La Corona Bronzea
Vignaroli Stefano
Anno 2018: dall'icona del Palazzo della Signoria di Jesi scompare la corona di bronzo, da sempre al di sopra del leone rampante, a simboleggiare la regalit? della citt?. Un nuovo enigma da risolvere per la studiosa Lucia Balleani che, finalmente incontrato l'amore nel giovane archeologo Andrea Franciolini, dovr? riscoprire assieme a lui alcuni lati sconosciuti legati alla vita della sua antenata Lucia Baldeschi. Ritorniamo dunque, insieme ai nostri due eroi, indietro nel tempo di mezzo millennio, per scoprire come si viveva tra vicoli, piazze e palazzi di una splendida citt? marchigiana, famosa nel mondo, allora come ora, per aver dato i natali all'imperatore Federico II. Ma a nessuno dei due, risalendo con lo sguardo al di sopra del portale e soffermandosi sull'edicola del leone rampante, pot sfuggire un particolare, che port? un'esclamazione alle loro bocche, quasi all'unisono, quasi fossero una persona sola.: La corona! Bernardino, lo stampatore, giace in condizioni disperate in una stanza dellospedale Santa Lucia. Il Cardinal Baldeschi ? morto improvvisamente e ha lasciato vacante il governo della citt?. Sar? finalmente la giovane Lucia Baldeschi a prendere le redini del governo ed evitare che Jesi cada nelle mani di nemici che da sempre incalzano alle sue porte? Certo, non si pu? lasciare il governo in mano a quattro nobili corrotti o, peggio, affidarlo al legato pontificio inviato dal Papa. Ma Lucia ? una donna, e non ? facile assumere ruoli di potere, tradizionalmente demandati agli uomini. E Andrea, il suo amore, che fine avr? fatto, dopo essere scampato al patibolo ed essersi dileguato al seguito del Mancino? Ritorner? in scena per aiutare la sua amata? O controverse vicende lo condurranno verso tuttaltri lidi? E ricordiamo anche la storia parallela, quella della studiosa Lucia Balleani, nostra contemporanea, che forse ha incontrato finalmente lamore della sua vita, che la condurr? per mano a scoprire insieme al lettore nuovi arcani segreti. Amore e morte, esoterismo e ragione, bene e male. Sono solo alcuni degli ingredienti che danno ritmo a questa nuova indagine, incentrata sulla misteriosa scomparsa della corona bronzea, un tempo posta sopra il leone rampante del principale palazzo jesino, quello della Signoria. Ancora una volta, il passato si intreccia al presente, attraverso le parallele vicende dei protagonisti dei giorni nostri e degli omonimi antenati. Avvenente dama e altera reggente della repubblica Aesina, Lucia Baldeschi ? divisa tra gli obblighi della ragion di stato e l'amore per il fuggiasco cavaliere, il prode condottiero Andrea Franciolini. Tra storia e leggenda, l'azione spazia dai severi edifici e gli oscuri passaggi segreti di una Jesi sotterranea, alle aperte campagne del suo Contado, popolate da pastori e monaci di giorno e animate da riti magici durante i chiari di luna. Poi ci sono gli intrighi di palazzo, le faide tra i signori e le battaglie; quelle tra gli eserciti e contro i pirati, da Urbino a Senigallia, fino ad alcune tra le pi? suggestive gole dell'Appennino. Ambienti e tratti distintivi di un'epoca, il Cinquecento, caratterizzato da luci e ombre, diviso tra culto della ragione e pratica dell'esoterismo e di cui i personaggi del romanzo sono lo specchio fedele. Nel contegno, cos? come nei pregi e nei difetti. Sui loro passi, tra sensazionali scoperte e brillanti intuizioni, i litigiosi amanti, Lucia e Andrea, della Jesi del Ventunesimo secolo giungeranno alla verit? nel segno di un amore senza tempo.
Stefano Vignaroli
Stefano Vignaroli
LO STAMPATORE
La corona bronzea
2017 Amici di Jesi
Tutti i diritti di riproduzione, distribuzione e traduzione sono riservati
I brani sulla storia di Jesi sono stati tratti e liberamente adattati dai testi di Giuseppe Luconi
Illustrazioni del Prof. Mario Pasquinelli, gentilmente concesse dai legittimi eredi
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Indice dei contenuti
LA CORONA BRONZEA (#u691a31a6-dd26-5541-81e6-b09bdebfdfeb)
PREFAZIONE (#u4caa131e-9dd2-5262-ba8a-4748f2a2f886)
PREMESSA (#u4beb54f3-ea02-5f6d-84f6-d08c7019e1a1)
CAPITOLO 1 (#u3ac9dc66-d654-5c68-94af-fdde2e34f757)
CAPITOLO 2 (#u506b1303-3057-558c-b254-ad862126e229)
CAPITOLO 3 (#u698f8061-85c6-5734-bd6e-d2f2ab061975)
CAPITOLO 4 (#u92ecc1d9-24fa-5b3c-9510-e8cb4df2473e)
CAPITOLO 5 (#u002e6887-9ac9-51d5-a8e1-4b37f188425c)
CAPITOLO 6 (#u300eaec5-19f2-598d-bfb4-d97f085fc953)
CAPITOLO 7 (#u4e153ec3-ad15-57b3-bf77-bb6b3a65958a)
CAPITOLO 8 (#u065e5770-97c8-5266-91f1-e2b1d718b04c)
CAPITOLO 9 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 10 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 11 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 12 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 13 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 14 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 15 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 16 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 17 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 18 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 19 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 20 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 21 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 22 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 23 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 24 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 25 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 26 (#litres_trial_promo)
CAPITOLO 27 (#litres_trial_promo)
EPILOGO (#litres_trial_promo)
APPENDICE (#litres_trial_promo)
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI (#litres_trial_promo)
Ringraziamenti (#litres_trial_promo)
A Giuseppe Luconi e Mario Pasquinelli,
illustri concittadini che fanno
parte della Storia di Jesi
LA CORONA BRONZEA
LO STAMPATORE - SECONDO EPISODIO
PREFAZIONE
Jesi, citt? natale dell'imperatore Federico II di Svevia, torna ad essere il palcoscenico delle avventure della giovane studiosa Lucia Balleani, nel secondo episodio della trilogia Lo Stampatore. Amore e morte, esoterismo e ragione, bene e male. Sono solo alcuni degli ingredienti che danno ritmo a questa nuova indagine, incentrata sulla misteriosa scomparsa della corona bronzea, un tempo posta sopra il leone rampante del principale palazzo jesino, quello della Signoria. Con sapiente alchimia, Vignaroli intreccia passato e presente, attraverso le parallele vicende dei protagonisti dei giorni nostri e degli omonimi antenati. Avvenente dama e altera reggente della repubblica Aesina, Lucia Baldeschi ? divisa tra gli obblighi della ragion di stato e l'amore per il fuggiasco cavaliere, il prode condottiero Andrea Franciolini. Tra storia e leggenda, l'azione spazia dai severi edifici e gli oscuri passaggi segreti di una Jesi sotterranea, alle aperte campagne del suo Contado, popolate da pastori e monaci di giorno e animate da riti magici durante i chiari di luna. Poi ci sono gli intrighi di palazzo, le faide tra i signori e le battaglie; quelle tra gli eserciti e contro i pirati, da Urbino a Senigallia, fino ad alcune tra le pi? suggestive gole dell'Appennino. Ambienti e tratti distintivi di un'epoca, il Cinquecento, caratterizzato da luci e ombre, diviso tra culto della ragione e pratica dell'esoterismo e di cui i personaggi del romanzo sono lo specchio fedele. Nel contegno, cos? come nei pregi e nei difetti. Sui loro passi, tra sensazionali scoperte e brillanti intuizioni, i litigiosi amanti, Lucia e Andrea, della Jesi del Ventunesimo secolo giungeranno alla verit? nel segno di un amore senza tempo.
Marco Torcoletti
PREMESSA
Dopo il primo episodio della serie Lo stampatore, eccomi a presentarvi il sequel, il secondo racconto. Al termine de Lombra del campanile avevo volutamente lasciato aperte diverse finestre a possibili sviluppi della trama successiva. Bernardino, lo stampatore, giace in condizioni disperate in una stanza dellospedale Santa Lucia. Il Cardinal Baldeschi ? morto improvvisamente e ha lasciato vacante il governo della citt?. Sar? finalmente la giovane Lucia Baldeschi a prendere le redini del governo ed evitare che Jesi cada nelle mani di nemici che da sempre incalzano alle sue porte? Certo, non si pu? lasciare il governo in mano a quattro nobili corrotti o, peggio, affidarlo al legato pontificio inviato dal Papa. Ma Lucia ? una donna, e non ? facile assumere ruoli di potere, tradizionalmente demandati agli uomini. E Andrea, il suo amore, che fine avr? fatto, dopo essere scampato al patibolo ed essersi dileguato al seguito del Mancino? Ritorner? in scena per aiutare la sua amata? O controverse vicende lo condurranno verso tuttaltri lidi?
E ricordiamo anche la storia parallela, quella della studiosa Lucia Balleani, nostra contemporanea, che forse ha incontrato finalmente lamore della sua vita, che la condurr? per mano a scoprire insieme al lettore nuovi arcani segreti.
Insomma, gli elementi ci sono tutti per affrontare una lettura che di nuovo ci condurr? tra vicoli, piazze e palazzi di una splendida citt? marchigiana, famosa nel mondo per aver dato i natali allImperatore Federico II: Jesi. Buona lettura!
Stefano Vignaroli
CAPITOLO 1
Bernardino aveva riaperto gli occhi dopo giorni e giorni di incoscienza. Nonostante la sua stanza fosse nella penombra, i suoi occhi furono abbagliati dalla luce e dal bianco candido dellambiente in cui si trovava. Una piccola stanza, spoglia, dalle pareti bianche, senza quadri, senza affreschi al soffitto, senza neanche la compagnia di uno scaffale con dei libri. Pens? di essere gi? giunto in Paradiso, ma i dolori lancinanti che avvertiva su tutto il corpo gli facevano capire di essere ancora in vita. Sentendolo lamentarsi, una suora gli si avvicin? e gli port? alle labbra la tazza di brodo di pollo, che fino allora gli aveva costretto a ingurgitare nonostante lo stato di incoscienza. Anche se freddo, Bernardino lo trangugi? con avidit?, fino a che non gli and? attraverso e inizi? a tossire. Ma riafferr? il braccio della suora, che stava allontanando da lui il prezioso liquido, in quanto sentiva la gola talmente arsa, che pensava di essere uscito da quellinferno di fiamme solo pochi minuti prima. E invece era passato quasi un mese, dal giorno dellincendio della sua bottega.
Siete ancora molto debole, amico mio. Poco alla volta, o saranno guai. Il Dottore mi ha raccomandato: pochi sorsi e spesso. E il Dottor Serafino ? uno che ci sa fare, altrimenti a questora non sareste pi? tra noi!, gli disse la suora gentilmente, ma con voce ferma.
Il Cardinale, ? stato il Cardinale, prov? a dire Bernardino, con la voce che si strozzava tra nuovi colpi di tosse.
S?, s?, ? stato il Cardinale Baldeschi a volervi far curare proprio in questo luogo, grazie allintercessione della sua cara nipote. Purtroppo il Cardinale non c? pi?. Una disgrazia, unorribile disgrazia. Il Cardinale ? stato ucciso, da una delle sue serve da quello che so, una certa Mira. Lo ha fatto precipitare dal balcone del suo studio, dopo averlo trafitto con un affilatissimo coltello. Si dice che il Cardinale abbia sorpreso la ragazza mentre stava rubando nel suo studio. ? nata una lite tra i due e lanziano ha avuto la peggio. Ma la serva ? stata arrestata, e pagher? per le sue colpe. Ah, se pagher?!
Nonostante i dolori, Bernardino afferr? la mano della suora e fece uno sforzo sovrumano per parlarle.
Mi state dicendo che il Cardinale Artemio Baldeschi ? morto? ? la verit?? Ma quanto tempo ? passato da quando ho perso conoscenza? Da come parlate, non sembrano fatti riferibili a ieri o allaltro ieri. E che ne ? stato di Lucia Baldeschi? Da quello che mi dite deve essere rimasta sola!
State calmo. Ve lo ho detto, non dovete fare sforzi! Avete passato un mese su questo letto, in preda alla febbre, al delirio, ai sogni che attanagliavano la vostra anima e il vostro cuore. Io e le mie consorelle disperavamo che ce la poteste fare. E invece, il buon Dio ancora non vi ha voluto accogliere nella sua casa, e siete ancora tra noi. Far? avere un messaggio a Lucia Baldeschi, avvertendola che avete ripreso conoscenza. Ne sar? ben felice e verr? di certo a farvi visita i giorni prossimi.
Sorella, mandatela a chiamare subito. Palazzo Baldeschi ? proprio qui di fronte, in questa stessa Piazza, lo posso addirittura intravedere dalla finestra!
La suora sorrise e ritir? la mano, ancora trattenuta da quella di Bernardino.
Per la sua sicurezza, la Signora si ? ritirata nella residenza di campagna della famiglia, vicino Monsano, insieme alle sue figlie e ai loro precettori. Il Papa ha gi? provveduto a nominare un nuovo Cardinale, che ? in arrivo da Roma. Siccome non si sa che idee abbia, la Contessina Lucia preferisce starsene lontana dalla citt? per il momento. Considerate che Jesi ? allo sbando completo! Non abbiamo pi? n unautorit? civile, n religiosa, e potremmo essere facile preda di nemici, sia interni, che esterni. Quindi ritengo saggia la decisione della nobile donna, al fine di proteggere se stessa e le sue figlie. Non dobbiamo dimenticare che il suo promesso sposo, Andrea, ? ancora in circolazione e potrebbe giungere da un momento allaltro, a reclamare il suo seggio di Capitano del Popolo, nonch la mano della nobile Baldeschi.
Dopo tutto ne avrebbe il pieno diritto. Il titolo di Capitano del Popolo gli spetta e nelle vene della piccola Laura scorre il suo sangue, disse Bernardino, con la voce che cominciava quasi a schiarirsi.
Vi siete ripreso da poco e gi? non riuscite a tenere a freno quella maledetta bocca? Non dite eresie! Non vi ? bastato scampare dalle fiamme una volta? Volete finirci di nuovo?, replic? la suora con ironia, andando a chiudere gli scuri della finestra per far piombare la stanza nel buio. Riposate, ora, che ne avete bisogno!
Una cosa sola, sorella. Ho lo stimolo di dover orinare. Come posso fare? Non riuscir? mai ad alzarmi da qui!
Come pensate di aver fatto in tutti questi giorni? Rilassatevi pure tranquillamente. Vi abbiamo applicato un tubo flessibile, che convoglia direttamente i vostri umori in un vaso che ? sotto il letto.
Bernardino lasci? andare lurina, meravigliandosi di come in effetti nella stanza aleggiava un odore strano, dovuto ai medicinali e agli impiastri che gli avevano applicato sulle ustioni, ma non si avvertiva affatto odore di escrementi. E ne doveva aver fatti in un mese che era rimasto corico a letto!
Mentre non ricordava nulla dei deliri e dei sogni dei giorni precedenti, da quel momento in poi il riposo di Bernardino fu costantemente agitato da incubi, da sogni e da visioni, che egli stesso, nel dormiveglia, quasi stentava a distinguere dalla realt?. Ora si rivedeva circondato dalle fiamme, ora si sentiva protetto tra le braccia dolci di Lucia. E gi?, solo ora capiva che era lei che laveva soccorso, che gli aveva salvato la vita. Laveva vista distintamente sopra di lui, prima di perdere conoscenza. E si sarebbe aspettato di rivederla accanto a lui appena avesse riaperto gli occhi. Ma ogni volta che li riapriva, si ritrovava nella stessa stanza semibuia, inerme, incapace anche di sollevarsi appena. Le sole presenze umane erano le suore, ora una, ora unaltra, che si alternavano al suo capezzale, dandosi da fare a cospargerlo di unguenti e impiastri e a cercare di fargli inghiottire il solito brodo. Sembrava che in quellospedale non ci fosse altro alimento che quello. Solo una volta aveva percepito la presenza del medico accanto a lui, un uomo burbero, dai folti capelli bianchi e dal pizzo dello stesso colore. Aveva accostato lorecchio al suo petto e aveva sentenziato: Fra tre giorni proveremo a farlo alzare. Nonostante let?, questuomo ? una roccia. Ha un cuore pi? tenace del mio. Domani potremo concedergli la visita della nobile Baldeschi. Solo pochi minuti, sorella! Non dobbiamo farlo affaticare. Unemozione troppo forte potrebbe essere ancora fatale per lui.
Lo stampatore ripiomb? nel sonno, dovuto anche ai medicinali che gli venivano somministrati per alleviare il dolore. E sogn? questa volta di essere di nuovo al lavoro nella sua tipografia, completamente ricostruita e rinnovata, pi? bella di prima. E sogn? di dare dei buoni consigli alla nobile Signora sua amica. E sogn? di vederla sullo scranno di Capitano del Popolo, nella sala dei Migliori allinterno del Palazzo del Governo. E sogn? le bimbe, Anna e Laura, che giocavano e si rincorrevano nel parco di una sontuosa residenza di campagna, mentre lui le osservava come un nonno premuroso.
Quando, riemergendo alla realt? da uno dei suoi innumerevoli travagliati sogni, si accorse che a fianco al suo letto cera la nobile Lucia, ebbe limpressione che tutti i dolori fossero allimprovviso scomparsi e che si stesse riappropriando delle sue forze. Tanto che riusc? a sollevarsi un po, mentre Lucia, con un gesto amorevole pi? che caritatevole, gli sistem? un cuscino dietro la schiena in modo che fosse pi? a suo agio, permettendogli al contempo di mantenere quella posizione.
Ditemi che non siete un sogno, mia Signora!, disse Bernardino, con la voce interrotta da colpi di tosse.
Lucia gli cerc? la mano e la strinse tra le sue, facendo provare alluomo una sensazione di calore inaspettata, che infuse in lui una nuova forza. Si sollev? ancor di pi? con la schiena, tra le proteste della suora che minacciava di interrompere subito la visita. Il cenno che indirizz? Lucia alla volta della suora non fu percepito da Bernardino, ma il risultato fu evidente, perch questa si azzitt?, anzi si ritir? dalla stanza lasciando i due amici liberi di parlare tra loro.
Sono contenta che vi stiate riprendendo, Bernardino. Non sapete quanto, in questo momento abbia bisogno di voi e dei vostri consigli. Il Cardinale ? morto e in citt? la situazione ? davvero difficile. Sembra che il Papa stesse inviando un nuovo Cadinale e la scelta era caduta sullanziano Angelo Ghislieri, di origine Jesina. Avrebbe dovuto prendere le redini sia della Chiesa che del Governo della citt?, ma Ma non ? mai giunto a Jesi.
