Peccati Erotici Delle Italiane, Volume I

Peccati Erotici Delle Italiane, Volume I
Giovanna Esse







Giovanna Esse


© Giovanna S. – 2016 - 2017





Ogni riferimento a persone o cose veramente esistenti è puramente casuale.

Tutti i diritti riservati.

Editing e Impaginazione: Pakal

Immagine di Copertina: Arianna del Filo

http://giovannastory.altervista.org

Publisher:

Tektime - Traduzionelibri.it

(http://www.traduzionelibri.it (http://www.traduzionelibri.it)).




Peccati




La fata di ferro (#ua73451d3-dd85-5ade-84ab-621a9ad92749)

1 - Una Fiaba... (#u917114c0-d8ac-53ba-a68a-effce8a2a270)

2 – Problemi e soluzioni: l'amica di mamma (#u22a2da8c-a408-5ec5-aff5-a179f0183398)

3 - Nel meraviglioso mondo della fata di ferro (#ud498afa8-0a8f-51ef-b9bf-ed9dc2edf8a2)

4 – L’istitutrice: fascino e polso fermo (#ue7cb7337-837b-5157-b015-9070417365c6)

5 - Incantesimo perverso (#ueaddf873-1569-59f1-a725-3adbae7d1e01)

6 – Perdersi, poi cercarsi più di prima (#u3f045c45-66b4-52ac-98af-69d57de34feb)

7 - La fata senza veli (#u2811e513-9faa-5e10-9114-8efd19a2a465)

8 – Prendersi: esercizi, scaramucce, perversioni (#ua727fa77-784a-5ef6-9636-5b02ce432cd9)

9 - Intermezzo magico (#u7b0d6ad0-5be1-54ca-b32b-b67cb32b98be)

10 - Incontenibile sete di piacere (#u6ff000c0-5ec0-57d6-aeac-530c630a3090)

11 - Le curiosità soddisfatte: “full immersion” (#litres_trial_promo)

12 - Mai più vergine: Nicòle immolata (#litres_trial_promo)

13 - Vita implacabile e fine dei giochi (#litres_trial_promo)

14 - Epilogo (#litres_trial_promo)

Mia moglie segreta (#litres_trial_promo)

1 (#litres_trial_promo)

2 (#litres_trial_promo)

3 (#litres_trial_promo)

4 (#litres_trial_promo)

5 (#litres_trial_promo)

6 (#litres_trial_promo)

7 (#litres_trial_promo)

7 plus (#litres_trial_promo)

My Princess (#litres_trial_promo)

1 (#litres_trial_promo)

2 (#litres_trial_promo)

3 (#litres_trial_promo)

4 (#litres_trial_promo)

5 (#litres_trial_promo)

6 (#litres_trial_promo)

Condannato dal vizio (#litres_trial_promo)

1 (#litres_trial_promo)

2 (#litres_trial_promo)

3 (#litres_trial_promo)

4 (#litres_trial_promo)

5 (#litres_trial_promo)

6 (#litres_trial_promo)

7 (#litres_trial_promo)

L'amore a tre (#litres_trial_promo)

IN VIAGGIO (#litres_trial_promo)

AMBIENTAZIONE (#litres_trial_promo)

FRATERNIZZARE (#litres_trial_promo)

APPROCCIO ALL'AVVENTURA (#litres_trial_promo)

GIOCHI DI NOTTE (#litres_trial_promo)

IN RELAX (#litres_trial_promo)

ESERCIZI (#litres_trial_promo)

CAMBI DI RUOLO (#litres_trial_promo)

PERCORSO SFRENATO (#litres_trial_promo)

Ringraziamenti (#litres_trial_promo)





La fata di ferro


Una ragazza è sempre un mistero: non c'è che affidarsi al suo viso e all'ispirazione del proprio cuore.

E. De Amicis




1 - Una Fiaba...

con tanto di Fata e Principessa, casetta nel bosco e vialetto incantato


Cera una volta una giovane principessa, il suo nome era Alba.

Un giorno il re e la regina, suoi genitori, decisero che il piccolo reame, che il buon Dio aveva riservato loro, era troppo angusto e il denaro, a una coppia tanto regale, non basta mai. Oltre il bosco, non tanto lontano, esistevano altri reami… tutti d’apparenza più ricchi e più sontuosi. Di sicuro, emancipandosi, avrebbero potuto valorizzare la loro nobile schiatta, intrattenere rapporti e amicizie con famiglie importanti; accrescendo il proprio prestigio e per finire, magari, avrebbero potuto trovare quella meraviglia, che tutti cerchiamo ma che nessuno riesce a trovare: la Fonte dell’eterna giovinezza.

Come si sa, dall’altra parte di un bosco tenebroso, si può trovare di tutto, forse è per questo che ognuno intraprende lo stesso viaggio, senza farsi troppe domande. Così, i reali, fecero i bagagli e partirono, insieme alle persone care e alla principessa Alba, diletta figliola.

Il viaggio si dimostrò presto faticoso e pieno di insidie. I boschi sono sempre misteriosi e intricati: di giorno pieni d’illusioni ma di notte popolati da fantasmi e incubi. Le illusioni spingono i coraggiosi viandanti a superare le ardue prove che li aspettano, ma i fantasmi li spaventano, facendogli perdere l’orientamento e la sicurezza.

Impressionata da tante peripezie inattese, la regina si rese conto di non avere tempo per badare alla giovane principessa; allora si ricordò che, tanto tempo prima, aveva conosciuto una fata, molto speciale, che abitava nel bosco, in un posticino non lontano. Non che si fidasse ciecamente di lei ma, in fondo, le fate, come i satiri e le sirene, sono solo il frutto delle nostre speranze e della nostra fantasia. Il bosco è insidioso, confonde il viandante e la paura, spesso, fa compiere scelte frettolose. Chiamò a sé la piccola Alba e le disse:

«Tesoro mio, il nostro viaggio è più complicato di quanto ci augurassimo. Ormai, lo vedi tu stessa, tutt’intorno a noi le piante si sono trasformate in un groviglio inestricabile e i sentieri sono sempre più oscuri. Siamo partiti tra i declivi e ora siamo circondati da orridi e burroni. La luce non filtra più gioiosa, dalle alte fronde verdeggianti, ma lascia il posto al buio, umido e freddo. Non voglio che tu soffra per le nostre difficoltà; ci sono mille sentieri, molti sono sbagliati, altri non portano da nessuna parte… !»

La principessa pendeva dalle labbra della sua mamma, giovane com’era, non si rendeva conto delle insidie a cui poteva andare incontro. La felicità, per lei, era stare insieme ai suoi genitori; il suo mondo finiva li. Quella era l’unica misura della sua gioia. La regina riprese: «Faremo così! Mentre noi cerchiamo di uscire da questa situazione, tu ci attenderai a casa di una fata, che ho conosciuto tanto tempo fa, una vecchia amica. Ricordo ancora dove inizia la stradina che porta a casa sua, vieni!» e prendendola per mano la condusse in una radura, non troppo lontana. «Ecco» disse la regina e indicò col dito un vialetto incantevole, «guarda attentamente! Quello è il sentiero che porta alla sua casa. Non ti puoi sbagliare, perché all’ingresso c’è quell’insegna affissa su di un vecchio palo.» Alba aguzzò la vista ed effettivamente vide un paletto sul bordo della via, c’era un piccolo cartello ricavato dalla corteccia di un albero secolare.

