desiderio di raggiungere il Colle dellAggiogo, il luogo magico in cui a suo tempo era stata iniziata allarte di guaritrice e le era stato consegnato il volume La chiave di Salomone perch ne fosse la custode, era troppo forte. In fin dei conti, che cera di male, una volta giunta lass?, nellaccendere un fal?, magari al fine di essiccare al calore dello stesso gli stimmi dei crocus, recitare la preghiera alla Buona Dea e celebrare cos? lequinozio di primavera in maniera degna, anche se in solitudine? Sarebbe potuta ritornare al monastero prima dellalba, prima della preghiera mattutina dei monaci, e nessuno si sarebbe accorto di nulla
Quando fu sicura che tutto fosse tranquillo, afferr? i vasetti con i crocus e usc? nel freddo pungente della notte, raggiunse il suo cavallo, lo sciolse, per non far rumore lo condusse a piedi per un bel tratto, poi salt? in sella e prese su per lerta che, superati i piccoli centri abitati di Poggio e di Frontale, conduceva al Colle dellAggiogo.
La radura antistante quelli che erano i ruderi della dimora di Alberto e Ornella era illuminata in maniera tenue dal chiarore bluastro emanato dalle stelle. La volta celeste era attraversata dalla via lattea ed erano ben riconoscibili da Lucia le principali costellazioni, il Piccolo e il Grande Carro, Orione, il Toro, lAuriga, il Cane Maggiore, e via dicendo. Il luogo ricordava troppo a Lucia i tragici eventi di cui era stato teatro neanche due anni addietro, e quindi decise di proseguire verso la sommit? del colle. Individu? uno spiazzo tranquillo, leg? Morocco a un albero, raccolse la legna e accese il fal?. In breve le fiamme salirono allegre, disperdendosi verso lalto in mille scintille. La giovane dispose i Crocus in prossimit? del fuoco, e si concentr? sulle fiamme, che in ogni istante assumevano forme e sfumature di colore diversi.
Le scintille rendono tutto ci? che ? invisibile e irreale, reale e visibile.
Ora il viso di Lucia era illuminato dalle fiamme e reso ancor pi? vivo dalla loro luce. La ragazza, immersa nei suoi pensieri e nelle sue meditazioni, non si era neanche accorta delle giovani donne che man mano si stavano avvicinando al fal? e che, tenendosi per mano, si erano unite alle sue meditazioni.
Tutto ? amore, e lamore libera tutto e tutti e ci rende liberi.
Lucia sent? giungere queste parole alle sue orecchie, in maniera ovattata, quasi fossero pronunciate sottovoce da lei stessa. Poi si guard? intorno e si vide circondata da almeno una decina di ragazze che, al calore del fal? si erano iniziate a spogliare fino a rimanere nude, formando un cerchio intorno al fuoco. Gett? altra legna a ravvivare le fiamme e aumentarne laltezza, e sent? listinto di liberarsi anche lei delle vesti.
LAriete ci avvolge nel suo abbraccio. Ci invita ad abbracciare, a sentire la stretta, a sentire il cuore che scoppia nel petto per la felicit?.
Declamando queste parole, prese per mano due delle giovani vicine a lei, invitando le altre a fare altrettanto per unirsi in un circolo attorno al fal?.
Noi meritiamo noi stesse.
Noi dobbiamo amare noi stesse.
Noi dobbiamo guarire dando amore e amore.
Guarire ? liberare lamore che abbiamo dentro,
e sprigionare la forza che sentiamo dentro.
? tempo di sbocciare e di assaporare laria frizzante
e piena damore.
Le ragazze ora, dodici in tutto, compresa Lucia, danzavano in cerchio tenendosi strette per mano, completamente nude, alla luce del fuoco e delle stelle.