Come mai, di grazia?, chiese Bernardino incuriosito.
Purtroppo Leone X ? venuto improvvisamente a morte nei giorni scorsi.
Ma, aveva solo quarantasei anni!
Appunto, molti credono che sia stato avvelenato. Giovanni De Medici era troppo vicino alla sua famiglia, ai Signori di Firenze, perch loligarchia ecclesiastica lo continuasse ad accettare. E ora, in attesa dellelezione del nuovo Papa, i Cardinali riuniti in conclave a Roma si stanno spartendo i territori tra loro. Sembra che quale legato della Santa Sede per la nostra citt?, fatti salvi i diritti e i privilegi del Comune, sia stato nominato il Cardinale Jacobacci.
Ma, Jacobacci ? legato alla peggiore fazione integralista dei Guelfi.
Infatti, ma anche di questo Jacobacci non abbiamo visto lombra qui a Jesi. E intanto la miseria, dopo il sacco del 1517, imperversa nelle campagne e in citt?. E sembra che la peste sia giunta ad Ancona, e non credo che tarder? ad arrivare anche da noi.
Datemi ascolto, Lucia! Prendete le redini del governo della citt?. Ne avete il pieno diritto. Non temete per il fatto di essere una donna. Chiamate a raccolta i nobili Jesini, saranno ben lieti di aiutarvi. E fate apporre una corona sopra il leone rampante raffigurato nella facciata del Palazzo del Governo. Ricorder? a tutti che Jesi ? una citt? Regia e che si governer? in maniera indipendente dalla Chiesa. Se il Cardinale tarda ad arrivare, peggio per lui. Quando arriver? penser? alle faccende religiose, mentre il Governo Civile sar? del popolo, cos? come deve essere.
Mi state istigando a fomentare una ribellione?
No, sto solo dicendo che dovete assumervi le vostre responsabilit?. E prendere il posto che vi spetta. Non c? altra soluzione!
CAPITOLO 2
Ero malato, e non siete venuti a visitarmi
(Vangelo secondo Marco 6, 56)
Alla vista dellennesima fumata nera, il Camerlengo non pot trattenersi dallo sbuffare. Dopo la morte di Leone X, al secolo Giovanni De Medici, era ormai oltre un mese che i Cardinali erano riuniti in conclave, rinchiusi nelle stanze in cui solo lui poteva avere libert? di entrare e uscire come voleva. Fatto sta che, proprio in virt? di questo suo privilegio, aveva ben capito che gli alti prelati non avevano alcuna intenzione di eleggere il nuovo Papa, se prima non avessero risolto tra loro le questioni riguardanti la spartizione di terre e feudi. Il Vescovo di Firenze poi, il Cardinale Giulio De Medici, non era affatto convinto che la morte del suo congiunto fosse avvenuta per cause naturali, e si lanciava in lunghe e prolisse discussioni sui suoi sospetti nei confronti di un ipotetico avvelenamento del defunto Papa e sui probabili responsabili del complotto. Il tutto per cercare di convincere la maggioranza dei colleghi a votare per lui come nuovo pontefice. E cos?, tra una votazione e laltra, tra una fumata nera e laltra, trascorrevano non alcune ore, ma a volte anche pi? di unintera giornata.
Quando vedeva la fumata, il Camerlengo disponeva il tutto perch i Cardinali venissero adeguatamente rifocillati. Inviava i servi a imbandire riccamente una tavola in un ampio salone vuoto e, quando tutto era pronto, cacciava via i servi e apriva la porta che dava nelle stanze dove aveva luogo il Conclave. Nessuno infatti, se non lui, poteva interloquire con i Cardinali, onde essi non fossero in nessun modo influenzati riguardo le loro scelte.
Innocenzo Cybo era stato subito nominato camerlengo alla morte di Leone X, in quanto era il suo braccio destro, colui che gli era stato pi? vicino e che sapeva bene come amministrare lo Stato della Chiesa in quel periodo di vacanza della massima autorit?. Aveva visto giungere le solite facce note, Cardinali di cui conosceva vita, morte e miracoli, vizi, virt? e ambizioni. Si era reso subito conto dellassenza di unimportante figura, il Cardinale Artemio Baldeschi di Jesi. Qualcuno gli aveva poi riferito che il Cardinal Baldeschi era morto in circostanze tragiche, forse in seguito alla colluttazione con una servetta del suo palazzo.
Una cosa inaudita, tocca sentirne di tutti i colori al giorno doggi , aveva pensato tra s e s Innocenzo. Una volta le servette offrivano i loro giovani corpi al proprio Signore e zitte. Oggi hanno persino la sfrontatezza di ribellarsi! Certo, se il Baldeschi non c? pi?, Jesi e il suo contado sono unappetibile terra di conquista per molti dei qui presenti.
E in effetti, la questione dellassegnazione della Curia vescovile di Jesi fu una delle prime che dovette affrontare il Camerlengo come sostituto del Papa. Decise che la cosa migliore fosse quella di nominare un Cardinale che non avrebbe partecipato al conclave, cos? sarebbe potuto partire subito per quelle terre travagliate da anni di lotte, guerre, tradimenti e malgoverno, che avevano portato la popolazione, soprattutto nelle campagne, a uno stato di miseria notevole e dove, ultimamente, sembrava si stesse diffondendo anche quel morbo terribile conosciuto col nome di peste. La scelta cadde sul Cardinale Jacobacci, che part? subito da Roma, ma che, giunto dalle parti di Orvieto, sua terra di origine, vi si ferm? per godere un periodo di riposo nei suoi luoghi natii, che forse si stava prolungando un po eccessivamente. Ma cera chi diceva che il Cardinale avesse perso la testa per una fanciulla del luogo, e non se ne sarebbe partito da l? per nulla al mondo.
Gualtiero Jacobacci non aveva perso la testa per nessuna donzella, n giovane, n attempata che fosse. Si era soffermato ad ammirare la splendida facciata del Duomo, non ancora terminata, e aveva avuto nostalgia di quei luoghi, in cui aveva vissuto la sua infanzia. In vita sua non aveva mai visto la cattedrale libera dalle impalcature. Sapeva che la costruzione era stata avviata oltre duecento anni prima, ma ora i palchi erano rimasti solo sulla facciata per consentire agli artisti di portare a termine le raffinate decorazioni che lavrebbero abbellita e resa famosa nei secoli a venire. Approfitt? del fatto che la Curia vescovile era libera, in quanto il Cardinale Alessandro Cesarini, Vescovo di Anagni e Orvieto, era in ritiro obbligato a Roma per partecipare al conclave, e si fece ospitare dalla comunit? ecclesiastica locale, iniziando anche a celebrare la Santa Messa allinterno dellincompiuta cattedrale. Tutto aveva in mente, insomma, tranne che di raggiungere Jesi, la sede che gli era stata assegnata dal Camerlengo. La pacchia non sarebbe durata a lungo, in quanto prima o poi il nuovo Papa sarebbe stato eletto e il Cardinale Cesarini sarebbe rientrato in sede. Ma Gualtiero non voleva pensarci. Carpe diem, diceva tra s e s, facendo propria la citazione di Orazio. Cogliamo lattimo e godiamoci questo bel periodo. Quando sar? il momento vedremo il da farsi! Magari, quando arriver?, potrei proporre ad Alessandro Cesarini uno scambio: io qua e lui a Jesi. Jesi, come tutta la Marca anconitana, ? una sede ambita per un alto prelato. Le campagne sono ricche e la Chiesa vuole a tutti i costi riportare quei territori sotto la propria ala in maniera definitiva, dando un taglio ai vecchi retaggi di Comuni, Signorie e Nobilt? locale. Un ambizioso come Cesarini non sapr? certo dire di no alla mia offerta. E io potr? godermi la vecchiaia nel mio paese dorigine.
Finalmente, dopo oltre un mese di fumate nere, il 9 gennaio 1522 dal camino usc? la fumata bianca. Il Camerlengo tir? il sospiro di sollievo e si precipit? allinterno dellala in cui si svolgeva il conclave per assolvere ai suoi doveri di rito. Gli sembrava che fosse passata uneternit? dal giorno in cui era morto Leone X. Lo aveva trovato proprio lui, riverso sul tavolo in cui stava mangiando. Aveva chiamato le guardie e aveva fatto ricomporre il corpo nel letto, poi aveva picchiato con un martelletto il cranio del Santo Padre, per assicurarsi che il corpo non rispondesse pi? con alcun riflesso, n volontario, n involontario che fosse. Quando gli arti, gambe e braccia, furono diventati rigidi, aveva provveduto a chiamare tre volte il Papa con il nome di battesimo: Giovanni Giovanni Giovanni!. Non avendo ottenuto risposta, aveva provveduto a dichiarare ufficialmente morto il Santo Padre. Aveva fatto allestire la camera ardente e aveva organizzato il rito funebre, al termine del quale Papa Leone X avrebbe raggiunto i suoi predecessori, nei sotterranei della basilica eretta sopra la tomba di San Pietro. Dopo di che aveva convocato il Conclave, ma si era accorto che la sua posizione era ritenuta molto scomoda da parte di una certa fazione dei partecipanti al Conclave, quelli pi? vicini alla famiglia De Medici. Lui era stato sempre il Cardinale pi? vicino al Papa, ma notoriamente faceva parte della stessa famiglia di Giovan Battista Cybo, che aveva occupato il soglio pontificio fino al 1492 col nome di Innocenzo VIII. Le male lingue, dal momento che era lui responsabile della sicurezza del Papa e tutti i cibi che arrivavano sulla tavola del Santo Padre dovevano essere da lui approvati, avevano ventilato che lui stesso potesse essere il responsabile dellinaspettata e prematura morte di Leone X. Poteva infatti avere benissimo avvelenato gli alimenti, con lintento di aspirare al pontificato e riportare di nuovo alla massima carica un appartenente alla famiglia genovese. Innocenzo sapeva benissimo di essere innocente e di non aver perpetrato alcuna congiura ai danni del suo beneamato Papa. Giovanni De Medici soffriva di cuore fin da quando era ragazzo e, proprio per questo non si era dedicato mai alle armi. Quindi nessuno lo aveva avvelenato, aveva avuto un collasso ed era morto di morte naturale, anche se improvvisa. Il fatto di autonominarsi Camerlengo aveva in parte allontanato i sospetti da lui, in quanto non sarebbe stato eleggibile come Papa, ma non del tutto. Giulio De Medici e altri tre o quattro Cardinali continuavano a guardarlo in cagnesco, ma lui rispondeva a quelle provocazioni con la migliore delle difese: il silenzio. Certo, quei tre mesi non erano stati facili, ma era riuscito a non porgere mai il fianco ai suoi nemici. Non una parola era mai uscita dalla sua bocca, che accusasse il Medici di invidia o di arrivismo. Aveva continuato a fare il suo dovere come nulla fosse. Ma ora, mentre saliva le scale col fiato in gola, il timore che il nuovo eletto fosse proprio il Medici lo attanagliava. Di certo, questi avrebbe voluto in qualche modo vendicare la morte prematura del familiare. E gi? Innocenzo si immaginava con la testa appoggiata a un ceppo in attesa della scure che, con un colpo secco, lavrebbe fatta volare via dal resto del suo corpo. Quando apr? la busta dove era scritto il nome del nuovo pontefice, tir? il secondo sospiro di sollievo nel giro di pochi minuti.
Il Camerlengo si affacci? al terrazzo che dava sul piazzale sottostante e grid?, con quanto fiato aveva in gola, rivolto ai fedeli assiepati in curiosa attesa:
Nuntio vobis gaudium magnum! Habemus Papam, eminentissimum et reverendissimum dominum Adrianus Florentz, qui sibi imposuit nomen Adrianus sextus.
Voci e acclamazioni si levarono dalla Piazza sottostante, in attesa che il nuovo Papa si facesse vedere e parlasse alla folla dei fedeli. Mentre Innocenzo aiutava il nuovo Papa a vestire i paramenti sacri di rito, nella sua mente i pensieri scorrevano veloci. Questo Adriano VI non durer? molto, prima che qualcuno della famiglia De Medici ci metta mano. Ma che duri un mese, un anno o un secolo, nessuno potr? pi? accusare me. Da domani Innocenzo Cybo se ne ritorna a Genova.
Come tutti gli altri, anche il Cardinale Alessandro Cesarini fece i bagagli per ritornare nella sua sede, a Orvieto. Giuntovi il quattro marzo dellanno del Signore 1522, l? per l? rimase un po interdetto dal fatto che la sua sede vescovile fosse stata arbitrariamente occupata dal suo collega, ma alludire la proposta di questultimo quasi non riusciva a credere alle sue orecchie. Lui che avrebbe fatto carte false per avere la Curia Vescovile di Jesi, lasciata vacante dal Cardinal Baldeschi, se la vedeva offrire su un piatto dargento da chi ne era stato prescelto come titolare, solo perch legato ai luoghi in cui aveva trascorso linfanzia. Incredibile, ma vero! Unoccasione di certo da non lasciarsi scappare. Suggellato il patto con lo Jacobacci, Alessandro Cesarini, desideroso comunque di riposarsi per qualche giorno, invi? un messaggero a Jesi, per preannunciare il suo arrivo e il suo insediamento alle autorit? di quella citt?. Il messaggero giunse a Jesi solo il 12 Marzo, e il Consiglio Generale della Citt?, riunito per loccasione nella Sala Maggiore del Palazzo del Governo e presieduto dal nobile Fiorano Santoni, prese atto della nomina anche se il Cardinal Jacobacci sarebbe stato pi? gradito e deliber? anche di riconoscere al Cesarini un vitalizio di 25 fiorini al mese. Tutto questo quando gi? il Cardinale era alle porte della citt?, per cui non si fece neanche in tempo a preparare una degna accoglienza al nuovo Vescovo, che si trov? a entrare in una citt? del tutto indifferente al suo arrivo. Il Cesarini non rimase deluso solo dellaccoglienza, ma anche e soprattutto del fatto di trovare citt? e contado in condizioni ben diverse da quello che si aspettava. Dopo il sacco subito dalla citt? nel 1517, erano seguiti alcuni anni di malgoverno da parte del Cardinal Baldeschi, che avevano ridotto la zona a condizioni di miseria mai viste a memoria duomo. Oltre ai danni e alle angherie che erano stati portati dagli eserciti invasori, la peste era tornata come un incubo a terrorizzare la popolazione. E cos? il Cesarini, che aveva ancora molti interessi nella zona di Anagni e Orvieto, ben presto inizi? a passare gran parte del suo tempo lontano da Jesi, adducendo come scusa i suoi assillanti impegni ecclesiastici presso la sede Papale , e lasciando in sua vece aspri vicegovernatori, che sapevano solo essere crudeli e tiranni nei confronti della popolazione.
Lucia si era data da fare, e non poco, per portare conforto agli ammalati di peste. Il morbo era giunto a Jesi con una cassa di canapa, proveniente dai mercati delloriente, acquistata a prezzo stracciato al porto di Ancona da una famiglia di cordari Jesini. Alcune famiglie residenti nel borgo di SantAl? erano rinomate da tempo immemorabile per labilit? e la cura con cui fabbricavano corde. Avevano un sistema tutto loro per ottenere dalla canapa grezza cordini e corde di tutte le lunghezze e calibri, che venivano vendute al mercato a prezzi concorrenziali rispetto a quelle fabbricate in altre zone dItalia. Non appena Berardo Prosperi, il capofamiglia, apr? la cassa per verificare la qualit? della canapa acquistata da suo figlio e suo nipote, fu aggredito dalle pulci, che finalmente libere cercarono il loro pasto di sangue, a scapito di molti componenti della comunit? dei borgatari. Le case dei cordari erano costruzioni basse, che formavano una fila unica, una attaccata allaltra, al bordo di un ampio piazzale, detto prato, dove quegli artigiani lavoravano, essenzialmente allaperto. Avevano infatti bisogno di ampi spazi, dove allungare le fibre di canapa e intrecciarle fino a farle diventare corde, con laiuto di strani marchingegni dallaspetto di ruote.
L? per l? nessuno fece caso alle punture degli insetti, ci si era abituati, ma dopo qualche giorno Berardo e alcuni altri uomini e donne della borgata caddero malati, in preda alla febbre alta, e con bubboni in varie parti del corpo, chi sulla schiena, chi dietro al collo, chi sulla pancia. Il morbo aveva fatto presto a diffondersi da una casa allaltra, tutte attaccate come erano, e poi si era propagato verso la campagna. Ma ben presto era arrivato a colpire anche famiglie residenti in citt?, allinterno della cinta muraria.
Lucia aveva appreso a suo tempo dalla nonna come cercare di curare i malati di peste. Aveva sentito dire che ad Ancona, dove il morbo si era diffuso in maniera esponenziale, chi se lo poteva permettere si faceva ricoverare e curare nel Lazzaretto. Ma secondo lei non era unidea molto saggia concentrare le persone ammalate in un unico luogo. Era meglio tenere isolato il malato nella sua casa, per evitare che contagiasse a sua volta persone sane, prendendo le opportune precauzioni ci si doveva avvicinare a lui. Quando doveva entrare nella stanza di un ammalato, Lucia si copriva ben bene con vestiti pesanti, ma solo dopo essersi cosparsa tutto il corpo con un unguento a base di citronella, basilico, menta, mentrasto e timo. Lodore che emanava era quasi nauseabondo, ma era un ottimo rimedio per non farsi pungere da pulci e pidocchi che, chiss? perch, infestavano sempre le dimore degli appestati. Con un fazzoletto di seta, copriva anche bocca e naso prima di avvicinarsi al malato, al fine di evitare di respirare gli umori cattivi da questi emessi. La prima cosa da fare era far spogliare il paziente per osservare quante pustole avesse addosso e quale fosse il loro aspetto. Se erano dure e scure, esse andavano spalmate con un unguento a base di olio canforato e ittiolo, al fine di farle ammorbidire e maturare. Le pustole dovevano infatti esplodere e far fuoriuscire il loro cattivo contenuto, chiamato dai medici con il termine di pus. La febbre andava invece combattuta con infusi a base di corteccia di salice e con lapplicazione di pezze bagnate sulla fronte del malato. Tutta la casa doveva essere purificata con fumigazioni ottenute dalla combustione di olio di canfora, in cui erano stati messi a macerare per alcuni giorni rametti di cipresso, buccia di melograno e cannella. Lucia sapeva bene che se lammalato presentava difficolt? a respirare era condannato a morte sicura. Tanto valeva chiamare un sacerdote per fargli impartire lestrema unzione. Ma nessun religioso, primo fra tutti Padre Ignazio Amici, si prestava a portare i conforti di rito agli appestati. Avevano tutti troppo paura di rimanere contagiati a loro volta. Se invece le pustole, nel giro di alcuni giorni, di solito una settimana, si ammorbidivano e lasciavano fuoriuscire i cattivi umori, dando origine poi a cicatrici, il paziente poteva considerarsi fuori pericolo e si sarebbe avviato alla guarigione. Quando un malato di peste moriva, tutte le suppellettili, mobili, letto, coperte e tutto ci? che era venuto a contatto, direttamente o indirettamente, con la persona infetta, dovevano essere ammassati davanti alla sua dimora e dati alle fiamme. I cadaveri non potevano trovare sepoltura allinterno delle chiese, ma venivano portati in aperta campagna e seppelliti in profondit?, sotto un ampio strato di terra, meglio se argillosa.