«Ecco va’ da lei e affidati alla sua ospitalità. Ogni tanto ci ritroveremo qui, fino a quando non avremo trovato la nostra strada.»

Si baciarono e si abbracciarono, e Alba, non senza un’ombra di paura, vide la sua mamma perdersi tra le fronde. Il suo sconforto durò solo un attimo, poi, con la curiosità tipica dei giovani, si affrettò lungo il sentiero, indicato dall’antico cartello. Sul legno si leggeva a stento un epigramma che il tempo aveva scolorito:





“Qui abita la Fata di Ferro.

Lei ama tutti e nessuno.

Lei sfida la vita, ma la teme.

Quando gioisce… dopo fa male.

Non è una vera Fata

ma neppure sa essere

una Strega vera.”





Le lettere, sbiadite, vergate con il colore del sangue arrugginito, fecero un certo effetto sulla piccola principessa, ma decise di incamminarsi per quel viottolo che, a ogni passo, si arricchiva di fiori, colori e profumi di Guerlain.




2 – Problemi e soluzioni: l'amica di mamma

(Realtà)


«E questa è Nicòle! Visto? Te l’avevo detto che non era più una bambina. Il tempo passa in fretta, accidenti!» la mamma della ragazza sorrise a Flora, la vecchia amica. «Su Nicòle, stringi la mano a Flora, presentati come si deve. Dai!» La donna ci teneva a far bella figura, a ostentare la figliola come un trofeo, per rimarcare quanto era stata in gamba e fortunata. Nicòle sbuffò sbarazzina e mimò un inchino teatrale, poi stemperò tutta la scena formale con un sorriso:

«Piacere!» disse rapida «Scusa ma mia mamma mi farebbe sfilare come al circo, se potesse.»

«Certo!» disse sua madre prendendola in giro. «Perché solo in un circo sfilano le scimmie come te!» Flora rise divertita:

«Non c’è che dire» cominciò «non potevate essere più “diversamente” simili.» strinse la piccola mano della ragazza, squadrandola dalla testa ai piedi, «Ha ragione la tua mamma, sei veramente bellissima… come scimmietta, intendo!» e risero di gusto tutt’e tre.

Nicòle e sua madre seguirono Flora all’interno della villetta, che era in periferia ma collegata benissimo al centro città.

«Vi preparo un buon the: lo gradite? Oppure una cioccolata, non fate complimenti.»

La cucina faceva parte di una sala ricavata da un unico grande ambiente che ospitava una serie di divani e un grande tavolo da pranzo. Sul fondo, davanti a un’ampia vetrata, una lunga banchina di legno di noce faceva da spartiacque dalla zona cottura, che era bellissima. Tutta rivestita in tozzetti di ceramica; una sequenza infinita di calde sfumature: andavano dal giallo al marroncino. La casa di Flora era accogliente e pulita!

Da anni non s’incontravano e la madre di Nicòle si gustò quei momenti di spensieratezza.

«Se me lo avesse predetto un’indovina, non ci avrei creduto… così lontane da casa, e ritrovarci qui. Sono proprio contenta!» Mentre Franca, era vivace, a volte quasi aggressiva, Flora aveva un carattere allegro, ma parlava meno. Era una di quelle persone che ti danno sicurezza: un sorriso quieto accompagnava ogni suo gesto, e guardarla preparare il tè era rilassante, conforme a tutto l’ambiente, che si era creata intorno.

A Nicòle piacque subito quella figura di donna matura e prosperosa, con i seni generosi che premevano sotto il camice sottile che indossava per casa.

«Nicòle, preferisci la cioccolata calda?» chiese Flora con la sua voce carezzevole e la ragazza non seppe resistere.

«Oh, sì, per favore! La ringrazio» rispose, mentre ispezionava la casa con lo sguardo.

«Dammi pure del tu, Nicòle: non sono mica una vecchietta, come la tua mamma!» rise, sgranando quei suoi denti piccoli e bianchi che sembravano perline. Franca protestò ma bonariamente.

«Vieni Nicòle, forse ho qualcosa per te. Dovrebbe piacerti più delle nostre chiacchiere» e fece strada verso la zona living, dove un grosso televisore troneggiava su un tavolino, zeppo di film in DVD.

«Qui dovresti trovare qualcosa di adatto a te; la figlia di mio fratello lascia in giro un sacco di questi dischetti, Ha più o meno la tua età.»

«Uaho!» esclamò estasiata lei, scartabellando tra le custodie di plastica «ma questo è l’ultimo concerto del mio cantante preferito. Per favore, per favore…!» proseguì, cercando di fare la migliore interpretazione di “occhi da cerbiatto” mai eseguita, «Posso guardarlo?» Flora dovette fare uno sforzo, per non restare immobile e godersi quegli stupendi occhioni languidi. Sbrigativa replicò:

«Ah, cara mia, per me, te lo puoi anche sposare, non guardo mai “cosi” moderni.»

«Nicòle! Guarda che tra breve torniamo a casa!» Urlò Franca in direzione del salotto, dove sua figlia si era già impossessata del telecomando. Con la maestria tipica dei giovani, aveva già eseguito tutte le manovre per far partire il film, sul grande schermo piatto.

«Dobbiamo rientrare presto.» poi, a Flora, «Sai cara, non stavo nella pelle dalla voglia di rivederti, ma siamo appena arrivati… figurati che a casa ho ancora gli operai che montano i mobili, e lunedì dobbiamo già prendere servizio.» Intanto Flora, incurante del tornado che scatenava sempre Franca, continuò metodica le sue operazioni: servì un buon tè per entrambe sul tavolo della cucina e poi raggiunse Nicòle, con una tazza di cioccolata fumante e un piatto di biscotti fatti in casa, che sparirono presto dal vassoio.

Franca, intanto, era già in piedi, scattata come una molla:

«Dai, sono curiosa di vedere la tua casa!» disse, e intanto indicava segretamente, col mento, sua figlia che, ignara, si era già lasciata rapire dalle immagini. Flora comprese e, con la sua tazza tra le mani, fece strada all’amica verso le scale, che portavano al piano superiore. C’erano due camere e un bagno, molto comodo e spazioso.

«Ma è carinissima: che bella! E queste mattonelle: deliziose. Ti spiace se approfitto?»

«Ma scherzi? Fa come se fossi a casa tua.» rispose l’ospite guardando l’amica che, rapidamente, si abbassò pantaloni e collant, per urinare. «Vengono dall’Italia» continuò Flora, indicando le mattonelle. «Vietri sul Mare, per la precisione; i listoni sono decorati a mano, uno per uno. Piacciono tanto anche a me. Hanno i colori forti che si nascono nei posti in cui il sole è splendente.» Mentre Franca si ricomponeva dandosi una controllata davanti al grande specchio molato, incassato nell’intonaco e circondato da una cornice di ceramiche, Franca si fece più confidenziale nei toni, e raccontò rapidamente le sue ultime peripezie.

