Suicidio In Polizia: Guida Per Una Prevenzione Efficace
Juan Moisés De La Serna
Questo libro affronta uno dei problemi meno discussi ai giorni nostri, ma che non smette di essere un tema preoccupante poiché riguarda il personale incaricato di garantire la protezione e la sicurezza dei cittadini. Una professione, quella di agente di polizia, che a volte non viene valorizzata adeguatamente, nonostante l'importante ruolo che riveste nel mantenimento dell'ordine e della convivenza sociale. Un corpo che affronta una realtà sempre più comune con la perdita dei suoi agenti per azione suicida. Tale è la preoccupazione che diversi governi hanno già adottato misure preventive e altri sono ancora in fase di attuazione. Queste misure sono generalmente stabilite all'interno di un piano di prevenzione della polizia, sebbene vi siano disparità in termini di obiettivi e metodi per attuarlo. In questo testo vengono analizzati i piani per la sua attuazione.
Suicidio in Polizia
Guida per una Prevenzione Efficace
Juan Moisés de la Serna
Traduzione italiana Valeria Bragante
Tektime Editore
2021
Titolo originale: “Suicidio Policial: Guía para una Prevención Eficaz”
Scritto da Juan Moisés de la Serna
1ª edizione: aprile 2021
Juan Moisés de la Serna
© Tektime Edizoni, 2021
Tutti i diritti riservati
Distribuito da Tektime
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Prologo
Questo libro affronta uno dei problemi meno discussi attualmente, ma che non smette di essere un tema preoccupante in quanto riguarda il personale incaricato di garantire la protezione e la sicurezza dei cittadini. Una professione, quella dell’agente di polizia, che a volte non viene valorizzata adeguatamente, nonostante l’importante ruolo che riveste nel mantenimento dell’ordine e della convivenza sociale. Un corpo che affronta una realtà sempre più comune con la perdita dei suoi agenti per azione suicida. Tale è la preoccupazione che diversi governi hanno già adottato misure preventive e altre sono ancora in fase di attuazione. Queste misure sono generalmente stabilite all’interno di un piano di prevenzione della polizia, sebbene vi siano disparità in termini di obiettivi e metodi per attuarlo. In questo testo vengono analizzati i piani per la sua attuazione.
Ringraziamenti
Approfitto per ringraziare tutte le persone che hanno collaborato con i loro contributi alla realizzazione di questo testo, in particolare il Colonnello D. Luis Humberto Barrera, Capo dell’Area Gestione dei Servizi Sanitari del Ministero della Difesa Nazionale del Governo (Colombia); Dr. Quazi Imam, direttore medico dell’Arlington Memorial Hospital e Dr. Megan Thoen, professore presso il Dipartimento di Tossicologia Ambientale presso l’Institute of Forensic Sciences, Texas Tech University (USA); la signora Nathalie López, agente di polizia e psicologa clinica presso la polizia nazionale (Ecuador); Dr. Djalila Rahali, specialista in cyberpsicologia e ha lavorato come consulente per il Ministero degli Interni algerino (Algeria); alla dott.ssa Luisa Velasco Riego, ispettore di polizia e dottore in psicologia; al Dr. Rafael Soto, Direttore Generale della Sanità presso il Dipartimento di Sanità Universale e Salute Pubblica di Valencia da luglio 2015 a giugno 2018 e responsabile del Piano di prevenzione del suicidio e gestione del comportamento suicidario 2016-2020 della Comunità Valenciana; Il Sig. Alberto Martín Ruiz, Presidente e Fondatore dell’Associazione Andalusa di Prevenzione del Suicidio della Polizia con numero di registrazione 18744/1 del Ministero della Giustizia e dell’Interno della Junta de Andalucía; e alla signora Laura Tormo, psicologa specializzata in materia di suicidio e media.
Nota personale
Vorrei cogliere l’occasione per congratularmi con il governo spagnolo per aver recentemente implementato una politica di prevenzione del suicidio tra le forze di sicurezza, specificamente diretta alla Polizia Nazionale, per la quale ha implementato undici misure, tra cui l’attenzione da parte dei professionisti della salute mentale grazie ad un numero telefonico disponibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7.
Fonti consultate
Organizzazione mondiale della sanità (Svizzera); Nazioni Unite (USA); Ufficio statistico europeo (Lussemburgo); Agenzia per la sanità pubblica (Canada); Office for National Statistics (Inghilterra); Ministère de l’Intérieur (Francia); Ελληνική Στατιστική Αρχή (Grecia); Ministero della Salute e Protezione Sociale e Ministero della Difesa Nazionale (Colombia); Ministero della Salute (Brasile); Ministero della Salute (Cile); Ministero della Salute, dei Consumi e dell’Assistenza Sociale; Istituto nazionale di statistica; Associazione andalusa preventiva del suicidio di polizia e gruppo spagnolo per la riforma della polizia (Spagna).
Dedicato ai miei genitori
Indice
Prologo (#ulink_69930779-fab6-5efa-a8f4-8b10b07f329e)
Ringraziamenti (#ulink_9edebb8e-849c-55ba-a3e6-71f3d72fb1dc)
Nota personale (#ulink_e1b608a6-5ec0-52a7-b86c-0040046d6d75)
Fonti consultate (#ulink_bbb09b4b-b6f8-5a1f-9e66-ba044b62ba93)
Capitolo 1- Definizione di suicidio In polizia (#ulink_84d7a9db-ee7a-5d9d-84f4-981a2615ce4d)
Il suicidio (#ulink_6e8dc698-3256-57ad-9cef-bc892616dabd)
Comportamento a rischio (#ulink_25e284d7-ca94-5f86-b724-908c3c6fc866)
BIBLIOGRAFIA (#ulink_bb25f23b-fc92-5e21-ab72-5b292a0d94cb)
Capitolo 2 Caratteristiche del suicidio IN polizia (#ulink_f4fb7884-da0f-54ea-a92c-6b1b734ffdf9)
Il Profilo del Suicidio IN Polizia (#ulink_1caa29f8-f2eb-5afe-bac6-fb209f92a255)
Fattori di Rischio (#ulink_c03d96e6-4594-5bf2-a656-d6208d9ba640)
Fattori di Personalità (#ulink_19cabf74-30c1-5f2f-adfc-1db3009b8c15)
L’Influenza della Depressione (#ulink_51f77fcf-21b4-57b2-965d-00bdc2f98d0e)
L’Influenza dello Stress (#ulink_7d2caa0b-5847-58d6-93af-ffac620b8f70)
Lo Stress Post-Traumatico
Fattori di Protezione
L’Ideazione Suicidaria
Il Tentativo Suicida
BIBLIOGRAFIA
Capitolo 3- La realtà del suicidio in polizia
IL Suicidio in polizia in America
Il suicidio IN POLIZIA in Europa
Il suicidio in polizia in Spagna
BIBLIOGRAFIA
Capitolo 4- AZIONI che dovrebbero contenere i piani di prevenzione del suicidio IN polizia
AZIONE 1 a) Restrizione dell’accesso ai mezzi di suicidio (ad esempio, pesticidi, armi da fuoco e alcuni farmaci).
AZIONE 2. Informazione responsabile da parte dei media.
AZIONE 3. Introduzione di politiche volte a ridurre il consumo dannoso di alcol.
Azione 4. Identificazione precoce, trattamento e assistenza di persone con problemi di salute mentale e abuso di sostanze, dolore cronico e disturbi emotivi acuti.
Azione 5. Formazione di personale sanitario non specializzato nella valutazione e gestione dei comportamenti suicidari.
Azione 6. Follow-up dell’assistenza fornita alle persone che hanno tentato il suicidio e fornitura di sostegno alla comunità.
BIBLIOGRAFIA
Capitolo 5. Errori Comuni nei Piani di Prevenzione del Suicidio in Polizia
Errore 1. Non VIENE APPLICATO un piano specifico per la polizia.
Errore 2. I destinatari del piano di prevenzione non sono prioritari
Errore 3. Mancata conduzione di un’Indagine sull’Impianto
Errore 4. La Valutazione dell’Impatto del programma di prevenzione non viene eseguita
Errore 5. Si stabilisce l’obiettivo zero suicidi
Errore 6. Personale insufficiente per essere efficace
BIBLIOGRAFIA
Capitolo 6. MIGLIORAMENTI DA INCORPORARE nei piani di prevenzione del suicidio IN polizia
Miglioramento 1. Registro della storia nella Selezione
Miglioramento 2. Determinare la popolazione totale da prevenire
Miglioramento 3. Creazione di Reti Private di Informazioni
Miglioramento 4. Partecipare al genere nei piani di prevenzione
Miglioramento 5. La formazione come asse dei piani di prevenzione
Miglioramento 6. Promuovere la salute mentale tra gli agenti.
Miglioramento 7. Vietare il Suicidio
BIBLIOGRAFIA
Capitolo 7. Proposte tecnologiche da inserire nei Piani di Prevenzione del Suicidio in Polizia
Proposta 1. Promozione della cyberterapia per la Polizia
Proposta 2. Numeri di emergenza Suicidio per la Polizia
Proposta 3. Forum sul Suicidio per la Polizia
Proposta 4. Realizzazione di una App specifica per la Polizia
Proposta 5. Intelligenza artificiale per la Polizia applicata per rilevare vulnerabilità
Proposta 6. Rilevamento automatizzato degli Stati Emotivi della Polizia
BIBLIOGRAFIA
Allegati
Allegato 1. Piano di Prevenzione del Suicidio in Francia
Allegato 2. Il modello di salute mentale e benessere della Victoria Police (Australia)
Allegato 3. New Jersey Suicide Prevention Plan (USA).