In questa Luna Nuova, che porta cambiamento
e insegnamento, dobbiamo solo abbracciarci tra noi
ed essere capaci di amare fino in fondo.
Lariete porta in dono il fuoco dellamore
.
A quel punto, il cerchio si ruppe e, a due a due, le ragazze si lasciarono cadere a terra, iniziando a carezzarsi tra loro, i corpi madidi di sudore, che luccicavano alle fiamme. Mani accarezzavano fianchi, lingue cercavano turgidi capezzoli, labbra rosse come il fuoco baciavano roride vagine. La terra accoglieva mugolii e grida sommesse, via via che ognuna delle giovani raggiungeva il sommo piacere. Poi si cambiava compagna e si ricominciava il rito. Lucia aveva raggiunto lapice gi? tre volte, quando si accorse che il fuoco stava scemando, la luminosit? della volta celeste si stava attenuando e che, verso est, si iniziava a vedere il chiarore che preludeva al nuovo giorno. Si rese conto di essere rimasta sola, che accanto a lei non cera pi? nessuno. Che avesse immaginato tutto? Che, in preda a una trance incontrollabile, avesse solo praticato dellautoerotismo, stimolata dal calore del fuoco? Non importava! La notte era stata meravigliosa, il suo corpo aveva goduto, si era fuso con alcuni degli elementi della natura, con il fuoco, con la terra, con laria, con lacqua, che ora sentiva scorrere in un ruscello l? vicino. Insomma, era in pace con se stessa. Anche i Crocus si erano essiccati al punto giusto e potevano essere utilizzati per scopi curativi. Ma adesso doveva essere lesta a ritornare al convento. O a decidere di non ritornarci affatto, per evitare che ai frati, soprattutto al Priore, venisse qualche sospetto su di lei e sul suo comportamento. Non si addiceva certo a una donzella aggirarsi per i boschi in una notte di luna nuova, soprattutto se coincideva con lequinozio di primavera. Sarebbe stata subito tacciata di essere una strega!
Pertanto, raccolse le sue cose, recuper? il suo destriero e si diresse verso il centro abitato di Apiro. Meglio raccontare al Priore di essere partita di buon ora per non disturbare i frati. In fin dei conti, Germano degli Ottoni, alla cui dimora si stava recando, avrebbe confermato la versione dei fatti, qualora ci fosse stata ombra di dubbio da parte di qualcuno. Ma forse erano preoccupazioni del tutto inutili.


