Peccati Erotici Delle Italiane 2

Peccati Erotici Delle Italiane 2
Giovanna Esse


Giovanna Esse
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© - Giovanna Esse, 2017
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Nuovi peccati

Profanazione (#uc904eb79-f5f1-5679-87b7-50942bf16234)
Prefazione con suor Angelica (#ud655b0f8-206a-5b97-be93-40dd441b5599)
Il momento della verità (#u0cb94d22-cfcb-5f95-87a2-5219d7693ce9)
Decisa, per capire (#u4353ab38-81c9-5a8d-a095-2fa69049e548)
Ricordi e timori (#u586c67fc-f777-5aa1-a17f-55fba70bc002)
Senza ritorno (#u644a445f-8e20-56b2-98bd-3fbd8faefc27)
Intrighi (#u8629b100-445c-59e9-9d9d-c68ba401705e)
I primi calori (#uad22d72b-a9c3-5b21-bda8-5b20a7f45736)
Paradiso e inferno (#u1457d3a5-4f80-5933-b874-efb7196686ea)
Peccato pendente (#litres_trial_promo)
Io so; tu sai... lei, non saprà! (#litres_trial_promo)
Un amico in più (#litres_trial_promo)
Un approccio diretto (#litres_trial_promo)
A un passo dal peccato (#litres_trial_promo)
Un anno di amori (#litres_trial_promo)
Quasi vergine (#litres_trial_promo)
Ragazzi curiosi (#litres_trial_promo)
Segnati da una notte (#litres_trial_promo)
Senza freno (#litres_trial_promo)
Fine dei giochi (#litres_trial_promo)
Quasi vergine (#litres_trial_promo)
In cerca di aiuti (#litres_trial_promo)
L'appuntamento (#litres_trial_promo)
Stare insieme (#litres_trial_promo)
Esposta e schiava (#litres_trial_promo)
Appagata in un motel (#litres_trial_promo)
La proposta (#litres_trial_promo)
Conciata per le feste (#litres_trial_promo)
Uno (#litres_trial_promo)
Due (#litres_trial_promo)
Tre (#litres_trial_promo)
Una notte pazza (#litres_trial_promo)
Giulia e Giovanna Esse (#litres_trial_promo)

Profanazione
Vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi.
(Pablo Neruda)

Prefazione con suor Angelica
Suor Angelica versa il Te.
Lei non ama essere chiamata così: infatti, ogni volta che lo faccio, un po’ per scherzare, un po’ perché mi viene quasi spontaneo, mi corregge prontamente.
«Angelica… solo Angelica!» si affretta a dire «E poi, quand'ero suora, non era neppure questo il mio nome. Lo sapete bene.» Sorride, Angelica, e mi offre il suo Te speciale, composta da una miscela di The, scuri e saporiti, che solo lei sa dosare. «Lo chiamo “napoletano”, perché è il Te preferito dai meridionali… voi siete abituati a bere sempre quel vostro, fortissimo, cafe espresso.» Siamo sedute. Non posso fare a meno di ammirarla: non è una donna particolarmente alta ma ha una forte personalità, abilmente dissimulata sotto gli abiti pastello e la voce bassa e discreta. Il fisco è asciutto, ma gode della bellezza di chi, a cinquant'anni, ha un corpo sano, un portamento signorile e un carisma irriducibile. «Va bene di zucchero?» Chiede amabilmente, come sempre, e naturalmente le confermo che è perfetto, come i suoi pasticcini, freschissimi, che prepara ogni volta apposta per me. Sorbisce un bel sorso, poi riprende, spaziando con lo sguardo verso la veranda. Dai cristalli pulitissimi si intravede il cielo che, il tramonto, comincia ad imbrunire. «Siete pronta?» continua a darmi del voi; al tu proprio non si sa abituare… E, come accade ormai da qualche mese, “suor” Angelica, acconsente a raccontare una di quelle confessioni che ha ascoltato, di nascosto, quando era una giovane novizia. All'inizio c’è voluto il bello e il buono, per carpirle i suoi segreti e spesso si lamentava: «Accidentaccio a me e a quando vi ho confidato l’esistenza del passaggio segreto…» soleva dire, irritata, però sorrideva, come una nonna, che finge di annoiarsi a raccontare, per l’ennesima volta, la fiaba preferita ai nipotini. Poi un giorno si arrese, giustificandosi con sé e con Dio, e acconsentì a confidarmi, ogni tanto, qualcuna delle incredibili confessioni che aveva origliato. Pensava che, dopotutto, i protagonisti di quelle storie erano degli emeriti sconosciuti, e tali sarebbero rimasti per sempre… ma non il loro peccato. Magari, questi racconti, sarebbero serviti al lettore per conoscere quanti subdoli metodi il maligno conosce per tentare il corpo, con la droga più antica del mondo: il sesso, il piacere e la perversione. Ci eravamo accordate così: lei narrava e io registravo. In seguito trascrivevo e cercavo di fare mia la storia. Sempre, per telefono o da vicino, ero costretta a farle una o due interviste, per approfondire certi particolari; i punti che mi colpivano di più; le sfumature che sentivo di dover svelare… così sono nati questi racconti. Mi è piaciuto molto scriverli, spesso anche troppo: infatti non l’ho mai confessato alla cara Angelica ma, a volte, la storia era talmente intrigante, che non sono stata capace di trattenermi. Ho dovuto soddisfare l’esigenza di una rapida masturbazione, per placare i bollenti spiriti e tornare, serena, a svolgere le mie faccende.
Per questa storia, estremamente forte, non sono riuscita a trovare titolo migliore: Profanazione.

