Sangue Contaminato
Amy Blankenship
Legami Di Sangue #7
Fare un patto con un demone è vincolante, anche se non sai che quella persona è un demone. Sfruttando la cosa a proprio vantaggio, Zachary ha infranto la regola sacra e, di proposito, ha offerto un accordo a Tiara. Sarebbe stato il suo unico amante finché non avesse trovato un vero compagno… che lui intendeva non farle trovare mai. Stringendo il patto, il suo lato oscuro emerge quando Tiara scappa via da lui, pensando di essere sulla lista nera del PIT a causa del suo sangue contaminato. Zachary combatte il fuoco con il fuoco quando scopre che lei si nasconde nelle braccia del nemico.
Amy Blankenship, RK Melton
Sangue Contaminato
“Sangue Contaminato”
Serie “Legami di Sangue” – Volume 7
Author: Amy Blankenship & RK Melton
Translated by Ilaria Fortuna
Copyright © 2012 Amy Blankenship
Seconda Edizione Pubblicata da TekTime
Tutti i diritti riservati.
Capitolo 1
Craven camminava per le strade della città dopo aver mandato Falco Notturno alla sua dimora con Tiara. Aveva saputo il nome della ragazza dall’indiano. In quel momento era su di giri per le tante scariche di adrenalina… tra cui quella per avere finalmente l’erede che aveva sempre desiderato. Craven non aveva fretta, sapendo che lei non si sarebbe svegliata subito.
Sapeva che Falco Notturno non avrebbe tentato di farle del male… aveva letto molte cose negli occhi dell’indiano ed era curioso. Si chiese perché quel nottambulo trasformato in zombie avesse scelto di stare con lui. Sembrava che Falco Notturno stesse semplicemente aspettando qualcosa… o qualcuno.
Entrambi volevano proteggere la giovane negromante… anche se per ragioni diverse. Sebbene lei non fosse come sua madre, Craven non poteva biasimare Deth per aver avuto un figlio con quell’umana. Non percepiva la forza vitale di suo fratello in questo mondo e il pensiero che avesse abbandonato sua figlia lo turbava. Vedendo Nile soffrire per mano dei suoi stessi figli gli aveva dato un’immensa soddisfazione. Se non lo avessero fermato, ben presto sarebbe diventato un problema.
Nile era un maestro e aveva già acquisito molta forza prendendo quella tomba come se fosse sua. Anche un demone minore potrebbe diventare un problema se uno dei due eserciti cresce a quei livelli.
Non essendo stato lui a finire Nile, e avendo assistito al fatto, Craven si ricordò delle antiche guerre tra demoni. Ciò fece sorgere in lui sete di sangue e desiderio di combattere per il predominio. Raramente veniva sopraffatto da una tale emozione ma, quando accadeva, allora gli serviva qualcosa da uccidere.
Il tempo trascorso nel sonno era solo un fugace ricordo. Era rimasto sospeso come durante n riposo ristoratore. Poteva sentire il passare del tempo solo quando si risvegliava dalla sua tana. Pensò che fosse come sottrarre le anime dall’aldilà… la confusione che ne seguiva era la stessa.
La notte aveva lasciato il posto all’alba ora ma, a differenza di alcuni dei suoi servi, Craven non era legato alla notte. Sentendosi in vena, pensò che mettere a tappeto un maestro più debole, o anche due, sarebbe stato un piacevole passatempo. Poteva già sentire l’odore del caos che stavano creando in città.
Si appoggiò a uno degli edifici godendosi il momento. Era così che aveva vissuto per molto tempo, prima di essere bandito nel silenzio sottoterra, ma ora era diverso per tanti motivi. In questa epoca era tutto più complicato… più selvaggio di quanto ricordasse. Erano nascosti così tanti segreti ma, toccando le anime, avrebbe saputo di più su questa era grazie ai loro ricordi.
Il numero di esseri umani era aumentato, così come quello delle anime rimaste per tormentare la città per conto proprio. Poteva sentirle nelle case, negli ospedali… ovunque. Vide un autobus pubblico procedere lentamente e notò l’anima di un uomo che lo guardava dal finestrino.
Era quello il motivo per cui nei cimiteri c’erano più tombe che anime? Per come la vedeva lui, era come se le anime fossero rimaste lì dov’era morto il corpo, cercando di continuare un’esistenza ormai priva di significato. La maggior parte dei demoni poteva sfruttare solo gli umani ancora vivi, possedendo o controllando i loro corpi. Con così pochi negromanti al mondo, il suo esercito sarebbe stato immenso una volta completato.
Il passare del tempo aveva garantito una cosa… ora il numero dei morti era uguale a quello dei vivi… se non maggiore. Craven era abbastanza certo che se i morti fossero stati invocati tutti in una volta, avrebbero facilmente superato i vivi in fatto di numero.
Testando quella teoria, estese il proprio potere in cerca di chi era rimasto senza padrone. Le anime che lui toccava si sentivano circondate da demoni, erano incapaci di muoversi liberamente e la maggior parte era troppo spaventata per rinunciare alla propria sicurezza.
Craven era un collezionista di anime… come Deth. Sfruttava i demoni più deboli e qualsiasi altra creatura della notte, ma la sua linea di sangue era speciale. Quando lui o qualcuno della sua stirpe offrivano un posto alle anime, stringevano un patto con loro.
Lui poteva usare il proprio corpo come tramite per mandare le anime nell’aldilà ma, semmai le avesse chiamate a combattere, esse sarebbero state costrette a tornare in questa dimensione per obbedirgli. Risvegliando le anime dei morti, Craven si offriva di rimandarle indietro a patto che rispondessero alla sua chiamata nel momento del bisogno.
Quando un’anima tornava nell’aldilà tramite lui, lasciava un residuo del proprio potere nel suo corpo, rendendolo sempre più forte. Lo stesso valeva per Tiara, e lui sapeva che Deth non aveva rivelato quel segreto alla madre. Se l’ingenuità della ragazza significava qualcosa, allora voleva dire che lei aveva ricevuto soltanto l’educazione di sua madre.
I segreti che Deth possedeva non erano stati condivisi, e Craven non aveva intenzione di farlo. Avrebbe usato la capacità di condurre le anime nell’aldilà, facendo credere alla piccola negromante di essergli d’aiuto… attirandola a sé facendo leva sul suo desiderio di salvarle tutte. Un desiderio che proveniva dal suo lato umano.
Lui non poteva permettere che tutte quelle anime finissero per alimentare un altro negromante scarso come Nile. Invocandole, Craven propose il suo silenzioso accordo. Se accettavano, lui le avrebbe salvate dagli altri demoni, sarebbe stato il loro rifugio e le avrebbe guidate verso casa.
Una ad una, le anime iniziarono ad uscire lentamente dai loro nascondigli… oltrepassando i pedoni che camminavano per strada. Alcuni umani percepivano la loro vicinanza e affrettavano il passo per allontanarsi: anche se non riuscivano a vedere i fantasmi, percepivano la loro energia.
Le anime più coraggiose iniziarono ad entrare in lui, accettando la sua offerta e scomparendo da questo mondo, mentre le più timide si limitavano a guardare da lontano. Le labbra di Craven accennarono un lieve sorriso mentre inviava un ‘altra ondata di potere per attirarle. All’improvviso, altre anime non invocate affollarono le strade, correndo verso di lui ad un ritmo frenetico.
Craven era rilassato, appoggiato al muro dell’edificio, mentre le anime inondavano rapidamente il suo corpo. Se qualcuno avesse prestato attenzione, avrebbe visto i suoi morbidi capelli argentati svolazzare senza vento. Tuttavia, dentro di lui, il suo potere stava crescendo ben oltre le giovani anime con cui aveva giocato nei cimiteri.
Queste anime, invece, erano vecchie e stanche di trovarsi in questo mondo… erano anime forti che gli donavano una parte del loro potere mentre lo attraversavano. Avrebbe usato quel nuovo potere per proteggere ciò che Deth aveva abbandonato e che lui aveva trovato… la loro discendenza. Quando l ‘ondata di anime si placò, lui riprese il controllo della città.
Un sorriso sinistro apparve sul suo volto mentre seguiva i movimenti di alcuni cacciatori di demoni. Quasi si mise a ridere quando essi si fermavano in una zona e poi ne perlustravano un ‘altra senza accorgersene. Era uno dei più antichi incantesimi usati dai demoni contro i nemici fin dai secoli bui… un incantesimo repellente, che impedisce ad ospiti sgraditi di avvicinarsi.
I cacciatori erano molto intelligenti o molto stupidi nel loro modo di lavorare. Tuttavia, sembravano quasi tutti umani senza percezione extrasensoriale, quindi poteva anche trattarsi semplicemente di pura ignoranza.
Si fermò per osservare come combatteva uno di loro, che gli ricordò Falco Notturno… l ‘uomo poteva essere un discendente dell’Indiano. Sul volto aveva delle strisce di sangue demoniaco, simili ai colori da guerra, e la sua magia era di alto livello. Questo doveva ricordarselo, non per paura ma per curiosità.
Annoiandosi, Craven tornò indietro verso l ‘area che i cacciatori stavano evitando inconsapevolmente. Era buia e fungeva da nascondiglio per la feccia della società. In quell’oscurità, il potere era in attesa e si alimentava della vita che vi prosperava. Craven si avvicinò guardando all’interno, prima di addentrarsi nella nebbia proveniente dall’oceano, diretto verso la disillusa fonte di potere che aveva scoperto.
Sì, disilluso era la definizione giusta per quel potere. Quell’entità appariva fiduciosa, sicura del proprio richiamo sull’oscurità, e Craven avanzò quasi contento. Camminò lungo il marciapiede sentendo urla silenziose di agonia, e il dolore che le accompagnava.
Le poche donne che incontrava gli passavano accanto fissandolo a lungo, pur mantenendo la distanza… quasi cadendo dal marciapiede, o sbattendo contro i muri degli edifici.
Per gli uomini non era diverso, se non per le loro espressioni che non mostravano segni di desiderio. Sembravano sprizzare paura e odio da tutti i pori quando lo guardavano. Lui aveva scoperto già tempo fa che le donne mortali lo consideravano bello, e gli uomini erano gelosi per questo. Craven non provava niente per i vivi… i negromanti raramente si preoccupano di un ‘anima ancora legata al suo corpo, o di qualcuno ancora vivo.
Craven si concentrò per trovare i demoni padroni che controllavano i vivi. Non andavano sottovalutati perché, in futuro, i loro eserciti potevano diventare una minaccia per il suo territorio.
Arrivato ad un incrocio, rimase sul bordo del marciapiede, fissando i semafori per un attimo. Un cupo gorgoglio attirò la sua attenzione, isolando i rumori del traffico, e si girò verso quel suono. I suoi occhi brillarono eccitati per ciò che stava per accadere. Seguì un umano che piagnucolava, sapendo che lo avrebbe portato al suo obiettivo.
Quando giunse ad un breve vialetto tra due edifici, entrò in un parcheggio dove aleggiava una fitta nebbia. Delle persone erano riunite in cerchio al centro e assistevano a qualcosa.
Con un solo sguardo Craven capì che quegli umani erano stati posseduti da demoni ombra. Le loro anime erano ancora intatte, ma i demoni li avevano sopraffatti. Ancora una volta Craven scosse la testa dinanzi alla debolezza umana. Avanzando, si fermò davanti al cerchio per osservare un demone ombra che possedeva una donna.
La donna era indossava un tailleur e i suoi effetti personali erano sparsi a terra. Il demone l ‘aveva posseduta così in fretta che soltanto la sua coda era visibile, ondeggiando a destra e a sinistra. Craven aveva giustamente dedotto che i demoni ombra si erano coalizzati per cercare vittime e, a giudicare dal loro numero, erano sempre di più.
Osservò affascinato quando il corpo della donna iniziò a tremare violentemente per l ‘intrusione. Mentre smetteva lentamente di dimenarsi, le sue pupille rotolarono all’indietro prima di tornare normali… il processo era stato completato.
Le labbra di Craven accennarono ad un sorriso e lui represse il proprio potere quando sentì la vera minaccia avanzare a passo veloce. Una lunga ombra scintillante svoltò l ‘angolo di uno degli edifici. Era come pensava. Quel demone ombra era un maestro, tuttavia anche le ombre avevano una debolezza che poteva essere sfruttata.
L ‘ombra si fermò ai piedi della donna come una pozza di catrame. Vibrò per un attimo prima che una forma umanoide iniziasse a sorgere. L ‘ombra sembrò gocciolare dalla sagoma prima di stabilizzarsi completamente, rivelando la figura di un uomo alto e con la pelle scura. La testa era quasi rasata e non aveva peli sul corpo, ad eccezione dei lunghi baffi in stile Fu Manchu.
Il demone ombra si avvicinò alla donna, con la camicia dashiki e i pantaloni neri che ondeggiavano. La scollatura della dashiki era decorata con ricami rossi e dorati, e aveva un grande medaglione d ‘oro al collo e un orecchino all’orecchio sinistro.
Guardò la donna e strinse i suoi occhi neri. “A chi appartieni?” le chiese con voce profonda.
La bocca della donna si aprì e si chiuse un paio di volte prima che la sua voce decidesse finalmente di uscire.
“Io appartengo a te, Padrone.” disse con voce confusa.