Erano in un momento di sbandamento totale. Il suo compagno, il padre di Nicòle, era stato trasferito in fretta dalla loro città. Lei, per fortuna, aveva trovato impiego, grazie all’aiuto di un collega. Un lavoro da cassiera, e spesso le sarebbe toccato svolgere il turno serale, ma non si lamentava, dopotutto l'importante era avere già un lavoro. Franca amava molto le apparenze e con pochi soldi non sapeva arrangiare… lui aveva altri due figli, frutto del primo matrimonio, ma erano grandi; i giovani si erano trasferiti per necessità, ma presto si sarebbero organizzati per andare a vivere a Parigi, dove avrebbero frequentato l'Università.

Flora la seguiva quieta, sorbendo il the e cercando di non perdersi, in quelle descrizioni frettolose. L’amica le aveva accennato qualcosa riguardo a un certo “aiuto” su cui contava; stava ad ascoltare attentamente, per capire dove sarebbe andata a parare. Il problema di Franca non era solo pratico: tutta la famiglia stava attraversando un momento di confusione e lei cercava di fare del suo meglio. I figli maggiori, irritati dal trasloco forzato, erano diventati intrattabili. La sua convivenza rischiava di sgretolarsi, a causa di una relazione del marito con una collega; infine, Franca era depressa, e cercava, a sua volta, qualcosa di diverso... Vecchi problemi irrisolti si erano insinuati nella famiglia e ora ne stavano minando i rapporti.

«La piccola è agitata, è nervosa» continuò Franca «e la nostra famiglia è talmente scombinata… Siamo incerti sulle scelte da compiere.» la fissò, «Ecco: vorrei affidarti Nicòle, per il doposcuola, affinché tu possa insegnarle la lingua e aiutarla a passare questo momento così complicato. Naturalmente sarai retribuita. È ovvio! Ti prego, non me la sento di affidarla a un’estranea in un paese che non conosce. Per lei sarebbe solo un ulteriore trauma e, francamente, vorrei evitarlo.»

Flora la interruppe, alzando decisa una mano:

«Alt, tesoro mio!» intervenne. «Non è una questione di soldi, figurati. Ma ciò che mi chiedi è una grande responsabilità. Cosa ti fa credere, poi, che le maioliche italiane e la cucina in veranda rappresentino il paradiso?» La squadrò quasi offesa. «Anch’io ho una mia vita, sai? Vivo da sola ma non vuol dire che non abbia qualcuno e, soprattutto, anch’io ho i miei problemi, purtroppo.» E il suo viso si ammantò di una delicata tristezza. I loro occhi s’incrociarono. Flora sorrise, rivedendo lo sguardo sparuto di Franca; sembrava lei la bambina confusa, adesso.

«Oh, insomma» disse infine risoluta. «Va bene! Facciamo una settimana di prova, ok?» Franca annuì, aveva la stessa aria di un cane che scodinzola.

«Però voglio sapere con precisione i giorni in cui la ragazza verrà da me. Posso riceverla dalle tre. Non prima. Sono impegnata col lavoro e altro… e la sera, a casa, per le venti!»

Più tardi, da sola nel lettone, Flora a occhi chiusi tornò con la mente alle emozioni che le aveva suscitato l’incontro con la giovane Nicòle. Le forme acerbe, i seni piccoli e, di certo, duri come il marmo...

A quel punto, i suoi pensieri si illanguidirono, immaginando il fiore acerbo, che la giovane custodiva. Avrebbe pagato per poterlo almeno ammirare, odorare, ma non poteva che restare un sogno. I suoi pensieri, però, diventavano sempre più lascivi, nonostante gli sforzi per distogliere la mente. Allora le immagini, che in quel momento creava con la fantasia, si confusero con i ricordi del passato. Il volto della giovane si sovrappose a quello della madre, quando era giovane e fresca. La rivide, mentre abbassava la testa, dai capelli fluenti, e si tuffava sul suo corpo, odoroso di puro piacere. La lingua di Franca la cercava, allora, insaziabile. Ricordò tutte le volte in cui aveva ricambiato quell’esasperante frugare, con la bocca, negli spazi segreti dell’altra. Il corpo, sognato, di Franca giovane, nell’eccitazione che si era impadronita di lei, si confondeva con quella di un’altra. Una donna sconosciuta dai contorni indefiniti, illuminata da una luce dietro le spalle, che ne occultava i lineamenti. Poco dopo, però, fresca come fosse rorida di rugiada, appariva l'innocente visione di Nicòle.

Ansando e grondando la donna raggiunse un piacere languido e intenso che, invece di appagarla, la turbò e la lasciò sul letto, piena di rinnovata sete.




3 - Nel meraviglioso mondo della fata di ferro

(Fiaba)


La Fata di Ferro aveva una casa che solo nel mondo delle fiabe era possibile immaginarsi. La giovane principessa si era presentata a lei, armata solo dell’innocenza, della voglia di vivere e delle sue paure. Aveva vissuto troppo tra gli echi misteriosi del bosco, cercando la forza per vincere le incertezze; aveva provato su di sé il peso opprimente dell’indifferenza. Ora, tutto questo, si contrapponeva all'ambiente fantastico che l’aspettava.

Da subito era stata accolta come la più bella delle principesse: le miscele di cacao più esclusive arrivavano da ogni parte del mondo per confezionare le sue cioccolate, mentre biscotti, marzapane e miele di giuggiole, non mancavano mai, all'ora della merenda.

La Fata di Ferro era intransigente: prima di tutto bisognava fare i compiti; ma poi, come d’incanto, quelle volavano in fretta. Era bello persino studiare se il premio era un sorriso affabile e complice della fata. La giovane faceva del suo meglio per collezionare buoni voti, per non interrompere quel connubio felice.

La Fata di Ferro si dimostrò la migliore delle amiche e la più fidata. Bellissima, grande, prosperosa; indossava sempre vestiti colorati e allegri: un vero e proprio inno alla gioia. Aveva mille abiti, tutti troppo corti per nascondere le sue grosse gambe burrose; tutti troppo stretti per contenere i seni gonfi o le natiche tonde.

Nella casa della Fata tutto era a disposizione e non c’era altro da fare che essere felici. La padrona di casa aiutava Alba nelle scelte senza prevaricare, condivideva le sue idee, la consigliava, e la ragazza non trovava da obiettare ai suoi pareri sussurrati, anzi: pendeva dalle sue labbra. La cosa incredibile era ricevere tutta la sua attenzione, incondizionatamente.

Nulla, in quella casa. contava più della principessa; per la Fata di Ferro il centro dell’universo, era Alba e tutto ciò che lei diceva era interessante, unico e prezioso.

Stava con piacere nella sua famiglia, ma intanto, non vedeva l’ora di correre via… il mondo delle fiabe l’attendeva e non vedeva l'ora di poter ritornare nella casa alla fine del sentiero, tra le buganvillee e gli oleandri, colorati e velenosi. Ogni giorno la principessina si sentiva più grande e più forte; ogni giorno correva verso nuove esperienze. E, celato nel suo cuore di piccola peccatrice, aveva un segreto, inconfessabile ma sublime. Una delle cose che l’attraevano era il corpo della fata; sarebbe rimasta ore a rimirarlo. Già quell’unico incantamento sarebbe bastato a rendere le visite improcrastinabili.