Il momento della veritÃ
Mi chiamo Rosa, ho sessant'anni… e sono piegata sul tavolo della cucina di casa mia.
Ho i gomiti e gli avambracci poggiati sul piano, per sostenermi; le mani conserte, non giunte, perché non sto pregando! Al contrario… Forse sono in procinto di compiere il più inconfessabile dei peccati della vita mia.
Non so quanto questo contribuirà alla mia perdizione, ma sono ancora una bella donna. Alla mia età non si può più mentire, o illudersi: il fisico parla chiaro della tua salute, non della tua bellezza. Basta pesarsi; basta che gli acciacchi e i dolori dell’artrite non ti facciano procedere storta, o peggio. Le carni toniche, il culo sodo, i seni consistenti… se a sessant'anni sei così: allora sei, indiscutibilmente, una bella donna… ed io, fortunatamente, sto benissimo. E poi da giovane ero molto bella… è innegabile, basta osservare le foto, che conservo tanto amorevolmente. Nonostante questo, sono quasi certa che, la bellezza, sia solo l’ultima delle attrattive che potrebbero indurmi a essere complice di un esecrando peccato… e, di conseguenza, peccatrice io stessa. La cosa che mi perderà, ne sono certa, è la cultura. L’amore, (che adesso maledico) per la lettura, la conoscenza. La passione per le arti e per i grandi artisti… poeti, pittori, scultori: amanti del bello, per forza di cose e pertanto, irrimediabilmente, lascivi, molli al peccato; promiscui, sessualmente confusi.
Maledetta! Se non avessi amato tanto la cultura, sarei stata di certo meno sensibile, meno permissiva; non mi sarei persa ogni volta in mille se e mille ma!
Probabilmente non mi sarei accorta di niente, oppure avrei gestito la cosa “a suon di ceffoni”. Come quelle belle mamme di una volta, che allevavano i figli alla maniera Spartana: o sopravvivevano, maschi e animaleschi, o restavano, per tutta la vita, imbelli, instabili, spesso froci.
Invece io, a furia di pensare, rimuginare, attendere, sperare, mi sono ridotta così. Piegata, come si suol dire, a 90 gradi, o come ancor più volgarmente si definisce, “a pecora”, sul tavolo della cucina, in una complice penombra. Per rendermi più disponibile, più comunicativa; per trasmettere il “messaggio” che la mia bocca non oserebbe mai profferire, ho cercato anche di abbigliarmi, in modo da farmi intendere. Certo, non ho più nulla della lingerie che indossavo da giovane: apparecchiata, pronta per il piacere di mio marito, né la indosserei. Al posto delle collant contenitive, però, indosso le calze nere, autoreggenti, con la riga dietro. Le avevo in casa da chissà quanti anni, ancora intatte nella loro confezione. Ma comunque non si vedono sotto la gonna, nera e stretta, che mi arriva al ginocchio… chissà, forse stando così, piegata, la gonna dietro è salita un po’ più su? Di sopra porto solo una camiciola, ma niente di comodo, niente di ciò che adopero normalmente per starmene tranquilla, a casa mia. Lo stesso vale per le scarpe col tacco, anche quelle, recuperate dal passato. Niente di speciale, per l’intimo, uso sempre lo stesso da anni: mutande classiche, elastiche, nere o bianche, e reggipetto robusto, indispensabile a contenere la mia quarta di seno. Avrei ancora dei vecchi slip e qualche perizoma, giusto per fare contento mio marito, qualche volta, ma mi sarei vergognata di farmi trovare così… se mai dovesse accadere ciò che temo di più. Una cosa la posso dire, la posso giurare davanti al mondo: non l’ho mai desiderato! Mi sono sorpresa, indignata, divertita, persino sconvolta, ma non l’ho mai desiderato; non l’ho mai sognato, nemmeno nei più irraggiungibili meandri della mia psiche. Solo questa sera, solo adesso, solo in questa posizione di offerta, di attesa, di aspettativa… solo adesso, per la prima volta, nella mia pancia comincia a muoversi qualcosa. Un tramestio caldo, a ondate, non un vero desiderio ma… una specie di preparazione. Qualcosa di animale e di incontrollabile, probabilmente ancestrale: per migliaia di anni, la femmina prona, si è sottomessa al suo maschio. Se ne stava lì, in quella posizione, a volte persino per strada, o nel bosco. Si piegava, e attendeva l’erezione. Si piegava e si posizionava favorevolmente, per rendere facile e rapida la penetrazione.

Decisa, per capire
Sono passati quasi vent'anni da quando mi accorsi che qualcosa non andava…
La mia ragazzina aveva circa tredici anni e suo fratello due di meno ma lui era già curioso, attratto dal sesso, nonostante fosse così piccolo. Non perdeva mai l’occasione se si trattava di guardarmi, sotto la doccia, quando mi cambiavo, e faceva di tutto per toccarmi, o per strusciarsi sulla mia intimità. Non ci si faceva troppo caso, ci scherzavamo sopra e tutto finiva lì. Cose da ragazzi, mi dicevo, e pure mio marito la pensava come me. Crescendo, però, le manifestazioni fisiche aumentavano invece di diminuire. Troppe effusioni nei confronti della mamma per essere un ragazzo così cresciuto… e sempre, sempre, quel mettermi le mani addosso, come tentacoli di una piovra. Tant’è vero che, cogliendomi spesso impreparata, mi dava fastidio e, a volte, lo redarguivo.
Una volta, distratta dai lavori di casa e inseguendo chissà quali pensieri, entrai nel bagno senza bussare. La porta era appena accostata; avevo le mani impicciate e spinsi l’anta col piede per aprire. C’era mio figlio, dentro, ma ci misi qualche momento a capire ciò che mi si parava davanti agli occhi. Il ragazzo era seduto sullo sgabello, il tronco all’indietro, le gambe allungate e aperte. In equilibrio precario e gli occhi socchiusi, stava venendo, masturbandosi, esattamente nel momento in cui realizzai ciò a cui stavo assistendo. Sono certa che il poverino non mi vide, non fu per malizia che sborrò davanti alla mamma, almeno… non poteva prevedere che sarebbe accaduto. E’ molto probabile che si sarebbe fermato, ricomposto, se solo fossi entrata trenta secondi prima. Ma adesso, nel pieno dell’acme, gli occhi chiusi e il corpo rigido per l’emozione, non avrebbe potuto bloccare l’orgasmo. Infatti venne copiosamente, eruttava continuamente dal pene i fiotti bianchi, sembrava non finire mai… ed io, là, immobilizzata dalla sorpresa; incapace di decidere subito quale sarebbe stata la cosa più giusta da fare. Quando si riprese e si accorse di me, si raggomitolò su se stesso in preda al panico. Non lo sgridai… non feci niente: dovevo essere, a mia volta, uno spettacolo. Ferma sulla porta, con gli occhi sgranati, con tutti i panni che mi erano caduti dalle mani, sparsi sul pavimento. L’imbarazzo più totale ebbe il sopravvento… tornai sui miei passi senza nemmeno accostare la porta. Quel giorno mi tenni pronta a rispondergli, qualunque cosa il mio ragazzo avesse detto a sua discolpa, ma lui non disse assolutamente niente; semplicemente, per quello e per i giorni successivi, fece del suo meglio per evitarmi. Soprattutto evitava accuratamente di guardarmi negli occhi, anche quando parlavamo tra di noi. Di quell’episodio non trovai mai l’occasione per parlare a mio marito. Il tempo passò ed io sperai che tutto fosse dimenticato, con la crescita e con le frequentazioni di un giovanotto. Il mio ragazzo era pieno di amici, simpatico e benvoluto. Questa per me era solo una grande gioia!
Ma una mamma vede meglio di un gatto, naturalmente… Così mi accorsi che alcune cose continuavano a capitare, ma adesso non ero più una sprovveduta. Tenevo un certo controllo della situazione; mi ero addirittura preparata dei “discorsetti” ad hoc, da adoperare in caso di bisogno, per rimettere in riga quel mio ragazzo, un po’ troppo innamorato della sua mamma.
E delle cose avvennero… Qualche volta si masturbava in camera sua; qualche volta sotto la doccia. Quando ci capitava di restare soli, a volte lasciava le porte socchiuse e non soffocava con troppo impegno i suoi mugolii e i suoi sospiri. Io lo controllavo discretamente, tenendomi pronta a rintuzzarlo, ma non accadeva niente di più, niente che giustificasse un mio intervento troppo drastico o crudele. E così, combattevo la mia piccola battaglia sempre con la stessa arma: l’indifferenza. L’altra cosa che capitava, e sempre quando eravamo soli, era collegata a una sua vecchia abitudine: con l’arrivo della stagione calda, andava in giro, quasi sempre, con addosso solo gli slip. Ora che era grande, in casa ci stava molto meno ma, in compenso, quando circolava in mutande, era sempre, immancabilmente e visibilmente, in stato di erezione.

