La Spia

La Spia
Juan Moisés De La Serna


Il silenzio aveva già preso possesso di ciascuna delle stanze della casa, tanto che a volte era difficile per me andare lì, dove così tante cose erano accadute in famiglia.

In un primo momento accendevo la televisione o la radio, per sentire una voce ovunque fossi in casa, e questo mi confortava, ma poi, sembrava così assurdo, ingannando me stesso! come se fossi con qualcuno, quando non c'era più nessuno.

Gioie, dolori e tristezza, sentite da ogni angolo di quella dimora, alla quale mia moglie si era sempre dedicata con tanta cura per mantenerla in ordine e pulita







La



Spia



Juan Moisés de la Serna

Traduzione di Alessandra Maffioli



Edizioni Tektime



2020


“La Spia”

Scritto da Juan Moisés de la Serna

Traduzione di Alessandra Maffioli

1ª edizione: giugno 2020

© Juan Moisés de la Serna, 2020

© Edizioni Tektime, 2020

Tutti i diritti riservati

Distribuito da Tektime

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Prologo


Il silenzio aveva già preso possesso di ciascuna delle stanze della casa, tanto che a volte era difficile per me andare lì, dove così tante cose erano accadute in famiglia.

In un primo momento accendevo la televisione o la radio, per sentire una voce ovunque fossi in casa, e questo mi confortava, ma poi, sembrava così assurdo, ingannando me stesso! come se fossi con qualcuno, quando non c’era più nessuno.

Gioie, dolori e tristezza, sentite da ogni angolo di quella dimora, alla quale mia moglie si era sempre dedicata con tanta cura per mantenerla in ordine e pulita.


Ci sono momenti nella Vita

che dobbiamo afferrare

conservarli con grande affetto

e cercare di non dimenticare.



Ma non ci aspettiamo mai

che sia sempre così

se la memoria fallisce

i ricordi spariranno



Per quanto pretendiamo

cercare di ricordare

“un’aria cattiva” se li è portati via

e non ce li renderà



Ricordi e ancora ricordi

sono già nell’oblio

perché al mancare della memoria

se li è presi, sono spariti



AMORE


Dedicato ai miei genitori


Sommario



Prologo (#ulink_43010a63-e252-5d80-b72c-3274718c5417)

CAPITOLO 1. La Memoria (#ulink_f70c258a-d9ab-5dae-82ad-a275dbab0c60)

CAPITOLO 2. L’Addio (#ulink_753ae8e8-6d00-5b70-b16f-3950c4d0bc8f)

CAPITOLO 3. La comunità (#ulink_c51bb43c-125f-5c47-bf5e-062c172aff32)

CAPITOLO 4. La Legge del Sette (#ulink_f3cad0e2-4fb5-5054-8daf-4d1bf6cad4c5)

CAPITOLO 5. Il Sopravvissuto (#ulink_a7dfd96b-d7c2-502b-b7f1-45dd910ddd16)

CAPITOLO 6. La Decisione (#ulink_162e5809-c20d-5c94-a386-526d96f70ebe)

CAPITOLO 7. L’Ultimo Ricordo (#ulink_6f1e247c-c682-568a-a439-7f0def4d1636)


CAPITOLO 1. La Memoria



Il silenzio aveva già preso possesso di ciascuna delle stanze della casa, tanto che a volte era difficile per me entrare là, dove così tante cose erano accadute in famiglia.

In un primo momento accendevo la televisione o la radio, per sentire una voce ovunque fossi in casa, e questo mi confortava, ma poi, sembrava così assurdo, ingannavo me stesso, fingendo di essere in compagnia, quando non c’era più nessuno.

Gioie, dolori e tristezza, ascoltate da ogni angolo di quella dimora, alla quale mia moglie si era sempre dedicata con tanta cura per mantenerla in ordine e pulita.

A poco a poco cominciai a chiudere le stanze, quelle che non usavo più, o quelle che al solo vederle mi richiamavano tanti ricordi vissuti, per la maggior parte gioiosi, che però stranamente mi causavano grande dolore, forse perché ne sentivo la mancanza, o forse perché avevo la sicurezza che non si sarebbero mai ripetuti, che tutto ciò che avevo vissuto lì, sarebbe rimasto solo nella mia memoria, fino a quando questa fosse durata.

Anche se in diverse occasioni avevo detto a mia moglie di spostarci altrove, sia per motivi di lavoro o in occasione della nostra pensione, lei aveva sempre detto di no, che il suo posto era dove dimoravano i suoi ricordi, lì aveva visto i suoi figli crescere, e conosceva tutto il vicinato, e questo la faceva sentire a suo agio.

Per qualche strana ragione, preferiva lasciare le “cose come stavano” come diceva lei, senza cambiare nulla in casa, né un solo quadro o una fotografia, e quando le chiedevo perché, mi diceva solo che “andava bene così.”