Lucia aveva cos? portato aiuto a centinaia di ammalati, sia in citt?, che nei borghi e nelle campagne e, grazie alle precauzioni da lei prese non si era mai contagiata. Si sentiva soddisfatta, ma stanca. Percorrendo a ritroso la Via di Terravecchia, dopo essere stata a visitare un ammalato dalle parti della chiesa di San Nicol?, era dovuta passare al largo da diverse abitazioni, davanti alle quali ardevano i fal? purificatori. Laria della giornata estiva, gi? di per s carica di umidit?, era resa ancor pi? pesante dal fumo che aleggiava sulla citt? e in parte oscurava i raggi del sole. Giunta in Piazza della Morte, non pot evitare di pensare che, a giorni, un patibolo sarebbe stato di certo riservato alla sua ancella Mira, accusata di aver ucciso il Cardinale Artemio Baldeschi. Scacci? quel truce pensiero e si infil? dentro Porta della Rocca, guadagnando Via delle Botteghe, zona molto pi? gradevole e sana rispetto alle strade percorse fino a pocanzi. Sembrava quasi che le antiche mura romane, rafforzate e ricostruite qualche decennio prima grazie allingegno dellarchitetto Baccio Pontelli, avessero fatto da baluardo naturale allepidemia di peste, che aveva colpito solo pochi abitanti del nucleo storico della citt?. Non appena guadagnato quellambiente confortevole, Lucia abbass? il fazzoletto attraverso cui aveva fin l? filtrato laria da respirare. Sciolse i capelli, lasciandoli liberi di scendere sulle sue spalle e lungo la schiene, poi con le mani diede una rassettata alla veste stropicciata. Certo, non aveva laspetto elegante che avrebbe imposto il suo rango, ma si sentiva pi? presentabile. In pochi passi raggiunse la Domus Verroni, si infil? sotto larco e cerc? con lo sguardo Bernardino. Lo vide indaffarato a restaurare la sua bottega ma, quasi percependo il suo arrivo, fu lui il primo a chiamarla.
Mia Signora! Che gioia vedervi qui. Come potete rendervi conto, lavoro ce n? tanto da fare, ma ce la sto mettendo tutta. Credo che fra non pi? di un mese la stamperia potr? ricominciare a lavorare a pieno regime. E tutto grazie a voi. Devo esservi davvero riconoscente per tutto quello che avete fatto per me, e la prima opera che andr? a pubblicare sar? di certo il vostro trattato sui Principi di medicina naturale e guarigione con le erbe.
Lucia sorrise compiaciuta, ma Bernardino avvert? la forzatura di quel sorriso, che cercava di sovrastare la stanchezza che la attanagliava.
Ma voi, Madonna, siete davvero stanca. Non vorrei rimproverarvi niente, ma penso che sia ora che ve la facciate finita di visitare tutti questi appestati. Prima o poi vi ammalerete anche voi. Non pensate alla vostra figlia Laura? E ad Anna, che per voi ? unaltra figlia? Come potrebbero fare senza di voi? Siete lultima Baldeschi rimasta in vita, assumetevi le vostre responsabilit?, una volta per tutte! E non solo nei confronti delle bambine, ma della citt? intera.
Oh, Bernardino, non ricominciate con le storie che devo riappropriarmi del governo della citt?. Ve lho detto: sono una donna, non me la sento di occupare un posto che ? stato sempre spettante di diritto a un uomo.
Non c? un uomo di questa citt? che valga la met? di quanto valete voi. Ne ? dimostrazione ci? che avete fatto e state facendo per gli ammalati. Ma non basta. Non potete lasciare la citt? in mano a dei nobili incompetenti, che lasciano che il vicario del Cardinal Cesarini faccia i suoi porci comodi, terrorizzando citt? e contado, e pretendendo tasse e balzelli da uomini martoriati dalla miseria e dalla pestilenza. ? ora di cacciare Cardinale e vicario, e solo voi siete in grado di farlo, prendendo in mano lo scettro che vi spetta di diritto. E poi c? Mira! Vi siete dimenticata di lei? Avevate promesso di proteggerla, e invece il processo ? andato avanti. E ora, per di pi?, c? laccusa di stregoneria per lei!
Cosa? Che state dicendo? Il processo nei confronti di Mira ? portato avanti dal giudice civile, dal nobile Uberti, e
Padre Ignazio Amici ha raccolto le testimonianze. Sembra che, mentre il Cardinale precipitava dal balcone, qualcuno labbia sentito gridare volo, sto volando, addirittura col sorriso sulle labbra. E quindi non c? altra spiegazione se non quella che Mira abbia stregato il Cardinale. Credo proprio che, in queste ore, la giovane sia sotto le grinfie dei torturatori della Santa Inquisizione. Magari tra qualche giorno vedremo sorgere una catasta di legna in Piazza della Morte. Beh, per noi che conosciamo la verit?, non sarebbe bello assistere alla morte di uninnocente, per di pi? in una maniera cos? atroce.
Senza neanche ribattere, Lucia si rigir? indignata e si diresse a passo veloce verso il Torrione di Mezzogiorno. Sia mai!, la sent? gridare Bernardino mentre si allontanava, pi? rivolta a se stessa che a lui. Ho promesso che in questa citt? mai pi? nessuna donna finir? su una catasta ardente. E manterr? la mia promessa.
CAPITOLO 3
Preparate ors? le pinze e tenaglie roventi, dopo accenderemo il rogo.
(Toms de Torquemada)
Le guardie, riconoscendo Lucia e consce della sua autorit?, non ebbero il coraggio di sbarrarle il passo. La contessina, paonazza in viso, entr? come una furia nel Torrione di Mezzogiorno. Si ritrov? in un androne deserto. Ogni tanto delle grida femminili, soffocate e attutite dalle spesse mura, giungevano alle sue orecchie. Di certo gi? stavano torturando Mira. Non sapendo dove fosse la sala delle torture, e non riuscendo a capire da dove provenissero le urla della ragazza, spalanc? la prima porta che trov?. Il giudice Uberti era seduto dietro una scrivania, assorto a esaminare scartoffie. Sopra il tavolo spiccava un libro dallelegante copertina e dal titolo scritto in caratteri cubitali Malleus Maleficarum.
Nobile Dagoberto Uberti! Cosa significa tutto ci?? Avevate promesso di giudicare voi la mia ancella, e di essere clemente con lei. Perch, or dunque, consegnarla agli inquisitori? Avete ascoltato a suo tempo la mia testimonianza. Mira si ? difesa, mio zio la stava aggredendo, e forse lavrebbe uccisa. Lei lo ha solo ferito, e in maniera non grave. Il fatto che sia precipitato dal balcone ? stato un caso, una fatalit?, indipendente dalla volont? della ragazza. Ve lo ho detto e ripetuto: Mira merita una punizione, ma non la morte!
Il Giudice Uberti, rispetto a qualche anno addietro, ai tempi del processo contro Andrea Franciolini, era visibilmente invecchiato. Profonde rughe solcavano il suo viso, la schiena si era incurvata e, per camminare, doveva aiutarsi con un bastone di legno di noce. Una grave forma di artrosi, testimoniata dalla deformit? delle articolazioni delle mani, lo affliggeva. Anche la vista gli era calata notevolmente e per la lettura si aiutava con una lente di vetro montata su un supporto metallico. A quel tempo erano pochi, infatti, coloro che possedevano degli occhiali, che dovevano giungere da Venezia ed erano assai costosi. Sollev? la testa dalle carte e rispose a Lucia con voce pacata, quasi rassegnata.
Vedete, mia Signora, ho studiato bene il caso, e mi sembra che ci siano molte, troppe incongruenze. Voi siete lunica testimone, quindi dovrei fidarmi di quello che mi dite. Purtroppo, gli stessi fatti, raccontati da voi e raccontati da Mira, sono in netto contrasto. Voi asserite che vostro zio abbia sorpreso la vostra ancella a rubare nel suo studio. Ma, a parte i libri, l? cera ben poco da rubare. E notoriamente, Mira non sa neanche leggere. Oltre tutto so bene che vostro zio teneva denari e preziosi in ben altre stanze. Credo invece che Mira sia entrata di proposito nello studio del Cardinale, sperando che, offrendogli il proprio corpo, sarebbe stata ben ricompensata.
Cosa volete insinuare, Giudice?
Non voglio insinuare niente. Cerco solo di ricostruire come sono andate le cose, e credo di essermi fatto bene il quadro della situazione. Vedete, abbiamo fatto esaminare da esperti il corpo di vostro zio, prima di ricomporlo per la sepoltura. A parte il fatto che non indossava le calze braghe, il Cardinale aveva il membro completamente ricoperto di una sostanza oleosa, un unguento. A detta degli esperti, trattasi di una sostanza a base di essenze vegetali, che solo le streghe sanno preparare. Ma veniamo al sangue di vostro zio. Voi dite che Mira lo aveva ferito in maniera leggera con un coltello, anzi, con un tagliacarte. Ma di sangue ce nera in abbondanza, sparso per tutto lo studio, e poi intorno al cadavere, tanto che sembra che il Cardinale, pi? che per la caduta, sia morto dissanguato. Una sola ferita, ma che ha raggiunto in maniera precisa un importante vaso sanguigno. E quello che ? strano ? che Mira sarebbe dovuta essere molto pi? sporca di sangue di quanto non labbiamo trovata. Aveva s? i vestiti sporchi, ma se aveva colpito con tale precisione, doveva avere mani e braccia lorde di sangue. E invece cos? non era! E i vestiti? Non erano propriamente i vestiti di unancella, erano vestiti di pi? importante fattezza.
E da tutto questo cosa ne avete dedotto?, chiese Lucia, con la voce che iniziava quasi a tremare, per il timore che lUberti stesse per snocciolare la storia che la incolpava della morte del suo zio.
Vedete, e il Giudice mise una mano sopra il Malleus Maleficarum. Questo libro, fornitomi da Padre Ignazio Amici, mi ha illuminato. Scritto da due inquisitori tedeschi, Jacob Sprenger e Heinrich Insitor Kramer, qualche decennio fa, esso indica come riconoscere le streghe, a prescindere dai loro poteri. Tutte possono essere riconosciute da un segno indelebile che portano sulla pelle, un neo, una macchia, una voglia o una cicatrice, spesso nascosto dai peli delle ascelle, del pube, o magari dai capelli. Ecco perch gli Inquisitori, come prima cosa, fanno denudare la strega e le fanno rasare tutti i peli, per poter evidenziare questo segno. Ma per Mira questo non ? stato neanche necessario. Lei ha un evidente neo in corrispondenza del labbro superiore, proprio sotto il naso, sopra il quale addirittura crescono dei peli. Padre Ignazio afferma che quello ? un segno inequivocabile, e io, dopo aver letto questo testo, convengo con lui.
E tutto questo cosa avrebbe a che fare con la morte di mio zio?
Ne ha a che fare, pi? di quanto voi, anche come testimone, possiate immaginare. Il fatto che Mira sia una strega ? confermato non solo dal neo, ma anche dalle vesti che indossava quel giorno. I soliti esperti che abbiamo interpellato ci hanno confermato che quelli sono abiti che indossano le streghe pi? potenti, abiti tramandati da generazione in generazione, da madre a figlia. E veniamo dunque alla ricostruzione dei fatti, come ormai ? chiaro siano realmente avvenuti. Mira, forte dei suoi poteri, entra nello studio del Cardinale, con la chiara intenzione di sedurlo e di ammaliarlo. Lo scopo ? quello di ottenere denari, molti denari, in cambio della prestazione amorosa. Il Cardinale ci cade, si lascia sedurre, si toglie le calze braghe e si prepara a giacere con la vostra ancella. Ma lei vuol aumentare ancor di pi? lappagamento dei sensi della sua vittima, e usa lunguento, per indurlo a un maggior piacere, e di conseguenza a una maggiore elargizione in denaro. Solo che quellunguento, in dosi giuste aumenta il piacere della carne, ma in dosi eccessive provoca allucinazioni e visioni. No, Mira non vuole uccidere il Cardinale, ? lultima delle sue intenzioni: non si uccide la gallina che produce le uova doro. Ma la situazione ormai le ? sfuggita di mano. Chi ha impugnato il coltello per primo? Forse il Cardinale in preda allobnubilazione, magari per fingere di minacciare la ragazza in un crescendo di gioco erotico. E lo usa anche per tagliarle le vesti al fine di denudarla. Ed ecco che allora la strega, sentendosi troppo a rischio, fa appello ai suoi poteri. Non tocca il coltello, ma lo guida con la forza magica dei suoi oscuri poteri. Solo con la forza del suo pensiero lo lancia contro la spalla del Baldeschi, in un punto ben preciso. Una sola ferita, ma mortale.
E poi?
E poi, il tocco finale. Apre la finestra e fa precipitare il Cardinale gi? dal balcone, addirittura inducendolo a credere che fosse in grado di volare. E quindi, come giudicare questa donna? Quale punizione merita? Non ? stata, come dite voi, semplice difesa. Sia pure che allinizio non era sua volont?, ha ucciso, e lo ha fatto a ragion veduta. Per di pi?, grazie alluso di poteri non comuni a tutti, ma specifici di donne che noi chiamiamo streghe. STREGHE! La morte ? la meritata fine per unassassina come lei. La decapitazione. Ma se ? una strega, sappiamo bene che la fine che merita ? unaltra.
No!, esclam? Lucia, che sentiva il cuore batterle forte nel petto al solo pensiero di vedere Mira agonizzante al di l? di un muro di fiamme.
Proprio in quel momento, un grido pi? forte, proveniente dalla sala delle torture, giunse alle sue orecchie.
Basta cos?, giudice! Conducetemi immediatamente nella stanza dove stanno torturando quella poveraccia. Questorrore deve avere termine subito!
Non ve lo consiglio, non ? un bello spettacolo a cui assistere. Padre Ignazio e i suoi torturatori non si faranno certo intimidire dalle parole di una donzella, per quanto nobile sia
? un ordine. Conducetemi nella sala delle torture!
Il Giudice, intuendo che la giovane sapeva il fatto suo e che poteva avvalersi dei poteri che gli spettavano di diritto, per essere la discendente del Cardinal Baldeschi, nonch la promessa sposa di colui che ufficialmente sarebbe dovuto essere designato Capitano del Popolo, abbass? la testa e obbed? a Lucia. Guid? la giovane per scale e corridoi semibui, fino a raggiungere una possente porta, davanti alla quale due energumeni armati di lance sbarravano il passo a chiunque. Le grida di Mira erano ora vicinissime. A un cenno del giudice, i due sgherri si misero di lato e aprirono la porta. A Lucia sembr? di essere giunta allinferno. La sua ancella Mira era stata legata sopra un tavolaccio, completamente nuda, con le braccia e le gambe divaricate a formare il disegno di una croce di SantAndrea. I peli del pube e delle ascelle le erano stati rasati e ora, mentre uno dei torturatori tirava le catene legate ai polsi e alle caviglie della ragazza mettendo in tensione le articolazioni di gambe e braccia fin quasi a slogarle, un altro, con delle grosse forbici, le stava tagliando i capelli, gettandoli in un braciere acceso. Nello stesso braciere, che emanava un fumo pestilenziale, erano stati messi diversi arnesi di tortura perch si arroventassero. Lucia, nonostante lacrimasse sia a causa del fumo che dello spettacolo cui si era trovata improvvisamente ad assistere, scorse Padre Ignazio Amici prelevare dal braciere una grossa tenaglia e avvicinare le branche incandescenti di questultima a uno dei seni di Mira. Se non lavesse fermato in tempo, le avrebbe afferrato il capezzolo con la pinza, arrivando fino a staccarglielo.
Pervertito di un prete che non siete altro. Fermatevi. Che state facendo?, e gli afferr? il braccio che reggeva la pesante tenaglia.
Il Domenicano si gir? e, con un sorriso sadico stampato in viso, riconobbe la giovane Lucia Baldeschi.
Ah, mia Signora. Siete venuta ad assistere alla confessione della vostra ancella? Benvenuta! Ci siamo quasi, ancora poco e ammetter? tutte le sue colpe. In fin dei conti, siete voi che lavete accusata ed ? giusto che siate presente nel momento in cui si condanner? da sola.
Visto che il Domenicano si era fermato, il torturatore che aveva tagliato i capelli allinquisita, aveva preso in mano un affilatissimo rasoio, con lintenzione di rasare la testa della malcapitata.
Fermatevi, fermate tutto. Slegatela, vestitela e riportatela in cella. Non posso tollerare che una donna sia trattata in questa maniera.
Il tono di Lucia era autoritario e tutti si fermarono. Anche Mira cess? di gridare. Ma Padre Ignazio la guard? con aria di sfida.
Qui dentro sono io che comando. Lasciatemi finire il mio lavoro. Dobbiamo scoprire tutti i segni che Mira ha sul suo corpo e che dimostrano che ? una strega. E poi dobbiamo ascoltare dalle sue labbra la sua piena confessione. Con quale autorit? voi, contessina, volete intromettervi nelle questioni che riguardano la Chiesa e la Santa Inquisizione?
Con lautorit? che mi spetta di diritto e che in questo preciso momento reclamo!, grid? Lucia, con una forza danimo che neanche sospettava di possedere. Da questo istante sono il vostro Capitano del Popolo, e come tale ho il diritto di decidere anche sulla sorte di questa donna. Voi, carcerieri, eseguite subito quanto vi ho pocanzi ordinato: slegate Mira, datele dei vestiti e riportatela in cella. Voi, invece, Padre Ignazio Amici, seguitemi nello studio del Giudice Uberti. Debbo parlarvi in privato.
Lucia, scendendo le scale che riportavano verso la stanza in cui fino a pocanzi era stata a colloquio con il Giudice Uberti, per cercare di calmarsi ripeteva a se stessa, nella sua mente, gli insegnamenti ricevuti dalla nonna e, in tempi pi? recenti, da Bernardino.