Ricordi e timori
Una volta sì… una volta fui sul punto di intervenire sul serio, anche se non ero chiamata in causa direttamente. Una notte, in camera della sorella, i ragazzi, si masturbarono insieme, ognuno per sé, ma insieme. Probabilmente la conversazione che avevano tenuto era particolarmente eccitante… ma poi, lui si alzò e se ne andò in camera sua, senza nemmeno provarci a toccare sua sorella. Mi era difficile capire come comportarmi, ma mia figlia era grande e ci dicevamo tutto. Le parlai apertamente, un paio di giorni dopo… lei prima fece finta di niente, poi capì, e mi rassicurò.
«Mamma, è stato solo un caso… una cosa nata dall’intimità che ci lega,» disse «te lo posso anche dire, è successo qualche volta, da ragazzini, tu non l’hai mai saputo. Non so, forse la curiosità verso il sesso, l’intimità, l’affetto ma non è mai successo niente di più. È stato un momento… come dire? Confortevole, intimissimo. Ma nulla di più, sta tranquilla!»
L’altra cosa che notavo (e che tenevo per me), era che lui, e certamente lui, quando non ero in casa, curiosava tra la mia biancheria intima. Un uomo non può capire ma io mi accorgevo perfettamente di tutto. Faceva del suo meglio per rimettere tutto in ordine ma io capivo lo stesso se aveva frugato. Anche le calze toccava, e forse le prendeva. Sarò sincera fino in fondo… forse le indossava, di nascosto. Era una cosa che mi rendeva molto confusa. Ad esempio non ho mai voluto indagare, né controllare, se sbirciasse anche nei panni sporchi. Quella cosa mi dava i brividi. Però tutto questo avveniva durante grandi lassi di tempo, non erano episodi concentrati ma sporadici. Forse per questo non sono mai arrivata a porre un punto fermo, con mio figlio. Quando si fidanzò per la prima volta, quando divenne adulto, le cose ritornarono del tutto normali. Gli anni passavano, lui viveva la sua felice gioventù, io invecchiavo. Come i giochi dell’infanzia, anche questi episodi vennero sopiti o dimenticati. E, alla fine, chi ci pensava più, se non con tenerezza, da quando, il mio ragazzo, ha iniziato a mancarmi veramente tanto? Aveva trovato la donna giusta, e così era andato a vivere con lei, nella loro nuova casa, per formarsi una loro famiglia. Stesso destino anche per la femmina, ormai sposata da qualche anno.
Ce ne stavamo sereni, io e mio marito, adesso soli nella nostra casa. Ci sono sempre piaciuti i giochi dell’amore: e questa è la migliore medicina per un matrimonio felice. Inoltre, e grazie a Dio, i nostri figli non vivono lontani, così, quasi ogni domenica, la casa si ripopola, con nostra grandissima gioia, visto che la famiglia si è arricchita con l’arrivo di un bel nipotino. Una famiglia perfetta! Non siamo gente ricca ma assai fortunata, abbiamo avuto il dono dell’amore reciproco e del rispetto. Ci vogliamo bene, siamo uniti, che cosa potremmo desiderare di più per vivere in pace?
E invece…
Invece eccomi qui, in posa, come una donnaccia, nella penombra della mia cucina, in attesa di ciò che non dovrebbe mai succedere… e che forse non accadrà, come spero con tutta la forza della ragione. Perché? E come si fa a spiegare perché? Non lo so nemmeno io; non ho giustificazioni morali, non ho alcuna teoria, nessuna filosofia che giustifichi quest’atto. Non me ne vogliate ma credo di essere qui, prostrata in questo stato, per amore, solo per amore. Da un paio d’anni lui ha ripreso “le ostilità”. Proprio quando tutto sembrava finito, talmente lontano nel tempo, da farmi dubitare che fosse mai successo! Lui ci prova, di nuovo, e non è più un ragazzino… eppure fa cose che, se depauperate della loro componente erotica, si potrebbero persino considerare infantili. Cerca sempre il sistema migliore per abbracciarmi, per toccarmi, e non solo: mi viola i seni, se può farlo, o le cosce, o i piedi… sempre con una scusa, sempre approfittando di un sotterfugio, ma… amore mio, come potrei giudicarlo? Per me è lampante che, se fa così, non è per stuzzicarmi. Si nasconde sotto questi “mezzucci” perché non riesce, non resiste più. In tanti anni non si è ancora rassegnato… questo può significare una cosa sola: questo chiodo fisso, questo desiderio impuro ma incontrollabile gli starà rovinando la vita. Il mio ragazzo non è un maniaco. Non è uno sfigato; ha una vita serena, ha una bella ragazza vicino. Solo una bramosia più forte di una droga può ancora tenerlo legato alla sua vecchia madre. Una donna che adesso ha letteralmente il doppio dei suoi anni… non può essere attrazione; non può essere un’esigenza di sesso. Come un tarlo, questo desiderio malato se lo sta divorando il mio ragazzo. Ed io donna matura, esperta, spesso ritenuta persino saggia dai miei cari, non so trovare soluzione, non so dare spiegazione.
In questa cucina lustra che mi ha vista sposa fedele per tanti anni, potrei consumare un atto orrendo!
Mi sono decisa a muovere un primo, timido, passo per dare un segnale. Io ho trovato la sua traccia e sono certa che lui l’ha lasciata espressamente affinché la trovassi. Una settimana fa, i ragazzi sono stati a cena da noi. Alla fine della serata, tutti a casa; mio marito a letto, io da sola nel bagno, mi accingevo a far partire la lavatrice. Prendevo dalla cesta i panni asciutti e li passavo, uno per volta nel cestello, pronta a far partire il ciclo dei colorati. Mi sono accorta di avere le mani imbrattate, ma non era acqua, sembrava più sapone… strano. Spontaneamente feci il gesto che ogni donna avrebbe eseguito: portai le dita sotto il naso per sentire l’odore e… rabbrividii. Non potevo sbagliarmi, la mia mano era sporca di sperma. La scoperta fu talmente sorprendente e improvvisa che la prima sensazione che provai fu di repulsione. Mi ripresi e cercai di ragionare... Com’era possibile? Da dove proveniva quella roba? Di certo era stata deposta da poco, infatti era ancora liquida, un po’ collosa. Con molte precauzioni tirai fuori, uno per uno, i panni appena caricati. La sborrata, copiosa, era stata perpetrata in un paio di mutande: le mie, le nere. Erano piene, sporche di bianco. Non avevo alcun dubbio su chi fosse il colpevole. In quel momento il sangue mi salì alla testa, pensai mille cose, mille reazioni possibili. Lo chiamavo? Aspettavo il giorno dopo per essere sola? E cosa gli avrei detto? Ecco, lo sapevo, solo due parole… e ci saremmo capiti! “Ma sei impazzito!?” oppure qualcosa tipo, “Ebbene? Cosa credi di fare?” Ma il giorno dopo ero bloccata. Mi sentivo debole, inutile, indifesa e, soprattutto non avevo idea di come comportarmi.
Così, son passati i giorni, le emozioni non sono cambiate, affollando la mia mente, congelando la mia capacità di decidere, e così siamo arrivati a questo!
Oggi era il giorno propizio, siamo soli in casa: soli io e lui. Suo padre è fuori e tornerà solo dopodomani. L’ho fatto pranzare, come al solito. L’ho lasciato riposare sul divano, come fa da quando era un ragazzino. Ho rassettato tutta la casa; reso la cucina un brillante. Poi ho fatto la doccia e, con l’acqua, all’improvviso ho deciso di lavare via anche il mio ruolo di madre. Mi son rivestita come meglio ritenevo, come donna, lo ripeto, e non come madre. Devo ammetterlo, ma non me ne vergogno, mi sono vestita come avrei fatto per ricevere un amante segreto… Ma non per voluttà. Non so come andrà a finire, adesso, i minuti passano, scorrono lenti, centellinati dal vecchio orologio, sul frigorifero.