Aveva difficoltà a prendersi una vacanza; spesso quando già eravamo più anziani e i nostri figli erano andati via per lavoro ed eravamo rimasti noi due soli, si aspettava che qualcuno si presentasse a casa, e trovava qualche scusa per non allontanarsi più di due o tre giorni da casa.

Ma come avrebbero potuto venire se alcuni vivevano in altri continenti, e con quello che viveva più vicino, a malapena ci tenevamo in contatto dopo aver avuto quella discussione.

Qualcosa di cui ancora mi pento, non tanto perché non era assolutamente necessaria, ma per le conseguenze che ebbe sulla nostra relazione. Mia moglie mi guardò in modo diverso da quel momento in poi, so che avevo ragione, e che nostro figlio aveva torto, ma lei come madre non capiva perché non sostenessi nostro figlio quando ne aveva più bisogno.

La cosa più difficile per me è stata la sua perdita, quando penso a quel momento riesco a malapena a respirare, così tanti anni di convivenza e, nonostante non sia stata sempre tranquilla, ci fu sempre molto amore e rispetto tra di noi.

Negli ultimi anni abbiamo avuto vite quasi separate, se così si può dire, ci rispettavamo, ci amavamo, ma ciascuno cercava di svolgere le proprie attività senza contare sull’altro, esattamente il contrario di quando ci siamo incontrati, quando volevamo fare tutto insieme e condividere il tempo il più possibile.

Forse era l’abitudine ma ci vedevamo a malapena, più che altro a pranzo e cena, lei pianificava ogni pomeriggio un’attività diversa, a volte uscire con le amiche, altre per visitare alcuni suoi parenti, altre…, in quanto a me, che preferivo stare a casa tranquillamente, passavo il tempo con i miei appunti e i miei calcoli quasi senza rendermi conto che era uscita, ma…. quando morì….

Tutto cambiò, adesso avevo più tempo per le mie cose, nessuno che potesse dirmi che ci perdevo troppo tempo, nessuno che mi ricordasse che dovevo fermarmi per riposare, nessuno che… ma per me tutto ciò che facevo, a cui mi dedicavo per così tanto tempo e credevo così importante, per me, tutto questo aveva perso il suo significato.

La casa era diventata gradualmente un mausoleo, non so perché, ma lei col passare degli anni, aveva riempito le pareti con le foto dei suoi figli e dei suoi nipoti, quelle che di tanto in tanto ricevevamo in occasione di una nuova nascita o di qualche festa.

Ora riesco a malapena a riconoscere le persone in quelle fotografie, e non è solo per la vista, per questo porto gli occhiali da lettura e vedere le cose con quei dettagli senza i quali sarebbe impossibile, è che i volti non mi dicono più nulla.

Quante volte mi sono fermato a commentare con mia moglie questa o quella foto, su quanto sembrassero felici, e il desiderio che avevamo di rivederli, invece ora sono lì, come sospese nel tempo, come se appartenessero a un’altra vita, di cui non mi sento più parte.

Non riesco a immaginare il passato senza di lei, in ogni posto in cui siamo andati, lei era lì, in ogni celebrazione a cui abbiamo partecipato, lei era lì, e in così tante foto, eravamo entrambi lì, ma adesso, tranne lei, trovo difficile riconoscere il resto delle persone nelle fotografie, e…. e poi, non c’è nessuno a cui chiedere, nemmeno nessuno con cui commentare quelle foto.

Ora sono parte del muro come se fossero una carta da parati, non mi fermo più a guardarle dal momento che per me sono estranei che un giorno hanno condiviso la mia vita ma che ora non sento neanche lontani, semplicemente non li sento.

Quando percorro il corridoio, a volte guardo le foto che sono appese, mostrano luoghi e persone totalmente sconosciuti, sono curioso di provare a indovinare chi sono o cosa fanno, ma no, non riesco a ricordare!

Una cameriera viene a casa di tanto in tanto per fare qualche pulizia, all’inizio mi chiedeva dei miei nipoti, e le mostravo le loro foto, ma ora non so nemmeno dove sono quelle foto, e non so più quanti nipoti ho.

Non ho quasi voglia di parlare perché non ho nulla da dire, i miei ricordi sono dolorosi, non perché non abbia vissuto a lungo e abbia molta esperienza, ma perché i ricordi più importanti per me sono quelli dei miei grandi amori e quelli, purtroppo, non sono più con me.

Ricordo come se fosse ieri, il mio primo amore, lavorava in un bar sulla strada vicino alla stazione di servizio appena fuori città.

Mi rifornivo sempre il minimo per far funzionare la macchina, così avrei dovuto tornare il giorno dopo di nuovo a fare benzina, e quindi avere una scusa per entrare in quel bar a fare colazione.

All’inizio non l’avevo notata, era una ragazza nuova in città, forse qualcuno di passaggio. Il suo bel sorriso e i capelli ricci neri mi avevano fatto impazzire. Non ero sicuro se mi avesse notato, abituata a tutti quelli che venivano a prendere qualcosa solo per farle dei complimenti, ma la mia insistenza mi aveva ripagato. Dopo essermi recato lì quotidianamente per qualche mese, un giorno mi disse:

– Va bene! Dimmi la verità, che cosa vuoi?