Allegato 4. Misure Proposte dal Gruppo di Riforma della Polizia
Allegato 5. - Piano per la Prevenzione del Suicidio in Colombia
Allegato 6. Miti riguardo al Suicidio
Capitolo 1- Definizione di suicidio In polizia
Il suicidio
Il suicidio nel mondo provoca un decesso ogni minuto, essendo in molti Paesi una delle tre principali cause di morte tra gli adolescenti tra i 14 e i 24 anni, essendosi verificato un aumento del 60% dei suicidi negli ultimi 50 anni (O.M.S., 2009).
Se chiediamo ad una persona qualunque concorderà con la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di concepire il suicidio come atto di togliersi la vita, in modo che il suicidio nel settore della polizia sarebbe quello commesso da un agente contro sé stesso. Quindi questo atto può o meno essere accompagnato da alcune caratteristiche più generali, come il fatto che di solito è un atto individuale, eseguito in solitudine, associato a sintomi depressivi, in cui viene lasciato un biglietto di addio …
Questi dettagli, nonostante si possano trovare in molti casi, non si riscontrano in tutti, quindi potrebbe trattarsi di un suicidio individuale o collettivo, sebbene per questo secondo caso siano richieste situazioni molto particolari, come quelle che si sono verificate in alcune sette. Il soggetto della nota di addio o della nota di suicidio, come è anche noto, è abbastanza frequente che viene utilizzato nelle serie e nei film come determinante per differenziare se si tratta di un caso di suicidio o omicidio. Va notato che il suicidio può essere premeditato, e quindi può dare alla persona il tempo di preparare un biglietto di addio, ma può anche essere senza premeditazione, e in questo caso non verrebbe trovato alcuno scritto. Ad esempio, in Austria tra il 1996 e il 2006 solo il 30,8% degli agenti di polizia federale ha lasciato una biglietto di suicidio (Kapusta et al., 2010).
Un’idea ampiamente diffusa è che la comunità scientifica abbia poco interesse per lo studio del suicidio e quindi non ci sono quasi pubblicazioni scientifiche. Questo aspetto non corrisponde alla realtà, perché il numero di studi sul tema del suicidio nel mondo dal 2000 al 2016 è stato di circa 2.800.000 articoli, utilizzando i database MEDLINE-PubMed, PsycINFO e CINAHL, (Mental Health Commission of Canada, 2018) il problema è che a volte questa conoscenza scientifica non raggiunge gli utenti finali per la sua applicazione.
C’è anche la convinzione di associare il suicidio a problemi mentali, anche se questo potrebbe essere un vantaggio in quanto, se i sintomi depressivi vengono rilevati nell’agente, e si interviene precocemente, ciò potrebbe servire a prevenirlo. Ma in molti casi la conoscenza che un agente di polizia può avere non differisce da quella di un altro lavoratore, ignorando i segnali di pericolo che dovrebbe cercare per prevenire il suicidio.
Ad esempio, se a un agente di polizia o a qualsiasi altro lavoratore non correlato al campo della salute mentale viene chiesto se ci sono popolazioni in cui un tipo di problema di salute mentale è più frequente di un altro, è normale che rispondano negativamente, sostenendo che noi sono tutti ugualmente esposti a questi problemi indipendentemente da dove vivano. Credenza molto diffusa, tra quelle persone che non hanno viaggiato in altri luoghi e che non hanno una formazione sanitaria, ma non supportata da evidenze scientifiche.
Oggigiorno, e grazie all’accesso agli open data, è possibile verificare come la salute mentale si presenti in modo diverso a seconda di dove si trova, esistendo zone dove ci sono più casi di una certa patologia che di un’altra. Il problema è che a volte i dati sanitari non sono accessibili per effettuare ricerche al riguardo poiché i governi sono solitamente abbastanza sospettosi di questo tipo di informazioni “sensibili”, a differenza di altri argomenti in cui è consentito conoscere in ogni dettaglio il numero di semafori, quanto spesso cambiano e se ce ne sono rotti; gli orari di apertura e chiusura delle farmacie e anche dei posti letto disponibili negli ospedali di ogni zona, ma quando si parla di casi di salute mentale è spesso difficile accedere a queste informazioni, almeno in modo diretto.
Nonostante a volte questi risultati possono essere estratti indirettamente, ad esempio, guardando il numero di morti, questi sono registrati in diverse categorie in base alla loro causa associata. In questo caso ciò che ci interessa sono due che comprendono la salute mentale, il primo sarebbe quello corrispondente ai disturbi mentali e comportamentali e il secondo quello delle malattie del sistema nervoso e degli organi dei sensi. Sebbene la prima sezione riguardante i disturbi mentali e comportamentali coprisse gran parte dei casi di salute mentale, in quanto è stata raccolta seguendo i criteri dell’ICD (Classificazione Internazionale delle Malattie) nella sua nona versione(O.M.S., 1988), quando (O.M.S., 2009) questi lo videro cambiato alla decima versione, casi come il morbo di Alzheimer sono stati spostati nella seconda rubrica, cioè malattie del sistema nervoso e degli organi dei sensi. Questo è il motivo per cui i risultati presentati di seguito corrispondono a entrambi i titoli e coprono la maggior parte dei problemi di salute mentale.
Per esemplificare l’utilità dei dati sulla morte utilizzando questo criterio di classificazione ICD10, ci concentreremo su una comunità autonoma spagnola, in particolare l’Andalusia, il cui governo è impegnato in Open Data, e quindi i dati sui decessi possono essere estratti in questa comunità dal 1980, essendo in grado di osservare l’evoluzione dei dati accumulati fino ad oggi sulle cause di morte per ciascuna località indipendentemente dalle sue dimensioni, cioè per ogni città o comune di detta comunità autonoma.
Sulla base dei dati grezzi, è possibile osservare come il numero di decessi associati a problemi di salute mentale si sia evoluto negli ultimi 33 anni in Andalusia, avendo prodotto un aumento significativo a Siviglia, Malaga e Cadice, con un aumento minore a Huelva e Almeria. Ma se rimaniamo con questi risultati, potremmo giungere a false conclusioni, perché non teniamo conto di un importante fattore di correzione, il numero di abitanti di ogni località. Cioè, non è lo stesso che compaiano 10 casi su una popolazione di 100 abitanti, rispetto a 10 su una popolazione di 5000 abitanti. Per rendere i dati più comprensibili, di solito si stabilisce lo stesso quadro di confronto, ad esempio, ogni 100.000 abitanti, quindi a seguire con i dati precedenti si può parlare di un tasso rispettivamente di 0,01 casi ogni 100.000 e 0,05 casi ogni 100.000 abitanti.
Tenendo conto di quanto sopra, e seguendo i dati storici della comunità autonoma dell’Andalusia, per adeguare i risultati delle cause di morte legate alla salute mentale alla popolazione reale del momento, sono stati estratti i dati corrispondenti alle cifre ufficiali del Padrón Municipal de Habitantes (Registro Comunale degli Abitanti) dal 1997 e sono stati apportati i corrispondenti adeguamenti, in modo che i risultati siano totalmente diversi da quanto osservato in precedenza, essendo Córdoba, Granada e Jaén le città che guidano la percentuale di casi per abitante, mentre le città con meno casi sono Malaga, Siviglia e Huelva.
Questo è il motivo per cui, come le stazioni di polizia, sanno in quali aree è più probabile che si verifichi un tipo di crimine rispetto a un altro a causa di molteplici fattori come la popolazione del luogo, le strutture di accesso, il numero di attività commerciali,… Allo stesso modo, è possibile sapere in quali popolazioni è più probabile che si trovi ad affrontare un certo problema legato alla salute mentale rispetto ad un altro, ma a che serve un poliziotto per conoscere questo aspetto? Si tratta di un numero rilevante di persone affette? A questo proposito, il dottor Quazi Imam, direttore medico dell’Arlington Memorial Hospital (USA) commenta:
Quasi 1 americano su 5 soffre di una malattia mentale, quindi ogni anno circa 42,5 milioni di americani adulti (il 18,2% della popolazione adulta totale negli Stati Uniti) soffre di alcune malattie mentali, condizioni persistenti come depressione, disturbo bipolare o schizofrenia. In altri Paesi, ad esempio, in Inghilterra si stima che 1 adulto su 4 abbia almeno un problema di salute mentale diagnosticabile in un anno. Da parte sua, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un dato allarmante nel 2014, stimando che circa 476 milioni di persone in tutto il mondo hanno un problema di salute mentale.
Di tutte le problematiche inerenti la salute mentale, 300 milioni di persone soffrono di depressione (O.M.S., 2017), ma questo non sarebbe altro che un dato aneddotico, utile per il personale sanitario, e in particolare per chi si occupa di salute mentale, ma cosa c’entra questo con la Polizia?