Senza ritorno
Quando sono tornata in cucina; lui guardava la TV. Era concentrato, sembra avermi ignorata. nei giorni passati, dopo la scoperta nel bagno, non ha dato segni. Niente di speciale, del tutto indifferente, ma io non ci casco: sono sua madre e non ci casco. E’ stato lui. L’ha fatto apposta e voleva che io, prima o poi, lo scoprissi. Il suo messaggio era forte, deliberato.
Ebbene, eccolo accontentato. Ho evitato di accendere la luce grande, ma solo i due faretti, incastonati nella cappa sul fornello. Gli ho girato le spalle e mi sono appoggiata al tavolo, come fossi lì, a pensare ai fatti miei.
Ma niente è “normale” questa sera. Io non vesto mai per casa come se dovessi uscire la sera. Non prendo mai una posizione del genere, in casa mia… E adesso aspetto. È quasi una sfida. Sono più di dieci minuti che sono là, comportandomi come se non ci fosse… Poi, all’improvviso, sento che qualcosa si muove. È lui! Resto ferma, non mi volterò, è deciso; lascerò che accada quel che accada, pur di spezzare quest’incantesimo maligno, in un modo o nell’altro.
Ha abbassato l’audio della Tele, lo sento che si aggira per la stanza, sembra indeciso. Si muove come un gatto attratto da un boccone succulento ma anche pauroso di essere sorpreso sul più bello. È circospetto… di certo non sa cosa pensare: chissà quante volte ha sognato un momento simile ma, probabilmente, lui stesso, ora che il sogno potrebbe avverarsi, è abbastanza scettico, incredulo.
Ha spento la luce. Ora la stanza è illuminata solo dagli sbalzi soffusi, lontani, del televisore a LED. Lo sento alle spalle, si è avvicinato, percepisco la sua presenza ma non mi volto. Non mi tocca. Di certo mi sta osservando… sento i peli sulla nuca rizzarsi. Credevo, nella mia follia, di poter sopportare la situazione, invece, in meno di un secondo, sono diventata rossa come un peperone. Lo so perché le mie guance bruciano, mentre il resto del corpo lo sento raggelarsi. Com’è strano: quando ci accade qualcosa che riteniamo del tutto impossibile. Siamo sempre stati sicuri di non poterlo mai affrontare e invece, misteriosamente, siamo lì a sopportare l’incredibile e, forse, persino a passarci attraverso.
Resto ferma come una statua di sale… è già troppo quello che faccio… quel che “provo” ad offrire. Sì, provo! Perché non sono assolutamente sicura di resistere; non posso sapere fin dove ci spingeremo. Non posso garantire sulla mia reazione fisica. Adesso, anche se siamo così vicini, non provando nessun piacere, i miei sensi non sono ottenebrati, quindi il sentimento più potente che mi sovrasta è la vergogna. Una mortificazione doppia, che aumenta sino all’insopportabile, perché ho vergogna oltre che per il possibile atto, osceno di per sé, anche per la mia età. La differenza mi avrebbe fatto sprofondare, chiunque ci fosse stato, quella sera, alle mie spalle… dal garzone del salumiere al migliore amico di mio figlio. Un ragazzo addosso a un’anziana signora; questo era! L’innegabile, squallida realtà.
Potrei essere una bella signora per un coetaneo; posso piacere ancora a mio marito, ma se giaccio con un trentenne già questa, questa sola, è una depravazione. Però, dietro di me non c’è un ragazzo qualunque: c’è mio figlio! E la cosa è assai più complicata… imperdonabile. Ha un nome, un nome che, da solo, fa venire i brividi… una parola che ho evitato di formulare nella mente per quasi vent’anni: si chiama incesto.
Avrei voluto restare immobile ma non sono riuscita a non sobbalzare; sorpresa, mentre divagavo persa in mille angosce, ho avuto uno scarto spontaneo, quando le sue mani si sono poggiate sulle mie spalle. Ora sono ferma, di nuovo.
Lui ha avvertito il mio scatto. Ha ritirato le mani come si fosse scottato, ma poi le ha poggiate di nuovo; forse più deciso, più sicuro di sé. Piano, delicatamente, mi si china completamente addosso: le mani sulle spalle, il petto sulla schiena, il pube sulle grosse chiappe. Non ho sentito la sua virilità e ne sono felice. Un pensiero cretino mi attraversa il cervello, quasi sorrido… certo d’imbarazzo. È mio figlio, lo conosco bene, e so perfettamente che se il suo membro fosse duro lo sentirei, lo sentirei molto bene, visto che ha “un’attrezzatura” notevole; qualche volta persino oggetto di scherno, in famiglia. Il suo pene non mi faceva certo impressione: nonostante sia adulto, all’occorrenza, lo avrei guardato o toccato mille volte, senza tema, moscio o rigido che fosse… per lavarlo, per curarlo, per un’esigenza, un aiuto di qualsiasi genere. Ma pensarlo in vagina, no! Quello proprio non ce la facevo, mi sentivo svenire. Si è appoggiato su di me, tenerissimo, fa di tutto per non pesarmi; sento il suo fiato, veloce e alterato, dietro l’orecchio… Ho lavato anche i capelli. Ho fatto bene! Passano i minuti. Per fortuna non mi parla, non sarei in grado di rispondere. Adesso si alza, mi resta pressato solo sul sedere. Con le mani inizia a massaggiarmi la schiena. Mi piace tanto e mi aiuta a distendermi: “Ah, se tutto finisse così…” penso tra me ma non ne sono convinta. Mi stringe le spalle con le dita e le manipola, poi scende, piano ma deciso, lungo i fianchi e i reni. Come sto bene. Continua scendere e salire, poi stringe le mani verso la spina dorsale. Dio solo sa quanto è gradevole, per la mia povera schiena, di madre che lavora sempre. È tutto solo piacere intenso, potrebbe persino restare innocente. Il suo pene ancora non lo sento. “Buon segno”, mi dico “forse sfuggiamo a questo tremendo destino.” D’improvviso lo sento più deciso, si intuisce che ha preso coraggio, ora le sue mani s’infilano sotto la blusa. Le mie sensazioni cambiano quando torna a massaggiare il centro della schiena, ci passa il pollice, preme, e io mi scaldo. Al secondo passaggio, inesorabile, lungo tutta la schiena, m’inarco come una gatta, indipendentemente dalla mia volontà. La “botta” di calore mi prende come uno schiaffo potente dietro la nuca! Succede quando, per non essere più intralciato dall’elastico, mi sgancia il reggipetto: la molla scatta, i seni precipitano, molli e osceni. Non è più un gioco. Le tempie mi bruciano. Lui riprende a manipolarmi con i suoi massaggi… ma non è come prima: non sono lievi carezze, per quanto tenere e piacevoli.