– Dunque, oggi mi piacerebbe lo speciale della casa! – Risposi.

– No, sul serio, di tutti i clienti che abbiamo, tu sei l’unico che viene ogni giorno, che faccia freddo o caldo, e anche quando la stazione di servizio è chiusa, allora che cosa vuoi?

Mi bloccai e facendomi forza buttai li:

– Te!

– Che cosa? – mi chiese stupita.

– Sì, Tutti questi giorni, settimane e mesi, volevo te, ed è per questo che sono venuto a trovarti; passare un giorno senza vederti è come togliere il sole del mattino!

Scappò in cucina, credo confusa dalle mie parole, e poi tornò e disse:

– Me ne vado, è il mio ultimo giorno di lavoro, ero qui solo per fare un po’ di soldi, prima di andare per la mia strada, sei stato molto gentile per tutto questo tempo, e lo apprezzo.

– Ma, io…mi sono appena dichiarato.

– Sì, lo so e sono state belle parole, ma è troppo tardi, se me l’avessi detto prima, forse avremmo potuto usare il tempo in un altro modo, ora… è troppo tardi – detto questo si voltò e continuò il suo lavoro.

Non riuscii a inghiottire un boccone, nonostante quanto apparisse succulento tutto quello che mi aveva servito, sono rimasto in quel posto per altri cinque minuti e sono scappato quasi correndo, non riuscivo a crederci! Mi ero abituato a vederla ogni giorno, al suo bel sorriso e ai suoi capelli neri, e ora… mi stava lasciando.



Pensai, non lo so, di parlare con il capo, di dirgli di pagarla di più, ho anche pensato di ripagargli la differenza dell’aumento di stipendio, ho pensato di parlarle e chiederle di non andarsene… Pensavo… ma il giorno dopo, quando tornai, credendo che fosse stato un brutto sogno lei non c’era più; né il seguente né il successivo… finché non mi rassegnai all’idea che non l’avrei mai più rivista, che il mio grande amore era scomparso dalla mia vita, e non avrei mai più trovato una persona del genere, lei era unica.

Sono ricordi dolorosi, riesco ancora a ricordare il suo sorriso e i suoi capelli, specialmente quei capelli, come mi piacevano, mi sembra di vederla come se fosse ieri mentre li allontana dal viso, quando quella ciocca traditrice che scappava le cadeva e la rimetteva dietro l’orecchio con il dito.

Anche se non era un amore reciproco, non potrei mai dimenticarla, era il mio primo amore.

Non ho fotografie di lei, ce ne sono tante sparse per tutta la casa, ma di quella fase della mia vita non c’è nulla.

Non mi restano nemmeno amici, ne vicini, né alcun conoscente, o hanno già lasciato questo mondo, o sono andati in case di riposo.

Il quartiere non è più quello che era una volta, ora tutti hanno una grande fretta, non escono a falciare il prato la mattina, o a giocare con i bambini nei fine settimana, a volte mi fa strano restare qui, tutto è così cambiato.

Conosco ogni casa, ogni albero, ma la gente mi è così sconosciuta che non so… non mi sento a mio agio quando esco per strada, anche se le persone che incontro mi sorridono sempre dopo aver salutato.

Eppure, di tanto in tanto qualcuno viene a cercarmi, per farsi raccontare del mio passato, delle mie esperienze, come se queste fossero importanti, ma mi è difficile accettare che il tempo è passato e che i miei momenti migliori sono già così lontani, che sembrano appartenere a qualcun altro.

Gli anni passano, e lasciano sempre più segni sulla mia salute, e purtroppo mi stanno portando via la cosa più preziosa che avevo, la mia memoria, tutto il resto, le mie cose, non mi importa se sono piene di polvere, ma i miei ricordi sembrano svanire gradualmente, sfumando come la nebbia del mattino, e con loro tante e tante esperienze.

Qualcuno mi ha suggerito di scrivere un libro, come se fosse facile alla mia età! Mi hanno persino proposto di fare un documentario sulla mia vita ma non sono d’accordo.

Potrei dire tante cose, ma non mi sento abbastanza forte da ricordare tutto, specialmente davanti a una telecamera e con degli sconosciuti che ascoltano.

Ogni volta che ricordo un fatto mi eccito, perché lo vivo come se stesse accadendo in quel momento, ma poi, quando finisce, provo una profonda tristezza, rendendomi conto che è solo un ricordo, qualcosa del passato che è stato relegato nel tempo, quasi dimenticato.

Non so perché, ma i miei ricordi di gioventù e infanzia sono sempre più nitidi, riesco a malapena a ricordare cosa ho mangiato ieri, ma riesco a ricordare le avventure che ho vissuto quando ero piccolo, o i momenti salienti che mi sono capitati durante il liceo.

