Un Quarto Di Luna

Un Quarto Di Luna
Massimo Longo E Maria Grazia Gullo


Un quarto di Luna:Il mondo in cui si è rifugiato Elio, forse non è frutto della sua fantasia, ma una tela costruitagli intorno. Durante una vacanza in campagna, avrà modo di conoscere una Vegliante che gli rivelerà la verità ed insieme ad un divertente gruppo di amici, reali e fantastici, combatterà per ritrovare la sua libertà. Le avventure di questo ragazzo ti faranno conoscere Demoni, Vegliati, Ombre, Bosowe, Guardiani Jiwon, cantilene magiche e andrai in giro per il mondo usando semafori, girando attorno ad un baobab o volando in una sfera di ghiaccio.







Maria Grazia Gullo - Massimo Longo



Un quarto di Luna

I Veglianti di Campoverde


Copyright © 2018 M.G. Gullo – M. Longo

L'immagine di copertina e la grafica sono state realizzate e curate da Massimo Longo

Tutti i diritti riservati.

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Indice







Prologo



- Vedrai andrà tutto bene, sei grande oramai...Torna a giocare con gli altri bambini, ci rivedremo un giorno, te lo prometto!

Il bambino guardava scomparire lentamente, con gli occhi velati di lacrime, colui che era stato il suo compagno di giochi da che ne avesse memoria.

Corse rapidamente verso le giostre del parco assolato, dove tornò a giocare con i bambini del quartiere, mentre il ricordo del suo amico immaginario svaniva.

Arrivò, tra gli spintoni, il suo turno allo scivolo. Non attese un istante e si lanciò in discesa con tutta la spinta possibile. Neanche il tempo di arrivare alla fine della discesa, che vide spuntare una piccolissima bimba bionda davanti ai suoi piedi, sfuggita al controllo della mamma, non riuscì a frenare e la colpì con violenza.

La bimba perse l’equilibrio e batté la testa sul costone di cemento che contornava lo scivolo.

Tentò di raggiungere la piccola, per assicurarsi che non si fosse fatta troppo male, ma fu spinto in malo modo dalla madre che correva a soccorrerla. In quello che a lui sembrò un istante, una folla di nonni e mamme si accalcarono intorno alla malcapitata.

Un’unica cosa riuscì a sentire, mentre cercava di farsi spazio in mezzo alla foresta di gambe degli adulti:

- È svenuta! Qualcuno chiami il pronto soccorso!

Quella voce gli risuonava feroce nelle orecchie, la paura lo assalì. Corse verso il boschetto che si trovava alle spalle del parco.

Di colpo tutto diventò buio intorno a lui. Nell’aria un vento gelido portava con sé strani suoni, insieme alle parole udite un attimo prima, iniziarono a risuonare dei versi che stentava a capire, sopraggiungevano da dietro un gruppo di alberi dove un’ombra lunga appariva. Poi la voce si fece sempre più insistente, giungeva da direzioni diverse intorno a lui. Era vicina adesso, sempre più vicina, fino a sussurrargli nelle orecchie:



"Damnabilis ies iom, mirdo cavus mirdo, cessa verunt ies iom, mirdo oblivio ement, mors damnabils ies iom, ospes araneus ies iom…"

Si strinse forte la testa fra le mani per non sentire, ma era tutto inutile, cadde in ginocchio, i suoi occhi si spensero…



"Damnabilis ies iom, mirdo cavus mirdo, cessa verunt ies iom, mirdo oblivio ement, mors damnabils ies iom, ospes araneus ies iom…"


Primo Capitolo



È così sfuggente quando provo ad abbracciarlo



- Elio, Elio, presto! Aiutami con le buste della spesa prima che arrivi il temporale!

Elio se ne stava immobile dentro le sue scarpe sempre nuove e guardava sua madre affaccendarsi senza posa.

- Elio! Cosa fai li impalato? Prendi questa! - lo scosse e gli caricò fra le braccia un'enorme busta con le verdure.

Elio non aveva intenzione di fare altro, salì i gradini esterni del palazzo e girandosi di spalle spinse il portone, si fermò fissando quella maledetta luce rossa lampeggiante dell'ascensore, poi sconfitto salì le scale sino in casa e, appoggiata la busta sul tavolo della cucina, andò dritto in camera sua ad ascoltare la musica disteso sul letto.

Il tempo di salire le scale del palazzo e la madre stanca andò in cerca di lui.

Si affacciò alla porta della sua camera urlando: - Cosa stai facendo? Non abbiamo ancora finito, vieni ad aiutarmi!

- Si, si...sto arrivando...- rispose Elio non muovendosi, solo per liberarsi di lei.

Giulia si allontanò, sperando che questa volta sarebbe stato diverso. Era disperata, non riusciva più a scuotere questo figlio che diveniva sempre più apatico.

Dall’ingresso si udirono i veloci passi decisi di sua sorella che lo chiamava con voce allegra: - Elio! Elio! Muovi il sedere da quel letto e vieni ad aiutare anche tu la mamma che ti sta aspettando giù - gli urlò sapendo che sarebbe stato proprio inutile.

Elio non si mosse e continuò indifferente a fissare il soffitto, dopo aver aumentato il volume del suo lettore.

Giulia, sfinita più per la lotta con il figlio che per la fatica, finì di scaricare la spesa insieme alla figlia Gaia. Non faceva che pensare ad Elio, mentre saliva le scale di quel palazzo di cinque piani, bianco e arancione come tutti quelli del quartiere popolare di Gialingua dove vivevano, in cui l’ascensore funzionava a giorni alterni e, chissà perché, mai in quelli in cui si doveva portare su la spesa. Vi vivevano venti famiglie, in altrettanti appartamenti che si affacciavano sui lati opposti.

- Questa è l’ultima volta che ti permetti di farlo! - gli urlò dalla cucina - Quando arriva tuo padre sistemeremo le cose!

Elio non la sentiva neanche, immerso nella musica monotona che gli entrava dalle orecchie senza coinvolgerlo emotivamente, niente e nessuno avrebbe scosso il senso di noia e paranoia che lo circondava. Il suo mondo privo di interessi lo avvolgeva come una copertina di Linus. Lui era così e bisognava che il mondo se ne facesse una ragione.

Gaia era molto diversa da lui: quindici anni, capelli corti e neri e due occhi vispi e curiosi. Le ventiquattro ore contenute in una giornata a lei non bastavano per star dietro a tutti i suoi interessi.

Anche Giulia era dinamica, a differenza della figlia, la sua capigliatura era bionda e riccia, era leggermente in sovrappeso ma scattante e decisa, insomma, la classica mamma quarantaduenne sempre piena di impegni, divisa tra lavoro e famiglia.

Era arrivata l’ora di cena, ma dalla camera di Elio non arrivavano segnali di alcun tipo, assoluto silenzio. In verità, lui non si era mosso dalla posizione assunta dopo essersi precipitato sul suo letto e aver indossato le cuffie.

Si sentì il rumore delle chiavi nella serratura della porta d’ingresso, in quello stesso istante, senza dare il tempo alla porta di aprirsi, la voce alterata e lamentosa di Giulia si scaricava sul marito:

- Non si può più andare avanti così!

- Dammi il tempo di entrare tesoro…

Giulia baciò il marito e ricominciò all’istante a lamentarsi.

- Ancora Elio, vero? - chiese l’uomo con voce rassegnata.

- Si, lui! - rispose Giulia.

Tutto questo discorso si svolgeva mentre Carlo, dopo aver estratto il contenitore del cibo che avrebbe lasciato in cucina, si dirigeva a riporre nell’armadio la borsa che portava con sé a lavoro con dentro una camicia di ricambio a causa del caldo afoso che già si faceva sentire anche se era solo la fine di maggio.

Era un uomo mite, coetaneo della moglie, alto e magro, i suoi capelli, ormai quasi completamente grigi, un tempo erano stati corvini come quelli della figlia. Aveva il viso allungato e scavato sulle guance, sul naso aquilino poggiavano gli occhiali tondi di metallo.

- Non puoi parlarmene dopo cena? - chiese dolcemente alla moglie, nella speranza di calmarla.