Non poteva essere altrimenti… lui va avanti e io immobile, calda, non so più a cosa aggrapparmi per resistere; anche se gli rimango sotto non vorrei provare niente se non amore. Ma lui, si abbassa di nuovo su di me e mi abbraccia, ma l’abbraccio gli permette di prendersi in mano i miei grossi seni e di martoriarli dolcemente, con bramosia. È evidente che sta soddisfacendo un vecchio desiderio, perchè è smanioso, incontenibile: gioca con i capezzoli grossi, che, mio malgrado, gli si inturgidiscono tra le dita, riempiendolo di foia.(*)
Gli piace da morire. Lo sento, mi stringe: è pazzo di me; è reso folle da quello che sta accadendo… adesso è solo un maschio e mi vuole a tutti i costi.
“Chissà se gli piaccio, come donna…?” un pensiero sciocco dettato dai miei sensi, anch’essi alterati. Più il tempo passa, più ci avviciniamo al peccato, lo so, ne sono certa e senza ipocrisia. Andremo oltre: lui non ritornerà sui suoi passi, io non saprò fermarlo, né fermarmi. Eppure, forse, potrebbe anche terminare adesso! La sorte: una telefonata provvidenziale; la vicina che bussa per qualche motivo… qualsiasi cosa. Un’interruzione, un segno, persino una sveglia che suona nel momento sbagliato. Probabilmente ci fermerebbe, ci lascerebbe tornare a vivere le nostre esistenze, con un piccolo segreto, l’accenno di un peccato; con l’alibi dell’indecisione e, segretamente, col rimorso di quello che era stato e di quello che avrebbe potuto essere… Ma il fato non interviene, e lui, mi mette la mano dietro le cosce. Si è accovacciato dietro di me, dietro il sedere, ha poggiato il palmo sul retro delle mie ginocchia. Tengo le gambe unite, strette, come se quest’ultimo baluardo di decenza potesse salvarci. Lui è li dietro per un motivo; la mia gonna nera è stretta ma scivola lentamente sulla seta delle calze, poi sorpassa l’orlo delle autoreggenti, ma lui continua a guidare l’indumento verso l’alto. La gonna diventa una fascia, poi quasi un nastro, un pezzo di stoffa inutile. Sono nuda, difesa solo dalle mutande elastiche nere, con mio figlio talmente vicino al mio sedere e alla mia intimità, da poterne aspirare l’odore segreto: sono perduta! Siamo perduti. Tutto è cambiato. In lui rimangono tracce della sua dolcezza e del suo amore, ma da come mi tocca e da come mi pressa, adesso sento il maschio. Ha voglia, ne ha tanta. Mi affonda col naso, col viso tra le natiche e preme, come volesse mangiarmi, più che baciarmi. Continua a strusciarsi con forza sulle mutande, gira il volto a destra e a sinistra, forse desidera invischiarsi del profumo segreto di sua madre. «Basta… basta, ti prego…» riesco a profferire con un fil di voce, ma tremo. Provo a oppormi ma non a lui… a me, perchè, finalmente, mi sto bagnando. Non immaginavo che quel segnale impudico sarebbe arrivato, in questo frangente, e non immaginavo di sentirmi morire al solo pensiero che lui se ne sarebbe accorto, di sicuro. Prego con tutta me stessa che non mi tocchi lì, con le dita. Invece, si rimette in piedi e, con calma, come se si godesse tutta la scena, mi cala le mutande. Che vergogna, che follia! Al solo pensiero che stia osservando il mio grosso culo, certo non più quello di una ventenne: esposto, chiaro, mi sento venir meno. La mia carne e soda ma non come una volta… mi sento male. Lui lo tocca, mi tocca tutta. Fa piano, piano, quasi temesse di farmi male, però… fa! Mi scorre col palmo le natiche e le carezza, amorevole, ma il suo pollice insiste nel mio spacco e non si frena davanti all’orifizio dell’ano, nemmeno lo evita. E poi di nuovo: su e giù, allargandomi. E poi… l’inevitabile: le dita dell’altra sua mano, favorite dalla divaricazione che già sta attuando, si poggiano sulle grandi labbra pronunciate, mi scavano tra i peli, controllano l’umore e, infine, mi spaccano e affogano nel mio liquido di femmina matura. La figa è larga, ne mette due insieme, di dita; scava e tira verso l’alto, agganciandomi la cavità più intima. Mi sbrodolo come una scolaretta; credo di non avere più sangue nel corpo, me lo sento tutto in testa, e le tempie pulsano per la pressione. Non vorrei, non lo vorrei assolutamente, e invece provo piacere. Comincio a essere stanca e scomoda, non sono a mio agio ma lui, lo so, non ha finito con me, anzi. Lo sento chinarsi di nuovo; ho i brividi, non posso pensare che, inevitabile, potrebbe arrivare in contatto. Il contatto della penetrazione! Orribile, contro natura… un figlio, di lì, deve uscire, ma per non rientrarci mai più. Quando mai potrò più andare in una chiesa? A chi potrò affidare la mia confessione? No, non accadrà mai, non sarei mai capace di trovare le parole per raccontare tutto questo.