Conosci te stessa per prima cosa, comprendi lArte sin qui misteriosa. Sii disponibile ad imparare, con molta saggezza usa il sapere. Il tuo comportamento sia equilibrato, e il tuo parlare sia ben ordinato. E pure in buon ordine tieni il pensiero
E s?, doveva ben ponderare le parole e tenere in ordine i suoi pensieri, per non aggredire il Domenicano a male parole e passare dalla parte della ragione a quella del torto. Prima di entrare nella stanza fece due respiri profondi, poi chiese al Giudice di lasciarla sola con Padre Ignazio. Uberti obbed?, anche se titubante, e usc?, chiudendo la porta dietro di s.
Lucia infisse i suoi occhi nocciola in quelli celesti, quasi acquosi, del sacerdote, a volergli dimostrare che non aveva affatto timore di lui.
Ministro di Dio, avete la presunzione di chiamarvi? ? cos? che siete testimone del messaggio di Nostro Signore? Ges? ? sceso in terra per salvare i peccatori. O mi sbaglio? E voi, invece di predicare lamore, cosa fate? Godete nel gettare fango sulla povera gente o, peggio, nel vederla morire tra atroci sofferenze. Passino le vostre omelie domenicali in cui accusate presunte streghe di diffondere, con le loro pratiche, il morbo che sta decimando la nostra popolazione. Passi la vostra arroganza nel negare i conforti religiosi agli appestati in punto di morte. Passi anche il fatto che abbiate negato una degna sepoltura a dei cristiani, con la scusa di evitare la diffusione della peste. Ma torturare cos? una giovane indifesa ? troppo. Vergognatevi, e fate ammenda!
? Santa Madre Chiesa che vuol questo. Dobbiamo combattere le eresie e il demonio, in qualsiasi forma essi si manifestino, le rispose Padre Ignazio, senza distogliere lo sguardo, a far capire a Lucia che stava accettando la sfida. Io agisco per perseguire un preciso intento, far rispettare la Regola e le Leggi! Dal momento che attualmente, in questa citt?, nessun altro si prende la briga di farlo
Lunico intento che perseguite, Padre Ignazio, sapete qual ?? Quello di soddisfare i vostri porci comodi. Non crediate che abbia dimenticato quello che stavate per fare a me. Anche se mi avevate ridotto uno straccio, somministrandomi le vostre maledette droghe, ero perfettamente cosciente. Se quel giorno, nella mia stanza da letto, non fosse entrato mio zio, non avreste esitato ad abusare del mio corpo!
Il Domenicano, colto nel vivo, arross? in volto e abbass? lo sguardo. Poi cerc? di difendersi.
Non ? cos?, mia Signora. I vostri ricordi sono offuscati. Io stavo solo cercando di fare un esorcismo, che alla fine riusc?. Ed ? proprio grazie al mio intervento se siete qui e non siete salita su un rogo anche voi, perch ho esorcizzato il demonio che albergavate!
Balle! Tutte balle! Voi siete un falso, un bugiardo, e per di pi? un opportunista. Mi fate schifo. Sapete cosa penso di voi? Che siete un pervertito. E che siete un impotente! Gi?, un impotente, che si eccita solo vedendo la sofferenza. Ecco perch godete nellassistere alle torture, perch solo assistendo a certe scene il vostro membro si erge!
Cosa dite, Madonna? State usando un linguaggio che non si addice di certo a una nobile damigella come voi! Vi assicuro che non ? cos?. Il mio unico scopo ? quello di far rispettare le leggi, quelle divine e quelle degli uomini. E non sono un impotente, seguo solo la regola del mio ordine, che mi impone la castit?.
Lucia aveva capito, dal tremore della voce del suo interlocutore che stava avendo la meglio, e cos? decise di lanciare laffondo finale. Si slacci? il fiocco che stringeva al collo la sua camicetta e, con un gesto repentino e improvviso, lapr? sul davanti, mettendo a nudo i suoi seni.
E cos?, non siete impotente. Ors?, dunque, volevate il mio corpo! Prendetelo ora, che ve lo offro di mia volont?. E dimostrate di essere un uomo che sa amare dolcemente una donzella.
Padre Ignazio, conscio della trappola in cui lo stava attirando la contessina, arretr?. L? dentro erano loro due da soli. Sapeva bene che la giovane non si sarebbe fatta scrupolo di accusarlo di aver cercato di abusare di lei, anche con la violenza. E sarebbe stata la parola sua contro quella di lei.
Copritevi, per favore! Non ? corretto da parte vostra cercare di indurmi cos? in tentazione. Ditemi cosa volete che io faccia, e lo far?, disse con un filo di voce e la testa bassa.
Lo sapevo che eravate un impotente, continu? Lucia, prendendo dal candelabro sopra la scrivania una candela accesa e porgendogliela. Perch non provate a versare sui miei seni della cera bollente? Forse cos? inizierete a eccitarvi, e poi avrete finalmente voglia di possedermi. Ma no, vedo che ancora indietreggiate, vi allontanate da me. Oltre che un impotente, siete anche un vigliacco!
Basta, vi prego! Ve lo ripeto: ditemi quello che volete io faccia e lo far?!
Il sacerdote vide con sollievo Lucia riporre la candela e riallacciarsi la veste, per poi proseguire il suo discorso. Sentiva il sudore imperlargli la fronte e scendere copioso lungo la schiena.
Volete sapere la verit?? Tanto siete un vigliacco e non avrete il coraggio di riferirla a nessuno. Non ? Mira la responsabile della morte di mio zio, ma io. Sono stata io a ferirlo e provocarne la caduta dal balcone. E adesso che avete saputo, vi dico quello che voglio che facciate. Proscioglierete Mira dalle accuse di stregoneria. Direte che erano accuse infondate e riconsegnerete la mia ancella al Giudice Uberti. Fatto questo, iniziate a preparare i bagagli. Vi voglio lontano da Jesi, il pi? lontano possibile. Domani stesso mander? un messaggero al Santo Padre, ad Adriano Sesto, consigliando il vostro trasferimento in Alta Savoia. Lass? le eresie imperversano e un inquisitore come voi sapr? bene il da farsi per combatterle. C? bisogno di voi, in quelle terre di confine, per ricondurre allovile le pecorelle smarrite!
Il nuovo Santo Padre?, replic? Padre Ignazio, ora impallidendo visibilmente, sentendo tutte le sue certezze venir meno.
Siete stato cos? indaffarato a servire la vostra Santa Madre Chiesa, da non essere neanche venuto a conoscenza del fatto che il soglio pontificio ? stato occupato dal Vescovo Adriano Florensz da Utrecht, pi? di quattro mesi or sono? Dopo la morte di Leone Decimo, il conclave ci ha messo parecchio a eleggere il nuovo pontefice. Ma alla fine, ha scelto, e non il Vescovo di Firenze, Giulio De Medici, come forse voi vi aspettavate.
E quindi, la Chiesa ? governata ora da un uomo vicino ai Riformatori? E il nostro legato pontificio? Quando giunger? in sede? Padre Ignazio era del tutto scosso dalla notizia.
Come siete mal informato, mio caro! Il Cardinal Cesarini ? giunto da Roma gi? alla met? dello scorso mese di marzo, ma sembra che Jesi non sia una sede che abbia incontrato le sue grazie. Ha lasciato un suo vicario, ritornandosene ben presto in quel di Orvieto. Considerando la sua perenne assenza, le autorit? civili ne hanno richiesto la sostituzione. Ma aspetteremo notizie da Roma, che di certo non tarderanno ad arrivare. Datemi ascolto, preparate i bagagli, prima che tutto il male che avete fatto si ritorca contro di voi. Ancora siete sotto la protezione di quellabito che portate, ma credo proprio che quei panni, ben presto, vi saranno stretti.
Padre Ignazio, non avendo pi? nulla da replicare, si diresse a testa bassa verso la porta, usc? passando accanto al Giudice Uberti senza neanche degnarlo di uno sguardo, e si dilegu? per i meandri del torrione. Certo, in quei mesi era stato tanto concentrato nel dimostrare che Mira fosse una strega, che aveva perso del tutto il contatto con la realt?!
Ancora frastornata dal colloquio appena conclusosi e immersa nei suoi pensieri, Lucia neanche si era accorta che il Giudice era rientrato nella stanza, aspettando con pazienza che gli rivolgesse la parola. Sent? la frase uscire dalle proprie labbra come se fosse qualcun altro a parlare.
Le accuse di stregoneria nei confronti di Mira sono cadute. Tocca a voi giudicarla. Siate clemente con lei!
La sua colpevolezza nellessere stata responsabile della morte del Cardinale ? ormai ampiamente dimostrata. E, per un assassino, la condanna ? la morte. C? poco da discutere. Lunica clemenza che posso riservarle ? quella di unesecuzione veloce e senza pubblico che assista. Mira verr? decapitata domattina allalba. Non render? pubblica la notizia. Sar? una questione tra lei e il boia.
Lunica cosa che chiedo ? che non soffra, replic? Lucia, stringendosi nelle spalle.
Un colpo netto, ben assestato, e la testa della giovane rotoler? sul selciato della Piazza della Morte. Mira non far? neanche in tempo a rendersi conto di non avere pi? la testa attaccata al collo.
Lucia sent? le lacrime che stavano per prorompere dai suoi occhi, ma le ricacci?, avvertendo il loro sapore salato in gola. I suoi truci pensieri furono interrotti da un insolito clamore, che giungeva alle finestre dallesterno, dalla Piazza del Palio e dalle vie limitrofe. Una folla di persone, provenienti dal contado, armate di forconi, coltelli e altri rudimentali attrezzi, stava entrando in citt? da Porta Valle e si dirigeva minacciosa verso la parte alta della citt?.
A Palazzo. Raggiungiamo la Curia vescovile!
A morte il vicario del Cardinal Cesarini!
A morte il ladro, a morte lusurpatore!
Lucia, sentendo quelle frasi cap? cosa stava per accadere, e cap? che la situazione era davvero grave. Doveva far qualcosa per fermare quella gente e per evitare un inutile spargimento di sangue.
Una rivolta popolare, in questo momento, significherebbe la fine per questa citt?. Devo evitare che questi villani trasformino il centro in una carneficina. La popolazione ? gi? stata decimata dalla peste, ci mancano solo le lotte intestine tra cittadini per ridurre Jesi al lumicino.
CAPITOLO 4
Il castello di Massignano era accogliente e sicuro, ma Andrea si era davvero stancato di addestrarsi contro il Mancino e i suoi sgherri. Non che la compagnia di questi uomini rudi gli dispiacesse. Spesso la sera beveva vino e giocava a dadi insieme a loro e pi? di una volta si era addormentato in preda ai fumi dellalcol sul nudo pavimento, addosso agli altri sgherri. Certo, il Mancino, nonostante avesse perso da tempo luso del braccio destro, ci sapeva fare, e pi? di una volta gli aveva fatto volar via la spada dalle mani. Pi? passava il tempo e pi? i due diventavano amici, ma Andrea era un uomo dazione, e un nobile per di pi?, e spesso si chiedeva quanto a lungo avesse dovuto sopportare quella semi prigionia, per far piacere al Duca di Montacuto, a dimostrazione della sua riconoscenza per averlo salvato dal patibolo. Da un giorno allaltro, Andrea aspettava che il Duca lo convocasse e lo facesse finalmente partire per il Montefeltro, dove avrebbe messo le sue qualit? di condottiero nelle mani di un potente Signore. E gi?, non ne poteva proprio pi? di continuare a trascorrere il suo tempo in quella maniera assurda. Era come se il Duca ci facesse apposta a tenerlo in quella condizione di stallo, come se godesse del fatto di tenerlo inattivo il pi? a lungo possibile.
Se il Duca non ha ancora organizzato il tuo trasferimento, si vede che c? qualche ostacolo, materiale o politico che sia. Il mio padrone ? un uomo accorto, anche se allapparenza sembra una persona pi? rude di noi che lo serviamo. Ma quello che ha in pi?, rispetto a noi, ? la capacit? di far ragionare la sua mente, e il Mancino si tocc? la tempia con il dito indice, a sottolineare questo suo concetto. Vedrai, a tempo debito sar? tutto organizzato, nulla sar? lasciato al caso.
Gesualdo, anchio so far funzionare bene la mia testa, e capisco solo che sono quasi quattro anni che sono qui, in questo castello, e le mie membra si stanno impigrendo. Se dovessi essere a tu per tu con un nemico, non so come andrebbe a finire Forse non bene per me!
Il Mancino, che aveva capito lantifona, per non far precipitare il giovane Franciolini nella malinconia, balz? in piedi, afferr? la sua pesante spada con la sinistra e invit? lamico al combattimento.
Coraggio, allora, vediamo quanto sei arrugginito. Secondo me, quello che ti manca di pi? qua dentro ? una donna. Inutile continuare a pensare alla tua Lucia, chiss? mai se la rivedrai! Lascia fare a me e questa notte sarai in compagnia. Un uomo ha bisogno di sfogare non solo i muscoli delle braccia e delle gambe. Conosco un paio di servette che, al bisogno, sanno quello che fare per soddisfare un muscolo che da troppo tempo ? in letargo! Basta elargirgli alla fine un paio di monete dargento, ed ? fatta, e scoppi? in una grassa risata.
Andrea, colpito nel vivo, impugn? a sua volta la spada e la incroci? con violenza con quella del Mancino.
Brutto bastardo che non sei altro, per chi mi hai preso? Per uno che va a sgualdrine? Sono fedele alla mia amata, le ho giurato fedelt? che ero quasi in punto di morte. Lei ha curato le mie ferite e io la dovrei ricompensare con un tradimento?
Gesualdo si sbilanci? indietro, mantenendosi ben saldo sulle gambe, e fece s? che la spada del giovane si abbattesse al suolo con fragore.
Eh, lamore gioca brutti scherzi! S?, oggi sei proprio distratto, combatti molto male, amico mio. Sei fortunato di avere me di fronte e non un nemico, altrimenti saresti gi? spacciato.
Andrea alz? di nuovo la spada e abbatt un nuovo fendente contro quella del Mancino, che la fece roteare, provocando lo sbilanciamento e la caduta a terra del suo avversario. In un attimo gli fu sopra, il filo della lama poggiato minaccioso al collo del giovane. Questultimo, con un agile balzo allindietro, si liber? della stretta e con un calcio fece volar via la spada dalle mani del Mancino. Poi si riappropri? della sua e ripart? allattacco. Questa volta era Gesualdo in posizione di inferiorit?. Gli sgherri che assistevano non erano nuovi alle scaramucce tra i due e scommettevano chi sulluno chi sullaltro. In breve la ressa divent? incontrollabile: i due continuavano a battersi, inveendo luno contro laltro, a volte anche gridando, mentre gli astanti continuavano a scommettere somme sempre pi? alte e incitavano alla lotta. Fino a che, allimprovviso, tutti si ammutolirono. Andrea e Gesualdo si resero conto che cera qualcosa che non andava e smisero di combattere. Sollevarono la testa e si ritrovarono faccia a faccia con il Duca Berengario di Montacuto.
Smettetela di giocare, voi due, e andatevi a rendere presentabili. Stasera avrete lonore di cenare seduti alla mia tavola, sentenzi? con voce autoritaria. Poi si gir? sui tacchi e spar? lungo il corridoio, nella direzione da cui era venuto.
Di rado, nel corso di quei lunghi anni, Andrea era entrato nellala del castello dove risiedeva il Signore, il Duca di Montacuto. Erano stanze molto pi? ricche, sia in mobilia che in decorazioni, rispetto a quelle che era abituato a frequentare, nella parte della Rocca dove soggiornavano soldati, armigeri e servi, e dove lui a fatica aveva conquistato una camera con un pagliericcio, grazie allintercessione di Gesualdo con il luogotenente del Duca.
Si contavano poi sulle dita delle mani le volte che Andrea si era trovato al cospetto del Duca. Va bene che questultimo era spesso lontano dal Castello, in quanto passava molto tempo in Ancona, sia per tenere sotto controllo gli affari amministrativi della citt?, ora che aveva spodestato il Consiglio degli Anziani, sia per seguire da vicino i lavori di costruzione della cittadella fortificata, nuovo baluardo a difesa del porto. Fatto sta che, dal momento che il Duca lo aveva salvato dal patibolo con un preciso scopo, quello di inviarlo al servizio dei Malatesta di Rimini, si era aspettato di dover abbandonare quel luogo di ozi molto prima. E invece, sembrava che il Duca ci prendesse gusto a non riceverlo, quando per un motivo, quando per un altro, e a continuare a tenerlo in mezzo a quei barbari, che nulla avevano a che spartire con lui, con la sua nobilt?, con il suo lignaggio, con la sua cultura. Non aveva trovato nemmeno un libro da leggere per poter trascorrere il tempo in maniera degna, e lunico passatempo era quello di allenarsi a combattere, cosa che gli era venuta davvero a noia. Lunico suo conforto era lamicizia di Gesualdo che, nonostante le umili origini, riteneva un compagno fedele e saggio nel dispensare consigli. Il fatto, ora, di camminare a fianco a lui, lo rincuorava e infondeva nel suo animo il coraggio di cui aveva bisogno per affrontare leventuale colloquio con il vecchio Duca di Montacuto.
Finalmente ci siamo. ? di sicuro giunta lora di partire alla volta dei territori del Montefeltro, di combattere sul serio, di avere ai propri ordini uomini valorosi, diceva Andrea al suo amico, percorrendo un lungo corridoio, in cui i suoni dei passi erano attutiti da tappeti disposti sopra il pavimento, e ai rumori e alle voci non era consentito rimbombare, grazie a una serie di arazzi che tappezzavano le pareti. Far? tutto quello che mi sar? ordinato, ma su un punto, su un solo punto, sar? intransigente con il Duca. Tu, Gesualdo, dovrai accompagnarmi. Sarai la mia guida e il mio braccio destro. Non voglio nessun altro accanto a me nel tragitto da qui a Rimini.
Mio giovane amico, tu sei forte e robusto, mentre io sono un vecchio invalido. Non credo che il nostro Signore acconsentir? a questa tua richiesta. Anche se non mi convoca ormai da tempo e non mi ha pi? affidato missioni dopo quella che entrambi conosciamo, il solo sapermi lontano da qui potrebbe essere motivo di cruccio per il Duca. Dai ascolto. Stai zitto e non avanzare sciocche pretese!
Stai zitto, tu! Sarai vecchio e invalido, ma combatti molto meglio e sei molto pi? astuto di un giovane guerriero. E poi...
Le parole gli si smorzarono in bocca, perch erano arrivati alla fine del corridoio. La porta spalancata di fronte a loro mostrava la sala da pranzo, dove una lunga tavolata era imbandita con ogni ben di Dio. Due riverenti servitori tenevano aperte le pesanti tende di velluto rosso che fungevano da riquadro alluscio. Al loro passaggio si proferirono in un profondo inchino, poi richiusero le tende una volta che gli ospiti ebbero varcato la soglia. Andrea e Gesualdo guardarono con meraviglia gli arrosti di pavoni, fagiani e faraone, le patate arrosto e le verdure lesse. Tutti i piatti erano abbelliti da decorazioni, in un tripudio di colori raro a vedersi. Per non parlare degli odori, che giungevano alle narici di Andrea a ricordargli i profumi che solo nella casa paterna aveva a suo tempo apprezzato, e che aveva quasi del tutto dimenticato. Il vino nelle brocche era rosso, del tipico colore scuro del vino del Monte Conero. Andrea avvert? una leggera gomitata, preludio del consiglio sussurrato dal Mancino.