- Hai ragione tesoro - rispose lei, ma senza accorgersene continuò a lamentarsi fino all’inizio della cena.

Per fortuna c’era Gaia, che non la smetteva di raccontare la sua giornata, trasformando in modo ironico e divertente anche i piccoli fallimenti.

Aveva appena finito di apparecchiare quando la madre le disse:

- Va a chiamare Elio.

- È inutile - rispose - sai che non si muove se non va papà…

Giulia continuò rivolgendosi al marito:

- Non esce da quella camera da quando l’ho portato a casa da scuola, sta peggiorando.

- Non avevamo detto che avrebbe dovuto cominciare a tornare da solo?

- Mi trovavo in quella zona perché ho fatto la spesa…

- Hai sempre una scusa per proteggerlo e poi ti lamenti!

Carlo scuoteva la testa con aria di disapprovazione nei confronti della moglie, si alzò dal divano e andò a chiamare il ragazzo.

Entrò nella stanza senza bussare e trovò Elio così come la madre lo aveva lasciato. Aveva gli occhi fissi nel vuoto, rivolti al soffitto, indossava ancora gli auricolari Wi-Fi bianchi, non si era nemmeno sfilato le scarpe…

Carlo non riusciva a riconoscere in quel ragazzo il bimbo che accompagnava sempre fuori in bicicletta. Adesso aveva tredici anni ed era alto quasi come lui, spinto dalla sua pigrizia aveva spianato i suoi boccoli biondi e fluenti da bimbo, per evitare di curarli. I suoi occhi verdi erano ancora bellissimi, ma spenti. Negli ultimi anni non reagiva più ad alcuno stimolo. Non udiva la sua risata da così tanto tempo da averne dimenticato il suono. Si dispiaceva di non poter trascorrere con lui lo stesso tempo che gli dedicava da piccolo, tuttavia dubitava che adesso le sue attenzioni sarebbero state apprezzate.

Sfortunatamente, diversi anni prima, a causa della crisi economica, aveva perso il lavoro vicino casa. In realtà, più che la crisi, a spingere alla delocalizzazione l'azienda multinazionale in cui lavorava, era stato l'incremento dei profitti, comportamento che accomuna molte di queste società.

Riuscì con fatica a trovare una nuova occupazione, purtroppo per raggiungere il nuovo luogo di lavoro doveva percorrere parecchi chilometri al giorno e cambiare diversi mezzi di trasporto, cosa che aveva finito col togliere tempo alla sua famiglia. Inoltre, rincasava talmente stanco da far fatica ad essere presente anche quando c’era, dopo cena si stendeva sul divano e inevitabilmente si addormentava nonostante gli sforzi fatti per tenere gli occhi aperti.

Carlo gli fece cenno di togliersi le cuffie, Elio eseguì l’ordine per evitare di dover sorbire una lunga tiritera che impegnasse il suo cervello.

- Vieni a mangiare, è ora di cena - gli intimò arrabbiato - Tua madre ha detto che sei fermo qui dalle sedici!

Elio si alzò e, con la testa bassa, passò vicino al padre, senza sforzarsi di parlargli, e si diresse in cucina.

Gaia era già seduta lateralmente al tavolo rettangolare che aveva apparecchiato e con lo smartphone in mano scambiava messaggi con le amiche per organizzare i prossimi eventi.

Elio si sedette di fronte alla sorella e non le rivolse la parola per tutta la cena.

Cena che si svolse tranquilla, tutti chiacchieravano dei fatti di giornata, escluso Elio che diede qualche morso ad un panino e appena possibile si ritirò di nuovo in camera sua, con grande disappunto della madre a cui face eco l’espressione cupa del padre.

Rimasti soli, Giulia e Carlo, mentre finivano di liberare la tavola dalle ultime cose, iniziarono a parlare del solito argomento degli ultimi anni: la preoccupazione per il comportamento del figlio.

- In cosa stiamo sbagliando? Non riesco a capirlo! Gaia è dinamica, allegra, piena di vita! - disse Giulia.

- Io lo trascuro troppo! - si accusò come sempre Carlo.

- Non sei certo l’unico padre che è costretto a passare tante ore fuori casa per lavoro e poi io sono a casa tutti i pomeriggi - gli ripeté per l’ennesima volta Giulia, che non voleva che Carlo portasse sulle sue spalle anche il timore di essere il problema del figlio.

- Non è una questione di carattere, Giulia, perché Elio non era così, tu lo sai benissimo!

- Vorrei anch’io che fosse così, Carlo, ma crescendo si cambia e poi, come vedi, le cose peggiorano sempre più. Anche a scuola è un disastro, Dio non voglia che gli tocchi recuperare qualche materia o non possiamo nemmeno mandarlo in colonia come gli altri anni e il centro estivo cittadino sarebbe un’occasione per farlo diventare un’ameba!

- Giulia, gli altri ragazzi si divertono al centro estivo. I figli di Francesca e Giuseppe ne vanno matti. Sai bene che anche in colonia lui non fa niente! Dobbiamo trovare un’alternativa, qualcosa che lo obblighi a reagire. Non sembra neanche vivo, ti ricordi come eravamo noi alla sua età?

- Certo! Mia madre la sera gridava sull’uscio di casa per avvertirmi che era pronta la cena ed io, il più delle volte, non la sentivo neanche, presa com’ero a correre fra i campi e a ruzzolarmi sull’erba. Vivevamo liberi e felici. Non possiamo certo offrirgli questo in città, ma lui non sa approfittarne neanche in colonia. Non ha un solo amico, nessuno da invitargli a casa per spezzare questa monotona esistenza che si sta cucendo addosso. Non permette a nessuno di avvicinarsi troppo al suo cuore, a volte mi chiedo cosa provi per noi. È così sfuggente quando provo ad abbracciarlo…

- Giulia, i ragazzini non vogliono più le coccole della mamma, ma sono sicuro che ci ama sempre, solo che non troviamo più la chiave giusta per comunicare con lui. Dobbiamo trovarla. Dobbiamo trovare il modo di scuoterlo. Ho pensato di parlarne con Ida, lei ha due maschi, magari può darci qualche consiglio.

- Temi che stia prendendo la scia di Libero? Hai paura che sia un disturbo psicologico ereditario? - chiese Giulia.

- No, Libero ha avuto problemi diversi, legati alla morte di suo padre, ma c’è una base comune e l’esperienza di Ida può tornarci utile, ha fatto miracoli con quel ragazzo dopo essersi trasferita in campagna. E da sola poi! Con la fattoria da mettere su.

- Si, parlagliene, mi fido di tua sorella, ha un modo di vedere le cose che mi piace.

- Quando avremo la pagella? - chiese Carlo alla moglie.

- Il 19 giugno…

- Troppo tardi per decidere cosa fare, chiedi alla docente di italiano di riceverti, dobbiamo decidere dove mandare i ragazzi, sia il centro estivo che la colonia non aspettano fino a quella data - propose Carlo.

- Si, hai ragione. Meglio essere certi della situazione, anche se Elio non va poi così male a scuola. Solo che, come in tutto quello che fa, non ci mette l’anima. Sai che oggi sono arrivati i nuovi vicini del secondo piano? Sembrano brave persone. La signora Giovanna mi ha detto che si sono trasferiti qui da Potenza. Certo, una bella distanza! Non saranno facili per loro i primi tempi. Hanno un figlio dell’età di Elio, potrei invitarlo da noi qualche pomeriggio…

Giulia si accorse che Carlo, sdraiato sul divano, dormiva già.

- Dai andiamo a letto tesoro - gli sussurrò svegliandolo dolcemente.


Secondo Capitolo



Lo ossessionava con un sussurro gelido



Elio era fermo sul largo marciapiedi davanti alla scuola. Tutti gli sfrecciavano intorno, lanciandosi nelle macchine dei genitori oppure inseguendosi a gruppi per la strada di casa. Lui, nella speranza che la madre non fosse andata via dopo il colloquio con l’insegnante di italiano, guardava stordito a destra e a sinistra, come in cerca della salvezza rappresentata dall’auto materna.