Lei era bellissima e, per la gioia di Alba, estremamente distratta. Quando sedevano al tavolino delle ghiottonerie, spesso accavallava le opulente gambe, senza curarsi del camice che si alzava e, salendo, a ogni movimento metteva in mostra le calze; sempre diverse, sempre di nuovi colori. Quelle che le piacevano di più erano le nere. Le calze nere parevano più piccole di una misura, la seta era tesa sulla pelle, creando appetitosi chiaroscuri; lo sguardo, ipnotizzato da quella visione, cercava il punto dove il nero deciso dell’orlo merlettato liberava, con uno sbuffo lievissimo, la carne rosea e chiara. Anche quando si adagiava su un basso pouf, sgranocchiando cannellini e Lacrime d’Amore, non era difficile che Alba riuscisse a carpire un’immagine delle sue mutandine, schiacciate tra le cosce.

La povera fata sedeva li, per non rubare spazio ad Alba a cui, da principessa quale era, era riservato il posto d’onore, sul divano.

A volte gironzolava per casa, alla ricerca di un granello di polvere “vigliacco”, o di uno dei tanti oggetti che, in quella casa fatata, avevano la terribile tendenza a cadere negli angoli più nascosti; da quando aveva scoperto che, per ritrovarli, la fata si metteva carponi, mostrandole il fondoschiena oppure le poppe gloriose, Alba, pur essendo di indole affettuosa e servizievole, non si offriva mai, come volontaria, per le ricerche. Preferiva godersi ciò che riusciva a vedere… E la fata aveva infinita pazienza e nulla chiedeva alla sua preziosa ospite.

Per fortuna, tutti i rossori e le vampate peccaminose della ragazza passavano inosservati, tant’è che una volta, fattasi coraggio, Alba, dal gabinetto, chiamò la sua madrina con una scusa e si fece trovare seduta sul vaso, con le sottili gambe dischiuse. Anche allora la fata non disse niente e nulla notò, chiusa in una “casta” indifferenza. Al contrario, la principessa per la vergogna sopravvenuta dopo l’eccitazione, cercò una scusa frettolosa per tornarsene a casa e, per alcuni giorni non si fece più sentire.

Al terzo giorno fu la fata a chiamare e tutto riprese come prima.




4 – L’istitutrice: fascino e polso fermo

(Realtà)


Flora credeva di impazzire, tanto la situazione era divenuta insostenibile. Nonostante le promesse fatte a se stessa e alla madre di Nicòle, la presenza della ragazza era diventata troppo intrigante, eppure opprimente per lei. Il piacere che provava, a sentirsi osservata di nascosto da quella piccola troia, le rimescolava il sangue nelle vene e, appena la vedeva o la pensava, si ritrovava eccitata. Dal primo istante in cui Nicòle giungeva a casa, la sua parte più recondita iniziava a sbavare piacere; desiderava l’orgasmo per ore, mentre le sue guance avvampavano e sudava tra i seni. La voleva! E, naturalmente, alla fine restava frustrata dal “nulla di fatto” che, essa stessa, si era imposta solennemente. Avrebbe voluto sfogare su quel corpo delicato l’infinito desiderio.

Il primo giorno che Nicòle disertò le lezioni, Flora respirò e, dopo settimane di stress, le sembrò di riprendere il controllo della sua vita e della sua casa. Era diventata una piccola despota; una vera canaglia, quella sua principessa! Appena scoprì di poter comandare, iniziò a tiranneggiarla… (che meravigliosa sensazione)

Il secondo giorno s’immalinconì. Le mancava. Voleva essere maltrattata ancora da quell’impertinente spiona. Le mancavano i suoi occhioni che le fissavano le cosce… E sì che Nicòle aveva davvero esagerato: farsi trovare nuda, sul gabinetto, ancora bagnata.

Pensieri deliziosi l’avevano attraversata, come correnti galvaniche scintillanti; ma doveva comportarsi da adulta, responsabile. Doveva resistere!

Quella sera si decise e chiamò un suo amico, per dare sfogo al vulcano della libidine, ma l'uomo era già impegnato; il fatto che lui non potesse raggiungerla la rese ancora più furiosa.

Si frugò nell’intimità, meccanicamente, sul letto, ma il piacere la rese ancora più eccitata e incapace di vincere il desiderio di Nicòle. La sera del terzo giorno la fece finita: telefonò.

«Eppure ero certa che ti avesse avvisato» rispose Franca, perplessa «i giovani di oggi non hanno più nessun rispetto.»

«No, lasciala stare, sono ragazzi, magari qui da me si annoia. Purtroppo non ho vicini con ragazzi della sua età. La capisco poverina.» la giustificò Flora.

«Aspetta adesso la chiamo, vediamo come si sente.» Poi Flora, trepidante e impacciata, udì le voci lontane di Nicòle e della madre:

«Ma che ti salta in mente? Perché non hai avvertito Flora che stavi male?»

«Uffa, ma io non stavo bene, pensavo che glielo avessi detto tu.»

«Sei una gran maleducata. Adesso vai al telefono e scusati…» Seguirono altre parole che non fu in grado di sentire. Dopo poco arrivò Nicòle:

«Scusa!» esordì.

«E di che cosa, tesoro mio? Mi dispiace se sei stata poco bene» disse raggiante Flora «ma adesso come va?»

«Sto bene» continuò Nicòle, lievemente laconica, poi si sentì confabulare.

«Dice mamma: se non disturbo, posso continuare a venire da te?»

Flora non seppe dissimulare la gioia che le procurarono quelle parole, così con la voce rotta dalla trepidazione, rispose:

«Lo sai, Nicòle, ormai questa è casa tua. Devi decidere tu, se vuoi… che ci vediamo ancora.»

«Sì. Voglio venirci ancora» disse la giovane.

Il giorno dopo, quando entrò nella casa, un profumo fragrante di torta di mele e cannella la pervase. Flora le andò incontro e si abbracciarono senza parlare. Da allora però, non si sedette più sul pouf, ma sul divano, di fianco a Nicòle.




5 - Incantesimo perverso

(Fiaba)


Ormai il ghiaccio era rotto e la Fata di Ferro non teneva più solo per sé i suoi segreti. Anzi, burrosa e languida, aveva deciso di darsi alla principessa Alba, anima e, se possibile, pure corpo.

Ad Alba non sembrava vero: il pomeriggio, dopo i compiti, facevano una merendina e chiacchieravano come due amiche del cuore. E visto che Alba non era mai stata così brava e volenterosa, nello studio, alla fine, arrivava il premio. Il premio era rappresentato dalla confidenza e dall'intimità.

La fata, rassegnata, le si donava completamente, affinché soddisfacesse la sua lussuria e i suoi sentimenti lascivi, di giovane curiosa e impertinente. Allora la screanzata si sedeva accanto a lei.

Spesso si servivano di un piccolo plaid con la fantasia scozzese, in quei casi Alba gioiva ancora di più. Guardavano la televisione o Flora leggeva qualcosa, nelle lunghe serate invernali; si piazzava sul divano e seguiva con finta attenzione qualsiasi programma, pur di starle vicino.

Le loro gambe, celate sotto la coperta, iniziavano a strusciarsi, il suono del tessuto che frusciava eccitava entrambe. Ad Alba non mancava mai la scusa adatta: ora per lo spasso, ora per la paura, ogni pretesto era buono per stringersi alla Fata di Ferro. Allora, specialmente se protette dal plaid di lana, le piccole dita sottili cominciavano a frugare. La ragazza abbracciava la donna in cerca di protezione e ne esplorava ogni rotondità, ogni curva. Vagava sul cotone del camice, a volte perdendosi tra roselline sul fondo nero, altre, cogliendo le margherite della vestaglia lilla; e più la Fata taceva, più le mani si prendevano confidenze.