Tutte le persone con cui ho parlato e che ho incontrato, coloro che ho amato e mi hanno amato, famiglia, amici e conoscenti, tutto quell’amore e quell’emozione condivisa, e non so più dove siano.

Sicuramente hanno vissuto la loro vita, e si stanno godendo i loro figli e anche i loro nipoti ovunque siano, ma a volte avrei tanto bisogno di non sentirmi solo!

La parte peggiore sono le notti, a volte quando cerco di dormire mi tornano in mente un sacco di ricordi, di esperienze accadute in casa, le esperienze di un vecchio si potrebbe dire, ma è tutta una vita, giorno dopo giorno, quante cose vissute! E inizio a pensare, e un pensiero tira l’altro, e un altro, e a volte le ore passano e non riesco a dormire, finché la stanchezza e lo sfinimento non hanno la meglio.

Altre volte sono i miei acciacchi che mi impediscono di addormentarmi, quando non è una cosa è un’altra; se resto troppo tempo in una posizione, si lamenta il ginocchio oppure la schiena e così via ogni notte, finché non riesco ad addormentarmi.

Questo sì, la sveglia mi chiama ogni giorno alle sei del mattino, come ha fatto da quando ho iniziato a lavorare quando ero giovane.

Una “mia mania” come diceva la mia cara moglie, che non ho mai abbandonato anche quando invecchiando ho smesso di avere obblighi, ma mi è sempre piaciuto approfittare del tempo, e non lasciare che il sole si levasse prima di me.

Forse era la forza dell’abitudine, o forse mi sentivo a mio agio sapendo che cosa dovevo fare ogni mattina, qualunque cosa fosse, e per quanto lei abbia cercato di convincermi, mi svegliavo sempre a quell’ora che il sole fosse sorto o no.

Ogni giorno, appena mi alzavo, cercavo uno spazio aperto e facevo i miei esercizi, qualche stiramento per avere un po’ di elasticità, abbastanza per darmi una scossa prima di lavarmi il viso con acqua fredda.

“Il segreto della mia pelle liscia è l’acqua fredda al mattino!”, aveva sentito dire da un attore famoso, che si vantava di una cute liscia nonostante i suoi molti anni.

Alla mia età, non lo faccio per l’estetica, o per la pelle, solo per schiarirmi le idee ma, mentre è stato necessario per molto tempo e mi preparava ad andare al lavoro e iniziare la giornata, ora… molte volte mi trovo davanti allo specchio del bagno chiedendomi: “E adesso?”

Mi lavo di nuovo la faccia, nella speranza di poter pensare a qualcosa da fare durante il giorno, e niente… Guardo lo specchio, e mi restituisce un volto che difficilmente riconosco, le rughe che non c’erano prima, ora ricoprono tutto il viso e non solo, guardo anche le mani…

Non so come si sentano gli altri quando invecchiano, ma nel mio caso, non è stata una cosa piacevole, visto che a poco a poco tutti i miei sogni e le mie illusioni hanno cominciato a diluirsi nel tempo.

È molto quello che ho ottenuto, ma per cosa? Chi si ricorderà di me, del mio lavoro e dei miei sforzi? A chi importerà delle migliaia di ore che vi ho dedicato?

Sicuramente qualcuno ad un certo punto, si ricorderà che un giorno mi ha incontrato, ma al di là degli amici e della famiglia, a nessuno è importato di ciò che ho fatto e realizzato.

So che non posso lamentarmi, ho avuto una vita relativamente buona, mi sono sempre dedicato a ciò che volevo di più, ma nonostante questo, ora… sono rimasti solo i ricordi, e in molte occasioni, neanche quelli.

A volte andavo in ufficio, dove conservo tante cartelle di lavoro che ho accumulato anni fa, mi sedevo e ne aprivo alcune e le riesaminavo, guardando e ricordando il lavoro realizzato.

Tante note sottolineate con evidente emozione, pensando che questo avrebbe “fatto la differenza” come dicono i giovani di oggi ma il tempo ha lasciato tutto questo nell’oblio.

Gli anni sono passati e quello che un tempo ricordavo con orgoglio, è diventato quasi uno strano sentimento di curiosità, vedevo quelle pile e non sapevo cosa contenessero, le aprivo per sapere cosa fossero e il disagio mi sopraffaceva, sicuramente tutto ciò era mio, ma non mi ricordavo di averlo scritto, né quando era successo.

Ero sicuro che fosse la mia calligrafia almeno su questo non avevo dubbi, era in ognuna delle centinaia di quaderni e rapporti sparsi qui e lì ma ero a mala pena in grado di rendermi conto del tempo profuso in quel lavoro.

Fu in quei momenti che mi resi conto di quello che mi stava succedendo, stavo perdendo la memoria, quella che era sempre stata ottima, adesso non ero nemmeno in grado di riconoscere ciò che avevo scritto io.

I miei incartamenti avevano cessato di essere miei, erano documenti di uno sconosciuto con la mia calligrafia ed ero incapace di vedere alcun tipo di ordine tra così tante cartelle.