“Molto bene, ora alzati e obbedisci.”.
La donna si rimise lentamente in piedi con movimenti sconnessi come se non fosse abituata al proprio corpo. In un certo senso era così. Quando un umano era posseduto, in un primo momento il demone ombra al suo interno non riusciva a controllare appieno le funzioni basilari del corpo.
“Che cosa vuoi che faccia?” chiese lei con voce quasi normale, ma ancora un po’ stordita.
Craven ridacchiò, già stanco della scenetta. Con voce condiscendente decise di rispondere “Vuole che tu vada a cercare uomini ignari e li porti qui per essere posseduti, così il suo patetico esercito crescerà.”.
Sia la donna che il demone si girarono verso Craven. Lui piegò la testa di lato quando anche gli umani posseduti si girarono a guardarlo. I loro occhi s ‘incupirono, passando dal grigio al nero in pochi secondi.
Il demone maestro lo guardò come se fosse una preda facile e Craven resistette all’impulso di ridere di nuovo. Quante cose ignoravano. Aspettò pazientemente mentre gli uomini iniziavano a camminare lentamente verso di lui. Quando una mano gli afferrò la spalla, Craven girò la testa e allargò le braccia. Un’ondata di anime iniziò a defluire dal suo corpo verso gli umani… trapassando i posseduti e catturando i demoni ombra al loro interno.
Craven non provava alcuna compassione per gli umani posseduti… liberarli da coloro che alla fine avrebbero cercato di invadere il suo territorio era solo un effetto collaterale. Aveva notato che il demone maestro era stato abbastanza intelligente da rimanere nella sua forma umana, così le anime non potevano toccarlo.
“Davvero impressionante, negromante.” mormorò il maestro. “Ma stai solo ritardando l ‘inevitabile.”.
Craven sorrise “Vero, forse dovrei ucciderti e risolvere il problema.”.
Il demone ringhiò e si lanciò verso Craven. Lui si girò di lato per evitare un pugno, poi si girò dall’altro per evitare il secondo.
“Sei troppo lento.” lo derise Craven. Quando il demone alzò una gamba verso la testa di Craven, lui si piegò all’indietro ed evitò il colpo. Sfruttando lo slancio, Craven fece leva sulle mani e spinse i piedi in alto con un salto, sferrandogli un doppio calcio al mento.
Craven si raddrizzò proprio quando il demone fece lo stesso. Una sottile stria di liquido nero e denso fuoriuscì dall’angolo della sua bocca, macchiandogli la camicia.
“Allora anche tu sanguini.” lo provocò Craven. Non era colpa sua se quel demone aveva paura di assumere la sua vera forma. Lo avrebbe battuto comunque.
L ‘uomo sputò a terra e lo guardò con rabbia. Sapeva che quel negromante voleva il suo territorio e si rifiutò di arrendersi. Lui viveva secondo un proprio codice… un demone che si arrende merita di morire.
“Non te lo permetterò!” il maestro ringhiò e si scagliò di nuovo su di lui. Ma questa volta Craven non lo schivò. Quando il demone fu a portata di mano, il pugno di Craven scattò affondandosi nel petto del demone.
Si guardarono a vicenda, uno scioccato, l ‘altro con un ‘espressione di trionfo assoluto. Craven allontanò il pugno dal petto del demone e fece un passo indietro. Nel petto delle sue spoglie umane era rimasto un buco.
Si udì un urlo umano di donna, seguito da passi frettolosi sul marciapiede. Gli umani non erano in grado di vedere il maestro per ciò che era veramente, né che Craven fosse un demone. Credevano di aver visto due uomini litigare per strada, e uno aveva sfondato il torace dell’altro.
Craven sorrise sarcasticamente “Hai perso.”.
Il demone ombra barcollò all’indietro e si guardò il petto. Un lamento prolungato e cupo riecheggiò nel parcheggio e il demone alzò gli occhi appena in tempo per vedere la prima anima entrare nel suo petto. Il suo corpo si piegò ad una strana angolazione poco prima che un ‘altra anima lo trapassasse. Ne seguirono altre, volando all’interno della sua forma umana per attaccare la sua oscurità.
Craven sospirò soddisfatto quando l ‘ultima anima entrò. Il demone si raddrizzò con le braccia allargate. La sua pelle iniziò a lacerarsi e spire di fumo nero si levarono, accompagnate da una luce bianca soffusa.
Girandosi, il demone cercò di correre ma i suoi movimenti erano rigidi e a scatti, come uno di quegli zombie che piacevano tanto a Craven.
Il maestro piegò la testa all’indietro e urlò quando il suo corpo fu dilaniato da parte a parte. L ‘urlo s ‘interruppe all’improvviso e un sottile fumo nero e grigio aleggiò per un attimo, prima di fondersi con la nebbia del mattino e scomparire del tutto con un sibilo.
Craven aprì le braccia come per accogliere qualcuno. Le anime che si muovevano nel parcheggio si volsero verso di lui ed entrarono nel suo corpo. Quando l ‘ultima anima scomparve da questa dimensione, Craven abbassò le braccia e si avvicinò ai resti degli abiti indossati dal demone maestro.
Chinandosi, prese il medaglione e uscì dal parcheggio. Tornando sul marciapiede si guardò intorno e vide degli umani pensierosi.
Tra le ombre proiettate dagli edifici individuò alcuni demoni ombra che vagavano senza un padrone da seguire. Di solito non erano una minaccia quando il loro padrone veniva sconfitto, quindi a Craven non interessava dove andavano. Tenendo il medaglione alla luce del sole e vedendo che bruciò la nebbia, sorrise.
“Buongiorno!” disse piano, prima di mettere in tasca il medaglione azteco e dirigersi verso casa. Forse avrebbe trovato qualcosa di divertente in quell’oggetto.
Iniziò a correre così veloce per la città che, quando vide una creatura dalle ali argentate, fu soltanto un ricordo. Rallentando, si girò e osservò la città in contemplazione. Interessante… pensava che tutte le femmine dei caduti fossero state eliminate da questo mondo alla nascita.
*****
Carley aveva seguito l ‘Indiano per tutta la città, prima di giungere finalmente ad un palazzo scuro sulle colline. Quel luogo le diede i brividi… forse era per colpa dei gargoyle e dei demoni all’esterno. Ma l ‘interno non era migliore.
Ancora una volta, fu contenta che la maggior parte dei mostri non potesse vederla. Anche se avessero potuto, non le avrebbero fatto del male grazie all’incantesimo di Tiara. Ciò non le impedì di tremare quando sentì delle urla dal seminterrato… o almeno sperava che provenissero da lì, e non da dove si trovava lei.
Cercando di ignorare le grida di agonia, Carley si affrettò a seguire l ‘Indiano che stava salendo al secondo piano. Se stava portando Tiara in una stanza delle torture allora doveva fare in fretta. Quando entrò nella stanza dietro di lui, Carley vide che l ‘uomo fissava Tiara.
Falco Notturno si accigliò, desideroso di provare qualcosa, anche solo una scintilla, mentre guardava la ragazza. Si era acceso qualcosa in lui quando l ‘aveva vista per la prima volta, ma era svanito così in fretta da chiedersi se non fosse stata solo un ‘illusione. Il suo sguardo si posò sulla polvere che le ricopriva il viso e il corpo.
Carley andò nel panico quando l ‘Indiano iniziò a spogliare Tiara.
“Fermo!” urlò, e si mise tra loro, ma Falco Notturno allungò una mano attraverso il suo corpo senza vederla. “Dannazione, dove sono i cowboy quando serve?” Carley imprecò e iniziò a gesticolare in tutti i modi, nel tentativo di attirare l ‘attenzione di Tiara su di sé. Alla fine ci rinunciò perché sembrava inutile.
Doveva tornare alla base e riferire la posizione di Tiara a Jason e Guy, ma non poteva andarsene senza prima assicurarsi di trovarla ancora viva al suo ritorno.
Falco Notturno si alzò e si tolse i gambali prima di prendere di nuovo la ragazza tra le braccia. Dirigendosi in bagno, entrò nella grande vasca e si inginocchiò, aspettando pazientemente che si riempisse di acqua calda per lavare via da lei l’odore del suo amante. Non gli piaceva neanche l’odore del Signore degli Spinnan.
Rilassandosi, Falco Notturno liberò la mente mentre la vasca si riempiva. Lui disprezzava i negromanti perché lo avevano trasformato in ciò che era adesso… si concentrò su quel sentimento prima di provare dolore. Questa negromante era diversa dagli altri… voleva liberarlo, non controllarlo.
Guardando la donna, non fu necessario chiedersi perché non aveva alcun effetto su di lui. La sua anima era ancora intrappolata nella tomba e con essa anche la maggior parte delle sue emozioni. Non sentiva alcun bisogno di essere amato o odiato, né tanto meno desiderava qualcuno.
Prendendo lo shampoo dalla mensola nell’angolo, le accarezzò delicatamente i lunghi capelli argentati, facendoli scivolare tra le proprie dita. Non c’era motivo per avere fretta, si prese tutto il tempo necessario per lavarla. Era passato molto tempo da quando aveva toccato qualcuno senza cattive intenzioni.
Quando ebbe inalato abbastanza il suo profumo, la lavò e svuotò la vasca. Avvolgendole alcuni asciugamani intorno al corpo e ai capelli, tornò in camera e la adagiò sul letto. Aveva fatto quello che poteva per lei. Visto che durante il bagno non si era svegliata, lui capì che era caduta in un sonno molto profondo e probabilmente sarebbe durato per un po’. Senza la giusta protezione, questa guerra sarebbe stata la fine per lei.
Togliendole l’asciugamano dai capelli, Falco Notturno le sollevò il busto e con le dita le sfiorò la ferita che aveva sentito dietro la nuca mentre le lavava i capelli. Durante la sua prima vita era stato una sorta di guaritore, uno sciamano, perciò sapeva che non era una ferita grave.
Lasciò che la propria mente s’inoltrasse in profondità dentro di lei, cercando di capire se c’era un altro motivo per cui lei desiderasse continuare a dormire… abbandonando questo mondo per un po’. Lei non aveva mai interrotto il legame mentale che aveva stabilito con lui nel primo cimitero e ciò gli permise di usare quel legame su di lei. In passato, quando un negromante stabiliva una connessione con lui gli sembrava di soffocare. Lei, invece, sembrava porgergli e stringergli la mano.
Anche nel sonno, percepiva la sua fame ardente… il lato della sua personalità che non apparteneva alla linea di sangue di Craven. Lei la stava tenendo sepolta dentro di sé, cercando di ignorarne il richiamo. La fame si stava manifestando per accelerare le sue naturali abilità di guarigione. Quella era l’unica cosa che l’Indiano non poteva fare poiché lei era traeva energia dalle anime e lui, al momento, non ne aveva una. Era un bene che dormisse ora, anche se era un modo più lento per guarire.
Falco Notturno sfiorò con le dita la sua guancia morbida laddove Nile l’aveva colpita lasciando un livido scuro. Craven aveva detto che la carezza di un amante poteva guarirla. Bisognava avere un’anima per amare qualcuno? Immaginò di sì perché non provava quel sentimento da quando era morto. Il più delle volte doveva sforzarsi per provare qualsiasi emozione al di là dell’intenso torpore.
Riadagiandola delicatamente sul cuscino, Falco Notturno si raddrizzò e guardò dietro di sé verso l’anima che lo aveva seguito da quando era tornato a casa.
“Tu sei sua… vero?”
Carley sussultò sorpresa, non si era accorta che l’Indiano l’aveva vista dall’inizio. Strinse gli occhi su di lui. L’aveva semplicemente ignorata mentre lei gli inveiva contro… che idiota. L’espressione di Carley si ammorbidì… aveva smesso di urlare dopo un po’, entrando in confusione dopo averlo visto prendersi così tanta cura di Tiara.
Lei si avvicinò lentamente, fermandosi accanto a Tiara come per sedersi sul bordo del materasso. Non aveva senso nascondersi… lui non poteva farle male neanche se avesse voluto, e lei dubitava che sarebbe successo.
“Qualcuno potrebbe pensare che io le appartengo… ma non è così.” rispose Carley sinceramente mentre allungava la mano, e la fece scorrere sui lunghi capelli puliti di Tiara, immaginando come sarebbe stata la sensazione a quel tocco se fosse stata ancora viva. Non era morta da molto tempo per dimenticare la sensazione del tatto.
“Allora perché l’hai seguita?” le chiese.
Carley lo guardò e alzò il mento in segno di sfida “Lei è mia amica… devo sapere che è al sicuro.”.
Falco Notturno annuì, rispettando la sua risposta. “E la magia di Craven non ti tocca nemmeno se sei tra le sue mura?”
Sembrava una domanda importante per l’Indiano, così Carley scosse la testa e guardò la sua amica “Grazie a Tiara la negromanzia non può più toccarmi né controllarmi. La adoro per questo, quindi ti prego, non farle del male.”.
Falco Notturno sentì il petto gonfiarsi per la speranza. L’emozione scomparve rapidamente ma bastò un assaggio per fargliene desiderare ancora. Era l’unica cosa che avesse mai desiderato… non essere mai più chiamato agli ordini da un demone.