Ma lui non mi penetra. Si è spinto in avanti per cercare la mia mano; la prende, la tira delicatamente verso sé. Compie quei gesti come facessero parte di un rituale; non posso saperlo, ma mi convinco che sta riproducendo, sul mio corpo, tutti quei sogni che lo hanno reso pazzo di me, di sua madre, che poi ci hanno portato a questo inenarrabile atto di amore, ma nero, nero come la pece. La mia mano tesa riceve nel palmo il pene e la sacca con le sue palle. Una meravigliosa, morbida massa calda, lievemente umidiccia; distinguo perfettamente il suo coso, una specie di spesso serpente, lo stesso che, da piccolo, gli lavavo tutti i giorni, spesso prendendolo in giro. Adesso non è rigido come avrei creduto ma, pur se morbido, è spesso, e lungo. Lui l’ha sempre avuto bello grande! A tenere il pene in mano e a sentirmi frugare in figa, mi perdo definitivamente… non sono fatta di legno! La menopausa è passata da un pezzo, sono oltre sette anni che ho ripreso il controllo definitivo della mia femminilità. Adesso grondo dalle grandi labbra, lui continua a ispezionarmi dentro e sento che l’amore lascia il posto alla lussuria, infatti va avanti e indietro, in fretta, poi piano; poi esce e mi preme il clitoride, per stuzzicarmi: vuol farmi venire. Il cazzo gli diventa enorme e durissimo, lo stringo tra le dita, vibrando per le potenti emozioni. Arretra… ma ancora non mi prende. Vuol farmi venire, e ci riesce in poco tempo, perché mi sorprende, cogliendomi impreparata: si abbassa, come se sapesse cosa mi rende folle di piacere. Affonda il suo viso nella mia “natura”, si bagna di me. S’imbratta la bocca e lo sento sguazzare felice, dietro il sedere, si muove in fretta con tutto il viso, ma con le labbra e la lingua mi marca come un forsennato. Succhia forte le piccole labbra e il clito, è questione di un attimo, poi perdo ancora il controllo e cado nell’orgasmo. Cedo, divarico le cosce, lascio che la mutandina raggiunga il pavimento e la allontano con il piede. Sono aperta: gli vengo sulla lingua, che non si ferma più. Con uno sforzo inaudito, faccio del mio meglio per non farmi sentir mugolare; mi mordo le labbra a sangue… ma intanto tremo tutta. Lui è grande, lo sa che sto venendo. Pazza di piacere, vorrei morire. Non ci fermeremo più… Come faccio a dire che non voglio che accada? L’atmosfera, nella mia cucina, si distende un poco; mi da il tempo di riprendermi. Posso mai fermare tutto adesso? Che differenza fa, ormai? E’ successo quello che non doveva mai succedere. Credevo di sacrificarmi per il suo piacere, invece sono io, soltanto io, colpevole, adesso. Forse a quarant’anni, forse con il marito lontano; una donna nel pieno del vigore, forse si poteva tentare di giustificare… non una “vecchia” come me. Non ho giustificazioni, Adesso che sono appagata, comprendo la situazione con estrema lucidità… ma lui mi impedisce di pensare ancora. Non posso trattenere un piccolo grido. Senza preavviso mio figlio approfitta di quanto sono lubrificata dagli umori, per infilarmi col cazzo, di botto. Mi ferma l’aria nei polmoni! Sono tutta piena di lui, e com’è grosso… mi ha divaricata di brutto. Altro che pensare con lucidità… io mi sento svenire dalla lussuria. Dopo lo smarrimento di entrambi, nel sentirci uniti da quel tubo di carne, lui inizia a scopare e io mi pongo a favore delle sue penetrazioni continue. Mi tasto con la mano di sotto, apro le dita sulla vagina e identifico il palo bagnato che mi affonda dentro l’anima. Perdo di nuovo il controllo, incapace di frenarmi, mi masturbo il clitoride: è un gesto spontaneo… a che servirebbe ormai tenersi o lasciarsi andare? È tutto finito, è tutto accaduto. Mio figlio sta scopando sua madre, probabilmente dopo averlo sognato per anni.
Scopa a lungo senza fermarsi; non mi interessa più niente, e vengo ancora, aiutandomi con le dita. Stavolta non copro i miei gemiti, e lui si ferma dentro per consentirmi un piacere maggiore.
Dopo, mi rendo conto che quella posizione mi sta veramente uccidendo… non so cosa fare per fargli capire che non voglio dargli fretta, ma che sono stanca. Un suo gesto inatteso, mi fa allertare tutti i nervi. Mi decido ad agire, proprio a causa di quello. Infatti, visto che il suo pene non da segni di cedere, lui mi è uscito dalla vagina e, dopo una serie di carezze fin troppo umide, mi allarga con le dita e col glande mi punta l’ano, e preme.
«No, questo no!» dico decisa e lo fermo, bloccandolo con la mano sulla pancia. Mi alzo dal tavolo e quasi incespico per la stanchezza, dovuta alla posizione. Sono nuda, indosso solo le scarpe e le calze. Giovane o vecchia, sono una femmina e so di essere eccitante davvero, nella penombra. Non fa niente, ormai, abbiamo valicato ogni limite della reciproca confidenza.
Lo prendo per mano e lo porto con me, lui mi segue docile nella camera da letto. Gli tolgo i pantaloni e lo faccio stendere al posto di suo padre. Il cazzo è sempre in tiro, il glande scoperto e liscio come seta. Mi pongo sul letto al suo fianco; decisi a dargli una gioia speciale, gli scendo sulla pancia e m’inghiotto il cazzo. Lo tengo ben fermo con la sinistra, e gli faccio provare cosa sono capace di fare, come donna. Lui mugola per il piacere, finalmente anch’egli perde il controllo: adesso tocca a me prendermi cura del mio ragazzo. So cosa fare e glielo faccio bene! Farlo con la bocca è una delle cose più eccitanti e mio marito non si può lamentare, non so quante volte l’ho spompinato nella nostra vita. Glielo succhio per alcuni minuti e quando capisco che si avvicina al godimento, mi fermo e mi volto su un fianco, lasciandomi il mio ragazzo alle spalle. Con tranquillità e senza affannarsi, in quella posizione comoda, lui si accoccola dietro di me, e aiutandosi con le mani, mi cerca l’anfratto. Per aiutarlo, con l’avambraccio mi tengo su la coscia, così sono tutta aperta. Chiedo perdono al mondo… ma è meraviglioso! Mi si abbarbica addosso, mi tiene i seni, si stringe a me e fotte, piano e profondamente. Ancora pochi colpi e viene dentro, eiaculando a fiotti; pazzo di piacere, vibrando e pronunciando parole sconnesse. Scaricare il suo seme non basta ad abbassargli l’erezione: il cazzo sguazza in tutto quel liquido, il rumore acquoso e lubrico mi attanaglia.
Sono colpevole, lo so, ma mentre lui ancora non si decide a fermarsi, gli vengo per l’ennesima volta sul cazzo.
(*) - Foia = Bramosia sessuale.