In più di un’occasione, ero così infuriato che le gettai sul pavimento, e …non so… speravo che non fosse così… Ma era tutto inutile, e la sensazione di disperazione mi pervadeva facendomi credere che la vita non fosse servita a niente.

Dopo un po’, quando riuscivo a rassicurarmi, raccoglievo carta dopo carta, e senza sapere come, le riponevo dove pensavo fosse il loro posto, senza nemmeno riuscire a ricordare cosa contenessero non mi rimaneva che classificarli in base alla data che compariva in ognuno di quei manoscritti in alto a destra, anche se a volte era un compito faticoso, non smettevo finché non avevo ricomposto quel puzzle, anche se non riuscivo a rispettare l’ordine cronologico di tutti, almeno potevo avere i documenti di ogni anno riuniti.

È passato molto tempo dall’ultima volta che ci sono stato, mi fa venire rabbia! Così tante ore di lavoro tra quelle quattro mura, tra quei documenti che non so nemmeno più cosa siano, e neppure se sono di qualche utilità.

Di tanto in tanto mi siedo davanti alla televisione, a volte anche spenta, e cerco di ricordare alcuni momenti passati, occasioni in cui eventi gravi sono stati nascosti al pubblico per non diffondere il panico, e immagino come sia stata la loro vita, ignari del pericolo che avevano corso.

Hanno vissuto una vita così intensa, che a malapena si rendevano conto del lavoro che c’era dietro per assicurargli quel benessere.

Ricordo ancora la prima volta che ne sentii parlare. La mia abilità per i numeri mi aveva messo in luce tra i miei compagni durante il servizio militare, cosa che sarebbe passata inosservata a chiunque ma non al mio capitano che, quando se ne rese conto, volle promuovermi.

Una decisione di cui sarò sempre grato, perché mi diede l’opportunità di fare un grande servizio per il mio paese, e di salvare così tante persone da quella che sarebbe stata sicuramente una morte dolorosa.

– Hai un dono! – mi disse quel giorno il capitano.

– Non credo sia un dono, è un regalo – risposi.

– Un regalo? – mi chiese stupito.

– Sì, un regalo del Creatore.

Il capitano perplesso, dopo aver fatto una pausa, disse:

– Non importa, sono sicuro che farai un servizio migliore in Pennsylvania, dove ti prepareranno per fare qualcosa di importante.

– E i miei genitori? Che posso dirgli? – risposi sorpreso e sconcertato dalle sue parole.

– Non preoccuparti, l’esercito si prenderà cura della tua famiglia in tua assenza, è questo che volevi, giusto?

– Sì, in effetti siamo appena arrivati, e i miei genitori non conoscono la lingua, e anche se alcuni nostri amici li aiutano come possono, non hanno ancora trovato lavoro.

– Stai tranquillo, verranno pagati puntualmente ogni mese, ma devi fare la tua parte.

– Certo, sarò il migliore! Non la deluderò! Ma, perché sto andando in Pennsylvania?

– Avrai il tempo di scoprirlo, tutto quello che posso dirti al momento è di rendere i tuoi genitori fieri di te!

Sono state le sue ultime parole, o ordini, non ne sono sicuro! Il giorno dopo, due soldati arrivarono nella mia baracca, dove dormivo con il mio plotone e mi fecero uscire dalla base dove stavo facendo addestramento, verso una destinazione incerta.

Caspita! Che stranezza! Posso quasi sentire il sapore della sabbia sulla strada che sollevava la jeep, mentre ci avvicinavamo a quella base militare.

Era una giornata particolarmente calda, ma l’eccitazione del momento mi impediva di pensare a qualcosa di diverso che non fosse scoprire come potevo usare le mie doti.

Lo ricordo quasi come se lo stessi rivivendo ora, eppure non riesco a ricordare il nome della base.

Sono sicuro che dopo tre anni di addestramento lì lo dovrei sapere senza esitazione, ma il passare del tempo cancella ciò che vuole e senza preavviso.

Anche se i nomi più familiari si stavano dissolvendo dalla mia memoria, già da tempo avevo ideato il sistema di scrivere tutti i nomi, le date e gli eventi importanti della mia vita, e di tanto in tanto, mi mettevo di fronte a un foglio bianco e cercavo di trascrivere tutto ciò che ricordavo.

Era un gioco da ragazzi all’inizio, come potevo non ricordare il nome dei miei nipoti? O la data del mio matrimonio? Ma col tempo e con mia grande costernazione, il foglio bianco che stavo cercando di riempire restava sempre più vuoto fino a quando un giorno dimenticai anche dove tenevo la lista che conteneva le date, i nomi e gli eventi che non avrei mai pensato di poter dimenticare.

Ricordo ancora quando comprammo quel tostapane sopra la cucina, e come io e mia moglie avevamo litigato per il colore. Lo voleva giallo limone, e io lo preferivo color argento.