“Non abbiamo alcuna intenzione di farle del male. È stato un suo desiderio venire con noi, così abbiamo onorato la sua richiesta. Se non mi credi allora sei libera di restare fino al suo risveglio per chiederlo direttamente a lei.” Lui diceva sempre la verità… era l’unica caratteristica che aveva conservato dalla sua vita terrena.
“Allora chi l’ha ferita?” chiese Carley sapendo che non era stato lui, tuttavia quei lividi in via di guarigione rivelavano cattive intenzioni.
“È stato il demone con cui stava combattendo al cimitero. Craven l’ha salvata da lui.” rispose Falco Notturno sedendosi accanto alla finestra, dove il sole poteva toccarlo. Quella era una delle poche stanze della casa in cui le finestre non erano state dipinte di nero. Falco Notturno cercò di ricordare se gli fosse mai piaciuta la luce del sole… immaginò di sì.
Carley si accigliò quando lui si girò verso la finestra come per abbandonare la conversazione. “E Craven sarebbe il demone che era con te? Lo stesso uomo che ha circondato questa casa di così tanti mostri? Sinceramente non credo che Tiara approverebbe.”.
Allungò una mano e la mise su quella di Tiara, anche se essa vi passò attraverso. “E perché avrebbe lasciato noi, i suoi amici, per stare con un demone?”
“Lei e Craven sono parenti. Craven è suo zio ma, nella sua mente, la figlia di suo fratello è anche sua. Ecco perché non le farà del male. Non è prigioniera e non sarà costretta a restare. Quando sarà guarita deciderà… se andrà via io la seguirò come suo protettore.”.
“E perché lo faresti?” chiese Carley. Era Craven lo zio… non l’Indiano. “Te l’ha ordinato lui?”
“No, adesso sono fuori dal controllo di Craven.” rispose lui senza voltarsi a guardarla. “Io sono una creatura della notte e lei è l’unica che può restituirmi la mia anima.”.
Carley spalancò la bocca… una creatura della notte? Quella sì che era una magia potente. Ripensò ai miti e alle leggende che aveva studiato, e persino in quegli antichi scritti se ne parlava raramente.
Da quello che ricordava, una creatura della notte era un essere umano che possedeva poteri mistici durante la sua vita terrena e che era stato risuscitato come uno zombie da un potente mago. Ma quello era solo il primo passo per diventare una creatura della notte pienamente sviluppata.
A differenza della maggior parte degli zombie, esse possono usare il loro potere per riacquisire la mente e il cuore che avevano un tempo. Si diceva che non avevano un’anima, ma lei non ricordava quali poteri possedesse una creatura del genere o se ci fosse un limite a quello che era capace di fare.
Si accigliò quando non ricordò di aver mai letto nulla a proposito di una creatura della notte che riconquista la propria anima. Era possibile una cosa del genere?
“La tua anima non è nell’aldilà?” chiese Carley curiosa.
“No, è legata alla mia tomba.” rispose Falco Notturno, svanendo.
Carley rimase in silenzio, stupita. Legata alla tomba? Rabbrividì al pensiero di trovarsi imprigionata sottoterra invece di essere libera come lo era adesso. Abbassando lo sguardo, si rese conto di percepire ancora Falco Notturno nella stanza, sebbene fosse svanito.
Guardando Tiara, Carley decise di non indagare sull’argomento… concedendogli la riservatezza che lui le aveva chiesto in silenzio.
Capitolo 2
In mezzo al caos dell’Hollywood Cemetery, Michael guardò lo Spinnan morto ai suoi piedi e si spolverò le mani sulla giacca.
“È stato un piacere.” mormorò. Alzò lo sguardo appena in tempo per vedere Kane strappare la testa di un altro demone e lanciarla verso di lui. Michael evitò la testa volante e fissò Kane, che era girato di spalle.
“Scusa, ti dispiace?” disse Michael. “Mi sono impegnato per non sporcarmi… vorrei continuare così.”.
Kane gli sorrise da dietro “Sei abbastanza veloce da scansarti se qualcosa ti viene addosso.”.
Tabatha sospirò, aveva visto tanto spargimento di sangue da bastarle per tutta la vita. Adesso sembrava che i ragazzi stessero semplicemente giocando. “Kane, se non ti conoscessi direi che ti diverti troppo ad uccidere questi esseri.”.
“Be’, non ho mai…” Kane si fermò a pensare per un attimo, guardò i demoni morti attorno a sé e poi guardò Tabatha. “Hai ragione, mi diverto.” e scrollò le spalle con indifferenza.
“Ricordi cosa mi hai detto a proposito di usare una telecamera?” chiese Tabatha.
Kane lasciò cadere a terra il demone senza testa e scrutò il corpo della sua compagna “Sì… me lo ricordo.”.
“Bene, non ci sarà nessuna telecamera.” Tabatha ringhiò, e s’incamminò.
Michael iniziò a ridere per lo sguardo sul volto di Kane poco prima che il vampiro biondo corresse dietro la sua compagna.
“Aspetta.” gridò Kane. “Ritiro quello che ho detto… non mi diverto affatto.” Si fermò per afferrare un demone che correva accanto a lui. “Sono fastidiosi… non vedi?”
Angelica alzò un sopracciglio e le venne da ridere. Represse quell’impulso e si limitò a guardare Syn con curiosità. “I tuoi figli sono… interessanti.”.
“Devono ancora lasciarsi l’adolescenza alle spalle.” dichiarò Syn con un’espressione impassibile. “E hanno anche bisogno della madre.”.
Michael guardò Syn indignato per la sua affermazione. “Io ho superato la mia adolescenza e sto benissimo, grazie.” Detto ciò, sbatté un piede a terra come un bambino capriccioso e iniziò a borbottare. Poi diede un calcio alla testa che Kane gli aveva lanciato come se fosse un pallone, e la fece volare lontano. Essa finì in mezzo a degli alberi, seguita da una forte imprecazione.
“Chi diavolo è che gioca con le teste dei demoni?” gridò Jason.
Michael si fermò un attimo e decise di darsela a gambe. “Vado a controllare Kane.” disse, superando Syn e Angelica nella direzione opposta a quella di Jason.
“Visto che ho ragione?” disse Syn, costringendo Angelica a guardare altrove per nascondere la propria risata.
*****
“Avete visto?” urlò Nick da dietro una cripta. “Era una testa volante.”
In quel momento apparve un demone che cercava di sfuggire alla morte. C’era qualcosa di divertente nel vedere un mostro spaventato.
“Sì Nick, l’ho vista.” rispose Kriss.
Nick sparò alle gambe della creatura con un’espressione al limite del sadismo “Avanti. Vediamo se sai ballare.”.
“Nick, smettila di giocare con quella dannata cosa.” ringhiò Steven, poi roteò gli occhi, realizzando di aver appena preso le difese di un mostro.
Jewel si avvicinò alla creatura e le fece saltare la testa con il fucile, prima di sorridere a Nick “Il tuo compagno di ballo è morto.”.
“Ehi!” mormorò Nick. “Era mio.”.
“In realtà era mio.” disse Kriss con le braccia incrociate sul petto. “Da chi pensavate che stesse scappando?”
“Troppi cacciatori e poche prede.” disse Dean uscendo dall’ombra di un albero vicino.
“Almeno Nick si è liberato di quel braccio.” mormorò Steven, poi scosse il corpo disgustato “Bleah.”.
Kriss fece una smorfia “Non parlare di quel braccio… mai più.”.
“Perché?” chiese Jewel, non cogliendo la battuta.
Nick sorrise “Beh, io…”.
Kriss lo guardò e ringhiò “Di’ un’altra parola e ti mando dritto da San Pietro.”.
Dean sorrise “Non provocare il mio gattino… sembra abbastanza arrabbiato da farlo sul serio.”.
Kriss guardò Dean e rimase sorpreso quando vide il desiderio celato nel suo sguardo. Non poté farne a meno… il suo sguardo si posò sul corpo di Dean e un leggero rossore gli affiorò sulle guance, costringendolo a guardare altrove.
Jewel sorrise, intuendo ciò che stavano pensando i due uomini. Steven e Nick, invece, ne erano del tutto ignari.
Gli occhi di Dean si oscurarono in modo attraente quando vide la reazione di Kriss. Avvicinandosi all’altro caduto, Dean avvolse un braccio intorno alla vita di Kriss e gli accostò le labbra all’orecchio “Credo che adesso potrete cavarvela da soli.” Sorrise quando Kriss rabbrividì leggermente per il suo respiro caldo.
Gli altri tre rimasero stupiti quando i due caduti svanirono.
“Ma come fanno?” chiese piano Steven.
“Non lo so.” rispose Nick, cercando di scacciare il pensiero di Dean che teneva stretto Kriss in quel modo.
Un rumore di passi li fece girare a guardare verso Quinn e Kat, che sopraggiunsero da dietro una cripta.
“Bene, ci siamo quasi tutti.” disse Nick. “Io sono pronto a lasciare questo casino nelle mani del PIT.”.
“Mancano solo Envy e Devon.” disse Steven.
Jewel si guardò intorno “Mi chiedo dove siano finiti.”.
“L’ultima volta che li ho visti erano con il fratello di Envy e il nostro orsetto armato preferito. Sono sicuro che ci raggiungeranno con lui.” dichiarò Nick. “Quindi se tu vieni con me ce ne andiamo.”.
“Sei pronta?” chiese Quinn a Kat, stringendola intorno alla vita. “Come prima.” Kat gli sorrise. Avevano fatto un bel lavoro stasera, ma il combattimento le aveva fatto venire voglia di altre cose.
Steven mise un braccio sulla spalla di Jewel e la portò verso l’ingresso del cimitero.
Nick roteò gli occhi. Stava iniziando a sentirsi come il terzo incomodo.
In un’altra zona del cimitero, le quattro persone in questione stavano pattugliando il cimitero, eliminando i demoni uno ad uno. Trevor era al telefono per dare ordini agli agenti che aveva lasciato alla centrale.
“Sì, serviranno dei blocchi stradali per tenere gli umani lontani dall’Hollywood Cemetery. Assicuratevi che tutte le strade secondarie siano coperte.” Trevor tacque per un minuto mentre l’ufficiale all’altro capo del telefono parlava.
“Predisponeteli al più presto.” continuò Trevor “Al massimo entro dieci, quindici minuti. Arrivano già i primi curiosi ma ho inviato delle persone a fermarli. Il fatto è che non sono poliziotti, quindi è un grosso problema. Non possiamo permettere che qualcuno comprometta la scena del crimine, sai cosa voglio dire… vandali e incendi… almeno per tre giorni… No, se qualcosa tenterà di uscire non credo che userà le strade.”.
Trevor si strofinò la tempia con l’altra mano. “Ascolta, se vedi qualcosa di strano… spara e basta.” Riagganciò e sospirò pesantemente. “Odio dover precisare ogni singola sillaba per farmi capire.”.
“E fai anche lo spelling?” chiese Chad in tono scherzoso.
Devon scoppiò a ridere ed Envy sorrise.
“Non proprio.” rispose lei, sentendosi un po’ goffa. “Ma sa scandire bene i suoni.”.
“Non dirmelo.” la interruppe Chad. “Fa lo spelling delle parole così come si pronunciano?”
Envy annuì “Proprio così.”.
Chad quasi cadde a terra per ridere, mentre Trevor mise il broncio.
“La piantate, voi due?” ringhiò Trevor.
“Piantare cosa?” Envy e Chad parlarono all’unisono, dopodiché scoppiarono a ridere.
Envy sorrise ricordando tutte le volte in cui, da adulti, si erano trovati in difficoltà perché avevano iniziato a ridere e non riuscivano a smettere. A pensarci bene, di solito succedeva sempre quando era ora di dormire. Osservò Chad. Accidenti, il suo sguardo era spento.
Devon non stava prestando molta attenzione alla scenetta, al momento. Aveva visto Warren da lontano che smembrava un demone e combatté l’impulso di trasformarsi per correre da lui.
Envy notò l’espressione di Devon e intuì il suo desiderio dal modo in cui i suoi occhi cambiarono colore. Seguì il suo sguardo verso il giaguaro e si rese conto che trasformarsi faceva parte della sua natura. Probabilmente era rimasto nella sua forma umana solo per lei e non era affatto giusto.
“Perché non vai ad aiutarlo?” gli disse, posandogli una mano sul braccio. “Io me la caverò.”.
Devon la guardò “Come tornerai a casa?”
“La porto a casa mia.” propose Chad, felice di quell’idea. Il suo appartamento non era più lo stesso da quando lei se n’era andata. “Intendo comunque portarla fuori di qui. Puoi passare a prenderla quando hai finito.”, poi aggiunse rapidamente “Prenditi tutto il tempo che vuoi perché probabilmente dormiremo come sassi.”.
Devon stava per obiettare ma guardò i due fratelli e per la prima volta si rese conto che erano così stanchi da sembrare drogati. Si sentì in colpa per non averlo notato prima. Agli umani serviva il doppio del sonno, se non di più, rispetto ad un mutante.
“D’accordo.” rispose Devon, e diede un bacio a Envy. “Verrò a prenderti… tu vai a riposare.”.
Envy annuì e osservò Devon che si tolse i vestiti, si trasformò in giaguaro e corse verso Warren, e lei si meravigliò di quanto fosse bello in qualsiasi forma.
“Possiamo andare adesso?” La voce di Trevor era cupa, non gli piaceva il modo in cui lei stava fissando Devon.