Intrighi
Per chi crede che milf e cuckold siano concetti nati ieri...
“L’uomo è più fedele all'altrui segreto che al proprio:
la donna invece custodisce meglio il proprio segreto che quello degli altri.”
Jean de La Bruyère

I primi calori
Anni Settanta, il giovane Mario nei sobborghi di Pisa, città neanche troppo grande.
La nostra palazzina era un po’ isolata, un grande cortile (forse una vecchia fabbrica) la separava dalle ultime case di periferia. Un posto tranquillo, magari un po’ monotono per un adolescente ma per me andava bene. Ero un tipo introverso, mi piaceva leggere fumetti e mi trovavo meglio con gli adulti che con i ragazzi della mia età, sempre a scalciare dietro un pallone.
Abitavamo al piano terra, poi c’era l’appartamento di una donna anziana che stava sempre dalle figlie e, sopra, la signora Elena, sposata, senza figli. Elena era ancora giovane ma, naturalmente, a me sembrava già “anziana”, per non parlare del marito, poi, che aveva una decina d’anni più di lei e quindi era addirittura più vecchio che mio padre.
Quando lei veniva a passare il pomeriggio da mia madre, che faceva la sarta, non potevo comunque fare a meno di cercare la posizione più idonea per spiare gli stralci del suo corpo burroso che traboccavano dai suoi camici attillati. Era abbondante e prorompente, di altezza media con le cosce piene, dalla bella carne rosea. I seni, molto grossi, erano sempre pressati da un reggipetto nero, le cui bretelle sbucavano dagli abiti in ogni sua mise.
Con un libro o un giornaletto in mano, mi mettevo comodo, spesso per terra su un cuscino, e la spiavo per ore. Mi piaceva molto guardarla d’inverno, perché sotto la veste portava le calze. A volte nere, altre, colore del bronzo. Se ero fortunato, negli attimi in cui spalancava le gambe, vedevo il bordo della calza, le cosce chiarissime e la virgola arrapante delle mutande nere. Sempre, appena lei andava via, correvo nel bagno per farmelo in mano con una certa urgenza.
Poi, un’estate, la signora Elena si fratturò il malleolo e, tra ingessatura e convalescenza, rimase a casa per quasi tre mesi. Qualche volta salii a trovarla con mia madre. Ma erano visite brevi perché il lavoro che mia madre faceva non le permetteva di assentarsi a lungo. La signora, cui ero simpatico, disse che, se non mi seccava, potevo andare a trovarla il pomeriggio e magari aiutarla, se le fosse capitato di aver bisogno di qualcosa. Accettai di buon grado e non me ne pentii: oltre a trovare un diversivo piacevole alla monotona estate, a casa di Elena ero trattato come un principe. Mi faceva trovare sempre qualcosa di buono per merenda, potevo leggere ciò che volevo o guardare la tv, a mio piacimento. Ma la cosa che preferivo era aiutarla e stare con lei.
* * *
Faceva caldo ed Elena indossava sempre cosette molto leggere. Spesso apriva del tutto quei camici fiorati e poi si scherniva dicendo che potevo essere suo nipote e che con me non provava soggezione. Invece io provavo un miscuglio di emozioni e la spiavo sperando di non essere notato: infatti, non mi ha mai sgridato.
Una volta la aiutai a raggiungere il bagno ma, quando entrò, Elena non chiuse la porta: “Abbi pazienza, Mario, ma mi gira tanto la testa. Lascio la porta accostata... dovessi sentirmi male”.
Invece la lasciò spalancata ed io rimasi talmente sconvolto dalla facilità con cui fece scendere le mutande nere, mostrandomi il sedere bianco da matrona, che non riuscii a fingere di non guardare. Lei mi vide e, mentre orinava con suono scrosciante, deliziosamente mi sorrise.
La mia libertà di movimento aumentava sempre più a casa di Elena. Quando il mio pisello si gonfiava troppo nei pantaloni leggeri, chiedevo di andare in bagno con una scusa e, con le immagini di lei, scoperta, stampate negli occhi, mi masturbavo incessantemente, anche due volte nello stesso pomeriggio.
Un giorno mi chiese se potevo passarle sulle gambe una crema medicinale. Aveva una camicetta già sbottonata sul reggiseno nero e una gonna leggera che sollevò davanti a me. Anche i suoi slip erano neri, come il solito, ed io sentivo la terra venirmi meno sotto i piedi: potevo toccarla ma ero terrorizzato. Avevo paura capisse che le mie carezze nascondevano il mio infinito desiderio. Ero soltanto un ragazzo! Spalmare quel prodotto scivoloso sulle sue cosce depilate, arrendevoli, era una specie di biglietto per il paradiso.
Mi fermò un attimo la mano e chiese, innocente: “Mario, siamo sicuri che la porta sia chiusa?”.
Mi mandò a controllare e quella complicità così intima mi fece bruciare le tempie, tornando sui miei passi mi girava la testa, come se fossi ubriaco.
Quando rientrai in camera, si stava abbassando anche le mutande e, per la prima volta nella mia vita, mi trovai a pochi centimetri dal suo cespuglio nero. Avevo intravisto già una figa ma mai così da vicino.
“Non ti scandalizzare, lo so che sei un bravo ragazzo. Vedi, così puoi muovere meglio le dita: mi farà bene”.
A furia di salire tra le cosce e di scivolare con le dita, le entrai dentro con l’indice un paio di volte. Controllai il suo viso, aveva gli occhi socchiusi e un’espressione estatica: non si lamentò, non disse nulla. Non ero più padrone dei miei gesti, iniziai a frugare in quello spacco che sembrava non finire mai tanto era arrendevole, succoso, dolce, caldo e accogliente.
Il giorno dopo m’insegnò a succhiargliela.