Il piazzale della scuola si svuotò in poco tempo ed Elio si dovette rassegnare ad avviarsi verso casa a piedi. Odiava muoversi e, ancor di più, ritornare per quel maledetto viale dei tigli, che separava la scuola da casa sua.

Attese ancora qualche minuto, poi si avviò lentamente. Ordinò al piede di alzarsi, cosa che a qualcuno può sembrare semplice, ma ad Elio, che ormai da anni comunicava pochissimo con i suoi arti, sembrava un’enormità.

Iniziò il percorso svoltando a sinistra per via del Corso e appena girato l’angolo, si ritrovò davanti il tratto più odioso. Il corso era costeggiato sui due lati da quelli che, a qualunque persona, sarebbero sembrati meravigliosi tigli in fiore che, grazie al vento, profumavano l’intero quartiere. Passo dopo passo, con fatica, si incamminò lungo il filare degli alberi, sentiva la sensazione sgradevole di essere seguito.

Si girò di scatto e gli sembrò di vedere una bestia, tutta nera, ritirarsi dietro un albero.

“Non può essere” si ripeteva “mi è sembrato che quello strano cane feroce avesse un pince-nez sul naso!”.

Si rimise in marcia impaurito, gli sembrava di vedere piccole ombre dietro gli alberi. Come se questo non bastasse, il vento soffiando fra i rami, lo ossessionava con un sussurro gelido che gli arrivava alle orecchie e, più precisamente, si conficcava nel cervello.

Non riusciva a capire cosa significassero quei suoni. Preso da quella sensazione sgradevole, ordinò al suo corpo di provare a correre. Stava sudando, più correva più i suoni sembravano rincorrerlo e le ombre avvicinarsi.

Accelerò il più possibile, sentì una voce feroce che gli intimava di fermarsi, si girò di scatto, ancora una volta gli parve di vedere qualcosa di nero nascondersi dietro un albero vicino. Ormai era quasi arrivato all’angolo che lo avrebbe portato fuori da quell’incubo.

Sentì un alito sfiorargli la nuca, si voltò senza smettere di correre, qualcosa lo colpì come una furia e lo scaraventò a terra.

Elio, sconvolto, si chiuse a riccio coprendosi la testa con le mani.

In quello stesso istante sentì una voce a lui cara chiamarlo:

- Elio! Elio! Che diavolo combini?

Era la sorella che lo sgridava arrabbiata perché l’aveva travolta. Gaia si accorse che Elio era in una condizione penosa.

Il suo tono diventò più calmo:

- Come stai?

Elio, sentendo la sua voce, aprì le braccia e alzò la testa.

Gaia notò il suo viso sconvolto, bianco anche più del solito e sudaticcio. Rifletté un istante sul fatto che stesse correndo, cosa insolita per lui. Le sembrò che stesse scappando da qualcosa o da qualcuno e lo aiutò a sollevarsi.

- Perché correvi in quel modo? - gli domandò - Cosa ti ha spaventato?

Gaia non ricordava di averlo visto correre negli ultimi anni. Elio non rispose, voleva solo allontanarsi al più presto da quella strada. Così, senza dire niente, svoltò l’angolo.

Gaia lo rincorse preoccupata.

- Elio! - lo chiamò di nuovo.

- Non è niente! - rispose sgarbato Elio - Non è niente!

La preoccupazione di Gaia si trasformò in rabbia per il suo comportamento:

- Niente, dici? Mi hai appena travolta e dici niente!

Elio, per evitare ulteriori scontri che impegnassero il suo fisico già stremato si scusò.

- Perdonami - disse.

Queste scuse così superficiali irritarono ancora di più Gaia che, nonostante tutto, non si allontanò dal fratello, in quelle condizioni continuava a preoccuparla.



Domenica mattina, Carlo e Giulia avevano finalmente preso una decisione e, preparando la colazione, ne parlavano in attesa di comunicarla ai ragazzi che dormivano ancora.

- È stata veramente gentile a farci questa proposta, speriamo che i ragazzi non facciano guai - disse Giulia sorridendo.

Fare quella scelta era stato difficile, ma lei e Carlo provavano una strana euforia adesso che si erano decisi.

- Gaia ne sarà felice - disse Carlo - Elio vedrai che rimarrà impassibile come sempre.

- Non so, Gaia ha tanti amici in colonia, le dispiacerà non andare, Elio, a differenza, la detesta - commentò Giulia.

- Io non resisto, vado a svegliarli - propose Carlo risoluto e si diresse verso le camere dei figli chiamandoli.

Non diede loro neanche il tempo di sciacquare il viso.

- Io e la mamma abbiamo deciso cosa farete questa estate. La scuola finisce venerdì e sabato mattina sarete alla stazione con una bella valigetta in mano!

- Ma per la colonia si parte fra quindici giorni! - fece notare Gaia preoccupata guardando la madre che dalla porta della cucina seguiva la scena che si stava svolgendo in corridoio.

- Infatti, non andrete in colonia quest’anno - spiegò Giulia confermando i timori della figlia - Abbiamo pensato di regalarvi un’estate come quelle che vivevamo noi da ragazzi.

- E cioè? - chiese Gaia mentre Elio rimaneva in silenzio con l’aria sempre più cupa.

- Aria aperta e corse a perdifiato, bagno nel laghetto e serate di paese - rispose Carlo alla figlia.

Gaia vedeva i suoi genitori ridere e guardarsi con intesa e pensò ad uno scherzo.

- Smettetela di prenderci in giro. Cosa avete questa mattina?

- Nessuno vi sta prendendo in giro. Zia Ida si è offerta di ospitarvi da lei - rivelò finalmente Carlo ai suoi figli che lo fissavano increduli.

- Questo è un incubo, io torno a dormire! - disse Gaia arrabbiata.

- Pensa che credevo che ne saresti stata felice - le disse il padre.

- Felice? Io sono già in contatto con i miei amici, è tutto l’inverno che aspetto di andare in colonia!

- Gaia, anche in campagna dalla zia ti farai degli amici - cercò di rincuorarla Giulia.

- Ma perché? Io lì ci sto bene. Ho già l’aria aperta e i tuffi nel lago, non mi serve altro.

- A te no, ma Elio ha bisogno di cambiare aria - aggiunse Carlo.

- Lo sapevo - saltò su Gaia – che era per Elio! Allora mandate solo lui in campagna dalla zia.

- Non vogliamo che vada da solo - insistette Giulia.

- Io non sono mica la sua babysitter!

- Ma sei la sorella maggiore, tu non dici niente, Elio? - chiese Carlo.

Elio non disse una parola, si limitò ad alzare le spalle.

Questo fece imbestialire Gaia:

- Non dici niente? Tanto per te è tutto uguale, dillo a mamma e papà: non farai niente anche in campagna.

Elio fece segno di sì con la testa per darle ragione.

- Basta Gaia, non fare così! Ormai la decisione è presa. Vi verrà a prendere vostro cugino Libero - chiuse il discorso Carlo.

Gaia corse via delusa ed arrabbiata.

- Le passerà - disse Giulia conoscendo l’atteggiamento positivo della figlia nei confronti della vita.

Elio, quatto quatto, si ritirò nella sua stanza.

Carlo rimase di stucco, tuttavia era convinto che la decisione presa fosse la migliore da qualche anno a questa parte.



Giunse così il venerdì seguente, Carlo andò a prendere il nipote al binario: fu una grande gioia riabbracciarlo.

Libero era un ragazzone allegro, dai modi semplici e certamente non convenzionali. Alto e magro, ma non esile, aveva delle grandi mani abituate al lavoro della fattoria e il viso inscurito dal sole. Gli occhi verdi spiccavano sul suo volto, i cappelli erano castani, corti, pettinati con la riga laterale come in voga nel dopoguerra. Abbracciò con forza lo zio e non smise di parlare fino a casa.

Carlo lo guardava meravigliato, ricordava il periodo in cui era stato male ed era apatico e facilmente irritabile. Certo, Libero non era un genio, ma la vita semplice che conduceva lo faceva felice e Carlo avrebbe voluto vedere così sereno anche Elio. Intanto Libero stava con il naso schiacciato sul finestrino dell’auto dello zio e faceva domande su tutto quello che vedeva.