Quando cominciava, voleva sfiorare con delicatezza e fingendo poco interesse: carezze distratte, occasionali, come se nascessero spontanee e senza scopo. Ma poi l’eccitazione aumentava; i movimenti diventavano sempre più rabbiosi, sconnessi, convulsi. Quelle mani “possedevano”, letteralmente, il corpo della grossa fata.

Alba le toccava i fianchi abbondanti, poi strisciava serpeggiando fino alla pancia di lei, che era generosa e morbida, allora, di piatto, si infilava sotto il cotone e carezzava l’inguine. Poi tornava su, cercava le mammelle e tirava, e premeva, e giocava con il seno abbondante. I capezzoli si rilevavano al tatto, gonfi e costipati sotto la veste e pressati, nel reggipetto matronale.

Poi le dita esploravano il collo, la nuca, titillavano i lobi… e la fata moriva lentamente di languore. Il cuore impazziva e piccole gocce le imperlavano la fronte.

Il plaid era complice di Alba…

La ragazza iniziava col lamentarsi di aver caldo e, da sotto la coltre, faceva scivolare via la gonna dalle gambe di gazzella restando solo in mutandine e calzettoni. Adesso, la carne nuda cercava di nuovo il contatto, scostava il cotone, scivolava sulla seta e trovava, infine, la pelle dell’altra. E quando la carne s’incontrava, per entrambe era il tripudio.

Quel desiderio era tanto più grande quanto più era proibito e sofferto. Il silenzio, falso, della fata, quella sua impossibile indifferenza, faceva fremere la giovane principessa; a ogni istante temeva di essere scoperta e quindi allontanata, scacciata. Sapeva che stava approfittando di tutte le magie della Fata di Ferro, ma non riusciva a trattenersi! Doveva bere a quella fonte vietata.

Ogni sera, tornando a casa, si riprometteva di resistere a quella sete ma, il pomeriggio successivo, i buoni propositi capitolavano e lei si rituffava in quel corpo: arrendevole, morbido, materno.

Che gioie provava, e quanto si umettava il suo fiore nascosto! Spesso si ritrovava con le mutandine bagnate sì, ma dal fuoco della lussuria.




6 – Perdersi, poi cercarsi più di prima

(Realtà)


Il pomeriggio era freddo, nonostante la primavera fosse già arrivata.

Nicòle giunse con guance e ginocchia arrossate, e il piccolo naso ghiacciato. La sua figura slanciata emerse superba, tra i giochi di luce dei cristalli della porta. Flora rimase abbagliata, ancora una volta, dalla sua leggiadria. Era mancata per una settimana e la donna si era resa conto di quanto l’amasse già.

Padrona del mondo, Nicòle si spogliò del soprabito e della sciarpa bianca. Poi tolse il cappellino di cotone, lasciando scorrere sulle spalle i capelli d’oro. Inondò la casa di sorrisi e di parole senza importanza.

“Niente scuola per domani, niente compiti oggi!” Stabilì, spadroneggiando, che era il pomeriggio adatto per guardare “Il dottor Zivago”. Flora avrebbe voluto piangere, ma non lo fece, né si oppose alla richiesta, l’attendeva da troppo, per non esaudire i desideri della sua piccola “tiranna”. Iniziò a sentire le farfalle nello stomaco, mentre con la mente pregustava le carezze che tanto bramava. Le loro mani avrebbero danzato con le dita, intrecciandosi e respingendosi, come ballerine su un palco. Non riusciva a porre freno al suo desiderio, né a porre un vero freno a quello della ragazza.

Ma da troppo erano in stallo: non poteva continuare così. Flora decise di rompere gli indugi e di giocare le sue carte:

«Vai a fare pipì allora, altrimenti dopo ti seccherà alzarti» le sorrise. «Io intanto vado a preparare il the.»

«Sì, Badrona!» la prese in giro Nicòle.

Mentre Flora armeggiava in cucina, la giovane che si attardava nel bagno gridò:

«Ho una sorpresa, la vuoi vedere?»

«Oh, ohhh!» rilanciò Flora, «le “tue” sorprese non promettono niente di buono al mio destino…»

«E invece sì, guardami!» uscì dal bagno e si mise in mostra. Aveva indosso solo lo spesso maglione a coste. Sotto, invece dei calzettoni, indossava collant neri e velati. Flora ebbe un sobbalzo, nonostante la ragazza tenesse le cosce serrate, era evidente che non indossava le mutandine: un ciuffetto biondo e delicato, schiariva le calze, proprio sull’inguine virginale.

«E guarda, ora» disse Nicòle, con un sorriso che sapeva di giovanile impertinenza. Divaricò i piedi allargando le gambe. Aveva squarciato grossolanamente i collant con le dita, proprio tra le gambe, così le calze facevano da cornice a quello spettacolo mozzafiato.

«È una mia invenzione! Ti piace?» Non attese risposta; tanto sapeva che non sarebbe arrivata. La bocca di Flora si era spalancata per lo stupore e adesso non riusciva a proferire una sola parola.

«Queste mi terranno più calda, starò comodissima. E senza le mutandine, posso fare la pipì facilmente.» Alzò lo sguardo e fissò Flora con aria spavalda, gli occhi di cerbiatta la sfidarono senza pudore. Flora riuscì a distrarre la sua attenzione da quello spettacolo. Col respiro affannoso finse di borbottare qualcosa sui giovani, voltandosi per nascondere il rossore delle gote. Si dedicò tenacemente a filtrare il the e lo versò caldo nelle tazze preferite, poi senza una parola si ritirò di sopra, in camera.

Nicòle si era già sistemata sul divano, accogliente come un'alcova; aveva osato, ma in cuor suo si augurava di non avere esagerato.

Il film era appena iniziato. Dalle scale potè spiare Flora mentre tornava in salotto. Si era cambiata: ora indossava un lungo camicione, stretto sui seni, una specie di stile impero, sotto, infatti, si svasava leggermente e davanti era chiuso coi bottoni. La ragazza notò che non aveva più le calze. “Avrà caldo” pensò tra sé, e provò piacere a quella vista.




7 - La fata senza veli

(Fiaba)


Quel pomeriggio la Fata di Ferro aveva indossato una veste leggera con i bottoni davanti. Come sempre silenziosa, sedette accanto ad Alba. Dopo pochi minuti la principessa si raggomitolò al suo fianco; iniziò ad assaporare l'atmosfera voluttuosa che si creava tra loro. Chiuse gli occhi e aspirò il profumo fresco sulla sua carne delicata. Tirò sul divano le due gambe fasciate dai collant, mentre abbandonava la testa sul braccio della fata. Pochi istanti dopo, con la mano libera, scivolò dalle sue gambe sottili a quelle deliziosamente piene della donna matura. Spingendo sul cotone leggero, sentì che scorreva facilmente sulla pelle nuda di quelle cosce. La principessa ebbe uno dei mille brividi che ormai facevano parte della sua precoce sessualità.