Envy e Chad annuirono entrambi.
“Buona idea.” disse Chad. “Mi dispiacerebbe diventare un bersaglio facile di qualche demone fortunato dopo essere svenuto dal sonno nel cimitero. Non chiudo occhio da due giorni.”.
I tre si diressero verso l’ingresso del cimitero, uccidendo alcuni demoni lungo il tragitto. Quando finalmente raggiunsero l’auto di Trevor, Chad si fermò un attimo, incapace di controllare il sorriso sadico che gli apparve sul viso.
“Dov’è la tua vecchia auto?” chiese Envy quando Trevor si avvicinò al veicolo di colore nero. “Non che questa non sia fantastica, eh.”.
Trevor si bloccò, ricordando la caratteristica che Ren aveva dato all’auto. Oh merda! All’improvviso aveva voglia di girarsi e correre via come un pazzo.
“Trevor.” disse Evey emozionata, con la voce uguale a quella di Envy. “Sono contenta che tu stia bene. Ho scansionato tutti quelli che entravano e uscivano dall’ingresso, e ho già depositato buona parte del tuo rapporto nel sistema del PIT.”.
Trevor sbiancò quando guardò Envy e vide l’espressione incredula sul suo viso.
“Trevor.” Envy imitò la preoccupazione che aveva sentito nella voce dell’auto… cioè la sua. “C’è qualcosa che vorresti condividere con il resto della classe?”
“Oh, e questa chi è?” chiese Evey. “Non l’ho mai vista prima e non è nella banca dati del PIT. Devo aggiungerla?”
Se Trevor non l’avesse conosciuta, avrebbe giurato che la voce di Evey fosse un po’ troppo dolce per essere sincera.
“Evey, questa è mia sorella Envy.” intervenne Chad. “È umana e non fa parte del PIT. Puoi darci uno strappo a casa?”
Le portiere dell’auto si aprirono, Trevor e Chad salirono davanti ed Envy si sedette dietro.
“Quando hai imparato a parlare?” chiese Envy, guardando Trevor nello specchietto retrovisore. Se uno sguardo avesse il potere di uccidere allora a quel volante ci sarebbe stato un uomo morto.
“Da poco.” disse Evey con una risposta breve e concisa, poi aggiunse all’improvviso “Non provare a pensare di portarmi via Trevor.”.
Chad spalancò gli occhi prima di iniziare a ridere così tanto da sentire dolore al fianco.
“Oh, non ti preoccupare.” rispose Envy, lanciando un sorriso quasi perfido a Trevor attraverso lo specchietto. “Non ho intenzione di portartelo via. Trovo che siate una coppia perfetta.”.
Evey sussultò e le portiere dell’auto si chiusero di colpo. “Dove abitate tu e Chad?” Questa volta la voce era felice.
“Guido io.” disse Trevor, augurandosi che la terra sprofondasse e lo inghiottisse. “Tu fai la brava e simpatizza con Envy.”.
“Oh sì.” disse Envy, mentre Trevor mise in moto. “Ti prego, parlami di te e delle cose divertenti che fai con Trevor.”.
Chad era quasi steso per ridere e non si fermò finché non furono quasi a casa. Non appena Evey entrò nel vialetto, Chad scese di corsa e si precipitò in casa, sapendo che Envy ci avrebbe messo qualche minuto in più. Cavolo, gli facevano male le mascelle. La cosa divertente era che stavolta non era colpa di Trevor.
“Evey.” disse gentilmente Envy “Ti dispiace se Trevor mi accompagna alla porta? Stasera ho visto troppi mostri per sentirmi al sicuro da sola… visto che il mio fratellone mi ha piantata in asso.”.
Trevor si sentì rimpicciolire sapendo cosa lo aspettava, e che Evey non l’avrebbe aiutato. Non era proprio la sua serata.
“Buona idea. Trevor, assicurati che niente faccia del male alla mia nuova amica. Io intanto finisco l’aggiornamento del tuo rapporto per il PIT.” Il cruscotto si illuminò trasformandosi in un computer mentre Evey lavorava al suo progetto, mormorando a bassa voce. Poiché Envy era la sorella di Chad e ovviamente combatteva anche lei i mostri, aveva deciso che meritava un file nella banca dati del PIT. Segretamente scattò una foto alla ragazza con la sua fotocamera nascosta.
Trevor sospirò cedendo all’autocommiserazione, e scese lentamente dalla macchina. Bene, aveva sperato di avere un momento da solo con Envy e ora sembrava essere stato accontentato. Lui cercava sempre di vedere il lato positivo delle cose, ma stavolta quel lato sembrava quasi inesistente.
Finalmente arrivarono alla porta d’ingresso e Trevor guardò verso Evey, trovando solo un enorme albero nel cortile a coprirgli la visuale. Proprio in quel momento Envy si girò e lo guardò intensamente, dopo aver rimuginato per tutto il tragitto. Gli puntò un dito al petto così forte che a Trevor sembrò di vedere già il buco nelle costole.
“Era uno scherzo? Perché non era affatto divertente.” sibilò Envy a bassa voce, senza sapere quanto fosse sensibile il microfono di quella dannata auto.
“Sì, è uno scherzo.” ringhiò Trevor. “Ma è stato fatto per torturare me… non te. Sinceramente me n’ero dimenticato finché non siamo tornati all’auto.” spiegò Trevor, passandosi le mani tra i capelli. “Mi dispiace che tu abbia dovuto saperlo.”.
Percependo la sincerità nei suoi occhi e nella sua voce, Envy si rasserenò. Stava dicendo la verità… o almeno lo sperava. “Perché qualcuno ti farebbe una cosa del genere?”
Gli occhi argento-blu di Trevor si scurirono un po’ mentre guardava la sua anima gemella. “Perché lo sanno tutti che io ti amo e tu mi odi. Lo trovano divertente. Perché pensi che Chad abbia riso per tutto il tempo?”
“Trevor.” Envy sentì il petto stringersi dolorosamente alle sue parole. “Non è vero.” lo corresse lei dolcemente. “Non potrei mai odiarti.”.
“Lo so.” Lui le rivolse un lieve sorriso, che svanì subito. “So bene che sei innamorata di entrambi. Anche Devon lo sa.”.
Envy spalancò gli occhi e fece subito un passo indietro. Scuotendo un po’ la testa sussurrò “Cosa te lo fa pensare?”
“Siamo mutanti, Envy… sentiamo il tuo odore.” insistette Trevor, facendo un passo avanti e accorciando la distanza tra loro. “Non dirmi che non mi vuoi quando io so che è così. Tu mi ami quanto lui perché hai due anime gemelle.” Trevor deglutì… ecco, glielo aveva detto.
Envy rimase in silenzio, guardandolo come un cerbiatto appena sorpreso dai fari di un’auto. Non sapeva come rispondere perché la verità era che… Trevor riusciva ancora a confonderla. Si era sforzata di ignorare l’attrazione che provava per lui perché aveva scelto Devon.
“Dimmi che non mi ami.” le sussurrò Trevor, chinandosi fin quando le loro labbra quasi si toccarono.
Stavolta fu lei a deglutire. Voleva negare ciò che lui stava dicendo ma i sentimenti nascosti non glielo avrebbero permesso. Odiava sentirsi dire le bugie, perciò era incapace di mentire perfino a se stessa. Lo amava ancora… ma era sbagliato amare due uomini contemporaneamente.
“Io amo Devon.” mormorò sulle labbra di Trevor, imprecando contro se stessa per averlo ferito di nuovo.
“Aggiri la domanda… mossa davvero intelligente.” disse Trevor dopo un attimo e si scostò un po’ per guardarla. “Anche se menti posso comunque sentire il tuo odore.”.
Envy fece un passo indietro mentre Trevor si chinò su di lei, coprendole la visuale anche se si era allontanata. Allungando una mano dietro di sé, lei cercò la maniglia della porta. Non voleva pensarci… le spezzava il cuore.
Alla fine le sue dita trovarono la maniglia e la girarono, aprendo la porta. Lei sgattaiolò dentro e fece per chiuderla quando la mano di Trevor scattò e la bloccò.
“Sai che ho ragione.” sussurrò Trevor. “Lo provi anche tu.”.
Envy sentì le farfalle nello stomaco e chiuse subito la porta. Facendo scattare la serratura, si girò e vi si appoggiò con la schiena, aspettando che Trevor mettesse in moto e se ne andasse. Per qualche motivo le sembrò che lui fosse ancora lì in piedi dietro di lei, in attesa di oltrepassare la porta e stringerla tra le braccia.
Trevor posò i palmi sulla porta che li separava, percependo Envy appoggiata dall’altro lato. Poteva sentire il suo cuore battere attraverso il legno massiccio e inalò profondamente per calmare i propri nervi. Il suo istinto gli gridava di sfondare la porta e riprendersi ciò che era suo… ma sarebbe stato dannato piuttosto che darle un motivo per smettere di amarlo.
Si accigliò quando non la sentì allontanarsi dalla porta. Avvicinandosi all’ostacolo tra loro, poggiò la fronte contro il legno freddo e sospirò.
“Envy.” sussurrò. “Io ti amo.”.
Fu allora che la sentì correre verso la sua camera da letto.
*****
Jason era seduto su una panchina di pietra davanti a una cripta per riprendere fiato. Non si era imbattuto in nessuna creatura o persona negli ultimi tre minuti ed era un record per quella notte.
Toccando l’anello sperò che in qualche modo l’oggetto si riattivasse. Il suo stomaco era serrato perché non sapeva dove fosse Tiara e se stesse bene. Abbassando un po’ la testa, si rimproverò mentalmente per non essere riuscito a portarla via dal mausoleo. Che razza di protettore era? Lei aveva addirittura dovuto chiedere aiuto a un demone.
“Forse dovresti guardare dietro di te.” disse una voce dal nulla.
Gli occhi di Jason scattarono vedendo un uomo dai lunghi capelli neri, in piedi a poca distanza da lui. Sbatté le palpebre quando capì a cosa si riferiva l’uomo.
I peli sulla nuca gli si drizzarono e Jason fece alcuni passi avanti prima di girarsi per vedere cosa c’era dietro di lui. Quattro demoni lo fissavano ad un paio di metri di distanza, con la bocca aperta per mostrare i loro denti aguzzi.
“Fatevi sotto!” gridò Jason, sentendo una leggera scarica di rabbia. Era stanco di combattere quelle creature. “Non l’avete ancora capito, idioti? Per vivere in un cimitero bisogna essere morti.”.
Angelica sorrise raggiungendo Syn appena in tempo per sentire le imprecazioni di Jason. “Ehi Jason, vuoi vedere una cosa?” gli chiese avvicinandosi, e alzò le mani davanti a sé. Aprì la bocca e sussurrò un incantesimo che avrebbe dovuto far implodere i demoni. Per suo sgomento, le creature indietreggiarono all’improvviso e si dileguarono nel buio.
“Grandioso.” disse Jason, pensando che dipendesse dall’incantesimo.
“Dannazione, se la smettessi di spaventarli a morte forse riuscirei ad ucciderne qualcuno in modo decente, stasera.” Angelica sbottò e si girò, trovando Syn proprio dietro di lei. “Sei come un repellente per demoni.”.
Jason sorrise quando capì di cosa si stava lamentando. “Un repellente per demoni.” mormorò, ma poi tacque all’istante quando Angelica si girò per guardarlo. “Voglio dire, hai ragione. Hai pienamente ragione.” Quando si è in dubbio è sempre meglio assecondare le donne.
Syn ridacchiò piano “Mi sono solo avvicinato, cara. Non posso farci niente se gli Spinnan mi temono, forse erano solo codardi. Vogliamo andare alla ricerca di mostri coraggiosi?” Fu ripagato quando Angelica roteò gli occhi e sorrise. Lei stava iniziando a sciogliersi nei suoi confronti, bene.
Jason si arrese realizzando che quello era l’uomo da cui lo avevano messo in guardia quando aveva iniziato a fare domande su Angelica agli altri. Concludendo che quella era una strada ormai senza speranza, sospirò e riportò l’attenzione all’anello.
“Questo stupido coso è inutile… quella sua specie di GPS maledetto dev’essersi rotto.” ringhiò, e cercò di togliersi l’anello. Ci provò per un po’ ma poi si arrese quando sentì il dito schioccare. Lo osservò di nuovo per un attimo e piegò la testa di lato. Forse era un bene che non potesse toglierlo perché, se lo avesse fatto, probabilmente sarebbe finito in mano a quelle dannate creature.
“Come faccio a proteggere Tiara se non so dove diavolo è?” imprecò contro l’anello. “Non è il momento di mettersi a dormire.”.
“Posso vederlo?” gli chiese Angelica, allungando la mano. Riconobbe l’anello dai ricordi che Zachary aveva condiviso con lei, il suo potere la incuriosiva.
Jason non poté fare a meno di guardare Angelica meravigliato. Gli teneva dolcemente la mano ed esaminava l’anello con occhio critico. Il tocco della sua pelle morbida era molto rilassante… poi lui tremò quando Syn si mise a ridere.
Jason alzò lo sguardo e lo vide con la coda dell’occhio. Quella risata era stata un po’ troppo spaventosa. L’incontro con Kane, la scorsa notte, lo aveva terrorizzato, ma questo tizio… probabilmente era Satana a cercare lui sotto il letto o nell’armadio prima di andare a dormire.