A casa tutti aspettavano il suo arrivo.

Giulia era nervosa mentre finiva di preparare le valige, adesso era arrivato il momento e si chiedeva come sarebbero andate le cose, il suo istinto da chioccia prendeva il sopravvento.

Gaia, invece, aveva già assorbito il colpo, le correva dietro facendole mille domande su quello che avrebbe potuto vedere e fare nei dintorni della fattoria.

Non ci andavano da quando erano piccolissimi e c’erano ancora i loro nonni, non avevano quasi più memoria del posto, se non qualche vago ricordo dei campi o l’odore degli alberi con cui giocavano a nascondino.

Dopo la morte del marito, la zia aveva avuto difficoltà a riorganizzarsi e aveva deciso di trasferirsi nella vecchia fattoria dei genitori, ormai abbandonata, con i figli.

Gaia sentì il rumore della chiave che girava nella serratura della porta e corse ad accogliere il cugino che la sollevò come aveva fatto con suo padre e la fece girare come su una giostra. Gaia sorrise, non si aspettava questa dimostrazione di affetto.

- Ciao Libero, come stai? - chiese di cuore al cugino che non vedeva da parecchio tempo.

-Bene, piccola - rispose Libero.

Nel frattempo, arrivò Giulia e fu l’unica con cui Libero si comportò da gentiluomo, baciandola frettolosamente sulle guance.

- Com’è andato il viaggio? - gli chiese premurosa Giulia.

- Bene, la mucca d’acciaio è proprio comoda e veloce per viaggiare e la città è piena di cose curiose. Sono felice di essere qui!

- Siediti, sarai stanco. Ti posso offrire un gelato? - chiese ancora Giulia.

- Si, grazie zia, io amo i gelati - accettò di buon grado Libero - ma che fine ha fatto Elio?

- Elio è in camera sua, ora arriva - disse Carlo arrabbiato con il figlio che non si degnava a passare a salutare il cugino che aveva fatto quel viaggio solo per venirlo a prendere e si diresse verso la sua camera.

- No, no zio - lo fermò Libero - vado io, voglio fargli una sorpresa. Indicami solo qual è la sua camera.

Non appena Carlo gliela indicò, Libero si lanciò verso la camera dove si sentirono le sue grida di felicità mentre lo salutava.

Neanche Elio, nonostante la sua freddezza, riuscì a sfuggire all’abbraccio roteante.

Gaia guardò sorpresa la madre e le sussurrò: - Non lo ricordavo così grullo!

- Non dire così - si affrettò a rimproverarla Giulia - è un bravo ragazzo ed è anche molto buono.

- Sì, ma...sicuro che riuscirà a portarci a destinazione? - chiese perplessa Gaia.

- Certo che sì! - la rassicurò Carlo - Non sottovalutarlo, insieme alla madre manda avanti la fattoria. È forte e in gamba.

Arrivò l’ora di cena e fu molto allegra, con tutti i colori portati dalla campagna da Libero, naturalmente per tutti escluso Elio.

- Non vedo l’ora di mostrarvi tutto - concluse Libero, alla fine della descrizione della fattoria, rivolgendosi ai cugini.

- Sei sicuro di non voler rimanere qualche giorno prima di ripartire? - gli chiese Giulia.

- Non posso lasciare la mamma da sola in questo periodo, ci sono tanti lavori da fare.

- Hai ragione Libero, sei proprio un bravo ragazzo - lo elogiò Carlo battendogli affettuosamente la mano sulla spalla.

- Sai zio, mi chiedevo una cosa sulla macchina, prima di venire in città pensavo che il clacson sulle auto servisse solo in caso di pericolo...

- Certo - rispose Carlo - perché?

- Perché sembra che qui lo usino tutti per far festa, non smettono mai di suonare!

Tutti, tranne Elio, scoppiarono a ridere chiedendosi in cuor loro se Libero scherzasse o fosse veramente così…


Terzo Capitolo



Accorgendosi del suo terrore, cominciò a ridere



La mattina seguente a buttare giù dal letto Giulia fu Libero, inciampando nel tappeto del corridoio. È così, lui e la zia, si ritrovarono a fare colazione prima che tutti gli altri si svegliassero. Quando il profumo del caffè inondò la camera di Carlo si aggiunse anche lui e, insieme alla moglie, si mise a raccontare quello che stava accadendo ad Elio.

- Non temete - li rassicurò il ragazzo - questa esperienza fuori casa lo aiuterà e poi mamma ha già preparato un piano d’attacco!



Alla stazione Giulia non faceva altro che raccomandarsi con i ragazzi, perché si comportassero bene a casa della zia.

Gaia non stava più nella pelle per l’emozione e la curiosità, mentre, al solito, si vedeva lontano un miglio come Elio fosse stato trascinato in quella storia. Si tirava dietro la pesante valigia di Gaia perché Libero lo aveva costretto: "Le signorine non portano pesi!", già quel cugino lo aveva stancato.

Libero, in jeans e maglietta, indossava anche un cappellino giallo ocra della protezione civile che ai cugini sembrava fuori luogo e portava tutto il resto dei bagagli come se si trattasse di valigie vuote.

Il treno lasciò la stazione in perfetto orario. Solo loro tre occupavano lo scompartimento. Libero sistemò le valigie sull’apposita rastrelliera e propose:

- Gaia vieni, andiamo al vagone ristorante a prendere il bis della colazione, arriveremo tardi alla fattoria e dovrete essere in forze. Elio farà da guardia alle valigie, vedrai che non si avvicinerà nessuno alle nostre cose. In caso ringhia! - disse sorridendo rivolto al cugino - E se non farai il muso lungo porteremo qualcosa da mangiare anche per te…

I due cugini uscirono dallo scompartimento con grande sollievo di Elio, desideroso di restare da solo.

Fissava il paesaggio fuori dal finestrino sempre uguale a se stesso, erano appena usciti dalla zona industriale ed ecco finalmente si vedevano i primi campi coltivati e poi ancora campi e poi campi e colline e poi ancora colline e campi.

D’un tratto vide, riflesso nel vetro del finestrino, un signore che se ne stava seduto sul sedile della fila accanto alla sua, appena dopo il corridoio.

Quando era entrato nello scompartimento? Non aveva sentito la porta aprirsi.

Il tizio era vestito di nero e aveva degli strani occhialini sul naso, stava leggendo un libro rilegato in pelle nera con le pagine di carta velina, che sembrava vecchio d'un centinaio di anni. Aveva in testa un cappello a falde larghe che gli copriva il viso e bisogna dire che metteva inquietudine.

Elio non si girò, continuava a tenerlo d’occhio guardando il suo riflesso sul vetro del finestrino. Gli faceva paura essere lì da solo con quel tizio. Adesso avrebbe voluto che il cugino, grande e forzuto, rientrasse al più presto nello scompartimento, ma di lui e di Gaia neanche l’ombra.

Intanto il tizio continuava a leggere, si interrompeva solo di tanto in tanto per guardare un vecchio orologio che tirava fuori dal taschino del gilè, indossato sotto il suo completo di un’eleganza di altri tempi.

Questo faceva innervosire ulteriormente Elio che si chiedeva cosa stesse aspettando, doveva essere sicuramente qualcosa di importante per continuare a guardare l’orologio tutto il tempo.

Poi, d’un tratto, il tizio, dopo aver guardato per l’ennesima volta il suo orologio, chiuse il libro e si abbassò per prendere qualcosa in una borsa nera appoggiata al pavimento fra le sue gambe. I pantaloni leggermente alzati mostravano delle caviglie nere e sottili e delle strane calze che sembravano di pelo nero.

Elio non riusciva a contenere la sua inquietudine e cominciò a tremare. Ecco che il tizio, come accorgendosi del suo terrore, cominciò a ridere mentre continuava a frugare nella borsa. Era una risata profonda e lugubre che risuonava nelle sue orecchie e per non sentirla più se le tappò con le mani. Chiuse gli occhi per non vedere nel vetro il riflesso di quell’uomo e dentro di sé pregò: "Fa che torni Libero, fa che torni Libero".