Vacci piano con il vino. Per uno come te, abituato a Verdicchio e Malvas?a, il Rosso Conero pu? essere pericoloso. Va subito alla testa!
Il momento favorevole potrebbe non durare a lungo, e quindi dobbiamo agire ora a sostegno del nostro amico Sigismondo Malatesta, inizi? a dire Berengario rivolto ai suoi ospiti, mentre addentava un coscio di pollo, tenendolo per losso, mentre lunto dalla mano gli scivolava lungo lavambraccio. Ora che Leone X ? morto, Urbino e il Montefeltro vanno strappate ai Medici e alla Santa Sede! Entro breve tutti i territori delle Marche, compresa la Marca Anconitana, dovranno essere riportati ai giusti equilibri. Sottomessi s?, allo stato della Chiesa, ma pur sempre con governi civili indipendenti. Purtroppo, il Duca Francesco Maria Della Rovere sembra essersi ritirato nella sua Senigallia, rinunciando a riconquistare il Ducato di Urbino, toltogli da Cesare Borgia e poi passato al nipote di Papa Leone X. Inoltre, i territori di Jesi sono nel pi? totale abbandono. Dopo la morte del Cardinal Baldeschi, ? stato inviato un legato pontificio, che sembra non abbia tanto intenzione di governare la citt?, quanto di finire di ridurla allo stremo, alla miseria, approfittando della vacanza di un governo civile.
A queste ultime parole, il cuore di Andrea fece un balzo. Il governo civile della citt? di Jesi era suo di diritto. Se il Duca di Montacuto voleva ristabilire gli equilibri politici, sarebbe bastato che lo avesse rinviato nella sua citt?, e ci avrebbe pensato lui a mettere a posto le cose e far rientrare nei ranghi questo famigerato legato pontificio. Che senso aveva mandarlo a combattere per il Signore di Rimini? Ma forse gli intenti del Montacuto erano ben altri. Forse gli avrebbe fatto comodo mantenere la situazione di disordine nella vicina Jesi, ora che aveva fatto fuori il Consiglio degli Anziani e aveva preso in mano il governo della Citt? e della Marca Anconitana. Magari, allultimo momento, avrebbe girato le spalle a tutti e avrebbe venduto Ancona al Papa per qualche decina di migliaia di fiorini doro. O forse si sarebbe alleato segretamente con il Duca della Rovere e avrebbe fatto fronte comune con lui, contro il Papa e contro lo stesso Malatesta, affinch questultimo non avesse esteso le sue mire espansionistiche verso Sud. Chiss?! Ad Andrea non sarebbe dispiaciuto ritornare a Jesi e poter rivedere la sua amata. Ma se neanche era stato informato della morte del suo giurato nemico, il Cardinal Baldeschi, figuriamoci se fosse passato per la mente del Duca farlo ritornare in patria. Per cui Andrea decise di rimanere in silenzio e seguitare ad ascoltare il ragionamento del Duca Berengario, portando distrattamente alla bocca alcune patate e assaporando la loro delicata bont?. Solo fino a pochi anni prima non si conosceva neanche lesistenza di questo delizioso tubero, che era stato da poco importato dal Nuovo Mondo. Un servo gli vers? del vino rosso nella coppa e lui lo trangugi? per accompagnare le patate lungo il loro percorso verso lo stomaco.
Il Papa da poco nominato, Adriano VI, ? un burattino, un fantoccio in mano alloligarchia ecclesiastica, che ha fatto s? di spazzare via la casata dei Medici, che stavano prendendo troppo potere, finanche a Roma. Non credo che durer? a lungo, prima che Giulio de Medici escogiti qualcosa per farlo fuori e riprendere le redini dello Stato Ecclesiastico. Per cui dobbiamo sfruttare il momento, prima che sia troppo tardi. Domani mattina di buon ora, Andrea, partirai per Pesaro, dove prenderai il comando di una guarnigione dellesercito di Sigismondo Malatesta. Guiderai questa guarnigione verso Urbino, mentre il Malatesta raggiunger? la stessa citt? da Nord con il resto del suo esercito, attraverso i territori del Montefeltro. Stringerete Urbino in una morsa, da nord e da sud e, sia Medici che occupano il Montefeltro, che il conte Boschetti che governa Urbino su incarico della Santa Sede, non avranno scampo. Tu, Gesualdo, accompagnerai Andrea fino a Pesaro. La strada ? lunga e rischiosa, e tu conosci le vie migliori da percorrere. Farai in modo che Andrea giunga a destinazione il prima possibile. Poi tornerai subito indietro. Che non venga a sapere che per qualche motivo, valido o meno che sia, tu abbia seguito Andrea in battaglia. Entro quattro giorni ti rivoglio qui a castello, altrimenti, e si pass? due dita a strisciare la pelle del collo, simulando quello che avrebbe fatto la lama di un coltello premuto contro la giugulare.
Anche cercando con se stesso di non ammetterlo, Andrea aveva scorto brillare una luce di tradimento negli occhi del Duca, mentre questi parlava. Non si era mai fidato di lui, e ora anche meno. Quando poi lui e Gesualdo furono congedati e, uscendo, incrociarono due brutti musi di sgherri, che non si erano mai visti prima a corte, i timori di Andrea furono ancor pi? accentuati. Per fortuna il Mancino, in cui aveva cieca fiducia, nelle ore e nei giorni a venire, gli sarebbe stato accanto a difenderlo a costo della sua stessa vita.
Secondo te chi sono quei due, Gesualdo? Sicari, forse? Tagliagole?
Non saprei. ? la prima volta che li vedo. Ma le loro facce non ispirano alcunch di buono. Ma non parliamone qui. Vieni, andiamo a scegliere i cavalli per domattina. Nelle stalle potremo parlare tranquillamente.
Quando Matteo e Amilcare furono dentro il salone, il Duca fece sprangare la porta, poi batt le mani. Subito alcune ancelle, in abiti colorati, dalle trasparenze che mettevano ben in evidenza tutte le loro grazie femminili, raggiunsero la sala da una porta secondaria e iniziarono a danzare sulla base di una melodia suonata da invisibili musicanti, nascosti chiss? dove. Berengario aveva pi? di sessantanni e, in vita sua, aveva avuto ben tre mogli, tutte scomparse in giovane et? e in circostanze misteriose. Qualcuno, a corte, mormorava sul fatto che le avesse fatte uccidere lui stesso, una volta che gli erano venute a noia. Era sempre stato un lussurioso, oltre che un amante delle delizie della tavola, tanto da avere dubbi su quale girone infernale sarebbe andato a finire dopo la sua morte. Ma poco importava. Limportante era godere dei piaceri che la vita offriva, finch poteva. E da questo punto di vista, in privato, non si faceva mancare nulla. Allung? il braccio verso una delle ancelle, quella che indossava una tunica di color rosso acceso, e gliela strapp? via lasciandola del tutto nuda. La ragazza sapeva gi? cosa doveva fare, ed era bene a conoscenza del fatto che, se non avesse assolto a dovere il suo compito, lindomani il suo corpo senza vita sarebbe stato ritrovato in mezzo al bosco da qualche cacciatore. Si avvicin? al Duca e gli abbass? le calze braghe. Poi prese il membro tra le sue mani fino a farlo inturgidire, abbass? i suoi seni prosperosi verso il basso ventre del suo signore, cercando di farlo eccitare sempre di pi?. Solo quando ritenne che luomo era sul punto di esplodere, si rigir? e si fece sodomizzare. Alla fine, il Duca cacci? un grido soddisfatto di piacere e, per ricompensa, infil? una moneta doro nella fossetta tra i seni della giovane, che fu abile a trattenerla senza farla cadere in terra.
Avanti, miei cari ospiti! Ci sono cibo e donne per tutti, qua dentro. Fatevi sotto. Offro io, e oggi sono generoso. E alla fine, parleremo anche di affari.
Le stalle del castello di Massignano erano in grado di ospitare pi? di un centinaio di cavalli, ma al momento ne erano presenti una trentina. Tralasciando le giumente pi? tranquille e docili, il Mancino guid? Andrea fino alla zona in cui erano stati realizzati alcuni scomparti in muratura, dove i destrieri pi? focosi erano rinchiusi a evitare che si innervosissero solo vedendosi tra di loro.
Gli stalloni sono pi? difficili da montare, ma danno molte pi? soddisfazioni. Sono molto pi? veloci e possono scagliarsi contro il nemico infischiandosene delle frecce che sibilano vicino alle loro orecchie. E anche se li appesantisci con le armature, diminuiscono di ben poco il loro rendimento. Ecco qua, disse Gesualdo aprendo la porta di un ricovero, dove un cavallo tutto nero nitr? nervoso alla vista dei nuovi arrivati. Ruffo ? il mio preferito. ? un murgese, un cavallo originario della Puglia, dove un tempo venivano allevati i cavalli per lImperatore Federico II di Svevia e per la sua casata.
Andrea apprezz? le stupende forme del destriero, poi abbass? lo sguardo per studiarne zampe e zoccoli.
Si vede che non ? un cavallo allevato in pianure verdi e umide, ma sulle colline aride e pietrose della Murgia. Amiamo molto ricordare Federico II a Jesi, perch ? la citt? dove egli nacque, e io ho avuto modo di avere tra le mani il suo trattato De arte venandi cum avibus, dove descrive come questi fossero cavalli adatti alla falconeria, in quanto, al contrario di altri, il Murgese non teme un falco o unaquila che gli svolazzino intorno, specie quando essi scendono in picchiata per ritornare sul braccio guantato del padrone
I loro discorsi furono interrotti dalludire voci che indicavano la presenza di altre persone. Il Mancino fece cenno ad Andrea di fare silenzio e di rimanere nascosto, acquattandosi vicino a Ruffo e accostando la porta di legno del ricovero senza chiuderla del tutto. I due sgherri pocanzi incrociati nelle stanze di sopra avevano forse avuto la loro stessa idea, quella di venire a scegliere i cavalli per lindomani. Convinti che non ci fosse nessuno nelle stalle, parlavano a voce piuttosto alta, cosicch era facile captare i loro discorsi. Un groppo sal? alla gola di Andrea quando i tipi si fermarono proprio avanti alla porta semichiusa del ricovero di Ruffo. Lidea di essere scoperti l? dentro e doverli affrontare non ? che gli garbava molto, anche perch sia lui che Gesualdo erano disarmati.
Per fortuna i due passarono oltre.
Meglio non rischiare di cavalcare stalloni che non conosciamo, disse quello pi? anziano e pi? brutto, un tipo dal viso butterato incorniciato da una barba spelacchiata. Prendiamo piuttosto due giovani castroni. Tanto abbiamo il vantaggio della notte. Raggiungeremo con comodo la Torre di Montignano e avremo tutto il tempo di preparare limboscata. Sar? un lavoro semplice e veloce e il Duca sapr? ben ricompensarci.
Laltro accompagn? le ultime parole dette dal compare con una sonora e grassa risata. Sotto gli occhi increduli di Andrea e Gesualdo, che continuavano a rimanere ben nascosti, gettarono le loro misere bisacce sui primi due cavalli che capitarono loro a tiro, saltarono in groppa agli animali e scomparvero nel buio della notte, lasciando dietro di s la scia delle loro risate sguaiate e del loro odore pestilenziale.
CAPITOLO 5
Cultura ? quella cosa che i pi? ricevono,
molti trasmettono e pochi hanno.
(Karl Kraus)
Anche quella mattina, Lucia si risvegli?, con i primi raggi del sole che filtravano dalla persiana, tra le braccia confortanti di Andrea. Il suo corpo nudo, saturo damore, dellamore dato e ricevuto durante la nottata, era protetto dalle braccia forti e muscolose del suo amato, che lo racchiudevano come un guscio. Conosceva Andrea da cos? poco tempo eppure ne era talmente innamorata che non avrebbe pi? potuto concepire la sua vita senza di lui. Se in quel momento si fosse svegliata su un letto da sola, gi? si sarebbe ritrovata con una sigaretta accesa fra le dita, ancor prima di alzarsi. E invece ora no, ora cera Andrea ad appagarla, e non cera bisogno di nientaltro. Aveva scoperto in lui un uomo appassionato di cultura, di storia, di letteratura antica e moderna, e questo faceva di quel giovane il compagno ideale per lei, con cui condividere interessi e passioni, oltre la dimora e il letto. Gli aveva chiesto pi? di una volta che lavoro facesse e lui aveva sempre risposto in maniera evasiva: lantropologo, larcheologo, il geologo. Insomma, ancora non aveva capito quale fosse esattamente la sua fonte di sostegno economico. Per essere un ricercatore, come si definiva, doveva avere un supporto, essere un borsista in una qualche Universit? come minimo, italiana o straniera che fosse. Oppure avere finanziamenti da qualche importante organizzazione privata interessata ai suoi studi. Sapeva bene lei come fosse difficile portare avanti delle ricerche con gli scarsi fondi messi a disposizione dal governo e dal Ministero dellUniversit? e della Ricerca. Sembrava invece che Andrea avesse disponibilit? economiche sufficienti per realizzare tutto quello che gli passava per la testa. Ma forse era supportato dalla ricchezza della sua famiglia di origine. Chiss?, magari i Franciolini, nel tempo, avevano saputo amministrare i loro beni in maniera pi? efficace e produttiva rispetto ai Baldeschi-Balleani. Ma che importava? Lei ora godeva ancora del calore del contatto pelle contro pelle, contrastato dal fresco delle lenzuola che ricoprivano in parte i loro corpi. Fuori ben presto il sole avrebbe picchiato forte, ma le spesse mura dellantico Palazzo Franciolini mantenevano lambiente fresco anche in piena estate, senza bisogno di installare alcuno split di aria condizionata.
Aveva cercato di limitare al massimo i suoi movimenti, ma a un certo punto Andrea aveva percepito il suo risveglio, aveva appena aperto le palpebre a fessura, aveva avvicinato le labbra al suo viso, le aveva stampato un bacio su una guancia e laveva sciolta dallabbraccio con delicatezza. A quel punto Lucia, anche se a malincuore, decise di alzarsi. Raggiunse il bagno e fece scivolare a lungo lacqua tiepida della doccia sul suo corpo, poi, ancora in accappatoio e con i capelli bagnati, guadagn? la cucina e prepar? il caff?, per lei e per Andrea. Si sedette al tavolo, con la tazza fumante avanti a s, riprendendo con avidit? la lettura del testo che aveva lasciato l? sopra la sera precedente. Attirato dal forte odore della bevanda, in breve apparve Andrea, che tir? gi? il suo caff? dal bricco e si sedette di fronte a lei, attivando il tablet per leggere le notizie della mattina sul sito dellANSA.
Non capisco perch non accenda la televisione, anzich rovinarti la vista su quel piccolo schermo. In certi canali ci sono notiziari in continuazione e
Non ? lo stesso, la interruppe Andrea. Certe notizie particolari in TV non le passano. Sto seguendo con attenzione le vicende dei siti archeologici oggetto di distruzione da parte dei Jihadisti, degli estremisti islamici. I notiziari ufficiali ci stanno facendo credere che la situazione sia molto pi? grave di quello che non ? nella realt?. Ma comunque, per me, la perdita di reperti vecchi di millenni resta comunque un fatto di estrema gravit?. Quando alcune di queste zone saranno liberate, credo che potrei essere pronto a partire subito per valutare i danni e aiutare alla ricostruzione storica delle antiche citt?. Abbiamo visto lo scorso anno con Ninive che si ? potuto recuperare molto di ci? che i militanti dellISIS avevano mostrato come distrutto.
E lasceresti me qui da sola per dei ruderi vecchi di millenni?, si rivolse a lui afferrandogli la mano e trattenendola tra le sue.
Se tu non volessi seguirmi, s?. Il lavoro ? lavoro, e il mio lo ritengo molto appassionante. Certo, non che smetterei di amarti, ma non rinuncerei comunque ai miei impegni.
Fingendo di fare un po loffesa, Lucia ritir? le mani, cerc? il pacchetto delle sigarette e ne accese una.
Senza magari disdegnare qualche avventura amorosa esotica, eh? Mmmm Mai fidarsi degli uomini: sono traditori per natura.
Lucia aspir? a lungo dalla sigaretta e sbuff? il fumo verso di lui, che gliela prese via dalle mani e fece a sua volta una tirata.
Oh, non io. Sono un uomo fedele!
Questa affermazione ? tutta da valutare. Hai trentanni suonati e fai lamore come una persona esperta della materia. Non so niente della tua vita precedente. Chiss? quante donne hai avuto prima di me!
Come per non invischiarsi in un discorso che non volesse affrontare per nessun motivo al mondo, Andrea cambi? argomento.
Ma veniamo al tuo lavoro, piuttosto. Che cosa hai trovato di cos? interessante nellumile biblioteca di questa dimora, da farti stare in piedi fino alle due di notte e ritrovarti qui alle sette della mattina che gi? hai ripreso la lettura?
In attesa di una risposta, Andrea schiacci? nel posacenere la sigaretta consumata solo per met?. Lucia, non soddisfatta della dose di nicotina assunta, tir? fuori dallastuccio la sigaretta elettronica e ag? sul tasto daccensione. Il vapore sbuffato dalla giovane si dilegu? nellaria della cucina.
Questi documenti si riferiscono alla storia di questa citt? nei primi decenni del XVI secolo, e sono interessanti, perch descrivono gli eventi succeduti alla morte del Cardinal Baldeschi, in maniera diversa da come li conoscevo e da come sono descritti nei testi ufficiali della storia di Jesi. ? molto strano come la copia de La Storia di Jesi conservata in questo edificio, che dovrebbe essere gemella delle altre due rinvenute nel Palazzo BaldeschiBalleani e nella Biblioteca Petrucciana, non abbia le pagine strappate, ma sia integra. Ma quello che ? pi? interessante ? che alcuni particolari sono riportati in maniera difforme rispetto agli altri testi che ho avuto modo di avere sotto mano.
Ad esempio?, chiese Andrea incuriosito.
Ad esempio, io ero convinta che un alto prelato della famiglia Ghislieri fosse succeduto alla carica Vescovile al Cardinale mio avo. Invece sembra che le cose fossero andate ben diversamente e il Ghislieri sia giunto a ricoprire questa carica solo dopo un certo periodo di tempo. Pensavo che mai la mia antenata Lucia Baldeschi avrebbe assunto la carica di Capitano del Popolo e invece qui viene riportato che dal 1522, per un certo periodo, il governo della citt? fu portato avanti, anche se in collaborazione con la nobile casta jesina, da una donna, che addirittura aveva scongiurato una ribellione popolare, riappacificando gli animi infiammati con la sua sensibilit? femminile. Molto strano per quei tempi!