Syn guardava con pazienza mentre Angelica teneva l’altra mano ad un centimetro dall’anello. Vederla mordersi il labbro in concentrazione lo stava annientando. Allungando una mano, la posò sulla sua intrecciando le loro dita. Avvicinandosi, strofinò la guancia sui suoi capelli morbidi, stringendola dolcemente a sé con l’altra mano.
Angelica rimase stupita nel sentire all’improvviso ciò che stava cercando. “Così non vale.” sussurrò, ma poi cercò subito l’aura dell’anello da cui era attratta. Percepiva due sentieri provenienti da destra… uno illuminato e uno oscuro. Presa da una morbosa curiosità, iniziò a seguire quello buio per vedere dove conduceva.
“Basta così.” disse piano Syn e le allontanò la mano dall’anello. “Non è legato soltanto alla ragazza, ma anche alla mente del demone. Dobbiamo stare attenti a non invocarlo per sbaglio.”.
Angelica deglutì e annuì sapendo che lui aveva ragione, lei aveva sentito il potere del demone nell’anello. Lasciò che i capelli le scivolassero davanti agli occhi per nasconderli mentre osservava le loro mani ancora intrecciate. Era un qualcosa di intimo e sensuale allo stesso tempo, un gesto semplice che fece vacillare la sua mente.
“È ancora vivo?” Jason digrignò i denti e allontanò la mano immaginando un demone che irrompeva fuori dall’anello. Se quello che Nile aveva detto su Deth fosse vero, allora quel demone non sarebbe uscito dall’anello come il genio della lampada. “Non mi serviva un altro motivo per volermi sbarazzare di questo coso.”.
“La ragazza è incosciente.” lo informò Syn stringendo gli occhi, non gradiva l’aura dell’anello. Aveva sentito il demone girarsi per guardarlo ma era riuscito ad interrompere la connessione prima di essere visto. Non sapeva che tipo di oscurità avrebbe portato con sé quella creatura se fosse tornata sulla Terra.
“Incosciente? Un motivo in più per trovarla.” disse Jason, dimenticando la sua paura dell’anello. “Non sappiamo in quali guai si sia cacciata. Lei è scomparsa, Zachary è fuori combattimento…”.
“Fuori combattimento? Di che stai parlando?” chiese Angelica quasi arrabbiata, allontanando bruscamente la mano di Syn.
“Pensavo che lo sapessi.” Jason aggrottò la fronte. “Che tutti i membri della squadra lo sapessero, ormai.”.
“Sapere cosa?” chiese Angelica frustrata.
“Zachary si è infuriato quando il demone è sparito con Tiara e ha fatto esplodere il nido di quelle creature. Il demone che le allevava è bruciato lì dentro e Zachary ha perso i sensi tra le fiamme subito dopo l’esplosione.”.
Vedendo lo shock sul suo viso, Jason continuò subito “Sta bene, Ren lo ha portato via e sono scomparsi… non lo vediamo da allora. Probabilmente Storm sa dove sono andati perché era lì quando è successo.”.
“E Tiara è stata rapita da un demone?” Angelica sentì il battito cardiaco accelerare. Non c’era da meravigliarsi che Zachary si fosse infuriato.
“Non esattamente.” dichiarò Jason. “È difficile da spiegare. Il punto è che lei è svenuta mentre se ne stava andando con l’altro demone e finché questo coso non riprende a funzionare io non so nemmeno se sta bene, né da dove iniziare a cercarla.” Frustrato, diede un colpo all’anello con l’altra mano nel tentativo di farlo funzionare di nuovo.
Senza dire un’altra parola, Angelica si affrettò verso l’ingresso del cimitero, prendendosi mentalmente a schiaffi per il proprio egoismo. Era stata così occupata con Syn e i mostri da non essere lì per guardare le spalle a Zachary… per una volta che gli serviva il suo aiuto.
Le lacrime le annebbiarono la vista e lei le asciugò con rabbia, per poi trovarsi Syn davanti. Le sue braccia la circondarono per fermarla ma, prima che ciò potesse accadere, lei iniziò a dimenarsi contro di lui. Lo colpì al petto con i suoi piccoli pugni sapendo che non gli avrebbe fatto male, ma il suo primo istinto era di spazzare via tutto ciò che la separava dal suo migliore amico.
“Lasciami andare.” sibilò Angelica, più arrabbiata con se stessa che con lui. Era per questo che non voleva avvicinarsi a nessuno. Aveva scelto l’amicizia di Zachary perché lui era forte e non le avrebbe dato alcun motivo per piangere. Se era svenuto nel suo stesso fuoco allora qualcosa non andava.
Syn le strinse le mani intorno al polso e la tirò a sé con un ringhio “Ora ti mostrerò cos’altro possiamo fare insieme.” Affondò le labbra sulle sue nel tentativo di alleviare la fame gelosa che sentiva crescere dentro di sé.
Angelica si calmò e spalancò gli occhi nel momento in cui le loro labbra si sfiorarono. Sentì le ginocchia indebolirsi quando Syn le catturò il labbro inferiore nel bacio. Il movimento era così lento e sensuale che il suo inguine quasi andò in fiamme. L’impulso di ricambiare il bacio la assalì con violenza.
Prima di soddisfare quel crescente bisogno, lui si scostò e lei si ritrovò a fissarlo in quegli occhi ametista. Disorientata com’era le ci volle un po’ per notare che adesso c’era un muro dietro di lui e che non soffiava più alcuna brezza.
Syn aspettò che la sua compagna si riprendesse dall’estasi che aveva appena suscitato in lei prima di lasciarle il polso. Non c’era bisogno di baciarla per teletrasportarsi, ma se lei credeva di sì allora non l’avrebbe di certo contrariata.
Angelica si girò, sorpresa di trovarsi nell’ufficio di Storm. Osservò rapidamente la stanza prima di vedere Zachary. Era dietro una barriera traslucida… sdraiato su un letto fatto delle sue stesse fiamme, proprio come aveva detto Jason. Vedendolo in quello stato emise un singhiozzo sommesso.
I suoi passi erano lenti mentre si avvicinava alla barriera. Non aveva mai visto quelle fiamme nere e capì che non era un buon segno.
“Cosa c’è che non va?” sussurrò, chiedendosi se Zachary potesse sentirla.
Posando le mani sulla barriera vide un flusso simile ad acqua scintillante scorrerle tra le dita e scomparire prima di colpire il pavimento. La barriera divenne blu elettrico attorno alle sue mani e lei spinse per testarne la resistenza.
“Zachary, apri gli occhi. Ti prego… solo per farmi sapere che stai bene.” Angelica sentiva la speranza diminuire al passare di ogni secondo in cui lui non rispondeva.
I suoi capelli biondi gli svolazzavano intorno al viso e il suo corpo oscillava leggermente tra le fiamme, facendole capire che erano loro a tenerlo sospeso da terra. Ciò che la spaventava di più era la sua totale immobilità… non capiva neanche se stava respirando.
“È un incantesimo, Zachary? È stato qualcuno a farti questo? Sto arrivando, tieni duro.” Chiuse gli occhi e iniziò a spingere mentalmente sui sigilli intorno alla barriera. Poteva farlo… doveva farlo… per Zachary.
Syn era rimasto in silenzio, concedendole privacy con il suo amico, ma non poteva più sopportare il suo dolore. Avanzando dietro di lei, posò le mani sulle sue… rafforzando la barriera invece di aiutarla a farla cedere.
“Perché? Perché mi stai fermando?” chiese Angelica incredula.
“Perché non credo che Zachary sarà molto contento quando si sveglierà e scoprirà che ti ha ferita con il suo fuoco di fenice. Non sta morendo… si sta rigenerando. E a giudicare dall’aspetto, conserverà tutti i suoi poteri al risveglio.”.
Angelica voltò le spalle alla barriera per non vedere la terribile immagine di Zachary che bruciava. Sentendo bisogno di conforto, avvolse le braccia intorno alla vita di Syn e nascose il viso contro il suo petto.
Syn la strinse tra le braccia, dandole la sicurezza che lei stava cercando in silenzio. Guardò Zachary e si chiese cosa sarebbe successo ad Angelica in questa vita se non l’avesse trovata. La sua amicizia con Zachary si sarebbe trasformata in qualcosa di più intimo?
Strinse ancora di più le braccia intorno a lei, affondando il viso nei suoi capelli scuri, e decise di non pensarci. Lei voleva bene a quella fenice e lui era contento… ma era giunto il momento che la sua compagna ricordasse il suo vero amore.
Capitolo 3
Damon incrociò le braccia sul petto e si appoggiò al deposito degli attrezzi dei custodi del cimitero. In quell’area non c’erano cacciatori perché era un angolo abbastanza appartato e remoto del cimitero. Sembrava anche il rifugio per parecchi Spinnan sopravvissuti, quasi come se stessero cercando di riunirsi e nascondersi.
Aveva promesso ad Alicia di farla combattere e, tutto sommato, quello era un posto eccellente per farlo… finché c’era lui a fare da arbitro. Quegli Spinnan erano deboli rispetto alla maggior parte delle creature che ora vagavano in città, tuttavia aveva consentito ad Alicia di combatterne soltanto uno per volta.
Quando uno Spinnan coraggioso cercava di sorprenderla alle spalle, lui lo annientava prima che si avvicinasse abbastanza da distrarla. Distruggere i mostri diretti verso Alicia gli dava un senso di soddisfazione e lo divertiva. Lei non era niente male per essere una principiante.
Aveva anche notato una drastica diminuzione delle creature dopo l’esplosione di qualche ora prima e concluse che qualcuno doveva aver trovato il nido e lo aveva distrutto. Personalmente non gli sarebbe dispiaciuto dare un’occhiata al demone che generava quegli esseri orrendi, ma non se ne preoccupò più di tanto… probabilmente era brutto quanto loro.
Sentendo dei passi e delle voci provenire dagli alberi ai piedi della collinetta su cui si trovava, Damon raggiunse l’angolo del capanno e andò ad indagare. Quel lato del cimitero era costeggiato da pini alti e maestosi che lo separavano da un quartiere suburbano.
Essendo così vicino alle case, Damon si chiese come mai nessuno avesse sentito niente durante la notte, né fosse venuto a controllare. Un paio di volte gli era sembrato di aver visto il luccichio di una barriera intorno all’area, ma pensava che fosse la sua immaginazione. Se c’era una barriera allora forse i cacciatori di demoni non erano così inutili come pensava.
Aveva quasi raggiunto gli alberi quando sopraggiunsero due uomini che si fermarono quando lo videro. Vedendo la sagoma bianca di un edificio attraverso gli alberi, dedusse che il capanno principale dei custodi era probabilmente dall’altro lato e che i due erano appena arrivati al lavoro.
Non avrebbero potuto usare nessuna delle strade principali per arrivarci perché erano state bloccate tutte. Aggiungendo il fatto di non aver sentito alcun veicolo avvicinarsi, immaginò che i due uomini vivessero nei pressi del cimitero.
“Buongiorno.” disse Damon, avvicinandosi per lanciare loro l’incantesimo addomesticante.
I due uomini si accigliarono. Nel cimitero erano successe molte cose strane negli ultimi giorni e ciò li aveva resi sospettosi verso chiunque sembrasse pericoloso… e Damon, per loro, corrispondeva a quella definizione.
Uno dei due, quello con l’uniforme sbottonata, parlò in modo autorevole “Serve aiuto? I visitatori non dovrebbero avvicinarsi ai capanni.”.
Damon annuì fissandoli con i suoi occhi ametista, quasi sorridendo quando le loro espressioni divennero confuse. “In realtà, sono qui per dirvi che il vostro turno è già finito per oggi. Il vostro datore di lavoro vi ha detto di tornare al capanno e rilassarvi finché il cambio turno non sarà finito. Voi non vi ricordate di me e, se qualcuno ve lo chiede, avete lavorato sodo tutto il giorno.”.
Il secondo operaio, che aveva un’aria più professionale, guardò il suo collega. “È ora di provare quel televisore che hai collegato nel capanno.”.
“Già, c’è il programma di Jerry Springer.” disse l’altro con stupore.
Damon sorrise e aspettò finché non furono lontani. Quando se ne andarono fece per tornare sulla collina quando vide un imponente nuvola di polvere in aria. Tornando da Alicia, la sua espressione si incupì.
Lei stava combattendo non uno, ma tre demoni, contemporaneamente e sembrava in difficoltà. Un ringhio profondo echeggiò nel petto di Damon quando uno di loro scaraventò Alicia a terra con un rumore di ossa rotte.
Alicia rimase lì a guardare. Era andato tutto bene finché gli altri due Spinnan non avevano deciso di unirsi alla lotta. Damon era lì per aiutarla e quando non lo vide intervenire si girò per cercarlo.
Non trovandolo da nessuna parte, si era sentita felice e frustrata allo stesso tempo. Felice perché pensava che le stesse dando via libera… e frustrata perché non era lì a vederla mentre sconfiggeva tre stupide creature. Alzando la testa da terra fece per mettersi in piedi quando gli Spinnan si bloccarono all’improvviso. Rimasero fermi per un secondo prima di frantumarsi come se fossero di vetro.