Curiosa, col cuore che batteva, la mano trasgressiva si fece strada verso l’alto; scavalcò la pancia, si soffermò sull’ombelico teso, per poi risalire il lieve pendio che arrancava sotto i seni generosi. Avrebbe voluto lanciare un piccolo grido di vittoria, ma si trattenne mordendosi le labbra: si era appena resa conto che la donna aveva tolto anche il reggiseno. Le sue poppe, deliziosamente calde, poggiavano sul corpetto della vestaglia ed erano trattenute solo dai bottoni. Alba incontrò la rugiada appetitosa che si stava formando sotto i due grossi seni. La voglia divenne violenta.

La fata taceva, come se nulla stesse accadendo; il volto da Sfinge, guardava, senza vedere, in direzione della televisione; le labbra serrate enigmaticamente; non un briciolo di emozione faceva capolino sul suo viso. I suoi occhi penetranti evitavano accuratamente di incrociare quelli di Alba. Eppure, per la prima volta… la fata, sotto la veste, era tutta nuda, ma sembrava del tutto indifferente alle passioni contrastanti che agitavano la giovanetta.

Alba voleva continuare a toccare la pelle nuda ma temeva di sembrare troppo insistente. Alla fine si fece coraggio: doveva tentare. Non poteva restare per sempre nell’insicurezza e col petto in fiamme. Le dita sottili acquisirono coraggio e, come artificieri che manipolano una bomba inesplosa, uno dopo l’altro liberarono i tre bottoni, che serravano il decolleté della Fata di Ferro. I seni tracimarono, come una piena dalla diga, privi ormai di ogni difesa, si allargavano mollemente, allontanandosi l’uno dall’altro. Nel mezzo apparve, allora, come una vallata odorosa, rorida di delicato sudore.

Come provenisse dal sottobosco nel mese di agosto, uno sbuffo di profumo di femmina invase le nari della principessa impertinente. Alba era insicura nel leggere i segnali del piacere, ma di certo non evitò di cercare la voluttà tra quelle due montagne calde e tenere. Sulla sommità, sorgendo come templi tibetani, i seni, turgidi e torniti, con la punta già grossa come un dito, svettavano, allettandola a osare.

Il contatto della pelle nuda con i luoghi più intimi della sua “madrina” resero la principessa euforica, come ubriaca. Abbandonò ogni freno inibitore e si avventò con le mani sul petto e sulla pancia che li sosteneva, con le mani bramose di toccare.

Il silenzio indifferente e annoiato, che spesso era stato causa di dolori d’amore nella giovane principessa, ora, era benedetto. L’eccitazione la rendeva temeraria… e, miracolosamente, la donna, immobile, si lasciava sballottare, tastare, annusare, senza dare segni, né di fastidio, né di apprezzamento; buon per Alba, che aveva perso la testa. Adesso era quasi pronta al passo decisivo; la vicinanza del viso e della bocca a quel seno generoso, la invitava a fare una cosa che ancora non aveva osato mai: prenderlo tra le labbra con tutta la passione. Quel primo bacio, erotico, estremo, avrebbe segnato la fine di ogni compromesso…

La voce della Fata arrivò, pacata ma decisa, del tutto inaspettata, come uno schiaffo sulle mani. La matrona uscì all’improvviso dal suo torpore sibillino. Risorse e, voltandosi verso Alba, la fissò con gli occhi scuri, ardenti come braci:

«Ma ti piace veramente quello che stai facendo?»

Alba saltò indietro; ritirò la mano. S’irrigidì come fosse stata colpita da un ceffone.

Nonostante la donna continuasse a rimanere immobile sul divano, con i seni al di fuori dell’abito stretto; nonostante l’orlo sottostante, sollecitato dai moti di Alba, fosse salito fino a scoprire del tutto le grandi cosce, mostrando persino la mutandina bianca, fu Alba a sentirsi messa a nudo; si sentì scoperta, in un gioco che, follemente, aveva pensato di poter occultare. Caduto d’improvviso l’eccitamento, si vergognò di aver tanto approfittato, esagerato, usurpato. Aveva invaso l’amicizia bonaria della fata, frugando sempre più il suo corpo, senza mai averne ottenuto il permesso, esplicitamente.

Quel giorno aveva di certo esagerato e provò, in pieno, tutta la violenza della sua trasgressione. Rimase impietrita mentre, completamente sobria dopo la sbornia di piacere, desiderava sprofondare, pur di non dover ammettere il suo mortificante atteggiamento.





***





Il tempo si era fermato nel soggiorno. Tutto sembrava tacere, persino la TV.

La Fata di Ferro, impassibile come un’aguzzina, scrutava l’anima di Alba, passandole attraverso gli occhi, chiari come l’acqua. Poi, finalmente, sul suo viso si disegnò un leggero sorriso che odorava di panna montata. Riprese la sua posizione comoda sul divano e, lentamente, cercò la mano di Alba, riportandosela sui seni cedevoli. Appena la ragazza si sciolse dalla morsa della paura, vi poggiò la testa, lasciando scorrere dagli occhi qualche lacrima di gioia. E allora la fata l’attirò a sé fino a quando la bocca non si trovò proprio sul capezzolo.

«Tu lo sai che tutto questo è proibito? Saprai mantenere il segreto?» le sussurrò all’orecchio. Liberandosi la bocca dal bacio perverso ma dolce, Alba promise con tutta l’anima:

«Non dirò mai niente a nessuno di quello che accade tra noi... qui. Te lo giuro sulla mia vita!» La fata abbassò lo sguardo e le loro labbra si incontrarono: le sue erano carnose e pronunciate, e si schiusero alla curiosità della fanciulla. Alba non sapeva bene come fare, ma il contatto fu inebriante. Un attimo dopo si ritrovò sulla lingua un succo oleoso e trasparente: era la saliva della sua amante. Passando da una bocca all’altra il liquido si abbassava di temperatura, portandole in bocca una freschezza sconosciuta e nuova. Non credeva di resistere a quel sapore senza svenire, ma si fece forza.

«Nooo!» non riusciva a credere che tutto stesse veramente succedendo. Quella penetrazione tra le labbra era la cosa più intima e segreta che le fosse mai capitata. Quando le due lingue si catturarono, Alba voleva piangere ancora per l’emozione. Non poteva immaginare che quello era solo l’inizio dei loro balli proibiti.




8 – Prendersi: esercizi, scaramucce, perversioni

(Realtà)


«Sto tanto bene con te, mi piace toccarti tutta e desidero da tanto che anche tu mi accarezzi» disse Nicòle.

«Sei certa di volerlo? Desideri davvero un contatto più intimo?» disse Flora, mentre stavano abbracciate con le guance che si sfioravano.

«Sì. Lo desidero da mesi: voglio che mi tocchi anche tu!» poi aggiunse sussurrando «Lo so bene che mia madre non accetterebbe tutto questo, ma io non dirò mai niente. Io voglio solamente essere tua!» Flora sorrise e si lasciò finalmente andare, come si fosse sciolta da un legaccio, un blocco ne inibiva le emozioni. Era ora di raccogliere i frutti dei suoi segreti maneggi e della sua tenacia. La baciò ancora sulle labbra con complicità, e le sue mani iniziarono a muoversi. Scivolarono sotto lo spesso maglione e le cercarono le spalle, e si saziarono di quel corpo giovane tanto a lungo bramato. Dalle spalle scesero sui fianchi, poi, da sopra le calze scesero alle natiche, strette e sode. Conobbero le sue gambe, per poi risalire, strisciando i polsi sul pube, ma senza soggiornarvi... almeno per il momento.