Il lavoro degli agenti polizia per la maggior parte, se non tutto, è strettamente correlato alla comunità e ai problemi che ha, quindi ci sono quartieri in cui c’è un tasso di criminalità più alto di altri, anche quelli in cui la polizia non può camminare liberamente, avendo necessità di “rinforzi” per entrare in determinate zone. Una situazione che consente in alcuni casi e in altri impedisce un rapporto fluido tra polizia e cittadini. Quindi, se in una certa area c’è più un tipo di problema di salute mentale che in un altro, anche questo sarà preso in considerazione dalla polizia, poiché le richieste della comunità saranno più orientate a occuparsi di questi casi. Quindi è frequente che, se esiste un centro di assistenza per bambini con disabilità mentali in un quartiere, a volte è necessario l’intervento della polizia se qualcuno di questi “sfugge” al loro assistente. Allo stesso modo, se in un’area c’è una popolazione particolarmente anziana dove la percentuale di persone affette da malattie neurodegenerative è significativa, la polizia dovrà intervenire in più di un’occasione per aiutare l’uno o l’altro anziano quando è “smarrito” e “si perde” o non sa come tornare a casa.
Questo per esemplificare come l’azione della polizia, sebbene in molti casi gli agenti non ne siano consapevoli, si adatterà ai bisogni di salute mentale della popolazione in cui lavorano, ma in altre occasioni si tratta di un lavoro consapevole con i pazienti. Anche se parlare di salute mentale non sarà necessariamente associato a problemi “minori”, a casi di aggressività e perfino di violenza, a cui anche la polizia deve rispondere, facendo il possibile per tenere sotto controllo la situazione. Ma che influenza ha sugli agenti di polizia lavorare con persone con problemi di salute mentale?
A questo si è cercato di rispondere attraverso una ricerca condotta dall’Abel Salazar Institute of Biomedical Sciences, Università di Porto insieme al Magalhães Lemos Hospital (Portogallo) e all’Unità di Psichiatria Sociale e di Comunità (WHO Collaborating Center for the Development of Mental Health Services), Queen Mary University of London (Inghilterra)(Soares & Da Costa, 2019). Hanno partecipato allo studio dieci agenti, con un’età media di 46 anni e 22 anni di servizio, di cui una sola donna. Il lavoro di questi professionisti consisteva nel trasferire i pazienti all’ospedale psichiatrico quando richiesto attraverso i ricoveri obbligatori.
Dalle interviste effettuate agli agenti sono state raccolte informazioni, codificate e analizzate, su cinque temi, “Attività di polizia e TSO”, “Il ruolo della famiglia nel processo di ricovero obbligatorio”, “Il successo del TSO” , “Opinioni sulle malattie mentali” e “Miglioramenti che proporrebbero nel loro lavoro di TSO”. Secondo i rapporti degli agenti, per loro questo lavoro è stato il più stressante e difficile che avessero dovuto svolgere nelle forze di polizia, evidenziando il ruolo di mediazione delle famiglie per facilitare il loro lavoro di TSO. Per quanto riguarda la percezione dei pazienti di salute mentale, essi erano percepiti come imprevedibili e pericolosi, ritenendo che loro come agenti non fossero preparati a trattare questo tipo di casi e capirono che personale qualificato doveva essere presente in questo lavoro. Ricerca che riflette solo la buona volontà degli agenti, ma che a volte è insufficiente per affrontare alcuni problemi, soprattutto nei casi più gravi di salute mentale. Pertanto, la salute mentale della popolazione sarà in molti casi un vantaggio in termini di stress generato nel lavoro degli agenti di polizia, e ciò senza tenere conto che l’agente stesso potrebbe soffrire di un problema di questo tipo, sia esso un disturbo depressivo, ansia o altro.
Comportamento a rischio
Non tutte le morti che sembrano essere un suicidio lo saranno davvero, poiché ci sono incidenti, ad esempio, le persone che maneggiano armi possono subire un incidente con esse e anche adottare comportamenti a rischio può portare a un incidente che assomiglia a un suicidio. Situazione frequente tra gli adolescenti, perché quando si pensa a comportamenti rischiosi, di solito lo fanno in quei comportamenti più estremi, come la guida ad alta velocità, o il bungee jumping, ma ugualmente rischiosi per la salute sono i meno eclatanti, come il consumo eccessivo di tabacco, alcol o altre droghe, ma è possibile prevenire comportamenti a rischio?
Questo è precisamente quanto è stato indagato dall’Università di Oviedo (Spagna) (Lana, Baizán, Faya-Ornia, & López, 2015), con uno studio a cui hanno partecipato 275 studenti di laurea in infermieristica, tutti valutati per il loro livello di Intelligenza Emotiva utilizzando la Schutte Emotional Intelligence Scale (Salovey & Mayer, 1990) standardizzata, e il comportamento a rischio, inteso come consumo di tabacco, alcol, droghe illegali, nonché diete malsane, sovrappeso o meno, sedentario o meno, livello di esposizione al sole e pratica di rapporti sessuali non protetti, inoltre, sono stati raccolti dati socio-demografici e sulla soddisfazione di vita.
I risultati mostrano che quegli studenti con alti livelli di intelligenza emotiva hanno meno comportamenti di consumo eccessivo di alcol, non seguono diete malsane e osservano pratiche sessuali sicure. Al contrario, coloro che mostravano livelli più bassi di Intelligenza Emotiva avevano comportamenti a rischio in termini di aumento del consumo di alcol, a seguito di diete malsane e pratiche sessuali non protette. Non sono state ottenute differenze significative nei comportamenti a rischio per il consumo di tabacco o droghe illegali, il livello di sovrappeso, lo stile di vita sedentario o il livello di esposizione al sole a seconda del livello di Intelligenza Emotiva. Gli autori sottolineano i vantaggi di avere alti livelli di intelligenza emotiva quando si tratta di gestire correttamente la pressione di gruppo, l’elemento principale in comportamenti come il consumo di alcol. I risultati sembrano evidenti per quanto riguarda la comodità di educare i più giovani affinché abbiano un’Intelligenza Emotiva sviluppata, poiché ciò servirà a prevenire futuri comportamenti a rischio ed evitare gli incidenti che comportano, a volte che portano a situazioni che assomigliano al suicidio. Nel caso della polizia, è stato riscontrato che gli agenti di sesso maschile di età compresa tra 26 e 34 anni sono i più propensi a manifestare comportamenti a rischio (Walterhouse, 2019).
Un’altra variabile analizzabile rispetto all’assunzione di comportamenti a rischio è il genere, quindi tradizionalmente si è ritenuto che gli uomini tendano a correre più rischi rispetto alle donne, ma ci sono prove scientifiche a supporto di questo?
Quando si pensa ai bambini, di solito sono considerati più dinamici in termini di attività fisica e anche rischiosi delle bambine, tanto che i maschi sono quelli che statisticamente subiscono più incidenti domestici, o per entrare nei posti sbagliati o per “toccare cosa non dovrebbero “, presentando una maggiore quantità di comportamenti esplorativi, invece, le bambine tendono a svolgere attività meno fisiche e più intellettuali, che prevedono la lettura o la conversazione tra coetanei e con gli adulti, e quindi hanno” meno rischi “di subire qualsiasi tipo di incidente domestico o di altro tipo. Una tendenza che sembra mantenersi nell’adolescenza, dove i giovani mostrano un numero maggiore di azioni che mettono a rischio la loro vita, sia per “mettersi in mostra” davanti alle ragazze o per “distinguersi” competendo con altri ragazzi. D’altra parte, le giovani donne tendono a “risaltare” in altre sfaccettature come quelle intellettuali, per gli abiti che indossano; o in attività ricreative come la danza.
È proprio in questa fase della vita che si registra un maggior numero di comportamenti a rischio, per la falsa convinzione che non accadrà loro nulla, e invece è il momento in cui si verificano più incidenti, siano essi incidenti stradali, o di altro genere. Atteggiamenti che nel tempo si “rilassano”, sebbene si mantengano per tutta la vita, basta vedere come tradizionalmente esistono professioni prevalentemente maschili associate ad una maggiore attività fisica, o a comportamenti a rischio, sia nel campo dello sport che dello spettacolo. Al contrario, le donne occupano a lungo una percentuale maggiore delle aule, ottenendo migliori risultati accademici a tutti i livelli.
Nel caso dei corpi e degli organi di sicurezza, nonostante il fatto che ogni giorno più donne si uniscano a questi corpi, c’è ancora una grande differenza tra uomini e donne, come in Spagna nel caso specifico della Polizia Nazionale nel 2019 il numero delle donne rappresenta il 14,5% dei membri del corpo, ovvero 9.063 donne su 62.953 agenti (El Plural, 2019), molto indietro rispetto a paesi come l’Estonia con il 33,9%, i Paesi Bassi con il 28,9% o la Svezia con il 28,8% nel 2012 (Institut for Public Security of Catalonia, 2013).
Per quanto riguarda l’origine e “l’utilità” di queste differenze, è stato individuato che si tratta di un comportamento “ereditato” dai nostri antenati, dove il maschio era colui che doveva “uscire” per cacciare e affrontare le difficoltà dell’esterno. La femmina invece restava all’interno del “territorio sicuro” dove c’era meno pericolo, il che le permetteva di sviluppare altre abilità più “utili” per le funzioni che aveva. Di questo contributo si è discusso in quanto attualmente non esiste una distribuzione dei ruoli così marcata, come avveniva in passato, nonostante continuino a verificarsi, ma quale sarebbe la ragione delle differenze nell’assunzione di rischio in base al genere?