Credo che di certe notizie si debba valutate la veridicit?. Non ? infrequente che in documenti di epoche remote siano riportati clamorosi falsi storici. E poi spesso chi redigeva queste cronache tendeva a mescolare realt? e leggende in maniera davvero facile. Su, vestiamoci e usciamo a fare quattro passi per il centro storico, prima che laria, l? fuori, si scaldi troppo. A volte le pietre rivelano molto pi? dei libri, se uno le sa interpretare. Lasciati guidare da un archeologo, e non te ne pentirai!
Convinta che Andrea sapesse molte pi? cose di quelle che nel giro di alcuni mesi le aveva rivelato, corse in bagno, diede una botta di fon ai capelli per finirli di asciugare, si trucc?, si infil? una maglietta e un paio di jeans e si ripresent? in cucina pronta per uscire. Sent? locchiata compiaciuta di Andrea su di lei, rendendosi conto che, non essendosi affatto preoccupata di indossare un reggiseno, la forma dei suoi capezzoli era distintamente stampata sulla t-shirt. Ma chi se ne importava. Se anche Andrea fosse stato geloso delle sue grazie, meglio cos?: uomo geloso, uomo innamorato!
Mentre risalivano, mano nella mano, le scalette di Costa Baldassini, godendo dellaria ancor fresca delle prime ore del mattino, Lucia lasciava che le pietre delle antiche costruzioni le sussurrassero storie vecchie di secoli, rimuginando nella sua testa quanto aveva letto la sera precedente.
MISERIA
Le scorrerie degli eserciti invasori non erano terminate e, tra il 1520 e il 1521 sostarono dalle nostre parti gli uomini di Giovanni De Medici prima e quelli di Leone X poi. Erano, questi ultimi, Svizzeri assoldati dal Papa, e che si erano trattenuti per ventisei giorni, recando danni infiniti alla citt? e al contado.
Oltre ai danni e alle angherie, la peste era tornata come un incubo a terrorizzare la popolazione. In un Consiglio generale del 6 dicembre 1522, trattandosi di provvedere sopra un minacciato passaggio di 2.500 spagnoli militanti al
soldo del Papa, si deliber? di fare il possibile per allontanarli, anche con qualche dono, e se volessero venire ad ogni modo, di riceverli fuori della citt?, essendo risaputo che essi portavano con loro il contagio. Tutta lItalia, del resto, in quegli anni era ridotta nelle pi? misere condizioni. Alle rovine e carneficine causate dalle battaglie e dalle scorrerie degli eserciti stranieri, si aggiungevano le alluvioni e la peste, che continuava ovunque a fare le sue vittime. Nonostante lopera preventiva dei cittadini, il terribile morbo, secondo alcuni, in particolare secondo lo storico Antonio Gianandrea, sarebbe giunto a Jesi per via dAncona, in certe balle di corde. Dicesi anche che detta peste venne per giusto giudizio di Dio, perch lanno avanti alcuni giovani, trovando un corpo morto di un forestiero in casa Caldora, tutto intero, per gioco, lo portarono nei giorni di Carnevale in maschera per la citt? e, non essendo stati di ci? puniti, ma piuttosto da tutto il popolo aiutati, in sogno apparve loro limmagine di un uomo nero che li avvertiva che poco appresso sarebbero morti di peste. Sta di fatto che la peste gett? la popolazione nella miseria pi? nera.
Gi? lanno prima una moltitudine di locuste avevano quasi mangiato tutte le biade, apportando una grandissima fame e tante altre miserie, che fu opinione universale che, se il Magistrato non avesse aiutato molti col denaro pubblico e ordinato che si premiassero quelli che ammazzavano una certa quantit? di locuste, lanno seguente una buona parte della cittadinanza sarebbe morta di fame. Fu tale la miseria che i pi? poveri, non avendo di che sfamarsi, erano costretti a cibarsi di erbe, come le bestie, e di qualche quantit? di semola.
Intanto i due giovani, quasi col fiatone, erano giunti in cima alla salita, avevano percorso un breve tratto di Via Roccabella ed erano sbucati in Piazza Colocci, illuminata dal sole di una splendida giornata di luglio, fermandosi ad ammirare la facciata del Palazzo del Governo, dai pi? conosciuto come Palazzo della Signoria.
Non capisco perch si insista a chiamarlo Palazzo della Signoria, quando a Jesi una vera e propria Signoria non ? mai esistita, esord? Lucia rivolta al suo erudito compagno, sperando nel suo solito competente intervento.
E in effetti Jesi era una Repubblica, come vediamo riportato in diverse scritte sulle icone delle pareti di questo palazzo. Una repubblica comunque assoggettata al pi? alto potere papale, che estendeva fin qui le sue ali protettive: Res Publica Aesina, Libertas ecclesiastica - Alexander VI pontifex maximus. Questo per ricordare a tutti che lo stesso Papa Alessandro VI, nellanno 1500, inaugur? e bened? questo palazzo, opera dellarchitetto Francesco di Giorgio Martini, concedendo alla citt? di Jesi di continuare a essere una repubblica indipendente e di continuare a poter fregiare il simbolo della citt?, il leone rampante, con la corona regale, purch fosse comunque ossequiosa del potere della Chiesa, e nel contempo accettasse limportante presenza di un legato pontificio.
Interessante. Quindi ? evidente che il nome Palazzo della Signoria sia legato allarchitetto che lo ha realizzato, e che ? tra coloro che progettarono il Palazzo Vecchio a Firenze. In quel momento Lucia pos? lo sguardo sullicona in marmo, raffigurante in rilievo il leone rampante, sovrastato da una posticcia corona di bronzo. Sotto licona, una scritta in un latino poco comprensibile. Sembra che quella corona, al di sopra del leone, centri ben poco con il resto dellopera. Perch lo scultore che ha realizzato lopera non ha scolpito anche la corona sopra la testa del leone? E questa iscrizione? Un latino molto approssimativo, direi. Neanche le date sono scritte in maniera corretta!
MCCCCLXXXXVIII
AESIS REX DEDIT FED IMP
CORONAVIT RES P. ALEX
VI PONT INSTAURAVIT
Certo, replic? Andrea. ? un latino piuttosto maccheronico, ma che vogliamo farci, qui siamo tra la fine del 1.400 e linizio del 1.500. Forse la grammatica latina era caduta nel dimenticatoio. Ma il senso della frase ? che nel 1498, con la benedizione di Papa Alessandro VI - Rodrigo Borgia - nella facciata del Palazzo della Signoria di Jesi al leone rampante fu aggiunta la corona, in onore dei natali dati dalla citt? all'Imperatore Federico II. Ma se sollevi lo sguardo vedi anche che il Papa fece aggiungere unaltra icona, quella raffigurante le chiavi incrociate, simbolo del vaticano, e la frase LIBERTAS ECCLESIASTICA MCCCCC, per rafforzare il concetto di cui parlavamo pocanzi.
Cercando di tradurla alla lettera, il senso della frase mi sembra un po diverso, prosegu? Lucia. Prendendo il leone come soggetto sottinteso della frase, si potrebbe tradurre: Re Esio lo diede, Federico imperatore lo coron?, a simbolo della Res publica, Alessandro VI Pontefice lo instaur?. Ossia, Re Esio, il mitico fondatore della citt? di Jesi, indic? il leone come simbolo della stessa; in seguito, lImperatore Federico II, che ebbe i natali qui a Jesi, lo fece incoronare proclamando la citt? regia, ossia fedele allImpero; infine Papa Alessandro VI fece installare il simbolo sulla facciata del palazzo, a suggellare il fatto che Jesi rimaneva comunque una repubblica indipendente, sia pur soggetta allautorit? ecclesiastica.
Dubbioso, Andrea rimase qualche istante in silenzio, poi riprese, non senza una punta di scetticismo.
Dovrei consultare alcuni testi per risponderti in maniera adeguata. In ogni caso, su un fatto hai di certo ragione: la corona in bronzo ? stata aggiunta in maniera posticcia in un tempo posteriore allesecuzione della scultura vera e propria.
CAPITOLO 6
Tutto prendeva luce da lei: era lei il sorriso che illuminava tutto, dogni intorno.
(Leone Tolstoj: Anna Karenina)
Le luci del pomeriggio gettavano ombre sinistre sui volti della folla infuriata. Lucia fu lesta a risalire di corsa la Costa dei Pastori, percorrere in diagonale la buia strada che correva sotto le mura della Rocca e spuntare nella Piazza del Governo, prima ancora che il primo dei facinorosi giungesse in quel luogo risalendo la Costa dei Longobardi. Sal? i tre gradini che conducevano al sagrato della Chiesa di SantAgostino, rimanendo cos? in posizione pi? elevata rispetto alla Piazza. Di fronte a lei, dalla parte opposta del piazzale, si ergeva il Palazzo del governo, da poco terminato e rifinito anche allinterno grazie allopera di illustri architetti, quali Giovanni di Gabriele da Como, Andrea Contucci, detto il Sansovino, e altri insigni scultori e intagliatori di legno. Solo il fabbro lignario doveva ancora completare il suo lavoro: gli era stato assegnato il delicato compito di intagliare e lavorare di rilievo i soffitti della Sala Grande, di quella della cancelleria, della Camera del Podest? e di altre stanze.
Quando le prime persone armate di rudimentali attrezzi, quali forconi, asce, vanghe, ma anche coltelli e lance rimediate chiss? dove, iniziarono a giungere rumoreggiando nella Piazza del Governo, Lucia cerc? di ergersi in tutta la sua altezza, per farsi notare da tutti, sovrastando la folla. Era emozionata, aveva il cuore in gola, non sapeva se le parole che sarebbero uscite dalla sua bocca potevano essere quelle giuste. Ma doveva tentare il tutto per tutto. Qualcuno inizi? a riconoscerla, indicandola ad altri, a coloro che man mano stavano invadendo la Piazza.
? la nobile Lucia Baldeschi! La promessa sposa del mancato Capitano del Popolo!
Gi?, avessimo avuto Andrea dei Franciolini a capo della citt? e del contado, non saremmo di certo ridotti cos?!
Lucia temeva che qualcuno, a quel punto, potesse dire che lei era daccordo con il suo malvagio zio per far fuori Andrea, e che se questultimo non era stato giustiziato era stato per un puro caso, e non certo per la sua intercessione. Non si era nemmeno resa conto che tutto intorno a lei si stava formando come unaura luminosa, cos? intensa che la gente ne ebbe quasi timore. Mentre il sole calava, la Piazza era illuminata dalla luce che lei stessa sprigionava da l?, dal sagrato della chiesa. Quando alz? le braccia e tutti si ammutolirono, a Lucia non sfuggirono le frasi bisbigliate da chi era pi? prossimo a lei.
? una santa. ? la Vergine Maria fatta persona!, dicevano inginocchiandosi e lasciando cadere a terra le loro armi. Tutto ci? infuse maggior coraggio in lei, che sapeva di avere poteri al di sopra della norma, che a volte sfuggivano al suo controllo, come in questo caso. Ma non poteva perdere tempo a correre dietro ai suoi pensieri, al fatto che se la nonna avesse avuto il tempo necessario a finirla di istruire, ora avrebbe saputo controllare alla perfezione queste sue capacit?. Doveva parlare a chi le stava di fronte. Lasci? dunque che le sue parole fossero ispirate dallo spirito della sua nonna, che forse ancora aleggiava indomito intorno a lei.
Ors?, signori, sollevarsi contro le autorit? non ha alcun senso. L? dentro quel Palazzo, i nobili e gli anziani di Jesi, quelli che noi chiamiamo il Consiglio dei Migliori, stanno solo aspettando una guida forte. E questo ? il momento giusto. S?, perch il Papa Adriano VI ha deciso di richiamare il legato pontificio, ritenendo che il Cardinal Cesarini sia pi? utile a Roma, che non qui a Jesi, dove peraltro non ? quasi mai presente. E questo ? un bene per noi!
La notizia, ancora sconosciuta alla maggior parte dei presenti, anche perch solo in parte vera, fece il suo effetto e il brusio cominci? a sollevarsi tra la folla, costringendo Lucia ad alzare il tono della voce, fin quasi a provare dolore alla gola.
Come dicevo questo ? un bene per noi. Abbiamo pieno diritto di cacciare gli esosi vicari del Cardinale. E lo faremo senza spargimento di sangue. Gi? so di avere lappoggio del Papa, a cui ho inviato delle missive in proposito, tramite dei messaggeri che sono gi? in viaggio per Roma. Padre Ignazio Amici, il Domenicano Inquisitore, sta gi? facendo i bagagli, ma state certi che non sar? il solo a lasciare la citt? nei prossimi giorni. E avremo di nuovo un Vescovo Jesino, il Cardinale Ghislieri. Avanti, dunque, deponete le armi, tornate a casa e dormite sonni tranquilli. Anche perch e questa ? una solenne promessa da parte mia domani mattina stessa varcher? quel portone, s?, il portone del Palazzo del Governo. Mi presenter? al Consiglio dei Migliori e reclamer? la carica che mi spetta di diritto, per essere stata promessa in sposa ad Andrea Franciolini: SAR? IL VOSTRO CAPITANO DEL POPOLO!
Lentusiasmo esplose tra gli astanti, chi era in ginocchio si sollev?, tutti abbandonarono attrezzi e armi che avevano in mano, qualcuno si diresse verso la giovane nobildonna per sollevarla e portarla in trionfo lungo Via delle Botteghe fino a Piazza del Mercato. Lucia, sollevata dalle braccia di alcuni energumeni, sorrideva, e il suo sorriso illuminava tutto e tutti. A un certo punto anche le campane delle varie chiese iniziarono a suonare a festa. Quando il corteo giunse dinanzi a Palazzo Baldeschi, Lucia chiese di essere messa a terra, perch era molto stanca e voleva rientrare nella sua dimora per riposare.
Andate ora, e ritornate domani a festeggiare il nuovo Capitano del Popolo e il nuovo Vescovo di Jesi.
Mentre la folla si disperdeva e Lucia stava per varcare la soglia del suo palazzo di famiglia, a molti non sfuggirono i movimenti l?, allingresso di Palazzo Ripanti. Il vicario del Cardinal Cesarini stava facendo caricare in fretta e furia i suoi bagagli su un carro trainato da cavalli.
Quel bastardo ha mangiato la foglia e se ne sta gi? andando!, disse tra s e s. Meglio cos?. Non sono cos? sicura di poter controllare tutti coloro che reclamano la sua testa.
Le emozioni di quel giorno erano state tali e tante da far sprofondare Lucia in un sonno profondo, senza aver neanche cenato. Avrebbe desiderato fare un bagno caldo prima di coricarsi, ma a palazzo non aveva pi? neanche unancella che si prendesse cura di lei. Inoltre, col fatto che aveva preferito adottare per le bambine la residenza di campagna, aveva trasferito l? la maggior parte dei domestici e nellaustero palazzo Baldeschi era rimasta ben poca servit?, per lo pi? maschile, che si occupava delle cucine e delle stalle.
Fu risvegliata da un insistente bussare alla porta della sua camera, che ancora non si era fatto neanche giorno. A fatica, si sollev? dal letto, si diede una sistemata alla belle meglio e apr? la porta di uno spiraglio, per vedere chi fosse che la disturbava a quellora insolita. Un giovane ragazzo, ancora imberbe, ma vestito di tutto punto in farsetto, calze braghe e con in testa un cappello dalla lunga piuma, fece una riverenza e cerc? di scusarsi per lorario, quasi balbettando.
Scusatemi tanto, Madonna, ma quello che devo riferirvi ? della massima urgenza. Mi manda il boia, dalla Piazza della Morte.
A Lucia sal? un groppo alla gola e la sua mente, da assonnata qual era, ritorn? lucida allimprovviso, ricordandosi che quello era lorario deciso per lesecuzione capitale di Mira. Che stava succedendo? Perch mai il boia aveva mandato questo giovane a scomodarla?
Attendi qualche istante, ragazzo. Mi rendo presentabile e sono subito da te. Accomodati in una delle seggiole lungo il corridoio. Faccio prima che posso.
Si acconci? i capelli, indoss? un abito sobrio che le concedesse libert? di movimenti, e in breve raggiunse il giovane nel corridoio.
Allora? Cosa succede?
Il boia vi vuole in Piazza della Morte.
Perch mai?, rispose Lucia indignata. Avevo detto chiaramente che giammai avrei voluto assistere allesecuzione della mia ancella! Quindi, perch disturbarmi?
C? un problema. Lultimo desiderio di un condannato a morte ? sacro e deve essere esaudito. Il boia non pu? procedere finch la vittima non sia stata soddisfatta. ? una legge non scritta, ma per Gerardo, il nostro boia, ? una questione donore.
E io cosa centro, di grazia? Quale sarebbe lultimo desiderio di Mira?
? questo il punto. La vostra ancella ha chiesto che voi le siate vicina in punto di morte. Dovete venire.
Non se ne parla nemmeno. Ho giurato a me stessa che non avrei mai pi? assistito a unesecuzione capitale.
In questo caso sar? costretto ad andare a svegliare il giudice Uberti, che non ne sar? molto contento...
Avendo capito lantifona, e sapendo che in quei giorni era meglio non mettersi a piantare grane con le autorit? della vecchia guardia, Lucia decise di seguire il giovane in Piazza della Morte. In fin dei conti, da l? a poche ore si sarebbe presentata a Palazzo del Governo e avrebbe per sempre dato il ben servito alle vecchie cariatidi, che ormai non avrebbero pi? continuato a ricoprire cariche pubbliche. Quindi era meglio non iniziare a inimicarsi giudice e quantaltri prima del tempo.
Camminando lungo via delle Botteghe nellumidit? dei primi albori, Lucia si strinse nel vestito percorsa da un brivido di freddo, nonostante si fosse gi? nel pieno della stagione estiva. Attravers? Porta della Rocca continuando a seguire il ragazzo che le faceva strada, ma quando intravide la sua giovane ancella, il cuore le fece un balzo, lo sent? pulsare in gola e non riusc? a trattenere le lacrime che cercavano di sgorgare dai suoi occhi. Mira aveva la testa gi? appoggiata sul ceppo. Il boia era l? a fianco a lei, col cappuccio in testa e la scure affilatissima poggiata in terra. Non aveva dovuto prendersi neanche la briga di raccoglierle i capelli della condannata in una coda o in una crocchia, in quanto il giorno precedente ci avevano pensato i torturatori di Padre Ignazio Amici a farglieli tagliare quasi a zero. La nobildonna si sent? addosso lo sguardo supplichevole della sua ancella e non pot fare a meno di avvicinarsi, carezzandole la nuca e avvicinando le sue labbra alla guancia della ragazza.