Alla fine, come in tutte le cose, ho ceduto alla sua decisione, in realtà le nostre dispute se si possono definire così, sono state per cose insignificanti nella maggior parte delle occasioni, allora perché non arrendersi? E in fondo, che importanza aveva il colore del tostapane?

Preferiva avere tutto fatto a modo suo anche se non ero convinto di quei colori vistosi, ma lei diceva sempre che “è così che si rende allegra l’atmosfera”.

D’altra parte, ora, non riesco a ricordare quando ha smesso di funzionare, se è stato danneggiato o perché non lo usi più, per me è solo un impiccio in più, come molte di quelle che trovo in giro per casa, cose delle quali ignoro perfino la funzione.

A volte apro i cassetti per vedere cosa c’è dentro e trovo di tutto, pentole in alcuni, attrezzi in altri, scatole vuote in quello dopo, non sapevo che avessimo accumulato così tanto materiale che ora è inutile.

In uno dei cassetti ho trovato una cassetta degli attrezzi, ma se non ho mai cambiato una lampadina perché dovrei volerla adesso? Malgrado me lo chieda, e dopo qualche istante passato a guardarla cercando di ricordare se fosse mai stata usata, semplicemente richiudo il cassetto.

Mia moglie, quanto mi manca! Se solo sapessi dove si trova, sono sicuro che sia in cielo, ma il cielo è così lontano!

Non ho dubbi che se qualcuno si merita il riposo quella è lei, sempre così disposta ad aiutare gli altri in tutto ciò di cui avevano bisogno, e lo faceva con un grande sorriso e senza lamentarsi.

Non si è nemmeno lamentata delle molte ore di solitudine che ha passato, mentre io ero rinchiuso nel mio ufficio a lavorare o dei viaggi che mi allontanavano per settimane.

Ogni volta che tornavo, trovavo un bel sorriso ad aspettarmi e una voce calda che mi chiedeva come era andato il viaggio, malgrado sapesse che non potevo dire nulla in relazione al mio lavoro.

A volte mi alzo e dopo essermi lavato e fatto i miei esercizi, mi siedo al tavolo da pranzo, e aspetto, e aspetto, non so quanto tempo passi fino a quando mi rendo conto che mia moglie non è qui, e che non mi porterà la colazione, quindi sento una grande nostalgia, e non ho quasi voglia di alzarmi per prepararmelo da solo.

A dire il vero, non sono mai stato un amante della cucina, perché non sono mai stato bravo a cucinare o friggere, solo quando non avevo scelta aiutavo in quello che mi chiedeva, soprattutto durante le feste, dal momento che si aggiungevano così tante persone che mia moglie a mala pena riusciva a preparare tutto.

Mi interessava di più preparare la tavolo e pulire alla fine del pasto e andare a fare la spesa quando non la consegnavano a domicilio, ma poco di più.

D’altra parte, da quando se n’è andata, nonostante abbia resistito all’inizio considerandolo “il suo territorio”, ora ho la sensazione di passare la mia vita in cucina.

Non avevo davvero compreso tutto il lavoro che comporta la cucina e le ore che occupa, e resto con il rimpianto di sapere che quelle cose erano sue, e che ora non le userà mai più.

Molte volte… restavo in silenzio, in attesa di sentire qualcosa, forse un rumore in cucina, come succedeva mentre preparava la cena, magari sentirla cantare mentre si occupava delle sue piante… beh, non so esattamente cosa sto facendo, ma mi manca molto, questo mi è chiaro.

Anche quando tornai alla mia vita civile, continuavo a essere in contatto con i miei ex colleghi, preoccupato di essere aggiornato su tutto ciò che avveniva fuori dalla mia zona, nonostante ciò e le molte ore che ho dedicato allo studio nella mia vita, il tempo sembra non avere avuto pietà di me.

Tuttavia, la lista di persone con cui mi tengo in contatto è sempre più corta, dal momento che alcuni si sono trasferiti lontano, e ci sono anche coloro che non vogliono più sapere nulla su questi problemi di governo.

È vero anche che altri sono venuti a mancare e devo essere grato per questo, perché almeno posso contare su un altro giorno di vita, ma ho perso da tempo il conto di quanti ne ho guadagnati, infatti se non fosse per quel quaderno che ho sempre con me, non saprei nemmeno in quale anno sono nato.

In questo piccolo quaderno ho scritto i dati più importanti, il mio nome, il mio indirizzo, la data di nascita, quali sono le cose che dovrei fare di giorno, chi chiamare se ho qualche problema…

Sebbene non sappia perché, ci sono sempre meno numeri rimasti in quella lista, dal momento che molti sono cancellati, suppongo che la persona abbia cambiato il numero di telefono o non sia più tra di noi.

Le mie memorie! Quante volte mi hanno proposto di scriverle per registrare quello che avevo vissuto in modo che le nuove generazioni potessero imparare da questo, ma ovviamente non potevo! Mi era stato proibito di farlo, infatti, avevo firmato una moltitudine di contratti di riservatezza sul mio silenzio assoluto, come parte del mio lavoro.