CAPITOLO 10
Con limpressione di essere spiati nel loro percorso attimo per attimo, Andrea, Fulvio e Geraldo raggiunsero Ferrara che era gi? buio da un bel pezzo. Avevano illuminato il cammino con le torce, sobbalzando a ogni minimo rumore. Solo la visione dellimponente sagoma del castello estense era riuscita ad acquietare i loro animi. In effetti, dal borgo di Pallantone a Ferrara non avevano pressoch incontrato anima viva, ma il timore di incocciare di nuovo in bande di Lanzichenecchi aveva pervaso i loro animi per tutto il tragitto. Il castello di San Michele era un enorme baluardo, circondato da un importante fossato, fatto erigere circa un secolo e mezzo prima per volere del Marchese Nicol? II. Andrea e i suoi compagni entrarono di gran carriera attraverso la porta principale, ritrovandosi nel piazzale interno della fortezza. Non furono intercettati dalle guardie solo perch queste ultime erano state avvisate del loro arrivo dal Duca Alfonso in persona. Altrimenti tre uomini armati, che attraversavano il ponte sul fossato per raggiungere linterno della fortezza, sarebbero stati facile bersaglio delle frecce delle guardie dagli spalti. Difatti, anche se la porta era aperta, tutta la fortezza era ben presidiata da sentinelle, presenti in gran numero sulle torri e sui camminamenti.
Alfonso I dEste aveva al tempo 47 anni, ma ne dimostrava molti di pi?, forse provato nella vita dal matrimonio con Lucrezia Borgia, da cui aveva avuto ben 7 figli, di cui 3 morti in et? neonatale o puerile, e da una grave ferita riportata nellanno del Signore 1512 nella battaglia a difesa di Cento. Ricevette Andrea nella sala delle udienze, vestito di tutto punto con una zimarra di velluto rosso, stretta in vita da unelegante cintura di seta e sovrastata da un mantello di ermellino. Al collo del Duca spiccava una grande collana metallica finemente lavorata, con un pendente dove era raffigurata leffige della sua defunta moglie, Lucrezia, morta di parto nel 1519. Anche Isabella Maria, la figlia nata in quella sfortunata occasione, era venuta a mancare a soli due anni di et?. Il Duca aveva fama di guerriero, tanto che anche durante le udienze, come in quel momento, portava la spada infoderata sul suo fianco sinistro, con lelsa che sporgeva dalla cintura in maniera evidente. Dallaltro lato, sulla destra, una scarsella doveva servirgli per conservare denaro contante da utilizzare a ogni occasione fosse stato necessario. Alfonso I dEste non solo era un grande esperto di tecnica balistica, ma era anche un maestro dartiglieria, un metallurgista e fonditore di cannoni, tanto da essere soprannominato il Duca Artigliere. Nel 1509, durante la battaglia di Polesella, i cannoni del Ducato di Ferrara, fusi sotto la sua supervisione, erano riusciti a sgominare una flotta veneziana che aveva risalito il Po per raggiungere la citt? estense. Il Duca e i suoi artiglieri avevano atteso che una provvidenziale piena del Po sollevasse le navi fino alla linea di tiro dei cannoni, poi avevano fatto fuoco, distruggendo gran parte della flotta. Al tempo, la sconfitta navale della Repubblica Veneta da parte di un esercito terrestre aveva destato grande impressione, e aveva favorito il riappacificarsi dei rapporti tra la Serenissima e la citt? di Ferrara. Di recente il Duca aveva messo a punto una nuova tecnica di fabbricazione della polvere da sparo, da lui usata per la realizzazione di una nuova arma micidiale, detta granata, che era andata a sostituire i proiettili esplosivi. La granata, lanciata con lutilizzo di armi da fuoco, cannoni o bombarde, si attivava al contatto col suolo. La polvere da sparo contenuta allinterno esplodeva e la deflagrazione spargeva tutto intorno materiali, quali schegge e frammenti metallici, atti a danneggiare il nemico.
Il Duca, gli occhi stanchi e arrossati, invit? Andrea ad avvicinarsi, e nel contempo chiam? accanto a s un altro uomo, che apparve baldanzoso da una porta secondaria. Con non poca sorpresa, Andrea riconobbe Franz, il Lanzichenecco con cui aveva avuto a che fare non pi? di qualche ora prima. Luomo si accost? al Duca con un ghigno stampato in volto. Andrea, di rimando, lo guard? in cagnesco. Ma doveva fare buon viso a cattivo gioco e attendere che fosse il Duca Alfonso a prendere la parola.
Con un cenno della mano, questultimo fece accomodare i suoi ospiti alla tavola imbandita. I servi versarono il vino nelle coppe e poi si congedarono, lasciando il terzetto alla totale riservatezza.
Oggi ? un giorno fortunato per me, attacc? il Duca sollevando la coppa e assaporando il vino. Quasi in contemporanea, uno dal nord, laltro dal sud, sono giunti qui a Ferrara, al mio cospetto, due valorosi guerrieri, anzi, oserei dire, due valorosi condottieri. Ors?, stringetevi la mano e fate amicizia tra voi, perch ? mia intenzione affidarvi unimportante missione, che porterete a termine insieme. Franz di Vollenweider, Signore del sud Tirolo, vi presento il Marchese Franciolini, Signore delle terre dellAlto Montefeltro!
Andrea, pensieroso, sorseggi? il vino, addentando un pezzetto di focaccia intinto nel sugo del pasticcio di faraona.
Signore del Sud Tirolo?, fece Andrea rivolto al Duca. Al borgo di Pallantone, oggi allora di pranzo, questo Signore rendeva pi? lidea di essere uno scellerato Lanzichenecco che altro. Abbiamo gi? avuto modo di conoscerci!
Gi?, replic? laltro. Se non erro siete in debito con me di un uomo e di una spada!
Suvvia, bando ai rancori!, riprese Alfonso, scolando la coppa di vino ed emettendo un sonoro rutto. Ora ho bisogno che siate in accordo tra voi. Dovete raggiungere per me Giovanni dalle Bande Nere, su nel bergamasco, riferendogli importanti notizie da parte mia e da parte del Santo Padre.
Se dovete riferirgli notizie, perch non inviare un messaggero, anzich due valorosi condottieri, come ci avete definito poco fa?, intervenne Andrea, portando alla bocca un succoso boccone di petto di faraona e parlando a bocca piena.