La porta dello scompartimento si aprì con un colpo secco.

- Elio, ma che fai? Ti sei forse beccato un’otite da città? Non vorrai mica uccidere noi poveri campagnoli con questi virus per cittadini!

Elio trasalì, poi, riconosciuta la voce scherzosa del cugino, si girò e vide sulla porta Libero che rideva con un sacchetto e una bibita in mano, dietro di lui c’era Gaia che addentava un cornetto enorme.

Del tizio nessuna traccia, come era apparso così era sparito. Sparito lui, il suo libro, il suo orologio e la sua borsa.

Libero si sedette accanto a lui e gli passò un cornetto e si accorse che tremava.

- È successo qualcosa? - gli chiese.

- Credo sia un po' di mal di treno - mentì Elio.

Gaia capì che suo fratello stava avendo una delle sue crisi e si ripropose di parlarne in segreto con Libero.

Il resto del viaggio fu tranquillo. Libero descrisse ai ragazzi la festa della mietitura che si sarebbe svolta fra poco e coinvolgeva tutti i paesi vicini. Si sarebbe tenuta all’aperto con balli tradizionali, come la taranta, e ci sarebbero stati anche balli più moderni.

Elio guardava sorella e cugino e si chiedeva come avessero fatto quei due a sintonizzarsi così presto sullo stesso canale. Ma era felice di non viaggiare da solo, tutti quegli eventi strani cominciavano a preoccuparlo. Era vittima di un complotto o doveva cominciare a dubitare della sua integrità mentale?

Libero si agitò, era ora di prepararsi a scendere, aveva visto dal finestrino la casa della signora Gina che aveva preso come punto di riferimento. Il treno si fermò, lui si caricò tutte le valigie mentre Gaia apriva la porta del vagone, e si lanciò fuori, si agitava come chi, come lui, viaggiava pochissimo.

Gli abitanti del luogo la chiamavano stazione, ma era solo una fermata. Unici comfort una pensilina con il tetto bucato e una macchina automatica per comprare i biglietti, sempre rotta, che diceva a tutti i passanti “State attenti, la stazione non è sorvegliata, potreste subire uno scippo”.

Libero fece un sospirone e disse:

- Adesso si che si respira. Benvenuti a Campoverde.

- Sento già il profumo dei campi - notò Gaia -Vero Elio?

Elio non avvertiva la differenza con la città e sollevò le spalle.

- Elio, tu prendi la valigia di Gaia, io porterò il resto - ordinò Libero.

A Gaia questo atteggiamento da gentiluomo, che in altri casi l’avrebbe infastidita, fatto con questa naturalezza, la divertiva e stava al gioco. Forse la sua valutazione iniziale del cugino era stata affrettata, non era poi così grullo…

Gaia e Libero passarono davanti alla macchinetta parlante che per l’ennesima volta ripeté la stessa frase e sorridendo si avviarono al sottopassaggio.

Elio dovette afferrare con le mani l’enorme valigia di Gaia per scendere le scale del sottopasso e di nuovo per risalirle. Questo lo sfiancò.

Sugli ultimi gradini diede fondo a tutte le sue forze, nella convinzione che li aspettasse la zia con l’auto.

Fuori dalla stazione, solo il parcheggio vuoto li attendeva. Libero, con la cugina al suo fianco, si diresse a sinistra per una lunga strada stretta e asfaltata alla bene meglio. Ai fianchi della strada solamente due canali d’acqua la separavano dai campi di mais da una parte e di grano dall’altra.

Elio, disperato, mentre recuperava il fiato, urlò loro di fermarsi. La sorella si girò stranita, non sentiva parlare il fratello ad alta voce da anni, figurarsi urlare in quel modo.

- Dov’è l’auto della zia? - chiese Elio.

- Ah, dimenticavo, mi ha chiamato prima, ha detto di non poter venire perché Camilla, la nostra mucca, deve partorire a momenti e non si può allontanare.

- Camilla, partorire? Come facciamo? - chiese Elio ansimando.

- Stai tranquillo, solo quattro chilometri e siamo alla fattoria - aggiunse Libero in tono rassicurante.

- Quattro chilometri? - furono le ultime parole di Elio.

- Dai su! La valigia di tua sorella ha pure le rotelle! - lo canzonò Libero e dicendo così riprese a camminare.



In lontananza si cominciavano a intravvedere le prime case del paese.

- Eccola! Quella casa con il ciliegio è la nostra fattoria.

Libero indicò una casa colonica rosso veneziano con gli scuri verdi. Sul davanti c’era un bellissimo giardino, ben curato, alle sue spalle c’era la stalla e i fili per il bucato, oltre si estendevano i campi.

- Mamma, siamo arrivati! - gridò Libero mollando le valigie sul vialetto e correndo verso la stalla.

Zia Ida uscì sull’uscio di casa.

- I miei nipotini! - gridò di gioia.

Gaia le buttò le braccia al collo. Elio si avvicinò stremato e le diede, per educazione, un bacio sulle guance.

Ida aveva da poco superato i cinquant'anni, ma la sua bellezza non era ancora sfiorita anche se lei nulla faceva per metterla in evidenza. Era di media altezza e magra, ben proporzionata, ma le sue braccia e le sue gambe avevano muscoli affusolati e forti da fare invidia ad un podista di corsa campestre. La vita dura della fattoria era il suo allenamento giornaliero. Aveva i capelli biondi, che teneva raccolti in una coda, la pelle del viso chiara e dei bellissimi occhi verdi, come quelli del nipote.



Intanto Libero gridava allegro di ritorno dalla stalla:

- Camilla ha avuto una femmina! Altro latte in arrivo!

La zia li invitò ad entrare, la tavola era apparecchiata e nell’aria c’era il buon odore del pranzo pronto. I ragazzi mangiarono affamati, Gaia non la finiva più di raccontare le emozioni del viaggio alla zia.

Dopo il pranzo, Gaia aiutò la zia a mettere a posto la cucina, mentre Libero trascinò Elio in giro per la fattoria chiedendogli, anzi ordinandogli, di aiutarlo in ogni lavoro.

A sera la zia spiegò loro che avrebbero dormito in soggiorno, nel divano letto, finché non avrebbero messo a posto la soffitta che sarebbe diventata la loro camera estiva.

Gaia si precipitò per le scale dietro la zia per vederla. Elio, invece, era sconvolto dall’ennesima brutta notizia.

Salirono fino al primo piano dove c’erano le camere della zia, di Libero e di Ercole, il piccolo di casa che era al campo scout. Ida le indicò la scaletta di legno che portava in soffitta, lei non ci sarebbe salita, era stanca di fare su e giù, c’era stata già diverse volte durante la giornata per aprire le imposte e far cambiare l’aria.



Nel frattempo, la zia si recò nella sua camera per telefonare in segreto alla cognata Giulia, voleva aggiornarla sull’arrivo dei figli.

Giulia non fece squillare il telefono più di due volte.

- Ciao cara, come stai? - chiese Ida.

- Bene, ma raccontami com’è andata.

- È riuscito ad arrivare fin qui a piedi dalla stazione senza svenire. Pensava che li aspettassi in macchina, come scusa Libero gli ha detto che la mucca Camilla doveva partorire - rideva Ida.

- Avrei proprio voluto vederlo sudato!

- Dopo il pranzo - cominciò a dire Ida, ma Giulia la interruppe.

- Ha mangiato qualcosa?

- Si, ha fatto fuori il primo e la carne.

- Wow! A casa nostra non dà che un morso ad un panino.

- È dura, non parla - disse Ida - Ma vedrai che riusciremo a farlo recuperare un pochino.

Sul fondo si sentiva Carlo chiedere e ridere.

- TV e videogiochi li ho fatti sparire, se deve essere cura da cavallo così sarà.



Elio, stravaccato sul divano, non riusciva a muovere un muscolo, da anni non si muoveva così tanto.

A scuola, con una scusa o l’altra, riusciva anche a saltare l’ora di ginnastica.