Per rispondere a questa domanda, uno studio è stato condotto congiuntamente dalla China University of Electronic Sciences and Technology, Tianjin Medical University General Hospital; e l’Accademia cinese delle scienze (Cina); insieme all’Università di Adelaide e all’Università del Queensland (Australia) (Zhou et al., 2014). Lo studio ha coinvolto 289 volontari con un’età media di 22 anni, a cui sono stati somministrati 15 test psicotecnici oltre a studiare l’attività cerebrale attraverso la risonanza magnetica funzionale (fMRI). I risultati mettono in relazione i dati ottenuti da tutti i test, trovando differenze significative tra i partecipanti nella corteccia somatosensoriale secondaria destra, che comprendeva la corteccia dorsale anteriore bilaterale, le cortecce insulari medie e la corteccia cingolata anteriore dorsale.
Lo studio cerca quindi di rispondere ad un comportamento che fino ad ora non era stato possibile spiegare, verificando come il comportamento differenziale tra giovani uomini e giovani donne sia supportato da importanti differenze cerebrali, che rivelerebbero la maggiore tendenza ad assumere comportamenti a rischio sulla parte degli uomini.
Sulla base di questi risultati, ci si potrebbe aspettare che ci sia un più alto tasso di suicidi tra gli agenti di polizia maschi e più giovani, che esibirebbero anche comportamenti a rischio. Prevenzione dei suicidi nell’area della Polizia Nazionale, dove le statistiche l’incidenza dei suicidi in questo corpo sono raccolti dal 2000 al 2017, separati per età, vedi (A.R.P., 2019) Tabella I.
Tabella I. Distribuzione dei suicidi per fasce di età nella Polizia Nazionale tra il 2000 e il 2017
Con questi dati è possibile verificare che il più alto tasso di suicidi nel Corpo di Polizia Nazionale non si verifica tra i più giovani, dai 24 ai 29 anni con un’incidenza dell‘11,84%, ma tra quelli dai 30 ai 35 anni con un’incidenza del 21,71%, vale a dire, questi dati vanno contro la premessa di cui sopra circa il più alto tasso di suicidio tra i più giovani a causa di una maggiore esibizione di comportamenti a rischio. Le possibili cause di queste discrepanze potrebbero essere ricercate nel fatto che la sorveglianza nei primi anni di servizio da parte dei veterani sui “nuovi arrivati” è molto più severa, proprio per garantire la loro incolumità e che svolgano adeguatamente il loro lavoro, supervisione che si “rilassa” negli anni.
Indicare che nella popolazione generale la più alta percentuale di casi di suicidio si verifica tra i giovani tra i 15 e i 24 anni di età e tra gli (O.M.S., 2009)anziani sopra i 75 anni, proprio a queste età è quando vengono compiuti i maggiori sforzi dai piani di prevenzione dovuti all’incidenza dei suicidi, ma che nel caso della Polizia di Stato non sono nemmeno contemplati in quanto vanno oltre l’età di assunzione o di pensionamento; differenze che si rifletteranno anche nelle priorità delle politiche di prevenzione che possono essere sviluppate in tal senso.
Per quanto riguarda l’Intelligenza Emotiva come fattore protettivo contro comportamenti a rischio, va notato che è un concetto che è stato correlato alla capacità di gestire lo stress, le abilità sociali e anche gli aspetti della salute. All’interno del mondo del lavoro, oggi l’Intelligenza Emotiva è considerata un tassello chiave e fondamentale in ogni leader, per questo le business school sottolineano questa formazione. Si è anche riscontrato che è positivamente correlata a migliori prestazioni nella posizione lavorativa, e negativamente con assenteismo e dimissioni dal lavoro. Alcune teorie suggeriscono che le persone con un’elevata Intelligenza Emotiva siano in grado di conoscere meglio gli altri, quindi sono più efficaci nelle relazioni interpersonali, dando loro una certa capacità di conoscere i punti di forza e i limiti dell’interlocutore, ma la percezione dell’altro risente della nostra Intelligenza Emotiva?
È proprio quello che si è cercato di scoprire con una ricerca condotta dal Dipartimento di Amministrazione e Affari Internazionali, I-Shou University (Taiwan) insieme al Dipartimento di Direzione e Management, Business School (Norvegia) (Lee & Selart, 2015). Hanno partecipato allo studio trenta studenti di business school, di cui undici donne, con un’età media di 23 anni. I partecipanti sono stati fatti passare attraverso una situazione controllata, in cui hanno osservato le prestazioni di una persona in un compito di risoluzione matematica, un Sudoku, e quindi hanno dovuto valutare se quella persona poteva risolverne un altro, ma in un tempo limitato di tre minuti. Sono state manipolate le variabili corrispondenti alla difficoltà del secondo compito, la possibilità o meno di guadagnare denaro per la correzione in base al livello di sicurezza nella risposta, e l’introduzione o meno di un compito distraente tra i due compiti.
I partecipanti dovevano compilare un test online sull’Intelligenza Emotiva chiamato Mayer-Salovey-Caruso Emotional Intelligence Test dove (Mayer, Salovey, & Caruso, 2002) le prestazioni dei partecipanti sono state confrontate in base al punteggio nel MSCEIT, come con intelligenza emotiva alta o bassa. I risultati mostrano che non c’erano differenze nelle previsioni dell’esecuzione del compito degli altri sulla base dell’Intelligenza Emotiva dei partecipanti.
È necessario tener conto del numero limitato di partecipanti, e che si tratta di una manipolazione sperimentale a bassa validità ecologica, con la quale è probabile che in una situazione reale si possa osservare il fenomeno di previsione atteso. Nonostante i limiti dello studio, è necessario evidenziare l’approccio innovativo di questa ricerca, che cerca di scoprire come l’Intelligenza Emotiva consente alla persona di avere una migliore performance sociale. Sebbene non sembri che una maggiore intelligenza emotiva abbia a che fare con l’ottenere le previsioni di una terza parte in uno specifico compito matematico, ciò non esclude che non dia alla persona quella qualità per altri compiti, di tipo più emotivo; cioè conoscere i punti di forza e di debolezza di un interlocutore non significa sapere esattamente come agirà in tutti i compiti, ma significa sapere che tipo di impegno e comportamento generale aspettarsi da quella persona.
Qualcosa che se è possibile verificare attraverso ricerche successive informerebbe che quelle persone con alti livelli di Intelligenza Emotiva sono meglio preparate quando si tratta di incontrare gli altri, e quindi il vantaggio osservato nelle interazioni sociali. Un ultimo punto sull’Intelligenza Emotiva è che, a differenza di altre intelligenze, può essere migliorata con una formazione adeguata, cioè una volta conosciuti i tanti vantaggi che ha sul mondo lavorativo e sociale, si può trovare un modo per rafforzare le proprie capacità e quindi migliorare l’Intelligenza Emotiva.
Con quanto sopra, nella misura in cui l’applicazione dell’intelligenza emotiva tra le forze di sicurezza è considerata utile per ottenere la riduzione dei comportamenti a rischio, ci si aspetterebbe che anche i tassi di suicidio fossero ridotti, laddove questi incidenti siano inclusi.
Tenendo presente che il suicidio è in definitiva un dramma per le famiglie che sopravvivono, ma anche per il corpo che perde un collega e un agente preparato. Sebbene le cause associate allo stress e alla pressione sociale cerchino di “giustificare” questo comportamento tra le forze dell’ordine e le forze di sicurezza, va tenuto presente che l’accesso a questi organi è restrittivo e molto impegnativo e il candidato deve essere sottoposto a specifici test psicologici e successivi intensi formazione fisica e psicologica, ma, nonostante ciò, i tassi di suicidio sono estremamente alti.
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Capitolo 2 Caratteristiche del suicidio IN polizia
Come indicato nel capitolo precedente, non tutti i suicidi saranno considerati tali, poiché dovrebbero essere esclusi gli incidenti dovuti a comportamenti a rischio, inoltre si possono distinguere diversi termini che a volte sono usati in modo intercambiabile, ma che hanno importanti differenze, quindi secondo un rapporto pubblicato dalla Mental Health Commission del Ministero della Salute Pubblica del Governo del Canada, (Mental Health Commission of Canada, 2018) si può parlare di:
–Il suicidio come atto fatale di autolesionismo con l’intento di togliersi la vita.
–Comportamento suicidario che varia da pensieri suicidi, tentativi di suicidio e morte per suicidio.
–Tentativo di suicidio, che è un comportamento potenzialmente autolesionistico associato all’intenzione di morire.
–Pensieri attivi di suicidio che possono portare alla fine della propria vita, che possono includere: identificare un metodo, avere un piano e / o avere l’intenzione di agire.
–Pensieri passivi di suicidio, pensieri di morte o di voler essere morti, senza avere piani o tentativi di suicidio.
–Autolesionismo non suicidario, comportamenti senza intenzione di morire.
–Eventi suicidi con comparsa o peggioramento di pensieri suicidi o con tentativi di suicidio effettivi.