Se avessi rivelato i segreti militari che conoscevo, sarebbe stata la mia condanna a morte.

Beh, detto così sembra molto drastico, ma era la verità. L’avevo già visto, fanatici che volevano alzare la voce e raccontare ai quattro venti i segreti del Governo su cui avevano lavorato e anche qualche giornalista che era disposto a raccontarlo in prima pagina, e tutti loro erano semplicemente scomparsi.

Incidenti stradali o nella vasca da bagno di casa erano le ragioni ufficiali; in questo modo, un paio di giorni prima delle loro rivelazioni, le persone coinvolte semplicemente svanivano.

È una cosa che ci hanno insegnato fin dal primo giorno, con il Governo non si gioca! Sanno tutto e non permettono fughe di notizie.

Anche quando ci sono, sono loro che le creano, perché non permettono che un singolo dettaglio venga fuori senza la loro autorizzazione.

Per molto tempo non ho potuto fare altro che chiudere la bocca e guardare dall’altra parte, agire come se tutto fosse normale, come se la società così come la conosciamo non avesse alternative, ma non è così.

Ho cercato di tenere la mia documentazione personale di tutto quello che ho fatto, come fosse un registro di attività ma non è stato possibile, il giorno in cui ho lasciato l’esercito curiosamente tutte le mie cose sono state confiscate e mi hanno permesso solo di portar via dalla base una valigia con i miei vestiti.

Io, che avevo accumulato così tante informazioni, che avevo apprezzato la mia casa dal giorno in cui ero entrato nell’esercito, mi ritrovai con una piccola valigia e il numero del conto di una banca dove avrei ricevuto la mia pensione per il resto dei miei giorni.

Nei mesi seguenti mi chiusi nell’ufficio in casa nel tentativo di ricordare tutto, cercando dati e trascrivendoli per ricreare i miei file, un lavoro faticoso, che ha portato a un ufficio pieno di cartelle ovunque, e per cosa?

Quando entravo in quel luogo ero orgoglioso del lavoro fatto e di essere stato in grado di raccogliere così tante informazioni, ordinarle, classificarle e dargli un senso, ma ora, riconosco appena il contenuto di quella montagna cartelle.

Quando le guardo, e leggo il titolo, penso che sia importante, ma ho perso la curiosità per queste cose da molto tempo.

Immagino che ora sia tutta carta vecchia, casi passati che non interessano a nessuno, segreti governativi che sono stati dimenticati.

Così tante vite salvate che non sapranno mai di esserlo state, così tanto lavoro fatto per raggiungere lo scopo e il mondo continua a essere ignaro della realtà che stava per vivere.

“Un cambiamento nel corso della storia”, ci disse il nostro comandante quando ci diede il nostro primo caso.

Avevo finito la formazione dopo il duro addestramento. A differenza di quello che avevo immaginato, lì non dovevo fare attività fisica, quanto intellettuale; dal primo giorno mi fecero frequentare lezioni di ogni tipo soprattutto di lingue e matematica.

Presto iniziarono a darmi lezioni private di una branca di cui non avevo mai sentito parlare fino ad ora, la crittografia.

Questa è un’arte, per così dire, l’abilità di nascondere i messaggi in bella vista, cosa già utilizzata dagli antichi greci, e che consiste nel fare variazioni sul testo, sia nella posizione delle lettere o delle lettere stesse, per far pervenire il messaggio al destinatario senza che nessun altro sia in grado di capire senza la chiave di decifratura.

La macchina Enigma era la prima e ultima cosa che vedevo durante le mie lezioni è stata come la summa dello sviluppo matematico per la codifica dei messaggi.

All’inizio sembrava tutto un po’ confuso e complicato, ma quando me lo mostrarono come semplici processi matematici concatenati, tutto fu più facile da imparare.

Non si tratta che di rendere difficile la lettura di un messaggio, almeno difficile per il nemico, perché deve essere semplice e inequivocabile per chi lo riceve.

Ho letto così tanti messaggi in codice, che a volte sono arrivato a sognarli mentre li decifravo. I numeri, il segreto, chi avrebbe mai pensato che ci fosse una relazione così stretta tra i due?

Quando iniziai, ero così entusiasta che ho persino osato proporre i miei metodi di codifica, ma naturalmente molti prima di me ci avevano provato e le mie chiavi venivano scoperte rapidamente e il mio metodo smascherato.

Si trattava di realizzare una codifica impossibile da decifrare ad eccezione della persona che aveva la chiave di decrittazione.

Ci chiedevano di essere in grado di inventare nuovi metodi, mentre ci mostravano i messaggi intercettati da decifrare.

All’inizio erano semplici messaggi di prova, con contenuti semplici come, ” ben fatto!”, “Stai migliorando! “ma presto cambiarono, erano veri messaggi usati in tempi antichi per comunicare posizioni, nomi di basi o missioni.