Mira
Lancella abbass? lo sguardo e si rivolse alla sua vecchia padrona con un filo di voce.
Adesso posso morire felice. Ho voi qui accanto. So che mi avete risparmiato un pi? atroce supplizio e volevo ringraziarvi personalmente prima di morire. Pregate per me, e raccomandate la mia anima al Signore.
Lucia prese la mano di Mira, le si avvicin? di pi? e le sussurr? delle parole allorecchio, in modo che n il boia, n il ragazzo che laveva accompagnata potessero udire.
Potrei risparmiarti anche questo di supplizio. Ho delle monete doro con me. Potrei pagare il silenzio di questi due. Posso mandare il ragazzo dal falegname a chiedergli di fare una cassa, dicendo che questo era il tuo ultimo desiderio: essere seppellita allinterno di un sarcofago. Il boia non ti uccider? ma racconter? a tutti di averlo fatto. Gli far? riempire la cassa con delle pietre, in modo che pesi come se contenesse il tuo corpo, e la far? sistemare nei sotterranei della Chiesa della Morte. Nessuno andr? a guardarci dentro. Tu scapperai gi? per la discesa e raggiungerai il convento delle Clarisse della Valle. Vestita da suora non ti riconoscer? nessuno. Lascia passare del tempo e poi allontanati da Jesi. Potrai rifarti una vita da qualche altra parte
No, mia Signora. La morte non mi fa pi? paura. La mia vita finisce qui, oggi, su questa Piazza, su questo ceppo. Provvedete solo a che il mio corpo abbia una degna sepoltura.
Mira rivolse lo sguardo verso Gerardo, annuendo con la testa. Il boia cap? al volo. Il desiderio della condannata era stato esaudito, si poteva procedere. Lucia fece un passo indietro, lasci? la mano di Mira, mentre la scure si sollevava. Guard? gli occhi del boia attraverso i fori praticati nel cappuccio e le sembr? di scorgerli lucidi. Ma non fece in tempo a verificare la veridicit? della sua sensazione, perch con un colpo secco lo strumento si abbatt sul collo della vittima. La testa rotol? sul selciato, mentre il resto del corpo fu scosso da convulsioni per alcuni brevi istanti, fino a che si irrigid? e cadde di lato. Gli schizzi di sangue provenienti dal collo sfiorarono Lucia, ma non una goccia and? a imbrattare le sue vesti.
Dopo un attimo di silenzio assoluto, si sent? in lontananza il canto di un gallo. Si stava facendo giorno, quando la Piazza della Morte fu attraversata da un grido prolungato, un grido proveniente dalla viscere di Lucia Baldeschi.
Noooooooo!
CAPITOLO 7
Le cavalcature erano veloci e non temevano le salite, le discese e i sentieri in mezzo alla boscaglia. Cos?, per evitare il centro di Ancona, Andrea e Gesualdo avevano attraversato la stretta vallata tra le colline, erano risaliti per il Taglio di Candia e, lasciando sulla loro sinistra la Rocca di Montesicuro, erano discesi verso Paterno. Da l?, avevano raggiunto in breve il castello delle Torrette, possedimento dei pacifici Conti Bonarelli. Le porte del castello, come al solito, erano aperte, e pertanto Gesualdo fece cenno al suo giovane amico di attraversare il cortile interno senza fermarsi a dare tante spiegazioni.
Ehi, voi! Rallentate e scendete da cavallo. Non conoscete le buone maniere, zotici villani?, li apostrof? una guardia, che gi? aveva preso una freccia dalla faretra e stava armando la sua balestra, mentre i due cavalieri sollevavano la polvere del piazzale facendo schizzare via impaurito chiunque si trovasse sul loro percorso.
Gesualdo sollev? il gonfalone con le insegne del Duca di Montacuto, invitando Andrea a fare altrettanto, a far capire con chi aveva a che fare chi si intrometteva sul loro cammino. La guardia li scrut? in cagnesco, sput? in terra, ma abbass? larma. In pochi istanti, i due sbucarono dalla porta settentrionale del castello e si ritrovarono sullampia sterrata che correva lungo la costa fino alla foce dellEsino.
Ormai il sole era alto, quando Gesualdo rivolse per la prima volta la parola ad Andrea. Il mare, sulla loro destra, era attraversato dagli splendidi riflessi donati dai raggi solari. Era tale il bagliore che si rischiava di accecarsi rivolgendo lo sguardo alla distesa dacqua. A sinistra la collina digradava ripida fino alla strada, a tratti con cenge rocciose, a tratti con le ultime propaggini di un intricato bosco di querce castagnole, rovere e roverelle.
Fra breve saremo a Rocca Priora. ? territorio Jesino, ma ho degli amici. Ci fermeremo a rifocillarci e chiedere notizie sulla sicurezza del percorso. Sappiamo bene che delle brutte facce dovrebbero essere passate prima di noi. Se ? gente intelligente non si dovrebbe essere fatta notare. Ma ho avuto limpressione che quei due fossero degli stolti, disse Gesulado tirando le redini e rallentando il suo palafreno.
Andrea si adegu? e i cavalli passarono dal veloce galoppo a unandatura pi? moderata, a un trotto che costringeva i cavalieri a stringere le ginocchia e assecondare i movimenti degli animali.
Stolti e ubriaconi, ma non per questo meno pericolosi, anzi!, replic? Andrea, dando unocchiata alla rocca a cui si stavano avvicinando. Guarda, Gesualdo! Non ti sembra strano? ? un avamposto di confine, ma non ci sono scolte sul camminamento della guardia.
Non fece in tempo a terminare la frase, che il suo destriero si impenn? in quanto due frecce erano giunte sibilando e si erano conficcate nel terreno a pochi passi dalle sue zampe. Andrea dovette reggersi forte per non essere disarcionato, ma si mantenne in sella, gett? lo sguardo verso il suo anziano compagno e cap? al volo quello che Gesualdo aveva intenzione di fare. Questultimo fece scartare il cavallo sulla destra, fino a farlo girare su se stesso, per dare limpressione al nemico che stesse battendo in ritirata. Andrea lo imit?, andandogli appresso. Ritornarono indietro per un breve tratto sullo stradone, poi piegarono verso lentroterra e si immersero nellintricata foresta ripariale, costituita per lo pi? da pioppi e salici. Mentre i pioppi svettavano in alto, i salici offrivano una buona protezione ai due cavalieri, che muovendosi con circospezione, cercando di fare in modo che il loro passaggio non agitasse le chiome degli alberi pi? di quanto non facesse il vento, raggiunsero il greto del fiume Esino, che in quel periodo dellanno era piuttosto basso, per il fatto che la stagione era ormai asciutta da diverso tempo. Fecero immergere i cavalli in acqua per raggiungere laltra riva e giungere alla Rocca senza attraversare il ponte che stavano per percorrere pocanzi, quando erano stati attaccati.
Fai attenzione. Laltra riva ? costituita da terreni paludosi. I cavalli potrebbero affondare nel fango e saremmo costretti ad abbandonarli. E non sarebbe una buona cosa rimanere a piedi. Dobbiamo rimanere in acqua. Vedi quel canale? Porta lacqua del fiume al vallo che circonda la rocca. Raggiungeremo il retro del castello attraverso il fossato. Ricordo che l? c? una porta di servizio, che non sar? difficile scardinare. ? una porta di legno, che permette di introdursi negli scantinati. Non sappiamo cosa sia successo. Forse i nostri due amici hanno colto di sorpresa le guardie e sono allinterno del castello, ma non ne sono sicuro. Ho udito con le mie orecchie che ci avrebbero atteso alla torre di Montignano, che ? un presidio molto meno protetto ed ? gi? in territorio di Senigallia.
E cosa pensi che sia successo qua?
Forse il castello, a nostra insaputa, ? stato vittima di un attacco nemico, magari ? caduto nelle mani dei soldati del Duca Della Rovere. Non lo so, ma di una cosa sono sicuro: che chiunque ci abbia tirato quelle frecce si trova allinterno della rocca. Non sono state lanciate dallalto, dai camminamenti della guardia, ma da alcune feritoie che si aprono tra il primo e il secondo piano. Se abbiamo fortuna, entreremo nella Rocca dalle cantine e prenderemo di sorpresa questi nostri nemici, che secondo me non dovrebbero essere numerosi.
No, Gesualdo, potrebbe essere un suicidio. Non sappiamo con chi abbiamo a che fare, n sappiamo quanti uomini troveremo l? dentro. Piuttosto cerchiamo di defilarci dal retro del castello e allontanarci verso nord.
Forse hai ragione, mio giovane amico. Vedo che hai la mente di un abile stratega, piuttosto che limpulsivit? di un anziano guerriero come me, che cerca sempre lo scontro a qualsiasi costo. E questo ? un bene.
Intanto avevano raggiunto il fossato che circondava la rocca e ora si trovavano sotto il ponte levatoio, stranamente abbassato, nonostante le ostilit? mostrate pocanzi dallinterno. Sempre rimanendo in acqua e facendo il minor rumore possibile, aggirarono la costruzione, raggiungendo il lato che guardava il mare, su cui non si apriva alcuna finestra, al fine di non offrire facili accessi ai pirati provenienti dallAdriatico.
In questo punto non dovrebbe essere rischioso abbandonare il vallo, sussurr? il Mancino, cercando di tenere il tono della voce il pi? basso possibile. Ci ritroveremo nel terreno ghiaioso che da qui giunge fino alla riva del mare.
In effetti in quella zona il terreno non era paludoso, e i detriti portati dal fiume Esino nel corso dei secoli avevano formato una spiaggia di ghiaia e ciottoli, molto bella a vedersi, quanto insidiosa per gli zoccoli e per le zampe dei cavalli. Come gli animali furono allasciutto, i cavalieri li spronarono per allontanarsi a unandatura veloce, ma il fondo ghiaioso ostacolava i movimenti degli animali, che pi? cercavano di prendere il via, pi? affondavano tra i sassi. A un certo punto, il cavallo di Gesualdo si pieg? sulle zampe anteriori, rimanendo inginocchiato: il cavaliere, sbilanciato in avanti, fu sbalzato dalla sella e si ritrov? a terra, per rimettersi in piedi con unabile capriola. Ritorn? al cavallo, riprese le redini, gli grid? di rialzarsi e salt? di nuovo in sella.
Vedo con piacere che ancora sei agile come un giovanotto, nonostante let? e nonostante tu abbia luso di un solo braccio. Complimenti. Avevo ragione a volere uno come te al mio fianco per questo periglioso viaggio!, fece Andrea, che nonostante la situazione non aveva perso lo spirito.
Ma il trambusto, il rumore delle zampe dei cavalli sulla ghiaia, le grida umane e i nitriti equini, non erano di certo passati inosservati dallinterno della rocca, dalla quale in quel momento stavano fuoriuscendo tre cavalieri bardati di armatura, con le celate strette in testa e con le lance in resta.
Come volevasi dimostrare!, imprec? Gesualdo. Le insegne sono quelle Roveresche. Scappiamo, finch siamo in tempo. Non ci tengo a essere infilzato dalle loro lance. Abbiamo un po di vantaggio. E anche i loro cavalli avranno difficolt? a galoppare sulla ghiaia. Mettiamo i nostri destrieri al passo e dirigiamo verso nord lungo la spiaggia. Se manteniamo la distanza non ci raggiungeranno. Appena possibile ci butteremo nellentroterra e dirigeremo verso il centro abitato di Monte Marciano. Il Piccolomini si ? sempre mantenuto neutrale, sia nei confronti di Jesi, che di Senigallia. Gli sgherri del Della Rovere non ci inseguiranno.
Ma poco pi? avanti, sempre sulla spiaggia, verso nord, scorsero un gruppo di guerrieri a piedi, vestiti con casacche colorate, anchesse riportanti le insegne del Della Rovere. Si ud? una prima sorda esplosione, accompagnata da una nuvola di fumo. Andrea sent? un oggetto fischiare, passando veloce vicino al suo orecchio.
Cosera?, chiese al suo amico.
Una palla di piombo. Hanno armi da fuoco. Fucili ad avancarica. Molto meno precisi delle frecce, ma molto pi? micidiali, se ti acchiappano.
Siamo stretti in una morsa, Gesualdo. Cosa facciamo ora?
L?!, rispose questultimo che, con un colpo docchio, aveva gi? realizzato un piano. Una piccola fascia erbosa aveva conquistato una lingua di spiaggia e si dirigeva verso la collina, a breve distanza. Quella ? una buona via di fuga.
Mentre altre palle di piombo fischiavano vicino alle loro teste, i cavalli, appena raggiunta la fascia di terreno pi? stabile, nitrirono soddisfatti, recuperando le forze e guadagnando in breve le falde della collina. Intanto anche i tre cavalieri nemici si erano lanciati al loro inseguimento, e ora quelle che passavano vicino alle loro orecchie non erano pi? palle metalliche, ma pericolose frecce, dalla punta affilatissima. Fortunatamente, i cavalli di Andrea e del Mancino erano ben pi? veloci degli altri, e non erano neanche appesantiti da cavalieri bardati da armature. I due amici spinsero i cavalli su per il ripido sentiero che saliva verso labitato di Monte Marciano. Quando giunsero alla sommit? della collina, con il paese gi? in vista a poche leghe di distanza, si rigirarono verso il basso, e videro che gli uomini del Della Rovere non si erano avventurati oltre un certo punto.
Come previsto, nei territori del Piccolomini non entrano. Per ora, abbiamo tratto in salvo la vita, afferm? il Mancino.
Per ora!, fu la replica di Andrea.
I due sgherri, Amilcare e Matteo, erano originari di un paesino montano nel territorio della Repubblica Serenissima di Venezia. Ponte nelle Alpi si trovava sulla strada Alemagna, che proseguiva verso nord, oltre i baluardi rocciosi delle Dolomie, fino a raggiungere le terre germaniche. Almeno una volta ogni due mesi gli abitanti del paese sconfinavano in Tirolo per fare scorta di birra. Alcuni di loro avevano cercato di imparare larte di distillare lorzo e il luppolo per ricavarne il buon liquido ambrato e spumoso, ma data anche la difficolt? di comprendere la lingua degli amici tirolesi, non erano mai riusciti a ottenere un prodotto altrettanto buono come quello che andavano ad acquistare al di l? del valico. Amilcare, che era particolarmente ghiotto di birra, ne aveva portato una certa scorta, che ormai per? era agli sgoccioli.
In queste zone, non so perch, la birra diventa imbevibile. ? solo unora e mezza che stiamo cavalcando ed ? diventata calda come il piscio, disse Amilcare, scolando lotre ed emettendo un rumoroso rutto.
Lanci? il contenitore vuoto e floscio al compagno pi? giovane, che lo afferr? al volo e lo alz? sopra la bocca aperta, facendovi cadere le ultime gocce di liquido. Poi, deluso, lo agganci? dietro la sella. A Matteo, pur di mettere in corpo qualcosa di corroborante, andava bene anche il vino locale e cos? aveva arraffato un paio di otri di Rosso Conero dalle cantine del castello di Massignano. Si era reso conto che il vino rosso era buono anche se non era fresco, ma che se ne potevano ingerire quantit? molto inferiori rispetto alla birra prima che iniziasse a girare la testa. Cos?, per il momento, cercava di non passarne al compare, che ne avrebbe bevuto in quantit? esagerata senza rendersene conto.
Ho ancora sete! Passami il vino, Matteo!, quasi grid? Amilcare rivolto al suo compare, incurante che stavano avvicinandosi alle mura del castello di Rocca Priora, dopo aver attraversato rumorosamente il ponte di legno che permetteva di superare il fiume Esino.
Non se ne parla nemmeno!, rispose laltro. Dobbiamo rimanere lucidi, almeno fino allora di pranzo, per portare a termine la missione che ci ? stata affidata dal Duca. Dopo che avremo infilzato allo spiedo il damerino di corte e la sua guardia del corpo, potremo festeggiare. Cerca di fare silenzio, piuttosto. Siamo sotto le mura del castello. Non vorrai mica tirarti addosso tutta una guarnigione di militi?
Amilcare fece un gesto con la mano, come se volesse scacciare un fastidioso insetto.
Il Duca ha detto che non dobbiamo preoccuparci, n qui a Rocca Priora, n quando saremo arrivati alla Torre di Montignano. Ha unto i cardini delle porte giuste e nessuno si curer? di noi. Vedi soldati che ci scrutano sui camminamenti della guardia?
No, ma questo non ? che mi rassicuri. Saranno ben nascosti, ma ci stanno di certo osservando.
Ma non ci fermeranno. E alla torre di Montignano non troveremo nessuno. Avremo campo libero, prenderemo posizione, aspetteremo i due e li faremo secchi senza che neanche se ne accorgano. Un lavoretto semplice e pulito. Poi non rester? che tornare ad Ancona a riscuotere il compenso e via Verso casa. Non vedo lora di ritornare alle nostre care montagne. E, appena possibile, stai sicuro che busser? alla porta del borgomastro di Vipiteno per fare una bella scorta di buona birra. Altro che vino! E cos? dicendo emise un altro sonoro rutto in direzione di una feritoia sulle mura del castello, dietro la quale aveva avuto limpressione di veder brillare occhi che osservavano la scena. Ma nessuno, dalla rocca, diede segno di vita e i due la superarono senza problemi. Avanzarono verso settentrione lungo la riva del mare, con i cavalli che faticavano un po ad avanzare nel terreno ghiaioso, fino a raggiungere il Mandracchio, un baluardo fatto ergere dal Piccolomini a difesa dellentroterra dalle scorrerie dei pirati. Entrarono nella fortezza e fecero abbeverare i cavalli, poi si dissetarono essi stessi alla fonte di acqua fresca. Il piazzale, gi? di prima mattina era un andirivieni di persone di tutti i tipi, da contadini che con il carretto carico di frutta e ortaggi si dirigevano a vendere i loro prodotti al mercato di Monte Marciano, a signorotti locali che esigevano le decime dai contadini per continuare a coltivare i terreni di loro propriet?, ad armigeri che sellavano i cavalli, dopo averli accuratamente scelti nelle stalle. Uno stalliere si avvicin? a Matteo e Amilcare e, dopo aver superato il ribrezzo dovuto allodore che essi emanavano, si rivolse a loro in maniera gentile.
Avete forse bisogno di cavalcature fresche, messeri? Per due denari prendo i vostri cavalli in consegna e ve ne do in cambio due ben riposati. Quando ripasserete di qui, al ritorno, potrete riprendere le vostre cavalcature.