- Elio, su, corri a chiamare tua sorella, ho bisogno di aiuto per preparare la cena.

Elio non credeva alle proprie orecchie, alzarsi gli sembrava impossibile.

Ma la zia, con tono da generale che non ammetteva risposta negativa, intimò:

- Elio, hai sentito?

- Vado - rispose e con una faccia da funerale si avviò per le scale.

Si fermò sotto la scaletta di legno e iniziò a chiamarla per farla scendere.

Gaia, nonostante le urla del fratello, non rispondeva.

Ancora più afflitto, salì le scale. Il semibuio che proveniva dalla soffitta gli metteva ansia. Uno scalino dopo l’altro il tragitto gli sembrava infinito. Arrivato con la testa appena sotto il foro rettangolare, iniziò di nuovo a chiamare, ancora una volta rispose il silenzio. Si fece forza e affrontò gli ultimi gradini. Da sopra qualcosa gli afferrò il braccio.

Elio rimase immobile, con gli occhi chiusi, il terrore si disegnò sul suo volto.

- Ti ho preso! - esclamò Gaia che vide il fratello in quella condizione.

- Togliti cretina, mi hai fatto preoccupare, potevi rispondermi.

Gaia non raccolse la provocazione e visto che era incuriosita da quello che aveva trovato disse:

- Questa soffitta è piena di cose strane. Vieni, guarda cosa ti faccio vedere...

Elio finì di salire e seguì la sorella che stava sfogliando delle vecchie foto.

- Guarda com'è buffo - le disse passandogliele.

- Cosa c’è di buffo? - domandò Elio.

- Come cosa? - chiese Gaia - non lo riconosci?

- Chi? - chiese ancora Elio.

- Papà! - esclamò Gaia.

- Papà? Hai ragione, vestito così non l’avevo riconosciuto, somiglia un po' a Libero. È vestito nella stessa maniera!

Finalmente, dopo tanto tempo, gli sfuggì un sorriso. Gaia, intanto, sfogliava con curiosità le altre foto.

- Hai visto questa? Sembra Libero da ragazzino, è così serio e imbronciato che quasi non si riconosce.

Nella foto si vedeva un bambino, esile, con lo sguardo fisso nel vuoto, pallido e inespressivo.

- Sembra sia stato rapito dagli alieni - commentò Gaia.

L'immagine lo raffigurava in giardino, teneva strette in mano le sue macchinine. Era stata scattata all'imbrunire, con il tramonto alle sue spalle, alla sua lunga ombra se ne affiancava una seconda, ma il bambino era solo nella foto.

Elio iniziò a fissarla e fece notare preoccupato:

- La vedi questa ombra?

- Quale?

Elio cominciava ad agitarsi:

- Questa, non la vedi? Questa a cui non corrisponde alcun corpo - disse indicandola.

- Questa? Ti sbagli, proviene dall'albero.

Anche se non era convinta della prospettiva, Gaia cercò di tranquillizzarlo.

Elio non voleva sembrarle pazzo e, per evitare di ritornare sull'argomento, affrontò il motivo per cui si trovava lì.

- Dobbiamo scendere, la zia mi aveva mandato a chiamarti, ha bisogno di aiuto per la cena.

- Tu resti qui? - gli chiese Gaia saltando su come un grillo e avviandosi verso le scale.

Elio pensò che non sarebbe rimasto neanche per sogno lassù da solo.

- No, scendo con te - rispose.



Gaia trovò la zia affaccendata a preparare la cena e cominciò ad aiutarla.

Elio stava per piegare le gambe e buttarsi sul divano quando arrivò la voce di Ida.

- Cosa fai? Su, su, vieni ad aiutare, non è ancora ora di riposare, prepara la tavola.

- Dov'è Libero? - chiese Gaia.

- Sicuramente sta finendo di chiudere le stalle - rispose Ida - Elio, se hai finito, perché non lo vai a chiamare?

- Vado io - si offrì Gaia allegra.

- No, di te ho bisogno qui, lascia che vada tuo fratello.

- Sì - rispose esausto Elio, che stranamente aveva un appetito da leone.

Uscito dall’uscio di casa, si guardò in giro per cercare di vedere il cugino, era nei campi, seduto sul trattore, stava guardando il cielo.

Elio si avvicinò urlando, sembrava che quel giorno tutti avessero perso l’udito perché anche lui, come Gaia prima, non gli rispondeva.

“Speriamo sia contagioso così perdo anch’io l’udito e posso sdraiarmi senza rispondere a nessuno” rifletteva Elio.

Dovette arrivare fin sotto il mezzo per avere una risposta.

- Perché gridi? - chiese Libero.

- Dovresti rientrare, è ora di cenare - rispose Elio.

- Vieni su - lo invitò come se non sentisse quello che diceva.

- Io lassù?

- Sì, quassù, ti faccio vedere una cosa.

Elio salì, Libero si strinse un po’ e si sedettero insieme.

- Guarda che meraviglia! - esclamò Libero indicando il cielo - Pensa che qualche anno fa non riuscivo a vederlo.

- Cosa? - chiese Elio cercando di vedere non so quale stranezza.

- Il cielo - ripeté.

- Il cielo?

- Si il cielo, è una cosa bellissima, ma spesso per molto tempo della nostra vita non alziamo la testa per guardarlo e non intendo guardarlo per vedere che tempo fa, ma ammirarlo in silenzio, come si fa con il mare, che essendo in una posizione favorevole agli occhi, è apprezzato con più frequenza. Tu ti fermi mai ad osservarlo?

- No.

- Eppure dovresti, è molto rinvigorente e mette tante cose nella giusta prospettiva.

Elio si stupì di tanta profondità del cugino e rimase in silenzio con lui per un po' a fissarlo.

Dal bianco accecante sino alle sfumature fumo, le nuvole stavano sospese tra due fasce di cielo, cielo plumbeo sotto di loro, cielo turchino sopra, misto ai riverberi ocra di un sole ormai quasi al tramonto che le rischiarava rendendo la loro sommità dorata e dando la sensazione di essere la luce di un altro mondo, lì a illuminare una vita che su loro si svolgeva. Dense, come albume montato a neve, quelle bianche, pasticciate, come nello sfogo pittorico di un bimbo di tre anni, quelle grigie.

Fra tutte se ne distingueva una, dalla forma di unicorno, che si stagliava scura sullo sfondo bianco come se il grigio animale corresse sulle bianche praterie celesti. Proprio come in un affresco del Tiepolo, questo soffitto sfondato naturale tendeva all’infinito che c’è oltre il visibile, al mistero che fa sentire le nostre anime piccole e allo stesso tempo eterne.

Libero all’improvviso saltò giù dal trattore.

- Adesso ho fame - disse ridendo a voce alta

- Tu non ne hai Elio?

- Si.

- Allora salta giù e andiamo a mangiare, magari la prossima volta ti faccio fare un giro con il trattore.

E si avviò verso casa.

Elio non perse tempo e lo seguì, la fame tornava a farsi sentire.


Quarto Capitolo



Come un cattivo presagio, mormorava parole in una lingua sconosciuta



Elio si alzò di buon'ora, era inevitabile cedere alla zia che continuava a chiamarlo con insistenza. Fuori era appena l’aurora, guardò il cielo che albeggiava e ripensò per un attimo al tramonto della sera prima, alla sensazione di pace provata in quegli attimi, ma durò poco, le sue orecchie cominciarono a fischiare, un fischio sordo, pungente, che gli tagliava l’anima e lo faceva ripiombare nella sua fredda realtà.

Elio si trascinò ancora in pigiama fino alla cucina, sperando di svegliarsi un po' con la colazione.

La zia, il cugino e sua sorella erano già vestiti e pettinati come se fossero le otto del mattino e non solo le cinque e trenta! C’era aria di festa, suo cugino Ercole sarebbe tornato dal campo scout. Ida era eccitata per il rientro del figlio, era stato via per ben cinque giorni, era sempre preoccupata quando i suoi figli erano fuori casa per l’incidente accaduto a Libero da ragazzo e non avrebbe mai voluto perderli di vista.