Le carezze proseguirono di nuovo verso l'alto, tornando sotto la maglia e raggiungendo i piccoli seni appuntiti, sbocciati da poco e durissimi. Arrivate all’aureola rosa si fermarono e Flora fissò Nicòle con un sorriso di sfida; aspettava un permesso che non le fu negato. Allora sapientemente seppe pressare e tirare quelle collinette acerbe. Le circondava e le massaggiava; dopo averla baciata ancora si diresse, con la bocca, sulla maglia, sottoponendo i piccoli seni alla voracità delle sue labbra. Con l’alito tiepido oltrepassava la lana, inondando la ragazza di un calore nuovo e inebriante.

L’eccitazione divenne sogno quando, con movimenti voluttuosi, Flora fece scivolare verso l’alto sia la maglia che la canotta leggera, col contatto diretto delle labbra sui bottoni rosa, duri come madreperla.

La ragazza aveva il fuoco nel ventre. Il desiderio la rimescolava tutta, non sapeva come, ma voleva da quella donna tutto ciò che l’eros poteva offrire. Nicòle non poteva sapere che quella danza era solo l’insieme dei preliminari. Infatti, qualche minuto dopo, Flora si alzò, chiuse la porta a doppia mandata e le prese la mano. Scalze, come ninfe dei boschi, salirono al piano superiore dove c’era la camera da letto.

La fece stendere pressandola delicatamente, e poi si accovacciò sulla giovane, mettendosi a quattro zampe, come una cagna; intanto i seni sconfinati precipitavano sul collo e sul petto di Nicòle.

«Tesoro mio, adesso puoi guardare e toccare… tutto. Non ti devi più trattenere. È da tanto che lo desideravo, piccola mia.» Si scostò una ciocca con le dita. «Finalmente…» aggiunse, quasi commossa per l’estasi di quei momenti.

Allora Nicòle, con un gesto liberatorio, le aprì tutti i bottoni e lasciò che la veste scorresse via, lasciando la sua fata finalmente nuda, in tutta l’opulenza delle sue morbide forme: ora le si mostrava tutta davanti agli occhi vogliosi.

Cominciò a godere già solo a guardare le curve muliebri che aveva desiderato per mesi. La possedette con lo sguardo, come un bambino che diventa padrone del giocattolo che anela da tanto. Libera, Nicòle cominciò a tastare la donna, studiandone prima i seni, poi la pancia e i fianchi.

Flora indossava ancora le mutane bianche. Curiose di provare, le dita di Nicòle frugarono sotto l’elastico, voleva scoprire fin dove si poteva spingere oltre quella nuova frontiera della sensualità; cercò l’orlo e iniziò a sfilarle. La donna si abbandonò a quel piacere così fresco, e Nicòle, seguendo il suo corpo col tatto, ebbe l’occasione di esplorare tutta la sua carne, fino ai piedi, nudi e caldi, che tante volte aveva desiderato baciare. Ora, la grande dama era tutta nuda e tutta sua: che piacere inatteso!

Come un dono d’amore, anche la giovanetta si offrì:

«Prendimi anche tu, Flora, scoprimi, guardami e tocca tutto ciò che desideri di me, il mio corpo ti appartiene da tempo e tu trattami come fossi una cosa tua.»

L’adulta fu bravissima: le sue mani le sfilarono tutto, scorrendo sulla pelle e facendola vibrare. Languidamente le tolse le calze strappate, facendole scivolare sulle lunghe gambe da gazzella. Le dita leggere sfioravano i piccoli seni, che reagivano, autonomamente, a ogni sua carezza. Con fare materno sistemò la biancheria su un cuscino. In poco tempo, anche la ragazza venne completamente spogliata.

Per Nicòle, starle di fronte era come volare: vedere per intero il suo corpo, la faceva sentire sospesa in uno stato conturbante, mai provato prima.

Essere così nude fece sì che si fondessero in un abbraccio totale, ogni centimetro di pelle veniva a contatto, combaciando. Distese sul letto, le mani di Flora, immediatamente seguite dalle sue labbra, iniziarono quel viaggio passionale che mai più si sarebbe cancellato nei ricordi di Nicòle.

Le sue dita addosso erano come scintille, lava incandescente. Scivolavano, assetate di carne; appena dopo le dita, arrivava la bocca, umida di fiato e di saliva, sembrava fumare: una bava ardente lasciava, sul corpo ancora acerbo, emozioni mai provate. La scia evaporava subito, per la febbre dell’amore e procurava brividi di eccitazione incontrollabili. Nicòle era in trance. Viveva tutto come fosse in un’altra dimensione. Le sensazioni nuove erano intense, violente, eppure ovattate: come se la mente le vivesse sotto l’effetto della più inebriante delle droghe.

Finalmente, dopo il lungo peregrinare, le dita raggiunsero la piccola farfalla che, come appena sorta dal bozzolo, se ne stava immobile e contrita, in attesa che la natura le insegnasse a schiudersi al piacere. Ciò che sembrava l’apice insostenibile della goduria si rivelò solo l’alba del sentiero proibito, durante quell’accoppiamento, tremendo, innaturale.

La mano di Flora si dedicò al gioiellino della giovane Nicòle: la carezzava, la confortava… l’avvisava di tenersi forte, perché l’affondo stava per giungere. Infatti, pochi momenti dopo, la bocca carnosa discese implacabile, affamata. Ghermì la farfallina, violentandone le ali piene di rugiada, spaccandola fino al vertice con la lingua possente e decisa. La bocca tutta premeva; la lingua penetrava inarrestabile: come il canino di un vampiro assetato di miele. Flora penetrò nel sacello bagnato e, al tempo stesso, infuocato dalla passione.

Un suono osceno si sprigionava da quella scena erotica. La dolcezza aveva lasciato il posto all’ingordigia. Un fulmine elettrico, squarciante, luminoso, partì dal ventre di Nicòle e percorrendo ogni suo muscolo più recondito, raggiunse il cervello, facendola sobbalzare per l’emozione.

Un piacere mai provato, sconosciuto persino nelle notti solitarie in cui si martoriava il sesso. Flora le stette addosso con la stessa forza di un maschio che vuol possedere la preda conquistata. Pur senza deflorarla, la fece sua ripetutamente, forse in maniera ancora più veemente; marchiandola per sempre col suo peso e con le lettere infuocate del suo incontenibile desiderio. La infilò col medio, rigido, e poi anche l’indice riuscì a passarle dentro.

L’orgasmo… gli orgasmi di Nicòle iniziarono pochi minuti dopo quelle ondate di pressione, nella sua carne che si squassava. Dopo non fu possibile contarli, così come poi non sarebbe stato possibile contare i giorni d’amore e di piacere che avrebbero vissuto in seguito. Tutte quelle ore insieme le avrebbero trasformate in amanti indivisibili.

Quando Nicòle cercò di ricambiare, dirigendo la bocca verso i luoghi segreti della donna, Flora non le permise di raggiungerli. La ragazza si dovette accontentare di poggiarle la guancia sul ventre, mentre cercava di aspirare, vicinissima all’intimità della donna, tutto l’odore che ne sprigionava.