Non so se ripasseremo di qui al ritorno, replic? Matteo, facendo in modo che non fosse Amilcare a rispondere, essendo questultimo molto pi? rude di modi rispetto a lui. I cavalli sono del Duca di Montacuto, ed ? meglio che glieli riportiamo. Ne va delle nostre teste. Piuttosto, dobbiamo raggiungere la torre di Montignano. Ormai non dovrebbe essere molto distante. Indicaci la strada migliore.
Qual ? la ricompensa per linformazione?, chiese il ragazzo a Matteo, facendo buon viso a cattivo gioco.
Matteo vers? parte del vino rosso da una delle otri piene a quella che conteneva la birra, svuotata pocanzi, e la offr? al giovane stalliere.
Questo dovrebbe essere sufficiente. Se poi non ti bastasse, posso sempre offrirti di annusare lalito del mio compagno. Non c? che da chiedere!
Il ragazzo guard? Amilcare con aria schifata e accett? lotre che gli veniva porta.
Prendete per il vallone e portatevi ai piedi della collina. Non dirigete verso il centro abitato di Monte Marciano, ma tenetevi verso destra a raggiungere la cresta del colle. Seguite sempre il sentiero sulla sommit? della collina e giungerete alla torre molto prima dellora del desio. Buona fortuna!
Buona fortuna a te, ragazzo. E grazie. Matteo avrebbe quasi tirato fuori una moneta dal sacchetto che aveva loro elargito il Duca la sera precedente, ma lo sguardo di Amilcare lo fece desistere dal ricompensare ulteriormente lo stalliere.
Ha ragione Amilcare, disse tra s e s Matteo. Con il suo fare gentile, costui potrebbe essere una spia e metterci alle costole dei ladri, una volta visto il sacchetto con le monete. Meglio non dover rischiare di perdere tempo a dover sgozzare dei volgari ladruncoli!
Per il Duca Francesco Maria Della Rovere, cacciare il Medici da Urbino e rientrare in possesso delle sue terre Feltresche era ormai una questione di principio, ed era ormai giunto il momento giusto. Suo padre Giovanni Della Rovere, signore di Senigallia, aveva fatto edificare dallarchitetto e stratega Francesco di Giorgio Martini una maestosa rocca a Mondavio, in pratica a met? strada tra Senigallia e Urbino. Francesco non capiva molto la posizione strategica di quella sontuosa rocca, in quanto essa si trovava del tutto allinterno dei loro possedimenti, e non in una posizione di confine, dove sarebbe stato giusto fosse. In quel punto non sarebbero stati mai attaccati, e infatti la rocca non aveva mai subito assedi da quando ne era stata terminata la costruzione, e da quel giorno erano passati quasi trentanni. Ma la rocca era una maestosa fortezza e si presentava allocchio umano come una spaventosa macchina da guerra, in cui ogni forma e struttura era studiata per resistere agli attacchi sferrati sia dalle armi tradizionali, a getto, sia dalle pi? moderne armi da fuoco, che ormai stavano sempre pi? diffondendosi. La rocca stessa era fornita delle pi? micidiali macchine da guerra conosciute: catapulte, trabucchi, bombarde e altre diavolerie micidiali. Nellarmeria erano presenti anche una tale quantit? di fucili, pistole e archibugi, da poter armare una guarnigione di un migliaio di armigeri. Il deposito dove veniva conservata la polvere da sparo era ben isolato e protetto, e i custodi avevano appeso alle pareti unimmagine di Santa Barbara, a voler scongiurare, grazie alla sua protezione, il pericolo di scoppi accidentali.
Pertanto il Duca aveva scelto di trasferirsi qui, lasciando la Rocca Roveresca di Senigallia, perch Mondavio rappresentava un ottimo punto di partenza per ripartire alla conquista di Urbino. E doveva farlo prima che ci arrivasse il Malatesta da Rimini o, peggio, da Pesaro. La tarda primavera dellanno del Signore 1522 era il momento giusto per muovere le proprie guarnigioni. Il Papa Leone X era morto ed era stato sostituito dal Cardinale Adriano Florentz di Utrecht, che aveva preso il nome di Adriano VI. Questi era un burattino, i cui fili erano tirati dalloligarchia ecclesiastica, e tutti erano convinti che non sarebbe durato molto prima che il Cardinale di Firenze, Giulio De Medici, avesse architettato qualcosa per riconquistare il soglio pontificio. Quindi bisognava approfittare del momento, anticipando le mosse sia del Malatesta, sia dei Medici. Ma riteneva il suo luogotenente, Orazio Baglioni, un incapace. E, se anche non fosse stato un incapace dal punto di vista strategico e militare, lo riteneva comunque una spia del Malatesta. Solo pochi mesi prima, a Dicembre, Francesco era alleato con il Malatesta, e insieme a lui aveva ricacciato le legioni pontificie da Fabriano e da Camerino, ripristinando il potere dei Duchi di Varano, e dirigendosi poi con le milizie unite verso Perugia. Si erano fermati alla notizia della morte di Papa Leone X, rientrando rispettivamente nei loro territori di Senigallia e Pesaro. Ufficialmente Francesco Maria Della Rovere era ancora alleato con il Malatesta, e prova ne era quel luogotenente che continuava ad avere tra i piedi. Era necessario eliminarlo e prendere un valido sostituto al suo posto, se voleva entrare a Urbino in modo veloce, beffando il suo vecchio alleato. Un nome solo gli frullava per la testa, quello di Andrea Franciolini. Aveva preso informazioni su di lui, al tempo in cui aveva assalito la citt? di Jesi, qualche anno prima. I mercenari al suo soldo lo avevano ridotto in fin di vita, ma se lera cavata. Non aveva capito bene come fosse scampato alla condanna a morte che pendeva sulla sua testa, forse con lo zampino del Duca di Montacuto, per lo meno cos? si diceva in giro. Il Franciolini era giovane, ma aveva fama di essere in gamba, sia come condottiero, sia come combattente. Ma allo stato attuale delle cose sembrava fosse trattenuto, da ormai qualche anno, alla corte del Duca Berengario di Montacuto. Grazie ad alcune spie che aveva al castello di Massignano, due giovani servi di origine senigalliese, aveva finalmente ottenuto linformazione di cui aveva bisogno.
Il Montacuto si ? accordato con il Malatesta per inviare al suo servizio il giovane Franciolini. Il giorno 22 del mese di Maggio, Andrea Franciolini, con un uomo di scorta, passer? dalle parti di Senigallia, per raggiungere il Malatesta a Pesaro e unirsi al suo esercito, gli aveva riferito il giovane cuoco Giuliano, un giorno che era ritornato a Senigallia con la scusa di andare a trovare la madre. Ma non vi arriver? mai perch ? una trappola. In effetti, il Duca di Montacuto ha gi? preso accordi in segreto con il nuovo papa per svendere la Marca Anconitana allo Stato Pontificio per qualche migliaio di fiorini doro. E quindi adesso il Franciolini ? un personaggio scomodo. Lo far? uccidere da due sicari presso la Torre di Montignano. Poco importa a questo punto se ci andr? di mezzo anche colui che finora ha considerato il suo braccio destro, Gesualdo, detto il Mancino. Il Duca di Montacuto ha bisogno di soldi, di molti soldi, si ? indebitato fino allosso per far edificare una enorme quanto inutile fortificazione a difesa del porto di Ancona. E non riesce pi? a giustificare le proprie spese di fronte al Consiglio degli Anziani. Cos?
Ho capito, disse il Della Rovere, facendo scivolare nelle mani del ragazzo alcune monete dargento. Cos? ha deciso di vendere al miglior offerente citt?, fortezza, porto e territori, eliminando i personaggi scomodi. Credo che a giorni troveranno morti tutti i componenti del Consiglio degli Anziani della citt? di Ancona. Chiss?, magari unepidemia, improvvisa quanto provvidenziale!
La sera stessa, il Duca Francesco Maria Della Rovere rientr? a Mondavio. La mattina successiva, i servi di Orazio Baglioni ritrovarono il luogotenente disteso sul suo letto con gli occhi sbarrati e la schiuma che fuoriusciva dalle labbra. Sul mobiletto a fianco al letto fu ritrovato un bicchiere contenente ancora residui di liquido avvelenato.
Si ? ucciso, sentenzi? il Duca appena gli fu riferita la notizia. Mi aveva confidato qualche giorno fa che soffriva di pene damore. Era innamorato, ma la damigella oggetto dei suoi desideri lo aveva rifiutato ben due volte. Peccato, era un bravo soldato. Ora dovr? trovare un degno sostituto!
La giornata primaverile preannunciava gi? larrivo di unestate torrida, e Francesco Maria indossava un leggero farsetto giallo e delle comode calze braghe. Al tempo aveva trentadue anni, ma ne dimostrava parecchi di pi?. Era un uomo non molto alto, ma robusto, il fisico temprato dalle innumerevoli battaglie, sempre combattute in campo. Anche come condottiero, non si era infatti mai tirato indietro di fronte alla pugna. E i nemici che aveva ucciso non si contavano neanche pi?. La lunga barba scura, i capelli arruffati e lo strabismo della casata Montefeltro, ereditato da parte di madre, facevano di lui un uomo truce, che incuteva timore a chiunque gli si presentasse innanzi. Era infrequente che vestisse abiti leggeri come quel giorno. Spesso, anche nei suoi appartamenti, indossava giubbetti borchiati e calze rinforzate. E non abbandonava mai la sua spada, sempre riposta nel fodero sul suo fianco destro. Per ragioni politiche, si era sposato molto giovane, a soli quindici anni, con la bella Eleonora Gonzaga, dalla quale aveva avuto un figlio, Guidobaldo, che aveva ormai otto anni. Moglie e figlio erano ben lontani da lui e dai suoi campi di battaglie, e godevano nel lusso e negli agi alla corte di Mantova. Ma quando Urbino fosse stata di nuovo sotto il suo potere, avrebbe fatto in modo che Eleonora e Guidobaldo lo raggiungessero al Palazzo Ducale di Urbino, che in quanto a bellezza non era certo da meno rispetto al castello dei Gonzaga. E il fatto di avere di nuovo Eleonora accanto a lui, gli avrebbe permesso di iniziare a pensare a qualche altro figlio. Certo, la sua discendenza era assicurata, ma un signore che si rispetti deve avere uno stuolo di figli, da mostrare in pubblico e da indirizzare, al momento opportuno, a ricoprire importanti cariche di potere, degne del nome che avrebbero portato.
Pensare alla sua moglie lontana gli aveva solleticato desideri e istinti da troppo repressi, e gi? sentiva il proprio sesso sollevarsi. Ma come fare a soddisfare in quel luogo istinti che emergevano in tutta la loro potenza?
Chiam? un armigero fidato, colui che in assenza del luogotenente comandava le sue guarnigioni di stanza a Mondavio, il Capitano darmi Lorenzo Ubaldi.
Ora che il fido Baglioni non c? pi?, vorrei passare in rassegna la rocca per rendermi conto delle forze che abbiamo. Guidami, ors?, per i meandri e per i bastioni del castello.
Ma lintento del Duca era quello di farsi condurre nelle segrete, dove sapeva essere detenute anche delle giovani donne. Pertanto si dimostr? interessato, ma in maniera superficiale, alla Santa Barbara, agli alloggi dei soldati, al piazzale delle armi e ai camminamenti di guardia. Si sofferm? invece su uno studiolo, che era appartenuto a suo padre, ricavato nel corpo principale del castello, in cui al centro troneggiava una scrivania in legno massiccio e tre pareti su quattro erano occupate da scaffali pieni di libri. Anche se allapparenza non sembrava, il Duca era comunque appassionato di cultura e letteratura, nonch di arte e architettura, e pertanto decise in cuor suo che avrebbe passato un bel po di tempo allinterno di quella stanza. Mentre pensava che ne avrebbe potuto fare il suo studio personale, un'altra vampata proveniente dal suo basso ventre gli ricord? lurgenza che aveva. Fece un cenno col capo al milite che laccompagnava e, sempre sotto la sua guida, ridiscese le scale, usc? nel piazzale delle armi, pass? accanto a una moderna bocca da fuoco, accarezzandone con la mano la fredda canna metallica, poi indic? unapertura a volta chiusa da una possente cancellata in ferro.
E l? che cosa c??, chiese, fingendo di non esserne a conoscenza.
Le prigioni, Eccellenza!
Voglio far visita ai prigionieri. Hai le chiavi dei lucchetti?
S?, ma ve lo sconsiglio, Vostra Eccellenza, non ? un bello spettacolo. La maggior parte di essi sono condannati a morte e
Decido io quello che va bene e quello che non va bene per me!, si rivolse al suo soldato, guardandolo di sbieco, con locchio strabico che non si sapeva bene in che direzione fosse rivolto. Apri!
Varcato il cancello, gli and? incontro la guardia carceraria, un uomo dalla schiena ingobbita, i denti fradici e lalito pestilenziale. Attaccato alla cintola, il mazzo di chiavi che serviva ad aprire le celle. I due uomini accompagnarono Francesco Maria lungo un buio corridoio, dal fondo in terra battuta, che si addentrava in discesa vero i sotterranei della rocca. Giunti in un antro rischiarato da alcune torce, dove lodore di escrementi era isopportabile, il Duca si rese conto che le celle occupate dai prigionieri erano tutte dallo stesso lato, in modo che essi non si potessero vedere e non potessero in alcun modo comunicare tra loro.
Coshanno fatto?, chiese.
Il carceriere si avvicin? alla prima cella e sput? in direzione delluomo che vi era detenuto.
? un assassino. Della peggior categoria. Ha ucciso la moglie e ferito a morte la propria figlia. Finir? appeso a una corda! Non vedo lora di vederlo penzolare.
Il prigioniero, in un primo momento, abbass? lo sguardo, poi, come preso da furia improvvisa, inizi? a gridare.
Non sono stato iooooo! Come ve lo devo direeeee?
Passarono avanti e, in breve, luomo si azzitt?. In unaltra cella cera una giovane, una ragazza che avr? avuto s? e no quattordici anni. Aveva le braccia incatenate al muro e stava accovacciata a terra. Un lurido vestito, che una volta doveva essere stato bianco, non riusciva a coprire a dovere i suoi seni che, sia pur immaturi, debordavano dallo scollo slacciato. Anche le gambe erano del tutto scoperte. Sporche di terra e fango. Il carceriere strizz? locchio al Duca.
Lei ? una strega. ? stata sorpresa nel bosco a raccogliere erbe. Dovremmo impiccarla, o metterla al rogo, ma ancora aspettiamo che un qualche sacerdote della Santa Inquisizione giunga qui per farle subire un giusto processo. Labbiamo dovuta incatenare, perch abbiamo paura che, grazie a qualche magia, se ne possa scappare via prendendo il volo. Per? ? brava, e ha imparato bene le lezioni che le ho impartito. Volete provare, Vostra Eccellenza?
Lo sgherro, infischiandosene del lignaggio del suo Signore, diede una gomitata al Duca, poi armeggi? con i lucchetti e apr? le sbarre della cella. Quindi liber? anche i polsi della ragazza, le rifil? un sonoro ceffone e la fiss? con sguardo truce e minaccioso.
Conosci il tuo dovere! Fallo bene e sarai salva anche questa volta. Linquisitore non arriver? e il tuo processo sar? rinviato.
Senza neanche rendersene conto, Francesco Maria, si ritrov? solo nella cella con la giovane strega. Non che la cosa gli garbasse troppo, si sentiva schifato di voler approfittare di una ragazza cos? giovane e indifesa. E se qualcuno lo fosse venuto a sapere e lo avesse riferito a sua moglie Eleonora? Ma quando si sent? sfilare le calze braghe e si accorse che la streghetta aveva una pelle delicata e due labbra che sapevano baciare i suoi punti pi? sensibili, cap? che il suo carceriere laveva istruita pi? che bene. Si lasci? guidare dalla giovane, che dopo averlo baciato e stimolato a lungo, port? il suo turgido sesso dentro di lei, fino a fargli raggiungere lagognato amplesso. Francesco Maria godeva, come da tanto non godeva pi?, ma non riusciva a liberare la sua mente da un unico pensiero: come restituire la libert? a quella povera ragazza?
Come ti chiami?, le chiese, ancora col respiro ansimante, iniziando a carezzarle il collo, facendola inginocchiare avanti a lui e guidandola in modo che la bocca di lei si avvicinasse al suo sesso gocciolante liquido biancastro.
Ubalda, rispose la ragazza, iniziando a leccare i suoi umori, per poi accogliere il membro del Duca, che aveva ripreso vigore e turgidit?, tra le sue labbra.
Francesco Maria la lasci? fare a lungo, fino a raggiungere un secondo momento di piacere. A quel punto strinse le mani intorno al collo della streghetta. La sent? emettere un breve gemito, poi il suo giovane corpo, privato della possibilit? di assumere aria, si afflosci?, accasciandosi pian piano sul pavimento di terra. Le aveva restituito la libert?. Per sempre.
CAPITOLO 8
Basta uno scarto, una misura, una sillaba, un soffio, a proporre un giro nuovo
(Giusi Verbaro: Solstizio destate)
Il sole stava salendo veloce e unaltra giornata carica di afa e umidit? si stava gi? preannunciando. Lucia ricacci? tutto lo sgomento provato per Mira fino al pi? profondo delle sue viscere e si incammin? verso il Palazzo del Governo, cercando di portare alla mente pensieri che fossero gradevoli e che la aiutassero ad affrontare il Consiglio dei Migliori. Solo un paio di settimane prima, in occasione del solstizio destate, si era recata ad Apiro per festeggiare levento con i suoi amici di sempre. Aveva passato due giorni splendidi su a Colle del Giogo. Laria pura della montagna aveva fatto s? che lepidemia di peste non avesse affatto sfiorato quella piccola comunit?, basata sullagricoltura e sulla pastorizia, e da sempre in armonia con la natura. Quando Alberto e Ornella avevano fatto gli onori di casa alla giovane strega, ormai custode ufficiale dei segreti della comunit? e rispettata da tutti gli abitanti di Apiro e dintorni quale loro guida spirituale, Lucia si era resa conto di come, nonostante gli anni fossero passati, i suoi due ospiti non avessero affatto cambiato fisionomia. I loro lineamenti erano tali e quali, come quando li aveva conosciuti che era ancora una bambina. E ogni volta che si recava su ad Apiro, la coppia riusciva sempre a sorprenderla proponendole qualcosa di nuovo, che poteva essere una pozione, come uninvocazione, o un talismano, o semplicemente un detto o delle frasi. Cose che rimanevano sempre impresse nella memoria di Lucia, tutte da considerare alla stregua di perle di saggezza. Anche quella volta erano stati, insomma, due giorni pieni di magia, carichi di quel potere sottile che la Madre Terra regala. Simboli, segni, danze, feste, fuoco e magia, magia, magia. A un certo punto Ornella aveva intonato una nenia, una preghiera che declamava il potere della Terra, e le cui parole avevano toccato in profondit? il cuore della giovane.
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