Il sergente Ida, appena avvistato l’insubordinato Elio, lo cacciò immediatamente via dalla cucina perché andasse a lavarsi e sistemarsi.

Ida era una donna forte, temprata dalle vicissitudini della vita. Dopo la morte del marito e il problema con il figlio, si era dovuta adattare ad uno stile di vita completamente diverso da quello cittadino, che aveva segnato la sua vita nei primi anni di matrimonio.

Dura e decisa, aveva preso di petto quella nuova sfida. Più di una volta si era ritrovata sola a piangere per la disperazione, ma non si era lasciata piegare.

La sua aria da generale non doveva ingannare, dentro era morbida come il cuore di un soufflé.



Poco dopo Elio ritornò vestito e quasi sistemato, anche se l’umore era nero e la fame gli era rimasta.

Si sentiva il profumo del latte e cioccolata, ma soprattutto dei biscotti giganti fatti dalla zia il giorno prima, che era rimasto nell’aria.

Erano delle enormi trecce al latte impastate con diversi aromi: alla cannella, all’anice e, per non farsi mancare niente, le sue preferite al sesamo.

Sua sorella e Libero stavano già inzuppandole nel latte.

Libero gli chiese:

- Sai chi torna oggi?

Elio si stupì della domanda:

- Chi? - rispose.

- Ercole, il mio fratellino!

Elio non disse niente ma si era completamente dimenticato del cugino suo coetaneo.

- Da dove? - chiese come se il giorno prima non ne avessero parlato.

- Come da dove? - rispose Gaia - L’ha detto ieri la zia.

- Torna dal campo scout - disse sorridendo Libero.

- Oggi la soffitta vi aspetta - suggerì la zia con tono che non ammetteva repliche - Muoviti Elio, finisci la colazione e mettiti al lavoro. Gaia arriverà ad aiutarti fra un po', adesso ho bisogno di lei per una commissione.

Elio finì di bere il latte in un sorso pensando con sollievo al fatto che per un po' sarebbe stato da solo in soffitta in tutta tranquillità. Godeva all'idea di infilare nelle orecchie le cuffie del suo amato lettore mp3.

Guardò in giro senza trovarlo, poi tornò in cucina e chiese:

- Qualcuno ha visto il mio lettore in giro?

- Purtroppo, ieri è rimasto vittima di un incidente. Lo avevi abbandonato sul divano e quando l'ho aperto per prepararvi il letto è finito incastrato in mezzo al meccanismo di estrazione della rete…non ne è rimasto molto, ma ti ho conservato la scheda di memoria - raccontò la zia e, prendendola da un piattino decorativo appoggiato sulla credenza, gliela porse.

La giornata era proprio cominciata male, pensò il ragazzo, salì la scaletta che portava in soffitta con la lentezza che lo contraddistingueva e accese la luce.

Ovunque c’erano accatastate cose, avrebbero dovuto pulire e creare uno spazio dove preparare i letti, troppa fatica per lui solo a pensarci. Così decise di aprire la grande finestra centrale, per far entrare aria e luce, e poi sedersi da qualche parte ad oziare in attesa di Gaia.

I suoi occhi videro qualcosa che lo colpirono, un libro su una vecchia cassa di legno, come quello che lo strano signore entrato nel loro scompartimento leggeva.

Veramente una strana coincidenza, non era certo un best-seller alla moda, questo lo inquietò. D’improvviso si spense la luce ed Elio cominciò a sentire la strana voce che, come un cattivo presagio, mormorava parole in una lingua sconosciuta al suo orecchio.

Pur sapendo come non fosse possibile, ebbe il terrore che quell’uomo si potesse trovare lì, con lui, al buio. Cercò l’interruttore della luce ma non riuscì a riaccenderla, doveva essersi fulminata la lampadina. Una paura profonda s’impossessò di lui, la voce era sempre più forte, la sentiva risuonare dentro la sua testa. A tentoni cercò di arrivare alla finestra, trascinando con sé gli oggetti che incontrava al suo passaggio.

Arrivato alla maniglia, non riuscì ad aprirla, allora, fuori di sé, cominciò a prenderla a pugni nella speranza di sbloccarla.

Tremava e sudava freddo.

Ad un tratto si accese la luce, Elio si girò di scatto, avrebbe voluto urlare, ma la voce gli era morta in gola.

Vide Gaia.

- Elio stai bene? Cos’è tutto questo rumore? Ti sei fatto male?

Il ragazzo, bianco come un lenzuolo, aveva lo sguardo stravolto e tremante.

Gaia lo abbracciò forte preoccupata e gli sussurrò:

- Va tutto bene? Ti è successo di nuovo, vero? Quella strana cosa che ti fa andare in confusione….

Elio non rispondeva, né ricambiava il suo abbraccio, era ancora lontano lontano, preso nei suoi pensieri, non riusciva proprio a sentire il calore di quell’abbraccio, come se fosse di pietra.

Lentamente l’abbraccio si sciolse, Elio cominciava a tornare in sé.

La prima cosa che fece fu girarsi per controllare se quello strano manoscritto fosse veramente lì, dove lo aveva visto, oppure se lo avesse solamente immaginato.

Purtroppo, era ancora lì, il suo sguardo tornò gelido.

Gaia, notata tutta la scena, si avvicinò al tomo per afferrarlo, per vedere se fosse veramente il motivo dell'inquietudine del fratello. Si mise sulla traiettoria tra lo sguardo di Elio e il libro.

Era proprio lì che guardava, si girò e lo afferrò voltandosi con il libro in mano verso di lui e chiese:

- È questo che ti inquieta tanto?

Elio fece silenzio.

- Parlami Elio, non posso aiutarti se ti ostini a non parlare.

- Il treno - sussurrò Elio.

- Il treno, cosa vuol dire il treno?

- Una copia di quel libro l’ho vista sul treno.

- Cosa trovi di strano in questo?

- Lo aveva uno strano tizio seduto nella fila accanto alla mia, mentre voi eravate nel vagone ristorante.

- Molti leggono mentre sono in viaggio.

- Ma non è un libro comune, non vedi? - si agitò Elio.

Effettivamente Gaia aveva notato la particolarità della copertina del libro e ne rimase ancora più stupita appena lo aprì.

Era scritto in una lingua a lei sconosciuta, le immagini, tutte in bianco e nero, raffiguravano personaggi strani, in una cornice di boschi e lune piene. Molte di quelle figure erano a dir poco angoscianti.

Gaia fece finta di non notarle, richiuse immediatamente il libro e lo lanciò in un angolo, cercando di simulare indifferenza.

- Dai su, è solo una coincidenza e quello è solo un vecchio libro.

Elio era già ripiombato nel silenzio, le sue orecchie ronzavano di nuovo.

La ragazza cercò di distrarre il fratello, sebbene quelle immagini spettrali non abbandonassero la sua mente.

- Dai, dammi una mano, spostiamo verso la luce queste casse e cominciamo a fare spazio sotto il lucernario, voglio sistemare lì il nostro letto. Purtroppo ci toccherà dormire nello stesso e io voglio addormentarmi guardando le stelle.

Lavorarono tutta la mattinata di buona lena. Gaia, con le sue chiacchiere, riuscì a distrarre Elio che dopo l’accaduto sembrava reagire con un po' di energia in più.

Passarono anche buona parte del pomeriggio a pulire sino a quando la zia li invitò a lavarsi, quella sera arrivava Ercole e bisognava festeggiare.

Libero aveva promesso di portarli a ballare, in paese si sarebbe svolta l’annuale festa della mietitura.

Si sentì provenire dall’esterno il suono del clacson del vecchio autobus che due volte alla settimana, dopo aver attraversato le varie frazioni partendo dalla città, arrivava in paese, gli scout lo utilizzavano per tornare dal campo che si era tenuto a Tresentieri, un bosco non troppo lontano.

Libero si lanciò fuori e, come suo solito, afferrò il fratello ancora con le spalle cariche di uno zaino decisamente fuori misura e lo fece volare trascinandolo sino all’uscio di casa dove, appena sfuggito alla sua morsa, si trovò in quella della madre.