Alicia si coprì il viso con le braccia per non essere colpita dai detriti che, fortunatamente, volarono lontano da lei. Quando abbassò le braccia trovò Damon lì, in piedi davanti a lei, con la solita aria arrabbiata. Sussultò quando all’improvviso lui le porse la mano per aiutarla ad alzarsi.
“Dannazione Damon, avrei potuto finirli io se me ne avessi dato la possibilità.” disse afferrando la sua mano.
Damon la tirò dolcemente e la strinse a sé. Alicia stava per protestare quando vide la sua mascella indurirsi e i suoi occhi incupirsi. La sua rabbia svanì, consapevole di averlo spaventato involontariamente.
“La regola era un mostro alla volta.” ringhiò Damon, preparandosi ad una discussione che intendeva vincere. Rimase sorpreso quando Alicia gli mise le mani dietro la nuca, intrecciando le dita tra i suoi capelli prima di attirarlo a sé in un bacio sconvolgente.
Quando si separarono, Damon ringhiò di nuovo e spinse Alicia verso il capanno dov’era appoggiato lui prima. Il ringhio poteva sembrare minaccioso, ma per Alicia era dannatamente sexy.
“Non puoi farlo.” disse Damon.
Alicia lo guardò con una finta innocenza che le brillava negli occhi. “Fare cosa?”
Damon strofinò una guancia sulla sua, sfiorandole la pelle con le labbra fino all’orecchio. “Non puoi distrarmi.”.
“Oh.” sussurrò Alicia con tono seducente. “Intendi questo?”
Si alzò sulle punte e lo baciò di nuovo, questa volta facendo intrecciare intimamente le loro lingue. Quando Damon spinse una coscia tra le sue gambe, lei le aprì e poi le strinse. Godendo di quella sensazione, iniziò a muoversi avanti e indietro contro di lui. Chiuse gli occhi quando Damon alzò ancora di più la gamba, sollevandola un po’ da terra.
“Questo è l’inizio.” Alicia ansimò quando le loro bocche si separarono.
Damon sorrise “Hai cominciato tu.” poi il suo sorriso svanì e i suoi occhi divennero più scuri “Ma adesso finisco io.”.
Alicia non poté fare a meno di gemere e avvolgergli le gambe intorno alla vita, strofinandosi contro l’erezione che sentiva crescere sotto la cerniera.
Damon la spinse contro la parete del capanno e le strappò la maglietta con impudenza. Le afferrò i seni con le mani, provocando i capezzoli turgidi sotto il pizzo, prima di sbottonarle i jeans.
Alicia abbassò le gambe e lasciò che Damon le sfilasse lentamente i jeans. Se ne liberò e gli avvolse di nuovo le gambe intorno alla vita. Damon sorrise mentre si toglieva i pantaloni.
Scambiandosi di posizione, espirò profondamente quando spinse i fianchi in alto, portando allo stesso tempo Alicia giù sulla propria erezione. Alicia gemette e poggiò la testa alla parete. Damon muoveva i fianchi ad un ritmo violento, assicurandosi di farle capire cosa intendeva lui per ‘distrazione’.
Alicia aprì gli occhi e afferrò le spalle di Damon, tirandolo più vicino. Lui abbassò la testa e le catturò un capezzolo in bocca. Alicia ansimò per quelle sensazioni e inarcò il proprio corpo. Sentendolo così in profondità dentro di sé le sembrava di avere le convulsioni ad ogni spinta.
Un rumore dietro Damon le fece alzare lo sguardo e lei socchiuse gli occhi quando vide un demone correre verso di loro. A quanto pare il demone pensava che fossero vulnerabili e voleva approfittare della situazione.
“Nemico a ore dodici.” sussurrò Alicia senza fiato.
Vide la creatura frantumarsi con il potere di Damon e gridò quando lui iniziò a spingere più forte. Era come posseduto… forte, veloce, le faceva quasi male e a lei piaceva da morire.
“A destra.” lo avvertì Alicia.
Un’altra creatura andò incontro al suo destino e Damon allontanò la testa dal seno di Alicia. Prendendole i polsi, li bloccò alla parete e le mostrò i canini.
“E adesso arriva, fallo per me.” Lui ringhiò quando sentì le pareti intime di Alicia iniziare a pulsare attorno al suo membro allo stesso ritmo con cui lui spingeva.
Alicia ignorò la sua richiesta e girò la testa per non guardarlo negli occhi. Stava cercando di resistere il più a lungo possibile perché, a differenza di ciò che gli altri potessero pensare, fare l’amore in un cimitero era davvero eccitante e con il rischio di essere scoperti da chiunque in qualsiasi momento era ancora meglio.
“Fallo.” mormorò Damon con voce roca.
Riusciva a trattenersi a stento ma anche lui voleva che il loro orgasmo avvenisse contemporaneamente. Erano entrambi così eccitati all’idea di uccidere i demoni mentre lo facevano, e di essere scoperti, che nessuno dei due avrebbe potuto resistere oltre.
Alicia gridò e alla fine cedette, incrociando lo sguardo infuocato di Damon. La molla nel suo ventre era scattata così forte che lei si sentì esplodere. Sentendo altri movimenti dietro Damon, alzò lo sguardo e sussultò.
“Dietro di te.” disse col fiato rotto.
Damon sorrise ed estese il suo potere verso la creatura. Nel momento in cui essa si frantumò, il corpo di Alicia si strinse attorno al suo membro come una morsa e lei gridò per la liberazione. Damon arrivò dopo un paio di forti spinte, riempiendola con il proprio seme e reclamando il suo corpo e la sua anima ancora una volta.
Rimasero stretti l’uno all’altra, respirando affannosamente mentre i loro battiti cardiaci iniziavano a rallentare. Damon era così orgoglioso della sua piccola gattina, era malata quanto lui in fatto di sesso… e la cosa era dannatamente eccitante.
Alla fine Damon si scostò un po’ e le sorrise. Entrambi gemettero quando lui si allontanò del tutto e le abbassò le gambe a terra. Guardandola da capo a piedi dovette ammettere che era sexy da morire.
La sua maglietta era strappata sul davanti, con il reggiseno di pizzo abbassato, che esponeva il suo seno nudo alla luce dell’alba. Si accorse che lei non indossava le mutandine e che non erano neanche aggrovigliate tra i jeans.
“Come spiegheremo la maglietta strappata?” chiese Alicia guardandosi.
“Non lo spiegheremo.” rispose Damon con un sorriso.
*****
Warren e Devon accerchiarono il demone in cui si erano imbattuti e che sibilava in modo sinistro, graffiando con gli artigli. Con uno sguardo d’intesa, i giaguari lo attaccarono in sincrono. Devon riuscì ad afferrargli un braccio con le zanne, mentre Warren gli afferrò una gamba. La creatura iniziò a urlare quando i due cominciarono a tirarla in direzioni opposte.
Sforzandosi, Devon girò la testa di scatto, rimanendo con il braccio staccato in bocca. Warren lasciò cadere la gamba e fece qualche passo indietro quando Devon saltò e affondò le zanne nel collo del demone.
Warren si sedette e iniziò a ripulirsi quando sentì il verso inconfondibile di un altro demone proprio dietro gli alberi. Guardando Devon che stava finendo l’altro, decise di andare a controllare.
Devon vide Warren allontanarsi e finì la creatura prima di girarsi di scatto. Lasciando cadere la testa mozzata, guardò nella direzione in cui era andato Warren. Avevano fatto un buon lavoro di squadra e si stava divertendo da matti.
Fece pochi passi quando un altro demone scese da un albero di fronte a lui. Un ringhio profondo irruppe dalla sua gola e lui si accucciò a terra, preparandosi a saltare. I suoi occhi felini si strinsero quando notò che il demone sembrava molto agitato.
Si guardarono a vicenda prima che la creatura si accucciasse imitando il giaguaro. Devon ringhiò e saltò verso il demone, intenzionato a finirlo subito. La creatura saltò nello stesso istante e i due si scontrarono a mezz’aria.
Devon scattò gli artigli verso la creatura ma la mancò, mentre il colpo diretto a lui lo prese in pieno alla testa. Il demone atterrò illeso a quattro zampe mentre Devon, privo di sensi, atterrò con un duro tonfo.
La creatura sibilò con aria vittoriosa, si avvicinò al giaguaro e lo prese per una zampa. Trascinandolo attraverso il cimitero, la creatura raggiunse una piccola cripta e, aprendo la porta, portò dentro il giaguaro prima di uscire, fermandosi a guardarlo per un attimo.
Inclinò la testa di lato come se stesse pensando al modo migliore per uccidere la sua preda ma poi uscì dalla cripta. La creatura tornò poco dopo, trascinando sull’erba umida due dei suoi fratelli morti. Lasciandoli accanto al giaguaro, uscì di nuovo e chiuse la porta, bloccando la serratura.
Senza guardarsi indietro, il demone corse a tutta velocità attraverso il cimitero, evitando i cacciatori di demoni sparsi in tutta la zona. Proseguendo lungo una strada secondaria, si fermò e sembrò che facesse un profondo respiro prima di iniziare a trasformarsi.
Nel giro di pochi secondi la creatura svanì e al suo posto apparve Trevor.
Roteando il collo e le spalle, si abbassò per raccogliere i vestiti che si era tolto prima e tornò con calma alla sua auto. Era tornato e aveva parcheggiato lì prima di rientrare nel cimitero con la scusa di controllare i progressi dei combattimenti. Una volta lontano dalla sua auto si era trasformato in una creatura viscida e aveva messo in atto il suo piano. Ora tutto quello che doveva fare era vestirsi e portare a termine la sua missione personale.
Trevor si passò le dita tra i capelli… non gli piaceva quello che aveva fatto, ma ciò non gli impedì di sorridere. Quando Evey aprì la portiera si avvicinò, poi si fermò quando la sentì fischiare.
Guardando il proprio corpo nudo si chiese a cosa accidenti stesse pensando Ren quando aveva dato a Evey una personalità umana. Era un bene che l’auto non sapesse cos’aveva fatto, altrimenti sarebbe finito nella merda.
“Che magnifico esemplare…” disse Evey.
“Oh, ti prego.” ringhiò Trevor, e si vestì rapidamente. Si affrettò, sapendo che avrebbe avuto solo un paio d’ore prima che Devon si svegliasse. Doveva sbrigarsi se voleva portare a termine il suo piano.
Era rimasto in silenzio mentre guidava verso un altro luogo appartato. Si fermò e rimase seduto per qualche minuto con gli occhi chiusi, chiedendosi se stesse facendo la cosa giusta.
“Va tutto bene, Trevor?” chiese Evey.
“Sì, sto bene.” disse Trevor. “Ho bisogno che tu faccia una cosa molto importante per me. Ho una missione segreta da portare a termine, nessun altro del PIT deve saperlo… è top secret.” Si sentì rimpicciolire per quello che stava per dire “Storm non vuole che vengano presentati rapporti a riguardo e non puoi dirlo a nessuno.”.
Evey rimase in silenzio per un attimo “Quanto tempo starai via?” gli chiese.
“Solo un paio d’ore.” rispose Trevor. “Non ci metterò molto.”.
“Fa’ attenzione.” disse Evey, poi i fari si spensero.
Trevor scese dalla macchina e iniziò a camminare lungo la strada. Quando fu lontano dalla vista di Evey si trasformò di nuovo, questa volta in Devon Santos, e corse verso casa di Chad. Entrando con la chiave di riserva che Envy aveva dimenticato di farsi restituire, si fece strada nell’appartamento silenzioso.
Sapeva che Chad stava dormendo superò la stanza dell’amico, diretto verso quella di Envy. Aprendo la porta, entrò e guardò la ragazza. La sua espressione si rattristò quando sentì l’odore delle sue lacrime nella stanza. Si sentiva male per averla fatta piangere, ma stava gestendo la sua gelosia nel miglior modo possibile.
Quando era tornato al cimitero c’era stato un momento in cui aveva pensato di uccidere Devon. Senza il giaguaro sarebbe stato lui la consolazione di Envy? Si era sforzato per scacciare via quel pensiero allettante, ma rimase sconvolto dalla velocità con cui gli venne in mente Non avrebbe mai potuto ferire Envy in quel modo ed era spaventato per averlo preso in considerazione anche solo per un attimo. D’altra parte, vederla innamorata di un altro uomo o affranta per la sua morte sarebbe stato doloroso comunque. Anche se gli faceva male, Trevor sapeva che Envy amava entrambi… non le aveva mentito quando glielo aveva detto qualche ora prima.
Muovendosi in silenzio, Trevor si tolse lentamente i vestiti e s’infilò nel letto con Envy. Se era questo ciò che doveva fare per avere pochi attimi da solo con lei allora… poi improvvisamente interruppe quel pensiero. Era d’accordo sul fatto che in amore e in guerra non ci sono regole, e adesso si sentiva in mezzo alle due cose.
Envy sentì un movimento sul materasso dietro di lei e si girò subito verso Devon, stringendolo forte e nascondendo il viso sul suo petto. Aveva pensato soltanto a Trevor nell’ultima ora e si sentiva in colpa per questo.
Vedendo il PIT in azione si era resa conto che Trevor le aveva nascosto dei segreti perché non aveva scelta. Era stata così insensibile da lasciarlo per colpa di qualcosa che non dipendeva da lui, lo aveva addirittura aggredito con il taser. Come aveva potuto essere così crudele?