–Autolesionismo intenzionale, che sono comportamenti autolesionistici che includono pensieri.
Quindi d’ora in poi non parleremo più di suicidio in modo generico, ma i termini precedenti serviranno a definire se si tratta di pensieri, tentativi o suicidi veri e propri. A questo proposito, va notato che uno dei problemi riguardanti i dati relativi a questa tematica nel caso della polizia è che le statistiche di solito raccolgono solo informazioni sul suicidio compiuto, non sapendo quanti agenti hanno pensieri suicidi o quanti hanno portato a termine tentativi di suicidio. Aspetto che potrebbe appartenere alla sfera privata dell’agente, ma che impedisce l’applicazione di adeguate politiche di prevenzione, poiché, se non è noto, non possono essere applicate misure affinché tali pensieri o tentativi non si concludano con il suicidio, da qui l’importanza di ottenere innanzitutto dati e informazioni affidabili attraverso questionari, anche anonimi, ma che almeno darebbero conto della dimensione del problema.
Ad esempio, se un questionario viene passato in una certa stazione di polizia in modo completamente anonimo per scoprire pensieri e tentativi di suicidio, sarà possibile valutare il livello di gravità che si verifica un suicidio in quella stazione di polizia e con questo sarà possibile intervenire con diverse politiche che verranno descritte in questo testo per evitare o almeno ridurre questa possibilità tra gli agenti di quella stazione di polizia.
Il Profilo del Suicidio IN Polizia
Va notato che, sebbene i poliziotti siano persone che in linea di principio non differiscono dal resto dei cittadini, e quindi il profilo degli agenti che tentano contro la propria vita non dovrebbe essere diverso da quello osservato nel resto della popolazione. Nonostante quanto sopra, va notato che esistono una serie di caratteristiche che conferiscono all’agente alcune peculiarità in termini di funzioni e prestazioni, oltre che rispetto alla realtà cui si trova di fronte difficilmente riscontrabili in altre professioni, che in molti casi determinerà un profilo “peculiare” nel campo del suicidio.
Per quanto riguarda il profilo sul suicidio, tenendo conto di 446 articoli selezionati per la loro rilevanza e qualità, (Mental Health Commission of Canada, 2018) si può tracciare un profilo sul rischio di suicidio nel mondo, indicando che le persone che si suicidano di più sono gli uomini, mentre le donne hanno più comportamenti suicidi, essendo l’adolescenza l’età in cui si verificano più casi. Allo stesso modo, è solitamente associato nella popolazione generale a variabili sociodemografiche come avere più di 40 anni, essere divorziati, avere problemi psicosomatici, sperimentare la propria realtà in modo spiacevole, soffrire di depressione o (Grassi et al., 2018)alti livelli di ansia; oltre ad avere più di 85 anni, aver sofferto di disturbi alimentari, schizofrenia o disturbo bipolare; con una storia di abuso di sostanze (Brodsky, Spruch-Feiner, & Stanley, 2018).
Sulla stessa linea, l’OMS sottolinea l’importanza delle relazioni di coppia come fattore di protezione o stress psicosociale in caso di divorzio o separazione, riscontrando che le persone coinvolte in questi processi di rottura della convivenza hanno da 2 a 3 volte più probabilità di avere idee suicide e da 3 a 5 volte più probabilità di attentare alla loro vita (O.M.S., 2009).
Ci sono vari contributi teorici che sono stati forniti per spiegare il fenomeno del suicidio, che possono essere raggruppati in tre punti di vista:
a)Prospettiva del biologo, dove si cerca di spiegare una maggiore probabilità di subire il suicidio se si ha un parente stretto che lo ha subito, anche affermando che ci sono geni che aumentano la possibilità di suicidio, come è stato osservato in una ricerca da cui provengono 43 famiglie È stato analizzato lo Utah (USA), dove almeno uno dei loro membri si era suicidato nelle ultime sette generazioni (Coon et al., 2018). In totale, sono stati raccolti più di 4.500 campioni di DNA e sono stati analizzati 207 geni diversi, trovando un’associazione tra l’aumento del rischio in presenza di varianti nelle proteine SP110, rs181058279; AGBL2, rs76215382; SUCLA2, rs121908538; APH1B, rs745918508
Nonostante quanto sopra, e come sottolineano gli autori, questi geni non spiegherebbero tutti i casi di suicidio, ma solo il 50% di essi (Pedersen & Fiske, 2010).
b)Prospettiva sociale, in cui l’attenzione è posta non tanto sull’individuo come entità biologica o psicologica ma come reattivo delle condizioni sociali in cui vive, quindi il suicidio è stato associato alla perdita di valori, incoerenza delle norme, disorganizzazione sociale , rottura dei legami con la società, aspetti che si osservano in alcuni agenti di polizia che hanno tentato di togliersi la vita, che sono stati coinvolti in qualche tipo di indagine o hanno subito una condanna o un allontanamento dal loro lavoro, per cui l’agente riteneva che la “società” lo avesse “bocciato” o che non poteva” fidarsi “delle istituzioni che aveva rappresentato fino a quel momento, cosa che avrebbe potuto portarlo al suicidio (Palacio., 2010).
Un fattore fondamentale in ambito sociale che emerge e del quale non risentono è quello delle crisi economiche e tassi di disoccupazione, entrambi aspetti correlati a livello sociale con tassi di suicidio più elevati, ma che, essendo la polizia, almeno in Spagna, dipendenti pubblici del governo centrale, regionale o locale, vale a dire, sono personale assunto a vita, con il loro stipendio fisso, indipendentemente dalla situazione economica del paese, ciò significa che entrambi i fattori non incidono.
Nonostante quanto sopra, gli agenti possono perdere la loro condizione e con essa la stabilità economica sopra menzionata a causa di una serie di ipotesi, che nel caso della Polizia Nazionale sono incluse nell’articolo 5 della Legge Organica 9/2015, del 28 luglio, del Regime del Personale della Polizia Nazionale (Jefatura del Estado, 2015)
a) Pensionamento.
b) Dimissioni dalla carica ufficiale.
c) Perdita della nazionalità spagnola.
d) La sanzione disciplinare di allontanamento dal servizio che ha carattere definitivo.
e) La pena principale o accessoria di interdizione assoluta o speciale per l’esercizio del rapporto di lavoro o di pubblico ufficio con carattere definitivo.
Aspetto, quello dell’allontanamento dal servizio, volontario o meno, che è stato associato ad un aumento dei tassi di suicidio (LaMontagne et al., 2018).
c)Prospettiva individuale, in cui varie teorie associate al suicidio sono state sviluppate dalla psicologia tra i membri delle forze di sicurezza (Violanti, Owens, McCanlies, Fekedulegn, & Andrew, 2019):
–Psicodinamica, la sovraesposizione a un ambiente “inappropriato” può portare al superamento delle barriere psicologiche dell’agente e questo porta al suicidio.
–Cognitiva, dove è stato osservato come gli agenti di polizia mostrano una mancanza di flessibilità cognitiva nel loro lavoro, associata a difficoltà nel gestire lo stress continuo, aumentando così l’ideazione suicidaria.
–Tassonomica, dove ci sono quattro fattori associati al suicidio in campo militare (applicabile alla polizia), quello educativo, gli antecedenti, i precipitanti e quelli associati a sentimenti di allineamento e impotenza.
–Sulla base dell’autopsia psicologica, utilizzando questo metodo si è arrivati a capire come ci siano precedenti fattori sociali che influenzano la loro rete di contatti e la loro integrazione con i colleghi.
–La prospettiva della pressione, in cui gli agenti reagiranno in modo diseguale ai fattori di stress del loro lavoro, e il suicidio può essere visto come una “soluzione” a tale sofferenza.
–Interpersonale, dove lo stress lavorativo è correlato a esposizioni traumatiche, insieme alla sensazione di isolamento e mancanza di appartenenza sociale.
–Diatesi-stress interattivo, dove il suicidio è correlato a stress e fattori predisponenti personali (Mann, Waternaux, Haas, & Malone, 1999).
Fattori di Rischio
I fattori di rischio sono quelli in presenza dei quali aumentano le possibilità di atti suicidari. Questi possono essere quantitativi o qualitativi, nel primo caso si parlerebbe di fattori che hanno bisogno di “accumularsi” nel tempo, o che richiedono un’elevata intensità per poter avere quell’influenza sul comportamento suicidario; e nel caso di fattori qualitativi, si parlerebbe più che la sola presenza di questo fattore è sufficientemente determinante per “provocare” detto atto.
Per quanto riguarda i fattori che aumentano la probabilità di commettere un suicidio, si distinguono i seguenti (Mental Health Commission of Canada, 2018):
–la storia familiare di casi di suicidio e disturbi psicologici.
–i precedenti tentativi di suicidio.
–i pazienti ospedalieri cronici.
–l’abuso di alcool.
–la reclusione in prigione.
–i cambiamenti stagionali.
–l’influenza dei media.
–i fattori sociali come l’isolamento o recenti eventi della vita.
–l’esposizione alla violenza.
–il lavorare in determinate professioni come nel campo della salute, nei servizi di emergenza o nella polizia.