La sua amante le accarezzò la mano e, delicatamente, la guidò, così le concesse di avventurarsi dentro di lei ma solo con le dita. Nicòle cominciò a scavare e a rovistare, come fosse la padrona; sguazzava felice in quel mare di umori. Di nascosto, si leccava le dita, per riprendere subito dopo il suo ditalino. In pochi minuti anche Flora esplose, senza più controllo. Appena Nicòle capì che la sua istitutrice stava raggiungendo l’acme, cercò, con l’altra mano, la sua natura e si associò a lei nel novello piacere che, liquido e sonoro, la fece sciogliere… come se svenisse, in un lago peccaminoso. Godere insieme fu inconcepibile, iniziandole subito a una comunione che mai più si sarebbe potuta ignorare.

Per la giovane Nicòle, questa fu la prima, vera esperienza sessuale, e fu tutta al femminile. Andava ben oltre il semplice sesso; sfociava nell’emozione d’amore: un'emozione che mai, nella sua vita, sarebbe stata eguagliata. Per quanto piacere potesse mai assaporare, nessuna relazione avrebbe retto il paragone con quella prima, indelebile, avventura. Quel paio d’ore intense e travolgenti restarono impresse nei suoi ricordi come un livello di estasi ineguagliabile.

Spossata, si accucciò sotto il corpo della sua fata, dopo il sesso sfrenato, adesso, cercava l’amore incondizionato.





E si addormentò.




9 - Intermezzo magico

(Fiaba)


L’estate torrida passava e scaldava i sensi, mentre i corpi seminudi delle due amanti, la giovane principessa e la fata matura, si mostravano e si avvinghiavano, schiavi dello stesso desiderio.

Anche l’autunno venne, con la sua dolce pacatezza, le invitava a cercarsi e a possedersi, approfittando di ogni occasione.

Poi l’inverno, e il freddo le teneva vicine, pelle contro pelle, sotto un’unica coperta, profumata di piacere.

Finalmente, a primavera le loro farfalle fiorivano ed erano eccitate più che mai: il momento migliore, per affondare la bocca nell'altra, manipolandola fino a quando, dalla corolla, intensamente profumata e dolce come il miele, si decideva a sgorgare l’acqua di rose dell’amore.

E così, mescolandosi l’una nell'altra, in un amalgama di sesso e passione, le donne passarono le stagioni di quell'amore avvincente e perverso. Alba cresceva e imparava; la Fata di Ferro provava un intenso languore, lasciandole una parte dominante sul possesso del suo corpo maturo. La principessa, oltre ad amarla, si divertiva a giocare con lei e a sottometterla ai suoi capricci.

Spesso la fata si accontentava di inginocchiarsi ai piedi del grosso divano, facendole da serva, da schiava. Il suo omaggio servile partiva dai piedini di Alba. Poi la massaggiava, la baciava fino all’estremo, lasciandola, alla fine, riposare sotto il suo abbraccio materno. Pian piano le faceva scoprire il piacere in tutte le sue possibili sfumature. Prima concedette tutto di sé, poi iniziò anche a cercare il gusto del possesso di lei. Le insegnò tutti i giochi e le furbizie, le permise di usare oggetti erotici, per imparare a dare virilmente piacere a una donna. La principessa giocava e sperimentava. Amava prendere la fata, da ogni parte, godeva nel vederla ricevere le sue spinte penetranti, in ogni meandro.

La donna godeva dell’ingenuità di Alba, ogni giorno più provata, più curiosa, più smaliziata, nella ricerca sfrenata della passione. La fata, adesso, prendeva piacere dalla sua discepola.

Di notte, poi, la fata, più matura e scaltra, sola nel letto, mentre ascoltava il frinire delle cicale, si arrovellava cercando nuove perversioni per poterle esercitare l'indomani. Non le sembrava vero di poter coronare i suoi sogni più inconfessabili, servendosi di quel corpo, tenero e giovane, e di quella mente fertile e incantata.

L’aveva tenuta vergine fino ad allora, ma un giorno decise di sferrare il suo incantesimo erotico più potente.

Nel frattempo i genitori della principessa, ignari di quanto accadeva, si concentravano sulle loro vite complicate. La regina si fidava ciecamente dell'amicizia che la legava alla fata. Nonostante avesse intuito che, in quella casa di marzapane, avveniva qualcosa di più che il solo sorbire del the con i biscotti. Ma tutto era tranquillo, grazie a quel rapporto tanto speciale. L’amica era dolce e paziente, la principessa veniva su felice e robusta, e lei, la madre, era più libera che mai.

Andava bene così. Indagare sarebbe stato inutile e anche impegnativo.




10 - Incontenibile sete di piacere

(Realtà)


Nicòle la stava accogliendo, soffrendo, ma decisa. Le braccia incrociate sotto la testa che veniva schiacciata contro la spalliera ad ogni pressione. Le ginocchia a terra, poggiate su un plaid, erano divaricate. Aveva fatto tanto per convincere Flora a farle provare la passività più segreta, dopo che lei, la piccola Nicòle, le martoriava, da anni, ogni parte intima.

L’oggetto con cui si aiutavano era grosso, molto spesso ma non troppo lungo. Quando lo indossava, Nicòle non dava tregua alla sua amica. Flora lo riceveva tutto da lei, senza battere ciglio, ma diventava attenta e severa quando si trattava di usare il corpo di Nicòle per quel piacere. Così aveva impiegato del tempo per permetterle di subire, ma senza farsi troppo male e restando vergine.

Ecco perché, adesso, Nicòle si sottometteva senza lamentarsi agli attacchi, costanti e feroci, della sua matrona. l’aveva chiesto e, finalmente, l’aveva ottenuto.

La ragazza aspettava che la furia sbollisse, perché dopo averla attaccata da dietro, Flora, come fosse pentita di avere abusato di quel forellino roseo, la curava. Si metteva alle sue spalle e, con delicatezza, la ristorava dopo la carica, che lei stessa aveva portato a segno. Quando finirono, abbracciate sul divano e sfinite dalle emozioni, Nicòle manifestò tutto il suo disappunto:

«Ma insomma… è bellissimo farlo, ma perché non posso far l’amore secondo natura? Sono una donna ormai.» Flora sogghignava, divertita, ma intanto le rimostranze della ragazza divenivano sempre più accese.




Конец ознакомительного фрагмента.


Текст предоставлен ООО «ЛитРес».

Прочитайте эту книгу целиком, купив полную легальную версию (https://www.litres.ru/pages/biblio_book/?art=40850477) на ЛитРес.

Безопасно оплатить книгу можно банковской картой Visa, MasterCard, Maestro, со счета мобильного телефона, с платежного терминала, в салоне МТС или Связной, через PayPal, WebMoney, Яндекс.Деньги, QIWI Кошелек, бонусными картами или другим удобным Вам способом.


Peccati Erotici Delle Italiane  Volume I Giovanna Esse
Peccati Erotici Delle Italiane, Volume I

Giovanna Esse

Тип: электронная книга

Жанр: Эротические романы

Язык: на итальянском языке

Издательство: TEKTIME S.R.L.S. UNIPERSONALE

Дата публикации: 16.04.2024

Отзывы: Пока нет Добавить отзыв

О книге: Peccati Erotici Delle Italiane, Volume I, электронная книга автора Giovanna Esse на итальянском языке, в жанре эротические романы

  • Добавить отзыв