Adesso lui soffriva per colpa sua e lei non lo avrebbe di certo punito… poteva almeno provare ad essere di nuovo sua amica e magari il suo cuore sarebbe guarito. Strofinò la testa contro la mano di Devon quando lui le accarezzò i capelli.
“Sei tornato.” sussurrò, augurandosi che il peso nel suo petto svanisse.
“Cosa c’è, Envy?” chiese lui.
“Niente.” Envy mentì e si scostò per sorridergli.
“Allora perché hai pianto?” Lui vide Envy accigliarsi confusa. Prima che lei potesse negarlo le ricordò “Posso sentire l’odore delle tue lacrime. Non puoi nascondermi i tuoi stati d’animo.” Doveva sapere se avrebbe raccontato a Devon quello che era successo quando l’aveva portata lì.
Envy spalancò gli occhi. Era la stessa cosa che le aveva detto Trevor. Sapevano entrambi meglio di lei come si sentiva? La consapevolezza che tutti e due potessero leggere dentro di lei la fece sentire un po’ esposta.
Lui la sentì irrigidirsi ma, prima che riuscisse a cogliere l’espressione sul suo viso, lei gli premette di nuovo la guancia sul petto. “Trevor ha detto o fatto qualcosa di sbagliato in macchina? Perché se è così giuro che…”.
Envy si scostò all’istante e guardò Devon quasi con rabbia “No, mi hai promesso che non gli farai mai del male a prescindere da ogni cosa.” Il cuore le sbatteva contro il petto, non voleva vederli mai più combattere tra loro. Se uno dei due fosse rimasto ferito avrebbe odiato l’altro, adesso ne era consapevole.
Trevor smise quasi di respirare quando la sentì prendere le sue difese. Aveva fatto promettere a Devon di non fargli del male… e Devon aveva acconsentito per la stessa ragione per cui lui non lo aveva ucciso poco fa nel cimitero.
“A proposito delle lacrime…” Envy abbassò la voce, controllando le sue emozioni “… ho sognato che uno di quei mostri ti ha preso e mi sono svegliata piangendo.” Beh… era vero anche quello.
“Era solo un sogno.” sussurrò lui e la abbracciò. Trevor chiuse gli occhi, chiedendosi se il legame che lei condivideva con entrambi le avesse provocato quel sogno così realistico. Non volendo pensarci, la fece girare sulla schiena e la guardò, prima di abbassare lentamente le labbra sulle sue.
Envy gemette e inarcò la schiena, spingendo il seno contro il suo petto. Gli avvolse le braccia intorno al collo, ma lui le prese i polsi e li bloccò sul materasso.
Le loro bocche si separarono ed Envy piegò la testa all’indietro quando le labbra di Devon iniziarono a tracciare un lungo e tortuoso percorso lungo il collo fino alle clavicole. Sorridendo per quella sensazione, gli avvolse le gambe attorno alla vita per avvicinarlo fin quando non sentì la sua erezione.
Trevor si fermò e la guardò per un attimo prima di spingersi in lei. Non gli importava di quali sembianze avesse, quello era il suo corpo ed esattamente dove voleva che fosse. Fece l’amore con lei come un uomo perso nella sua stessa follia.
Envy si morse il labbro per non gridare e svegliare suo fratello. Si aggrappò a Devon cercando di seguire il suo ritmo, ma si rese conto di non riuscire a stargli dietro stavolta. Tutto quello che poteva fare era resistere mentre lui la portava al culmine.
Trevor catturò subito le sue labbra quando lei dimenticò che non erano soli in casa, e non aveva comunque intenzione di farla arrivare così presto. Lui si trattenne in pieno controllo e non cedette finché non fu passata più di un’ora.
La osservò per qualche minuto mentre dormiva, prima di darle un tenero bacio sulle labbra e scivolare giù dal letto.
*****
Warren stava iniziando a preoccuparsi, cercava l’odore di Devon da un’ora. Quando prima si era allontanato da suo fratello pensava che lui lo avrebbe seguito, ma aveva ucciso altri tre demoni prima di accorgersi che Devon non era lì.
Aveva anche emesso un ringhio acuto, il segnale con cui i giaguari si tenevano in contatto, ma non ci fu un ringhio in risposta. Tornando nel punto in cui aveva visto Devon l’ultima volta, Warren vide i segni della lotta ma nessuna traccia di suo fratello. Dopo alcuni minuti percepì finalmente l’odore di Devon e lo seguì fino ad una vecchia cripta.
Avvicinandosi con cautela, fiutò tutto il perimetro prima di toccare la porta. Ringhiò trovando la serratura bloccata e pensò a due possibilità, o Devon era stato portato lì da qualcuno o in qualche modo la porta si era chiusa e bloccata da sola durante la lotta.
Tornando alla sua forma umana, Warren aprì la porta staccandola dalle cerniere con uno stridio, e spalancò gli occhi quando vide Devon a terra con due demoni accanto a lui.
Devon aprì leggermente gli occhi quando la porta si spalancò, ma li richiuse subito quando la luce del mattino invase la cripta, accecandolo. Si sentiva come se avesse bevuto tutte le scorte di Heat e fosse finito in una rissa.
“Che cavolo è successo?” chiese Warren.
Devon ringhiò e si trasformò nella sua forma umana. Portandosi una mano sulla testa, si mise a sedere lentamente con l’aiuto di Warren e si guardò intorno.
“L’ultima cosa che ricordo è di aver combattuto con un demone dopo che ti sei allontanato.” rispose Devon. “Devo averlo intrappolato qui dentro e l’ho ucciso…” guardò le due creature e si accigliò “… li ho uccisi. Uno deve avermi colpito alla testa prima di finire k.o.”.
“Penso che abbiamo combattuto abbastanza, per oggi.” dichiarò Warren. “Abbiamo bisogno di dormire.”.
Devon annuì e si fece aiutare ad alzarsi. “Fantastico, siamo nudi.” borbottò.
“Ci toccherà correre.” sorrise Warren. “Vuoi passeggiare lentamente e vedere quanti fischi riceviamo, o preferisci correre?”
“Al mio tre.” rispose Devon.
Quando tornarono al veicolo indossarono gli abiti di ricambio che avevano portato con sé per sicurezza.
“Lasciami a casa di Chad. Envy è lì, dormo con lei.” disse Devon appoggiandosi al sedile. “Ah, fammi un favore.”.
Warren lo guardò mentre guidava. “Non lo dirò a nessuno così Envy non verrà a saperlo.”.
Devon sorrise per l’incredibile capacità che aveva suo fratello maggiore di sapere sempre cosa pensava la gente, evitava l’imbarazzo a volte.
“Grazie.” disse Devon. “Odio quando si preoccupa.”.
Pochi minuti dopo, Warren si fermò davanti all’appartamento di Chad e guardò Devon. “Vai a dormire e poi chiamami quando siete pronti per tornare a casa.”.
Devon scosse la testa “Non ti preoccupare, ci darà un passaggio Chad o chiamerò un taxi.”.
Warren aspettò che Devon aprisse la porta ed entrasse prima di andarsene. Non voleva dirglielo ma trovarlo in quello stato lo aveva fatto imbestialire. Il modo in cui la porta era stata bloccata dall’esterno sembrava intenzionale e si chiese se qualcuno o qualcosa l’avesse fatto di proposito. Scuotendo la testa decise di non pensarci più… era esausto.
Devon si mosse in silenzio verso la stanza di Envy. Aprì la porta e sorrise vedendo il suo viso angelico rilassato nel sonno. Togliendosi i vestiti si infilò nel letto e le si avvicinò, avvolgendole un braccio attorno alla vita.
Lei si rannicchiò nel suo abbraccio prima di rilassarsi contro il suo petto e piegare la testa all’indietro. Riprese a respirare profondamente nel sonno e Devon si rilassò. Decise di lasciarla dormire invece di svegliarla per farle sapere che era tornato… doveva ricordarsi di fare più attenzione alle sue abitudini d’ora in poi.
*****
Il settimo piano dell’ospedale era tranquillo, era stato un turno lungo e noioso per le infermiere che facevano i loro giri tra i vari pazienti. I respiratori artificiali emettevano un segnale acustico costante, creando un rumore di sottofondo grazie al quale il reparto non sembrava silenzioso.
“Sono state dieci lunghissime ore, eh?” chiese il vigilante ad una delle infermiere.
“Lunghissime è dire poco.” rispose lei con un sorriso “Vai in rosticceria per la pausa pranzo?”
“Sì.” rispose la guardia. “Vi porto qualcosa?”
L’infermiera annuì “Ne stavamo parlando prima, chiedo alle altre e ti faccio sapere.”.
Il sistema di monitoraggio dei pazienti iniziò a lampeggiare all’improvviso e l’infermiera scattò in piedi. Le spie blu lampeggiavano qua e là e lei prese il telefono.
“Il Dottor Gordon e il Dottor Harris sono desiderati al settimo piano.” disse, prima di riappendere il telefono e correre fuori.
Sopraggiunsero altre infermiere da tutto il reparto per controllare quanti più pazienti possibili. Il vigilante prese la sua radio e chiamò la base al piano terra. Non ci volle molto prima che i due medici arrivassero insieme ad altre dieci infermiere per dare una mano.
Si scatenò il panico tra il personale quando i pazienti iniziarono a morire uno dopo l’altro come mosche stecchite. Restavano accanto ad ognuno di loro il più a lungo possibile prima di passare al successivo dopo averne accertato la morte.
Mentre si muovevano lungo il corridoio si resero conto che qualsiasi cosa stesse provocando la morte dei pazienti sembrava avvicinarsi sempre di più al reparto di terapia intensiva. Anche se tutti stavano pensando la stessa cosa nessuno espresse quella paura… era solo una coincidenza.
Il vigilante era all’ascensore quando arrivò la polizia. Fu deluso quando vide che soltanto due agenti avevano risposto alla chiamata, ma meglio di niente. Con il terremoto della settimana prima e tutte le persone trovate morte e smembrate finora, comprendeva la mancanza di forze disponibili.
Si udirono delle urla nel corridoio e gli agenti puntarono le pistole mentre correvano. Videro due infermiere sbalzate via e colpire duramente una parete con un rumore di ossa rotte. Esse caddero a terra lasciando lunghe strie di sangue sulla pittura bianca.
“Ma che diavolo succede?” mormorò il vigilante.
Gli agenti impugnarono saldamente le armi e si mossero lentamente. Altri membri del personale furono scagliati fuori dalle stanze, mentre altri cercavano di scappare.
Il vigilante osservò sconvolto una sagoma scura uscita dalla stanza accanto all’ingresso del reparto di terapia intensiva. Appariva e scompariva mentre si muoveva. Il suo volto non era visibile sotto il mantello nero strappato, ma si vedeva chiaramente una lunga falce stretta da lunghe dita.
La figura si muoveva verso di loro, sbalzando via le infermiere come bambole di pezza e gli agenti aprirono il fuoco mentre si allontanavano dallo spettro. La falce tracciò un lungo arco, tagliando in due un agente. Il sangue schizzò ovunque e la creatura proseguì verso l’altro agente che stava ancora sparando.
Schizzò altro sangue quando il secondo agente fu ferito al viso. Sentì a malapena il campanello dell’ascensore, segno che stava arrivando qualcuno, ma era bloccato dalla paura e non riusciva a muoversi.
Vide un uomo con la coda dell’occhio… giovane, con un lungo soprabito e capelli neri in stile punk. L’uomo alzò una mano verso la creatura, che finì in fondo al corridoio. Essa gridò, usando la falce per fermare il suo volo, e sembrò fissare il nuovo arrivato prima di svanire.
“Stai bene?” chiese Ren all’agente traumatizzato.
L’uomo svenne di colpo, Ren sospirò e prese il cellulare. Era un bene che nei pressi di quell’ospedale avesse percepito degli esseri paranormali, altrimenti non avrebbe avuto il potere per spaventare quella creatura.
“Ci serve un’impresa di pulizie e il miglior cacciatore di demoni che abbiamo.”.
Capitolo 4
Angelica camminava avanti e indietro nell’ufficio di Ren, cercando di tenere d’occhio la barriera e di stare a distanza dagli altri nella stanza. Aveva già fulminato Storm quando le aveva detto che fissare Zachary non sarebbe servito a farlo svegliare prima.
Guardo perplessa Syn, che ancora appoggiato al muro. Iniziava a pensare che quell’uomo poteva trasformarsi in una statua se si fosse impegnato, visto che non si muoveva da ore.
Forse Storm aveva ragione, iniziava a soffocare lì dentro e Zachary non aveva mosso neanche un dito. All’improvviso il cellulare di Angelica squillò, destandola dai suoi pensieri.
Vedendo l’ID del chiamante e pensando che Storm volesse avere notizie di Zachary rispose “No, Storm. Non si è ancora svegliato.”.
“Ren ha bisogno di te all’ospedale.” disse Storm seriamente. “Si è imbattuto in qualcosa di terribile che adesso è da qualche parte nell’edificio.”.
“E ha bisogno di me per trovarlo.” concluse Angelica, guardando Zachary prima di voltarsi. “Arrivo.”.
Riagganciò e si rivolse a Syn “Devo andare in ospedale.” Syn accorciò la distanza tra loro così velocemente che lei quasi non se ne accorse.