Su quest’ultimo punto rispetto al lavoro svolto, altre indagini hanno associato un più alto tasso di suicidi a professioni come quella di agricoltore, (Tiesman et al., 2015)medico, poliziotto o soldato .Sebbene ci sia un numero maggiore di suicidi nella polizia rispetto alla popolazione generale, all’interno dei lavori rischiosi è dietro il tasso di suicidi di vigili del fuoco, soldati e funzionari della prigione (Milner, Witt, Maheen, & Lamontagne, 2017; Stanley, Hom, & Joiner, 2016).
Pertanto, e tenendo conto della descrizione precedente, si potrebbe affermare che i poliziotti saranno più esposti a commettere suicidi a causa delle caratteristiche della loro professione, dell’isolamento sociale che a volte produce e dell’esposizione quasi costante alla violenza.
Solo con questi tre fattori si potrebbe parlare di una popolazione particolarmente vulnerabile in cui ci si possono aspettare tassi di suicidio superiori alla popolazione generale, a cui fattori temporanei come stagionalità (inverno o estate), eventi sociali (perdita di una famiglia), consumo di alcol, … producendo un maggior rischio di suicidio tra gli agenti dati gli alti livelli di stress a cui sono sottoposti, con temporanei spostamenti geografici, esposizione pressoché continua alla violenza, senso di isolamento sociale (Mishara & Martin, 2012).
Fattori di Personalità
La prima cosa da chiarire è il concetto di persona, la cui etimologia (origine del significato delle parole) si riferisce alle maschere che i greci usavano nelle loro rappresentazioni teatrali; cioè la persona (maschera) è l’immagine con cui ci presentiamo agli altri. Senza essere così rigorosi, il termine viene utilizzato per designare un individuo sostanzialmente diverso dagli altri, che appartiene a una determinata specie. Questa persona avrà una serie di qualità, oltre alle sue caratteristiche fisiche, come peso, altezza, colore dei capelli, pelle o occhi, tra le altre. Presenterà anche un modo di sentire e relazionarsi con sé stesso e con gli altri, mostrando uno stile di comportamento e modi di fare propri. Questo insieme di stili di pensiero, sentimento e azione è ciò che viene chiamato personalità, in cui si possono distinguere tre sfaccettature:
–Biologica, che corrisponde sia all’informazione genetica acquisita combinando quella dei genitori (genotipo); nonché i caratteri morfologici, funzionali e biochimici che la persona presenta (fenotipo); il primo corrisponderebbe al nostro carico genetico, mentre il secondo si riferisce a come quella genetica si esprime in un certo modo.
–Individuale, che include bisogni e desideri, cioè è la motivazione della persona, che sarà ciò che la porterà ad agire in un certo modo per raggiungere i suoi obiettivi, cercherà anche di evitare ciò che è per lui poco attraente o sgradevole.
–Sociale, attraverso le relazioni interpersonali, impariamo non solo a vivere con gli altri, ma anche a pensare e sentire in un certo modo. La cultura, la lingua, i costumi e le abitudini configureranno le tendenze a pensare, sentire e comportarsi dell’individuo per tutta la sua vita.
Con questo possiamo avere un’idea approssimativa di cosa sia la personalità, come la tendenza a pensare, sentire e agire in un certo modo, che sarà condizionata, da un insieme di regole che regolano la convivenza, all’interno della società in cui essa è vissuta, oltre che dall’espressione di una genetica trasmessa dai nostri genitori, ma come si forma la personalità?
Sono due i principali meccanismi che utilizziamo per plasmare la personalità nel tempo: l’esperienza diretta permette alla persona, fin dalla tenera età, di provare diverse azioni, e per tentativi ed errori, di apprendere cosa è piacevole o spiacevole. Il primo, diventa fonte di desiderio, generando tendenze verso il suo raggiungimento; mentre lo sgradevole, si tende ad evitarlo o addirittura a fuggirlo; e l’apprendimento vicario, noto anche come apprendimento osservazionale, grazie al quale la persona è in grado di apprendere le conseguenze di determinate azioni, vedendo i risultati che queste generano negli altri, ad esempio, un bambino è in grado di imparare a non toccare cose taglienti se vede come qualcun altro si fa male nel farlo.
Attraverso questi due meccanismi impareremo a identificarci come un individuo, diverso dal resto, con le nostre caratteristiche, come il nostro corpo, il nostro modo di pensare e di agire. Ma per arrivare a questo punto devono trascorrere un periodo di esperienza e apprendimento da parte del bambino, come mostra il test delle macchie. Prima del test al bambino è stata messa una macchia (di carminio) su una parte della fronte, per poi posizionarlo davanti a uno specchio, per osservare la sua reazione. Se cerca di toccare la macchia, si può concludere che il bambino è consapevole di essere quello che vede nello specchio, cioè è il suo riflesso; quindi, avrebbe già coscienza di sé stesso, come individuo diverso dagli altri.
Allo stesso modo, nel tempo, acquisirà la coscienza morale, che è quella che governerà il nostro comportamento per tutta la vita, e dalla quale apprendiamo ciò che è stabilito come corretto o non corretto, all’interno di una certa società. Pertanto, determinati desideri, pensieri e modi di agire saranno consentiti e persino incoraggiati; mentre altri saranno banditi, perseguitati e puniti.
Personalità che sta per essere alla base di come ci sentiamo, pensiamo e agiamo, ed è proprio in quest’ultimo aspetto che cerchiamo di spiegare alcuni comportamenti disallineati e anche psicopatologie. Quindi, una delle maggiori difficoltà quando si tratta di tossicodipendenti è quando ci sono variabili di personalità coinvolte nell’abuso di sostanze; in modo che se una qualsiasi delle caratteristiche della nostra personalità favorisce l’abuso di sostanze, saremo più predisposti ad esso, anche se non dovremmo pensare a nessun tipo di determinismo della personalità nell’abuso di sostanze, guiderà i nostri passi verso ciò che vogliamo e cerchiamo.
Ci sono molte variabili di personalità che potrebbero essere coinvolte, a seconda del modello teorico che usiamo, ma, forse il narcisismo sta emergendo negli ultimi anni come una caratteristica determinante del nostro comportamento. Il narcisismo è quella percezione di sé, strettamente correlata all’immagine di sé e all’autostima, che motiva comportamenti autoindulgenti. All’estremo c’è il narcisismo patologico, che porta a una distorsione della realtà, con pensieri grandiosi, fantasie di capacità illimitate, sentirsi superiori agli altri e persino perfetti. Dove si osserva una morale bassa in ciò che lo soddisfa, non considerando che non sbaglia mai, motivato solo da ricompense e senza alcun rimorso per quello che fa, ma che ruolo gioca la personalità nell’abuso di sostanze?
Questo è esattamente ciò che si è cercato di scoprire con una ricerca del Dipartimento di Psicologia, Università Mohaghegh Ardabili, insieme al Dipartimento di Psicologia, Università Guilan, e il Dipartimento di Psicologia Clinica, Università Allameh Tabataba’i, Teheran, (Iran) (Mowlaie, Abolghasemi, & Aghababaei, 2016). Allo studio hanno partecipato duecento studenti universitari, di cui il 38,5% donne, di età compresa tra i 18 ei 35 anni. A tutti è stato somministrato un questionario standardizzato per valutare i livelli di narcisismo patologico attraverso l’Inventario del narcisismo (Pincus et al., 2009) patologico. Allo stesso modo, il loro livello di dipendenza da alcol e altre droghe è stato valutato attraverso la Addiction Acknowledgment Scale (Weed, Butcher, McKenna, & Ben-Porath, 1992)(Scala di riconoscimento delle dipendenze). Inoltre, l’autocontrollo è stato valutato utilizzando la Cognitive Self-Control Scale (Scala di (Grasmick, Tittle, Bursik, & Arneklev, 1993)autocontrollo cognitivo) ; Infine, le scale BIS / BAS (Carver & White, 1994) sono state somministrate per valutare la sensibilità a eseguire o inibire comportamenti in cerca di ricompensa.
Tra gli effetti principali, è stato riscontrato che il narcisismo patologico e il comportamento attivo sono significativamente correlati all’abuso di sostanze. Mentre il comportamento inibitorio e l’autocontrollo sono significativamente correlati alla prevenzione dell’abuso di alcol o di altre sostanze. I risultati sugli effetti combinati mostrano che esiste una significativa relazione positiva tra narcisismo patologico e comportamento attivo nei confronti dei farmaci, mediata da bassi livelli di autocontrollo, ed esiste anche una significativa relazione negativa tra comportamento inibitorio e autocontrollo. Sebbene gli autori abbiano cercato di offrire un modello con le significative relazioni positive e negative di queste quattro variabili, non è stato accompagnato da un modello teorico per supportarlo.
Anche con le limitazioni di cui sopra, è necessario evidenziare la complessità del comportamento di abuso di sostanze e il modo in cui le variabili di personalità sono coinvolte in esso, il che renderà difficile il trattamento per la disintossicazione. Pertanto, il narcisismo patologico giocherà un ruolo di primo piano nell’abuso di sostanze, un aspetto su cui bisognerà lavorare se si vogliono modificare questi comportamenti, sapendo che cercare di cambiare la propria personalità richiede molto impegno e nella maggior parte dei casi si riscontrano pochi risultati.