Lasciatemi spiegare, Marchese Franciolini. La questione ? delicata e raggiungere Bergamo, anzi il paese di Caprino Bergamasco, dove ? accampato Ludovico di Giovanni de Medici con i suoi soldati di ventura, non ? facile, ? molto rischioso. ? per questo che solo voi due, insieme, potete portare a termine la missione con successo. Voi, Andrea Franciolini, siete persona dalla spiccata intelligenza e dalle note doti diplomatiche. Oltre un condottiero, avete fama di essere un saggio amministratore. Inoltre conoscete gi? Giovanni, che si fider? di certo di voi. Dal canto suo, Franz ? in grado di tenere testa alle bande di Lanzichenecchi che infestano la zona, in quanto conosce molto bene le loro abitudini e si esprime nella loro lingua. Credo che possiate riuscire a raggiungere il bergamasco senza colpo ferire, cosa in pratica impossibile per un messaggero che, anche se scortato, potrebbe ritrovarsi sgozzato come niente fosse.
Da quello che so, Giovanni dalle Bande Nere ? impegnato su due fronti, ossia sta tenendo testa a due nemici diversi, riprese Andrea, interrompendo di nuovo il Duca Alfonso. Nello scorso Agosto, ? stato ingaggiato dagli Imperiali e sta combattendo i Francesi e le loro mire espansionistiche in Italia. Soprattutto sta proteggendo Milano, per cercare di mantenerla in mano agli Sforza, che sono suoi familiari per parte di madre. Ma combatte anche contro i Lanzichenecchi, che mirano alla stessa citt? per conto dellImperatore Carlo V, perch da qui sarebbe facile dilagare verso il sud, verso Firenze, e quindi verso Roma. LAsburgo vuol riunirsi ai suoi cugini napoletani, agli Aragona, per riportare tutta lItalia sotto la sua corona! Ma non pu? esporsi pi? di tanto e quindi manda avanti unarmata irregolare, che al bisogno pu? rinnegare in qualsiasi momento.
Bene, vedo che siete ben informato, ma quello che non sapete, per aver viaggiato in mare alcuni giorni, e che rappresenta il fatto pi? importante, ? che circa una decina di giorni fa, e precisamente il 23 settembre, Papa Adriano VI ? venuto a mancare allimprovviso. E noi sappiamo tutti da chi sar? rimpiazzato, da un Medici, dallarcivescovo di Firenze. Giulio de Medici cercher? una possibile alleanza con i francesi, proprio per evitare che limperatore, Carlo V, giunga a Firenze e poi a Roma. Quindi quello che dovrete riferire a Giovanni ? che il suo zietto ? disposto a pagare tutti i suoi debiti, purch lui inizi a pensare di smettere di combattere i francesi. Ha ottenuto delle belle vittorie su di essi, respingendo in questi giorni anche larmata Svizzera, che stava scendendo dalla Valtellina per dar loro manforte. Ma da ora in poi non sar? pi? necessario. Deve concentrare i suoi sforzi solo nel combattere i Lanzichenecchi. Detto questo, detto tutto. Facciamo ora onore alla tavola!
Al battito delle mani del Duca Alfonso, le porte del salone si spalancarono e i servi rientrarono con un enorme vassoio, dove faceva bella mostra di s un intero cinghiale arrosto, che venne deposto al centro della tavola. Altri vassoi pi? piccoli, contenenti verdure e intingoli vari, andarono in breve a circondare il primo. Oltre il vino, in onore di Franz fu portata in tavola anche una brocca di liquido ambrato spumoso e fresco.
Endlich Bier!, esclam? il Lanzichenecco. Birra, finalmente, e di quella buona!
Bevete e mangiate a volont?, amici miei, raccomand? il Duca ai suoi ospiti. Domani prima dellalba avrete delle cavalcature fresche e partirete alla volta di Bergamo.
E la mia scorta?, chiese Andrea. Fulvio e Gerardo mi seguiranno in questa avventura?
No, dovrete andare voi due da soli. Provveder? io stesso a far s? che i due uomini possano trasferirsi a Mantova per riunirsi alla vostra compagnia e al Capitano da Mar Tommaso de Foscari. Voi stesso, Marchese, portata a termine la missione, potrete raggiungere con facilit? la citt? dei Gonzaga o, se pi? vi aggrada, raggiungere il vostro amato Duca Della Rovere al castello di Sirmione. Questultima soluzione vi eviter? una scomoda quanto lunga navigazione, dalla darsena di Mantova al Lago di Ben?co, attraverso fiumi, canali e campi allagati, per di pi? a bordo di una nave troppo grande da manovrare con agilit? in tali acque.
Bene, questo lo potr? valutare al momento opportuno, replic? Andrea. Accetto di buon grado una missione richiestami da un Signore noto amico e alleato del Duca Francesco Maria Della Rovere. Ma quali garanzie mi date che il qui presente Franz, una volta portata a termine la missione, non si rivolti contro di noi? Come ci fa credere ora che sta dalla nostra parte, potrebbe sempre fare il doppio gioco e passare di nuovo dalla parte dei suoi amici Lanzichenecchi e del suo caro imperatore Carlo V!
A queste parole, un sorriso sardonico si stamp? sulla bocca di Franz, che replic? ad Andrea anticipando il Duca Alfonso.
Suvvia, Marchese! Consideriamo la scaramuccia di oggi acqua passata. Voglio abbuonarvi i debiti che avete con me. In fin dei conti, il mio amico sar? egregiamente sostituito da voi, che siete molto pi? valido come compagno davventura rispetto a quella mezza calzetta che avete ucciso. Per quanto riguarda poi la mia spada, la mia Katzbalger, ve ne voglio fare dono. Io ne ho altre e sono sicuro che voi ne farete buon uso!
Una spada poco maneggevole, direi! Comunque vi ringrazio e accetto il dono, ma queste non mi sembrano ancora garanzie sufficienti.
Ma sar? sufficiente, a garanzia della mia buona fede, ci? che il Duca Alfonso mi ha promesso in dono, aggiunse Franz, abbassando la testa in segno di rispetto al Duca e aspettando che fosse questultimo a riprendere la parola.
Certo! Ho promesso a Franz che, in caso di esito positivo della missione, potr? ritornare a pieno titolo nelle sue terre del Sud Tirolo. Sar? nominato Arciduca di Bolzano e avr? giurisdizione sulla citt? e su tutta lalta vallata dellAdige. Lalto Adige diverr? territorio indipendente e garantir? io stesso la protezione dei suoi confini nei confronti degli eserciti imperiali. E sar? uno stato che far? da cuscinetto fra lImpero e la nostra Italia, ora che la maggior parte dei governi italiani si sta alleando con il Re di Francia.