Le mise un braccio intorno alla vita e sorrise prima di stringerla a sé. Era ora che lasciasse il capezzale del suo amico.
In un batter d’occhio si trovarono all’ingresso dell’ospedale. I membri del PIT travestiti da agenti di polizia stavano già scortando tutti fuori dall’edificio. Non procedevano con ordine come avrebbero dovuto ma, se la situazione era grave come Storm aveva detto, allora non poteva certo biasimarli.
“Dov’è?” chiese Angelica a uno della squadra.
“Non lo so, ma Ren sta perlustrando il settimo piano.” rispose l’uomo dopo averla riconosciuta.
Angelica e Syn andarono agli ascensori e raggiunsero il settimo piano. Quando le porte si aprirono, la prima cosa che lei notò fu l’odore di sangue, poi spalancò gli occhi per la carneficina nel corridoio.
Ren aveva piantonato membri del PIT nell’area per controllare la presenza di eventuali sopravvissuti. Un’altra cosa che lei notò fu il vigilante rannicchiato in un angolo, che si dondolava avanti e indietro mormorando qualcosa a proposito del Mietitore.
“Cos’è successo?” chiese Angelica.
Ren sospirò “Sembrava il Mietitore, con tanto di falce e tutto il resto.”.
“Un demone della morte.” disse Angelica. “Non ne ho mai affrontato uno ma so che sono molto cattivi.”.
“È sprofondato nel pavimento ed è sparito.” spiegò Ren. “Non siamo ancora riusciti a trovarlo.”.
“È ancora qui.” lo informò Syn.
“Lo so… sento la sua energia negativa che cerca di contagiarmi come una malattia.” disse Ren frustrato.
Angelica fece un respiro profondo e iniziò a percorrere mentalmente gli altri piani dell’ospedale. A volte le era capitato di riuscire a seguire il percorso invisibile intrapreso da qualche demone potente ma questo, invece, si era aggirato in tutto l’ospedale, ripercorrendo i propri passi troppe volte.
Ren spalancò gli occhi quando si sentì toccare dal potere di Angelica. “Interessante.” disse, non avendolo mai percepito prima. Immaginò che quando erano al castello il suo potere fosse dormiente perché non ne aveva bisogno. Ren scrollò le spalle, non era il momento per provare nuovi poteri, e tornò al suo lavoro.
Angelica si allontanò dal massacro verso la scala di emergenza. Syn era proprio dietro di lei e la vide guardarsi intorno per un attimo. Sentì il sangue nelle vene iniziare a scaldarsi quando, con il proprio udito sensibile, sentì dei bambini che piangevano e chiedevano aiuto. Alzò lentamente lo sguardo verso il soffitto concentrandosi sulle voci.
Angelica inspirò e corse su per le scale a tutta velocità. Percorsero tre piani e si fermarono al decimo. Lei si fermò di colpo e si portò una mano alla bocca vedendo un’altra carneficina.
Abbassando lo sguardo sentì le lacrime accumularsi negli occhi quando si accorse di trovarsi in una pozza di sangue. A pochi metri c’era un bambino di non più di cinque anni che stava morendo dissanguato. Piccoli corpicini erano sparsi dappertutto, alcuni con espressioni di terrore sui loro volti angelici.
“No.” sussurrò Angelica. Era in grado gestire quasi tutto ciò che riguardava il suo lavoro, sangue, violenza, demoni… ma quei bambini erano innocenti.
Un terribile urlo disumano proveniente dall’atrio fece alzare lo sguardo ad Angelica e Syn. Il demone della morte era in piedi nella sala principale del reparto pediatrico, coperto di sangue. Sbatté a terra l’estremità della sua falce rompendo una mattonella, prima di avanzare verso di loro.
Syn si mise lentamente davanti ad Angelica, tenendo d’occhio il demone che si avvicinava a rapidamente. Esso sollevò la falce in aria per colpirlo ma la mano di Syn scattò, afferrando l’arma proprio quando la lama fu a un centimetro dalla sua pelle.
“Lascia che mi presenti.” Syn sibilò e sbatté il palmo della mano sul petto del demone, frugando nelle sue vesti per cercare qualcosa all’interno. Il demone gridò e si allontanò, lasciando Syn con la falce in una mano e qualcosa di nero nell’altra.
“Uccidere i bambini non è consentito.” disse Syn con voce pericolosamente calma, sollevando la falce con destrezza. “Assaggerai tu stesso il dolore che infliggi agli altri.”.
Facendo cadere il cuore nero a terra e spostando la falce nella mano destra, Syn puntò l’arma davanti a sé prima di colpire il demone con un gesto deciso. Non lo tagliò completamente in due perché voleva vederlo soffrire, e poi sapeva che non sarebbe bastato ad ucciderlo.
“Tu non sei il vero Mietitore… lui mostra pietà, tu no.” ringhiò Syn e puntò la falce al petto del demone. “Tra poco lo incontrerai e lui ti rinchiuderà in una gabbia per essere dilaniato come hai fatto tu con questi bambini.”.
L’ultimo colpo di falce di Syn affondò dritto nel cappuccio nero, infilzando la testa del demone e conficcandosi nel muro con la punta, bloccando la creatura. Angelica vide Syn fissare il demone per un attimo prima che esso esplodesse improvvisamente in brillanti fiamme bianche.
“Syn.” sussurrò Angelica quando lui non si mosse, e gli si avvicinò lentamente.
Syn respirava affannosamente, con i pugni stretti. “I bambini non c’entrano con la guerra.” disse, cercando di contenere la rabbia per non radere al suolo l’ospedale. “Quest’azione va cancellata dalla storia.”.
Angelica allungò una mano per toccargli il braccio ma Syn si allontanò. Lei sentì le lacrime agli occhi quando lui si avvicinò al corpo del bambino più vicino e lo prese in braccio con cautela. Adagiando il corpicino senza vita su un letto, si sedette sul bordo e scostò delicatamente i capelli dal viso del bambino, poi gli mise una mano sul cuore. Angelica rimase a bocca aperta quando vide una forte luce bianca lì dove la mano di Syn stava toccando il petto del bambino. Le ferite del piccolo svanirono lentamente insieme a qualsiasi traccia di sangue.
Angelica si portò le mani alla bocca, incapace di controllare il suo pianto di gioia quando il bambino inspirò e iniziò a respirare normalmente.
Syn si chinò per sussurrargli qualcosa all’orecchio prima di alzarsi e prendere un altro bambino. Ripeté i suoi gesti, finendo ancora una volta con un sussurro all’orecchio del piccolo.
Quando prese il terzo bambino, Angelica notò la lentezza di Syn nei movimenti e i suoi occhi incupiti. Guardò tutti i bambini ancora lì a terra, poi prese una bambina e la adagiò su un letto vuoto.
Syn si allontanò dal terzo bambino e trovò il letto accanto già occupato. Barcollò mentre sentiva le gocce di sudore formarsi sulla propria pelle, avvertendolo che stava usando troppo potere. Ma lui ignorò l’avvertimento.
I due iniziarono a muoversi in sincronia… lei prendeva i bambini e li adagiava sui letti mentre lui guariva gli altri e gli sussurrava qualcosa all’orecchio. Quando Angelica adagiò sul letto l’ultimo bambino, si voltò per guardare Syn e fu sorpresa quando vide quell’uomo così potente cercare un appiglio per restare in piedi, inciampando su un macchinario.
Si precipitò verso di lui con una mano tesa per aiutarlo, ma Syn si scostò e raggiunse l’altro bambino. Lacrime silenziose gli rigavano le guance ma non gli importava.
Quando ebbe finito di guarire quel bambino, Syn si girò e si avviò verso il letto successivo, ma cadde in ginocchio a metà strada. Ricorrendo alla propria rabbia per trovare la forza, si alzò dal pavimento freddo e si aggrappò al letto.
Vedendo che era impallidito, Angelica voleva dirgli di smettere perché si stava uccidendo, ma serrò le labbra sapendo che sarebbe stato inutile. Era ostinato a salvare tutti quei bambini e lei sperava di poterlo aiutare, ma purtroppo non aveva il suo stesso potere. Non si sarebbe lamentata del fatto che si stesse uccidendo da solo, come poteva farlo?
Alzandosi in piedi, Syn si avvicinò all’ultimo letto e quasi cadde addosso al bambino mentre gli metteva una mano sul petto. Il suo respiro era affaticato e il sudore gli aveva intriso la camicia. Ci volle più tempo per guarire l’ultimo piccolo e lui quasi gridò per la frustrazione, prima che il cuore del bambino iniziasse a battere sotto il palmo della sua mano. Non si rilassò finché non sentì il suo primo respiro.
Angelica vide Syn chinarsi e sussurrare all’orecchio del bambino, ma si preoccupò quando non lo vide raddrizzarsi. Precipitandosi da lui gli mise un braccio attorno alle spalle per tenerlo dritto, facendogli da sostegno col proprio corpo. Vedendo che aveva gli occhi chiusi le venne da piangere e cercò di prendere il cellulare dalla tasca per chiamare aiuto.
Prima che potesse comporre il numero di Ren, Storm apparve improvvisamente accanto al letto. Angelica ripose il telefono e guardò il viaggiatore nel tempo.
“Come facevi a sapere che gli serviva aiuto?” gli chiese.
“Ho appena sentito la notizia al telegiornale di domani. Da questa tragedia è nato un miracolo. Tutti i bambini malati terminali del reparto sono improvvisamente guariti dal cancro e da altre malattie.” Le sorrise, sapendo che era ancora preoccupata. “Starà bene se riuscirai a farlo riposare, Syn era lì che guardava il telegiornale con me.”.
“Non dare anticipazioni.” disse Syn, cercando di raddrizzarsi da solo. Gli ci vollero diversi tentativi, ma alla fine riuscì ad aprire gli occhi.
“Tienili chiusi.” gli disse Storm, alzando un braccio per proteggere i propri occhi dalla luce accecante. Quando la luce svanì, guardò oltre il proprio braccio per vedere se Syn avesse chiuso gli occhi. “Bene, questo risponde alla domanda del perché non si può guardare il sole. Scommetto che vedrò le stelline per una settimana.” Sbatté le palpebre lentamente, vedendo effettivamente le stelline anche con gli occhi chiusi.
“Puoi teletrasportarci al castello?” chiese Angelica, non capendo perché Storm non lo avesse ancora fatto.
“Non senza il suo permesso.” rispose Storm sinceramente.
Angelica si accigliò a quella strana risposta. Poiché i capelli di Syn gli erano ricaduti intorno al viso come una tenda, lei glieli scostò e gli si avvicinò, augurandosi che continuasse a tenere gli occhi chiusi mentre lo guardava.
“Lascia che Storm ci riporti al castello. Ti prometto che andrò a dormire se lo farai anche tu.”. Si morse il labbro inferiore sperando che fosse ancora abbastanza sveglio da risponderle.
“Posso dormire con la mia compagna?” Syn le rivolse un sorriso stanco.
“Beh, se non la troviamo potrai dormire nel mio letto ma devi promettere che dormirai.”. Angelica gli ricambiò il sorriso anche se lui non poté vederlo.
“Teletrasportarci nel suo letto.” disse Syn e sospirò quando sentì il morbido materasso sotto di sé. Fece per aprire gli occhi quando non sentì Angelica accanto a sé.
“Se mi accechi non potrò toglierti le scarpe.” Angelica sorrise mentre riponeva via le scarpe di entrambi, e tirò la coperta. “Adesso spostati così posso tirarti su la coperta.”.
Syn nascose il proprio sorriso e fece come lei gli aveva detto. La sentiva lì in piedi, che lo fissava con indecisione. “Mi hai promesso che non avrei dormito da solo.” le ricordò lui.
Angelica si morse un labbro, chiedendosi quanto fosse sicura la cosa. Alla fine decise che non le importava se fosse sicuro o meno, glielo aveva promesso, quindi s’infilò nel letto, facendo attenzione a restare dalla propria parte e, tanto per essere sicura, si girò per non guardarlo. Quando si sistemò, Angelica si sentì abbracciare.
Syn la tirò a sé e sospirò “Grazie.”.
Lei non cercò di allontanarsi… dopo l’orrore di tutti quei bambini straziati forse le serviva un abbraccio, dopotutto. Era ancora curiosa di una cosa, però.
“Che cosa gli sussurravi all’orecchio mentre li guarivi?” gli chiese.
“Era un regalo.” Syn sorrise pensieroso mentre le si avvicinava “Diciamo un incantesimo contro i demoni.”.
Angelica spalancò gli occhi, non sapeva se ridere o piangere. Non solo Syn aveva riportato in vita i bambini, ma si era anche assicurato che non subissero mai più una cosa simile. Gli strinse il braccio che lui le teneva attorno alla vita e finalmente si addormentarono entrambi.
*****
Damon se ne stava a letto con aria soddisfatta, e Alicia era rannicchiata accanto a lui. Le strofinò il naso sotto il mento con un sorriso quando lei iniziò a svegliarsi. Avrebbe trovato una sorpresa quando avrebbe aperto i suoi begli occhi ametista. Gli si era addormentata tra le braccia lungo il tragitto e lui l’aveva portata al Love Bites senza svegliarla, cosa di cui era molto fiero.
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