Ercole era felice di questa manifestazione d'affetto, ma gli sembrava un po' troppo per un’assenza durata solamente cinque giorni.

Salutò affettuosamente con due baci sulla guancia Gaia, che trovava molto carina, mentre riservò un gelido “ciao” al cugino che riteneva responsabile della sparizione della tv e soprattutto dei suoi amati videogiochi.

Ercole era coetaneo di Gaia e rappresentava in tutto il mito di cui portava il nome: alto, muscoloso e atletico faceva parte della squadra di lotta libera del paese.

Aveva i capelli neri, rasati ai lati e a spazzola al centro, gli occhi scuri e la pelle olivastra, ma questo suo aspetto da duro non rispecchiava la sua vera natura di persona mite, incapace di serbare rancore.



Anticiparono la cena, per avere il tempo di prepararsi per la festa. Troppo forse, ma d’altronde la zia aveva preparato per l’occasione un pasto da nozze e bisognava avere il tempo di far scorrere tutte quelle pietanze per la tavola.

Dopo sarebbero stati pronti per smaltire tutto alla festa della mietitura.



Naturalmente, l'attesa più lunga fu a causa della preparazione delle due donne di casa. Elio aveva poca voglia, si sentiva già pronto così come si era vestito prima di colazione. Ercole mise un jeans e qualche chilo di gel sui capelli, impossibile capire dove fosse andato a finire.

Libero fu, tra gli uomini, quello che vi investì maggior tempo. Non uscì dalla sua camera finché non fu pronto. Sfavillava, indossava un paio di pinocchietti blu con sopra una camicia che gli Hawaiani avrebbero considerato eccessiva ma che su di lui non sfigurava.

Gli occhi gli brillavano, era una delle feste che adorava di più.

Appena tutti furono pronti, Elio tentò invano di sottrarsi a quel supplizio, ma fu travolto dall’entusiasmo della zia che era quasi irriconoscibile. Indossava un abito nero a fiori, le scarpe con i tacchi, aveva i capelli sciolti ed il viso truccato. Lo prese sottobraccio e lo scortò fuori casa.



Lungo la via si potevano ammirare, oltre alle classiche luci e bandierine colorate, le decorazioni che quell’anno gli organizzatori della festa avevano realizzato.

Sui bordi delle strade, balle di fieno quadrate, rettangolari, insomma di tutte le forme e dimensioni, decoravano il paese.

In centro, il monumento dei caduti era circondato da enormi ruote di paglia.

La piazza principale aveva un palco su cui la banda chiamata a suonare sistemava i propri strumenti.

Attorno all'area di ballo, le sedie già ospitavano gli anziani che chiacchieravano aspettando di godere della vista dei giovani che avrebbero ballato al centro. Già i più piccoli correvano per la pista da ballo imitando i più grandi che fra poco li avrebbero con delicatezza evitati durante le danze.

La chiacchiera principale quella sera era dedicata all’arrivo in paese di Gaia e Elio, i figli di Carlo e Giulia. Gli anziani e gli adulti ricordavano a vicenda gli accadimenti degli anni trascorsi in paese dai due.

Come al solito, le discordanze erano varie: chi li ricordava come scavezzacolli, altri come bravi ragazzi, mentre i vecchi amici di scuola per le giornate marinate in cui si perdevano per i campi a giocare e a non far niente.

Chi riconosceva nel viso di Elio suo padre, chi in Gaia, chi sconoscendo in entrambi qualunque somiglianza, indicava come colpevoli i nonni.

Iniziarono gli strombazzi della banda per riscaldare gli strumenti. Tutto era quasi pronto. Il presentatore, o per meglio dire l’uomo che ogni anno si occupava di parlare dal palco, invitò le solite autorità del paese a salire.

Finì il discorso e anche i ringraziamenti agli sponsor, nel più assoluto disinteresse dei cittadini che cominciavano a sbadigliare. Adesso applaudivano nella speranza che avessero finito e lasciassero suonare la banda.

All’annuncio dell’abbandono del palco dello pseudo-presentatore partì il più forte degli applausi. Il maestro fece un piccolo salto e, con un movimento della mano, agitò la bacchetta facendo partire lo stacco dei tromboni che diedero il via alla musica, seguiti, a tempo, prima dalla batteria, poi dai sassofoni e per ultimo dai clarinetti.

Il primo a buttarsi in pista fu Libero, insieme alla sua compagna preferita con cui apriva ogni anno le danze. A differenza di quanto si possa pensare dalla descrizione di Libero, era un ballerino leggiadro e tutte le donne del paese ogni anno solevano deliziarsi con lui per almeno un giro di pista. Questo valeva per le più giovani e per le più anziane a cui lui non faceva sentire la mancanza di attenzioni, amava ballare e riusciva a trasmettere questo suo amore senza interesse particolare alle sue partner di danza.

La pista si riempì, Gaia aveva una quantità di richieste da cui non si tirò indietro.

Elio per un attimo sentì una strana sensazione, senza accorgersene il suo piede aveva cominciato a picchiettare a tempo.

La zia, prima che lui potesse rifiutare, appena la danza si fece più spontanea e bastava tenersi per mano e roteare, lo afferrò per le mani, che teneva penzoloni, e lo fece danzare a ritmo a bordo pista.

Elio, stranamente, non si oppose, sentì per un attimo il ritmo entrargli dentro, si divertì e gli fecero male le guance per quel contorcimento strano che non avveniva da anni nei suoi muscoli facciali.

Riuscì a passare dalle mani della zia a quelle di diverse curiose ragazze del paese che lo fissavano divertite.

Finito il giro di danza, Elio tornò al suo posto, sentiva il sangue irrorargli i muscoli. Improvvisamente lo strano fischiare alle orecchie ricominciò, costringendolo ad allontanarsi dalla piazza. La musica, che un momento prima lo divertiva, stava diventando assordante.

Si diresse verso il prato verde di fianco alla chiesetta, pieno di vecchi trattori in mostra e di bambini piccoli che non smettevano di guardarli e girarci intorno.

Elio si sedette in un angolo buio e si mise ad osservarli.

Tutte quelle risate gli risuonavano dentro e gli ricordavano qualcosa, l’eco di una felicità lontana ormai sepolta da tempo.

Invidiò un bambino andare felice incontro al padre e afferrare la sua mano. Un ricordo sepolto nella sua mente cercò di salire a galla: il calore e l’odore della mano di suo padre.

Una fitta di dolore gli trafisse le tempie, impedendogli di pensare, e si afferrò la testa fra le mani, sentiva freddo.

- Elio cosa ci fai qui da solo? Stai male?

La zia, che non lo aveva mai perso di vista, si sedette accanto a lui, Elio non rispose.

Ida gli mise un braccio intorno alle spalle e lo strinse affettuosamente a sé, ma lui non ne sentiva il calore, era di nuovo nel suo freddo mondo.



Quella sera, rientrando alla fattoria, Gaia non faceva che parlare di quanto si fosse divertita e delle sue nuove amicizie.

Dormirono per la prima volta in soffitta, avevano sistemato il letto sotto il lucernario proprio come desiderava Gaia che si addormentò guardando le stelle.




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Un Quarto Di Luna Massimo Longo и Maria Grazia Gullo
Un Quarto Di Luna

Massimo Longo и Maria Grazia Gullo

Тип: электронная книга

Жанр: Зарубежное фэнтези

Язык: на итальянском языке

Издательство: TEKTIME S.R.L.S. UNIPERSONALE

Дата публикации: 16.04.2024

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О книге: Un quarto di Luna:Il mondo in cui si è rifugiato Elio, forse non è frutto della sua fantasia, ma una tela costruitagli intorno. Durante una vacanza in campagna, avrà modo di conoscere una Vegliante che gli rivelerà la verità ed insieme ad un divertente gruppo di amici, reali e fantastici, combatterà per ritrovare la sua libertà. Le avventure di questo ragazzo ti faranno conoscere Demoni, Vegliati, Ombre, Bosowe, Guardiani Jiwon, cantilene magiche e andrai in giro per il mondo usando semafori, girando attorno ad un baobab o volando in una sfera di ghiaccio.

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