Come è stato esemplificato dalla ricerca precedente, dal campo della psicologia si è cercato di verificare se esiste qualche tratto della personalità che “faciliti” il fatto che una persona possa tentare di togliersi la vita oppure no. Pertanto, per quanto riguarda la scoperta delle caratteristiche determinanti della personalità in caso di suicidio, è stata condotta un’indagine dall’Istituto Nazionale di Psichiatria Ramón de la Fuente insieme all’Ospedale Psichiatrico Pediatrico Juan N. Navarro (Messico) (Camarena, Fresán, & Sarmiento, 2014).
Hanno partecipato allo studio 233 persone, di cui 49 pazienti con tentativi di suicidio che avevano una diagnosi di disturbo depressivo maggiore o distimia, esclusi dallo studio coloro che avevano contemporaneamente altre patologie; il resto che compone il gruppo di controllo con cui confrontarsi. Tutti sono stati valutati utilizzando un questionario completo standardizzato di 240 domande chiamato Temperament and Character Inventory (Garcia, Lester, Cloninger, & Robert Cloninger, 2017). Secondo la teoria alla base di questo questionario, c’è una componente parzialmente ereditaria nel temperamento, mentre la personalità è formata dalle esperienze sociali e personali dell’individuo. Questo questionario valuta sette dimensioni, quattro del temperamento (ricerca di novità, prevenzione del danno, dipendenza dalla ricompensa e persistenza); e tre di personalità (direzione del sé, cooperazione e trascendenza del sé).
I risultati analizzati insieme riportano che genitori e bambini con tentativi di suicidio condividono caratteristiche rispetto al gruppo di controllo. Queste caratteristiche distintive sono sia il temperamento (alta prevenzione del danno e bassa persistenza), sia la personalità (bassa auto-direzione e cooperatività). Qualcosa che lo studio commenta è che i genitori condividono le stesse caratteristiche di personalità che portano il loro bambino a tentare il suicidio. Poiché lo studio non contempla l’analisi dei tentativi di suicidio dei genitori, se ce ne sono stati, non si può concludere che questi fattori siano fattori determinanti, poiché, in alcuni casi, come nei genitori, le stesse caratteristiche di personalità non “portano” a tentativi di suicidio, mentre in altri casi sì, come nei bambini.
Va tenuto presente che i “sopravvissuti” ai tentativi di suicidio, di solito riferiscono che non stavano cercando di uccidersi, ma che era il loro modo di attirare l’attenzione o di lamentarsi delle circostanze in cui vivevano. Pertanto, a mio avviso, occorre fare una distinzione tra chi ci prova e chi ci riesce, perché dietro ci possono essere motivazioni totalmente diverse.
Quindi questi risultati dello studio si riferirebbero solo a coloro che provano. Nonostante ciò, e vista la gravità dell’argomento indagato, ogni contributo è gradito per comprenderne meglio le ragioni, ma soprattutto per cercare di prevenirlo. Pertanto, secondo questa ricerca, ci sono fattori di temperamento e personalità che hanno maggiori probabilità di essere presenti tra i pazienti con disturbi depressivi che commettono anche tentativi di suicidio.
Pertanto, una persona con un temperamento con alti livelli di evitamento del danno, cioè, non può sopportare di soffrire; e bassa persistenza nei compiti, cioè non è costante per raggiungere i suoi obiettivi, è più probabile che di fronte alla depressione tenda a commettere atti suicidi, poiché sarebbero persone che stanno subendo le conseguenze della depressione, un aspetto che non gli piace, e anche loro non riescono a trovare una via d’uscita, perché richiede uno sforzo quotidiano, aspetto in cui solitamente fallisce.
Allo stesso modo, avendo caratteristiche di personalità definite da bassi livelli di autodirezione, cioè, hanno poca costanza nell’assumersi la responsabilità della propria vita; e bassa cooperatività, cioè è una persona competitiva poco coinvolta negli aspetti sociali. Quando entrambe le caratteristiche sono presenti di fronte alla depressione, è più probabile che abbiano tentativi di suicidio.
Come sarebbe il caso di qualcuno a cui non piace prendere decisioni personali, come affrontare la depressione per uscire da questa situazione; e che anche lui non ha una rete di supporto, in modo che i suoi colleghi non lo vedano debole, il che faciliterà l’esecuzione dell’atto suicida (Grassi et al., 2018).
L’Influenza della Depressione
Un aspetto rilevante in relazione al suicidio è il suo rapporto con problemi psicologici, diagnosticati o meno. Si stima nella popolazione generale che i problemi di salute mentale siano associati a oltre il 90% dei casi di suicidio tra i 15 ei 29 anni e l‘80% a partire dai 30 anni, quando si soffre di determinate psicopatologie come disturbi affettivi come i principali depressione; disturbi della dipendenza da sostanze; disturbi psicotici; alcuni disturbi della personalità come il Bordelinde; alcuni disturbi alimentari come l’anoressia o il disturbo da stress post-traumatico, evidenziando tra la popolazione più giovane l’associazione con disturbo bipolare, disturbo da deficit di attenzione, soprattutto con iperattività e disturbi comportamentali (Mental Health Commission of Canada, 2018), ma non in tutti i casi produce, né è un requisito per il suicidio agire per avere luogo.
Da parte sua, l’OMS sottolinea che i problemi di salute mentale nel mondo sono associati tra il 65% e il 95% a casi di suicidio, aumentando il rischio di suicidio fino al 15% tra le persone con un disturbo mentale. (O.M.S., 2009)A questo proposito, la Sig.ra Nathalie López Ufficiale di Polizia e Psicologa Clinica della Polizia Nazionale dell’Ecuador, riferisce sui casi a cui si occupa nella polizia: «I problemi principali sono il problema del consumo di alcol, sostanze, violenza domestica, depressione, ansia, problemi di relazione e stress».
Pertanto, e tenendo conto di quanto sopra, tra le forze dell’ordine sarà più probabile che si verifichino casi di tentativi di suicidio in quegli ufficiali che soffrono di disturbo depressivo, disturbo da uso di sostanze o disturbo da stress post-traumatico, tutti fattori che devono essere valutati, diagnosticati e curati per ridurre la probabilità che conducano a un tentativo di suicidio, quindi la prima cosa che il poliziotto deve fare è mettersi nelle mani di uno specialista.
Un aspetto che in molti casi è un problema in sé, dal momento che “chiedere aiuto” in certi settori come la polizia è considerato un “segno di debolezza” dagli stessi agenti, e anche a causa dello stigma associato al rivolgersi a uno specialista nella salute mentale, dove non vuoi che nessun collega o superiore sappia che stai ricevendo questo tipo (Grassi et al., 2018)di cure, quindi ci possono essere quattro casi possibili, in cui l’agente non si rende conto della sua condizione e nemmeno gli altri; che l’agente non si rende conto del loro bisogno di aiuto e gli altri lo fanno; che l’agente si rende conto che dovrebbe andare in terapia e gli altri no; o in quest’ultimo caso, che sia l’agente che gli altri ritengano necessario consultare il professionista della salute mentale. Questo approccio è una semplificazione poiché gli “altri” comprendono qualsiasi persona vicina, inclusi parenti diretti, colleghi o superiori, e talvolta uno o più possono o non possono rendersi conto del loro bisogno.
Per quanto riguarda l’accesso della polizia al servizio psicologico, la signora Nathalie López sottolinea «Gli agenti di polizia che hanno problemi di relazione, depressione, ansia e stress arrivano volontariamente chiedendo cure; chi ha problemi di consumo di alcol o droghe viene indirizzato dal primo livello di assistenza, da psicologi di unità di polizia o dal capo ed entra in un percorso terapeutico».
I problemi che si possono riscontrare più frequentemente in consultazione sono in relazione alle emozioni, sia per iperattivazione, in caso di stress e ansia, sia per loro inibizione, in caso di tristezza e depressione, ma non si sa si tratta solo di rendere le persone più sensibili a questi problemi, e quindi si rivolgono più frequentemente al consulto psicologico, ma sono anche i problemi più comuni sofferti, molto più di qualsiasi altro disturbo nel campo della salute mentale.
La tristezza è uno stato in cui la persona smette di sentirsi “piena” o almeno “normale”, considerata una delle emozioni di base, insieme alla felicità o alla paura. Sono tanti i motivi che possono generare tristezza, dalla perdita di una persona cara, al non aver raggiunto un obiettivo desiderato, ma forse il più grave è dovuto alla presenza di una malattia, soprattutto se incurabile o cronica, tenendo conto che il rapporto tra salute fisica e mentale ha cessato da tempo di essere in discussione. Quando qualcuno soffre di una malattia fisica, questo avrà un effetto diretto sul suo stato d’animo, e questo sul resto delle aree della persona, compreso il suo modo di relazionarsi con sé stesso e con gli altri. Pertanto, quando ci si sente male, ad esempio, a causa di una malattia cronica, questo può alterare in modo significativo il proprio umore, portando anche alla depressione. Ma quando compaiono i sintomi della depressione, la situazione peggiora, poiché gli effetti che questi hanno sulla salute sono importanti, riducendo la qualità della vita, con un calo dell’umore, ma anche del sistema immunitario, che consente al paziente di entrare in un circolo vizioso.