Paradiso e inferno
La toccai, senza parlare, per due o tre giorni. Mi permise di esplorare il suo corpo, quel corpo che avevo tanto sognato, desiderato. Non mi sembrava vero: ero quasi infantile nella ricerca affannosa delle sue carni. M’infilavo sotto gli slip, sotto i seni umidi di sudore, la toccavo in tutte le posizioni; mi alzavo in piedi e mi mettevo alle sue spalle, per toccarla dall'alto oppure mi prostravo per terra, per infilarmi da sotto il tavolo nel profumo misterioso della sua intimità. Quando proprio non ce la faceva più, dopo ore di carezze libidinose, mi tirava la testa con le mani e mi affogava nella sua fregna. I peli trasudavano liquidi che io leccavo e suggevo, fino all'ultima gocciolina. Lei sussultava sulla sedia, o sul letto, quando veniva. Voleva che leccassi in fretta in quei momenti, e si mordeva le labbra mugolando per non gridare.
Poi venne la fine di quella settimana pazzesca, e c’era suo marito, di sopra. Poi il lunedì lei andò al controllo e il martedì nemmeno stette in casa. Impazzivo di desiderio: contavo le ore, i minuti. Non mi toccavo, resistevo. Speravo che Elena mi facesse fare ancora qualcosa, speravo che un giorno mi avrebbe chiesto di mostrarle il mio cazzo. Svevo i brividi solo a pensare alle sue carezze. Ma avevo troppa paura che non fosse durissimo, o che lei lo avrebbe trovato troppo piccolo, infantile.
Il giovedì, finalmente, mi chiamò. Si comportava come se non fosse mai successo niente ed io mi sentivo morire, non sapendo cosa fare per rompere il ghiaccio.
Mi chiese di leggerle un articolo di un giornale che non avevo mai visto, si chiamava abc. Prima non ci feci caso, per quanto ero impacciato, poi mi accorsi che c’erano storie eccitanti e foto di donne nude.
“Ti piace?” chiese con un sorriso malizioso. Poi la sua mano chiara s’infilò nei miei pantaloni e, piano, mi cercò il pene. Sentii che lo stomaco veniva come strizzato, e tremavo. Elena mi fece qualcosa che non scordai più. Era seduta sul bordo di un piccolo divano; con delicatezza mi fece girare, invitandomi, con la sola pressione delle mani, ad abbassarmi verso il tavolo del soggiorno. Non capivo cosa stesse per succedere ed ero incapace di reagire: mi chinai fino a poggiare i gomiti sul tavolo da pranzo.
Lei, da dietro, mi sbottonò la cinta e mi calò i pantaloni fino alle ginocchia, ma non tolse le mie mutande bianche; ricordo che arrossii mentre pregavo fossero pulite. Un ragazzo non ci pensa troppo a queste cose ma in quel momento mi vergognai fino al midollo. Mi aprì le gambe, stavolta agiva solo da dietro; dal bordo laterale delle mutande fece trasbordare i miei genitali, compreso lo scroto, con le palle che sentivo quasi bollire.
A questo punto le sue dita, prima delicate come una piuma, divennero forti ed energiche, come quelle delle infermiere: con fermezza piegò il pisello, che non era mai stato tanto duro e svettante, tutto giù, come se volesse spezzarmelo. Temetti di provare dolore, invece fu solo una sensazione strana, talmente piacevole che avevo paura di fumare dalle orecchie, tanto ero bollente. Con gesti decisi, quasi meccanici, Elena cominciò a mungermi l’arnese verso il basso. Andava su e giù, con un ritmo che mi annientava, sembrava un movimento automatico, inesorabile.
“Ti piace?” La voce era roca ma umana, perché per il resto sembrava che una macchina del piacere stesse riservando un trattamento incredibile al mio pistoncino.
Non riuscii a dire niente, non risposi. Dopo poco iniziai a traballare sulle gambe, mentre reagivano da sole, provai l’orgasmo più bello e più lungo della mia vita. Infinito, stupendo, mentre la mia aguzzina sembrava non accorgersi del latticello che, copioso, imbrattava il pavimento a ogni munta.
“Caccia, caccia tutto quello che hai, piccolo mio” disse con tenerezza. “Godi? Ti piace?”

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Peccati Erotici Delle Italiane 2 Giovanna Esse
Peccati Erotici Delle Italiane 2

Giovanna Esse

Тип: электронная книга

Жанр: Эротические романы

Язык: на итальянском языке

Издательство: TEKTIME S.R.L.S. UNIPERSONALE

Дата публикации: 16.04.2024

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О книге: Peccati Erotici Delle Italiane 2, электронная книга автора Giovanna Esse на итальянском языке, в жанре эротические романы

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