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Nel Segno Del Leone Stefano Vignaroli
Nel Segno Del Leone

Stefano Vignaroli

Тип: электронная книга

Жанр: Современная зарубежная литература

Язык: на итальянском языке

Издательство: TEKTIME S.R.L.S. UNIPERSONALE

Дата публикации: 16.04.2024

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О книге: Anno 2019: ancora una volta, la studiosa Lucia Balleani e l’archeologo Andrea Franciolini ci prenderanno per mano e ci guideranno attraverso gli arcani misteri della Jesi rinascimentale, tra vie, vicoli e Palazzi di un centro storico che, alle porte degli anni ’20 del XXI secolo, inizia a rigurgitare dal sottosuolo antichi e importanti oggetti riferibili a epoche passate. Gli scavi archeologici di Piazza Colocci riserveranno infatti sorprese inaspettate agli occhi di tutta la popolazione jesina.Ricominciamo a seguire le vicende dei personaggi del XVI secolo attraverso le scoperte di antichi documenti e reperti archeologici da parte della giovane coppia di ricercatori dei nostri tempi. Nuovi venti di guerra ricondurranno infatti il Capitano d’armi della Regia Città di Jesi ai campi di battaglia. Dopo i primi due episodi della serie “Lo stampatore”, eccoci giunti al finale, all’ultimo episodio della saga dedicata alla Jesi rinascimentale. Abbiamo lasciato Andrea quasi in punto di morte, soccorso dalla sua amata, celata sotto mentite spoglie. La trama si è trasferita a Urbino, ma di certo i nostri due eroi, Andrea Franciolini e Lucia Baldeschi, dovranno ritornare a Jesi per coronare il loro sogno d’amore. Il matrimonio dovrà essere un evento festoso e sfarzoso, e dovrà essere celebrato dal Vescovo della Città di Jesi, Monsignor Piersimone Ghislieri. Ma siamo sicuri che oscure trame, del destino e degli uomini, non riusciranno a ostacolare per l’ennesima volta l’unione tra Andrea e Lucia? I due amanti si sono ritrovati, e per nulla al mondo vorrebbero lasciarsi di nuovo. Andrea vuol finalmente far da padre alla sua bambina, Laura e, perché no, anche alla figlia adottiva di Lucia, Anna. Le bambine sono fantastiche, stanno crescendo sane e vispe nella residenza di campagna dei Conti Baldeschi, e Andrea si trova a godere della loro vicinanza. Ma venti di guerra condurranno di nuovo il Capitano d’armi della Regia Città di Jesi ai campi di battaglia. E a lasciare ben presto la tranquillità e la pace riconquistata. I Lanzichenecchi premono alle porte dell’Italia settentrionale e il Duca della Rovere, in una strana alleanza con Giovanni De’ Medici, più noto come Giovanni Dalle Bande Nere, si prodigherà a evitare che le soldataglie tedesche raggiungano Firenze e persino Roma. Evitare il saccheggio della città eterna nel 1527 non sarà compito facile, né per il Duca Della Rovere, né per Giovanni dalle Bande Nere, né tantomeno per il Capitano Franciolino de’ Franciolini. Seguiamo ancora una volta le vicende dei personaggi del XVI secolo attraverso le scoperte di antichi documenti e reperti archeologici della giovane coppia di ricercatori dei nostri tempi. Di nuovo, la studiosa Lucia Balleani e l’archeologo Andrea Franciolini ci prenderanno per mano e ci guideranno attraverso gli arcani misteri della Jesi rinascimentale, tra vie, vicoli e Palazzi di un centro storico che, alle porte degli anni ’20 del XXI secolo, inizia a rigurgitare dal sottosuolo antichi e importanti oggetti riferibili a epoche passate.

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