Quanto peggio stai fisicamente, peggio ti senti psicologicamente e più sintomi depressivi soffri, il tuo corpo risponderà peggio e quindi, invece di facilitare il recupero, ti danneggerà. Le conseguenze di questo circolo vizioso sono un peggioramento dei sintomi, peggioramento della qualità della vita del paziente, rendendolo meno tollerante a ciò che gli accade e con questo ha una prognosi peggiore, rispetto ad un altro che non ha associati questi sintomi depressivi. Da qui l’importanza di rilevare i primi sintomi di depressione, per poterli curare il prima possibile in modo che non avanzino e danneggino ulteriormente la salute del paziente; è necessario chiarire che ciò che normalmente viene chiamato depressione non sempre corrisponde a ciò che viene chiamato clinicamente disturbo della depressione maggiore, poiché esiste tutta una serie di disturbi dell’umore che hanno sintomi simili con decadimento e apatia, tra cui depressione maggiore, ciclotimia, …
La depressione è un disturbo dell’umore, che si traduce in un significativo e continuo stato di declino sia psicologicamente che biologicamente del paziente, e si manifesta attraverso sintomi psichici (che possono manifestarsi disinteresse, tristezza, demoralizzazione, diminuzione dell’autostima) e somatici (perdita di appetito, diminuzione del peso corporeo, astenia, disturbi del sonno con periodi di insonnia e periodi di sonnolenza). Le conseguenze di questo disturbo sono molte, ma tutte vanno contro la qualità della vita del paziente. Un problema non solo di salute personale, ma che ha importanti ripercussioni sia nell’economia familiare che nel luogo in cui si lavora.
Quando si effettua una diagnosi corretta, è necessario escludere episodi di tristezza temporanea, che sono considerati una reazione naturale della persona a eventi negativi come situazioni di lutto per la perdita di una persona cara o altri come divorzi o separazioni. Ma se dura oltre i sei mesi, o è così importante da essere disabilitante, può portare a una depressione. Inoltre, i sintomi depressivi possono manifestarsi in situazioni che comportano un forte stress, sia di tipo lavorativo, economico o di relazione interpersonale, che gradualmente si attenuerà con la scomparsa del fattore scatenante dello stress. Questo è ciò che è noto come Disturbo Adattivo con Umore Depresso.
Il trattamento della depressione maggiore negli adulti può essere difficile, quindi sono necessari strumenti terapeutici e psicofarmacologici; un trattamento che a volte può essere complicato dalla mancanza di collaborazione da parte del paziente, che la rende cronica. Per alleviare questa situazione, una moltitudine di trattamenti è stata sviluppata sia con la psicofarmacologia che con la psicoterapia, cercando di distogliere la persona dai suoi pensieri negativi, sentimenti di decadimento e passività comportamentale.
Nel caso di disturbi dell’umore dovuti a depressione maggiore, contrariamente a quanto si può pensare a priori, non ci sono differenze di genere in termini di età di esordio, tempo necessario per il recupero o possibili ricadute, nonostante questo, esistono studi che indicano il genere differenze per quanto riguarda la sofferenza di questo problema di salute mentale, poiché viene diagnosticato più nelle donne rispetto agli uomini, cosa che si è cercato di spiegare con la loro maggiore sensibilità agli aspetti emotivi rispetto agli uomini. Dal National Institute of Health degli Stati Uniti (NIMH, 2019) riferiscono che negli adulti entro il 2017 il 7,1% della popolazione aveva sofferto di depressione maggiore, ovvero 17.300.000 cittadini di quel paese, colpendo l‘8,7% della popolazione femminile e il 5,3% di quella maschile. In Spagna, entro il 2017 il 6,7% della popolazione aveva sofferto di depressione maggiore, ovvero 3.118.000 cittadini di quel paese, che colpivano il 9,2% della popolazione femminile e il 4% della popolazione maschile (Ministerio de Sanidad, 2017).
Ma la depressione non è solo un problema di salute mentale, che è associato a una serie di comportamenti di isolamento e ritiro, ma coinvolge anche un maggior numero di casi di morbilità e mortalità. La morbilità è che la persona depressa tende a soffrire di altre malattie, più frequentemente delle persone senza depressione. Mentre i tassi di mortalità più elevati tra le persone che soffrono di depressione sono causati da tentativi di suicidio, da una maggiore propensione a subire incidenti o da altre malattie, ma esistono differenze di genere nella morbilità e mortalità associate alla depressione?
A questo si è tentato di rispondere con un’indagine condotta congiuntamente dal General Hospital; Kashibai Navale School of Medicine, Maharashtra Institute of Mental Health e King Edward Memorial Hospital (India) (Deshpande et al., 2014). Lo studio ha incluso 107 adulti, utenti del King Edward Memorial Hospital, con diagnosi di disturbo depressivo maggiore, di cui 66 donne. Tutti i partecipanti avevano ricevuto la diagnosi di depressione, a cui sono stati somministrati una serie di questionari, come una scala standardizzata di Depressione per confermare la diagnosi chiamata Structured Clinical Interview for DSM IV axis I disorders ( Intervista Clinica Strutturata per disturbi DSM IV asse I (First, Gibbon, Spitzer, & Williams, 2002)), la scala di Paykel sull’ideazione del suicidio (Paykel, Myers, Lindenthal, & Tanner, 1974), su livelli di stress nella sua vita, livelli di funzionalità sia generale, sociale e lavorativa.
I risultati riportano che, nonostante le persone soffrano della stessa malattia, ci sono differenze significative nello stress che essa genera nella loro vita, così come nei diversi livelli di funzionamento della persona e tutto questo sembra essere correlato ai livelli di suicidio. Le donne soffrono di più lo stress dalla loro cerchia sociale, soprattutto dall’ambiente familiare; mentre gli uomini si riferiscono ai problemi finanziari come alla principale fonte di stress associato alla depressione. Rispetto al funzionamento generale, ha un’incidenza simile in entrambi i sessi allo stesso modo, interessando gli uomini in misura maggiore nel caso del funzionamento sociale e lavorativo. Infine, il gruppo di donne con depressione era dove c’erano livelli più alti di suicidio, rispetto agli uomini con depressione.
Per studiare il livello di incidenza di suicidi tra i pazienti con disturbo depressivo maggiore, è stata condotta un’indagine dalla Scuola di Medicina dell’Università Cattolica della Corea in collaborazione con l’Università Nazionale della Corea (Corea) (Seo et al., 2014). Lo studio ha incluso 1.183 pazienti con diagnosi di depressione maggiore inclusi in uno studio più grande chiamato Clinical Research Center for Depression (CRESCEND) condotto tra il 2006 e il 2008. Tra i partecipanti, il 21% ha avuto tentativi di suicidio (253 pazienti) e il 34% ha avuto idee suicide (407 pazienti), ovvero più della metà (55%) dei pazienti con depressione maggiore ha avuto idee o tentativi suicidari. Su 138 partecipanti, è stato effettuato un follow-up per i successivi dodici mesi, di cui 23 avevano avuto tentativi di suicidio, 59 avevano solo ideazione suicidaria e 56 senza precedenti di tentativi di suicidio. A tutti è stato somministrato un questionario standardizzato sul carattere e il temperamento chiamato Temperament and Character Inventory (Garcia et al., 2017).
I risultati indicano che non ci sono differenze significative tra le persone che hanno avuto tentativi di suicidio e quelle che non li hanno avuti, in termini di carattere o temperamento, se non nell’autogestione, in cui coloro che hanno comportamenti suicidari mostrano livelli significativamente più bassi rispetto agli altri partecipanti allo studio. Questo concetto si riferisce all’autodeterminazione, all’autostima e alla capacità dell’individuo di controllare, regolare e adattare il proprio comportamento a una situazione in conformità con i valori e gli obiettivi personali, ovvero le persone che hanno subito il maggior numero di tentativi di suicidio sono state quelle che controllavano meno i propri impulsi, avevano una bassa autostima e difficoltà a adattarsi alle esigenze di ogni momento, mostrando comportamenti “fuori luogo”.
Allo stesso modo, l’auto-trascendenza era significativamente più alta tra coloro che hanno tentato il suicidio rispetto a coloro che hanno avuto solo un’idea suicida, il che spiega un certo “uso” del suicidio verso una fine oltre l’atto suicida, cioè le persone che stanno per commettere questo attentato alla propria vita hanno trovato un “significato” trascendente come tipo di reclamo o denuncia … rispetto a coloro che hanno solo idee suicide. Nonostante il fatto che lo studio abbia cercato di prevedere l’ideazione e il comportamento suicidario analizzando il carattere e il temperamento dei pazienti con depressione, non è stato possibile dimostrare che questa relazione esiste.
Per quanto riguarda l’incidenza della depressione nella polizia, un’indagine longitudinale sui casi di suicidio tra gli agenti di polizia tra il 2000 e il 2012 in Australia ha rilevato che al 13% degli agenti di polizia era stato diagnosticato un Disturbo Depressivo Maggiore (NATIONAL CORONIAL INFORMATION SYSTEM, 2015) una cifra che è raddoppiata dal numero di casi diagnosticati tra i vigili del fuoco e il personale di emergenza, rispettivamente dal 32 al 35%.
Tra le cause di suicidio nella polizia italiana si trovano problemi emotivi nel 39% dei casi; disturbi psichiatrici 11%; 6% difficoltà economiche e 2% problemi fisici(Grassi et al., 2019).
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