E poi iniziarono ad arrivare nelle nostre mani “messaggi dal nemico”, come li chiamavamo, anche se non sapevamo a chi appartenessero.

Erano messaggi intercettati, che dovevamo decifrare e capire senza possibilità di errore quello che stavano dicendo.

Da qui l’importanza di conoscere le lingue, perché questi, a differenza di quelli che avevamo visto finora, non erano in inglese e la prima cosa che dovevamo fare era identificare la lingua in cui erano scritti in modo da poter decifrare il messaggio.

Alcuni erano semplici come il francese o il tedesco, perché hanno accenti molto caratteristici che li rendono facilmente identificabili, ma, al contrario, altri erano molto complicati per noi, come quelli dei paesi dell’Europa Orientale.

Anche se era chiara l’origine, a causa dell’influenza del russo nei loro caratteri, identificare da quale dei molti paesi della cosiddetta “cortina di ferro” era arrivato rendeva quel compito più complicato.

I nostri nemici, d’altra parte, sembravano avere lo stesso nostro compito, di complicare tutto e se fossimo riusciti a decifrare un codice, quello successivo sarebbe stato più complesso matematicamente.

Ma tutto quello sforzo era valso la pena, eravamo riusciti a fermare spie, transazioni con informazioni sensibili rubate, e anche attacchi su piccola scala, ma questo non era nulla nel nostro record di successi.

Man mano che progredivamo nel nostro lavoro, diventavamo sempre meno, essendo stati distribuiti in tutto il paese come specialisti di intelligence, per aiutare le varie agenzie governative.

Anche se tra noi mantenevamo una corrispondenza regolare in modo da condividere i progressi che realizzavamo, il lavoro divenne gradualmente più solitario, più tecnologico, le macchine all’inizio e i computer dopo, cominciarono a giocare un ruolo notevole nel nostro lavoro.

Non era più necessario fare grandi calcoli per trovare i valori di sostituzione, ora era sufficiente dare i parametri alla macchina, in modo che lavorasse per noi, ma naturalmente, era necessario dare loro i parametri giusti in modo che funzionasse correttamente.

Questo era il più grande rischio del nostro lavoro, commettere un errore, che, in qualsiasi altra posizione, avrebbe potuto portare al ritardo di un aereo o alla perdita di una lettera di corrispondenza ma, nel nostro caso, significava perdere l’opportunità di sorpassare il nemico, di capire cosa pensasse o come aveva pianificato di agire.

E tutto questo nonostante il fatto che la popolazione civile non fosse a conoscenza di nulla, certo, è vero che si parlava di tensioni tra le nazioni e che alcuni erano consapevoli delle politiche dall’altra parte della cortina di ferro, ma poco sapevano della “guerra di intelligence” che si svolgeva ogni giorno.

In un primo momento il nostro lavoro era facile, i messaggi, o venivano tradotti oppure no, tutto lì, quando sono tradotti hanno un significato e possono essere letti, se non si trova la chiave non si può sapere cosa dicono, quindi era facile, si doveva solo provare combinazioni di chiavi fino a che non avesse senso.

“Alle undici nell’Ambasciata”, “Sotto la statua di …”, o “continuare a sud, vicino al confine…”.

A volte erano solo frammenti di qualcosa, brevi, istruzioni specifiche, dirette a qualcuno che doveva agire.

Molte volte, sapevamo cosa significassero e la nostra missione terminava quando restituivamo il messaggio con la traduzione, in modo che l’esercito sapesse chi era stato intercettato e, dopo aver scoperto il suo contenuto, potesse prendere le misure appropriate, che non ci riguardavano, quello non era il nostro compito.

Ma la cosa più difficile era, quando i messaggi avevano più di un significato, cosa che ci prese tempo capire, perché continuavano ad usare lo stesso metodo, decodificare e inviare.

Gli alti ranghi iniziarono a lamentarsi dei nostri risultati, “non eravamo accurati”, ci dissero più e più volte. E noi eravamo sorpresi, non capivamo come fosse possibile, eravamo riusciti a decifrare il messaggio, come avevamo sempre fatto. “Dietro il terzo albero” o ” alle undici stesso luogo.”

Il contenuto era lo stesso di sempre, avevamo fatto la decodifica corretta, nonostante i nostri capi non fossero soddisfatti.

La vita è così a volte, pensiamo di dare il nostro meglio e che questo sarà sufficiente, e tutto cambia da un giorno all’altro. Ricordo ancora quando dovetti trasferirmi in Spagna, conoscevo la lingua e alcuni costumi dei suoi abitanti, ma poco di più.

Ho sempre pensato che se fossi stato trasferito sarebbe stato a Washington, o se avessi dovuto andare all’estero sarei andato a Londra o a Parigi, ma a Madrid? Non me lo sarei aspettato! Cosa avrei fatto lì?

Una decisione che fece solo aumentare la mia curiosità di sapere cosa avrebbe potuto fare un matematico specializzato nella codifica e decodifica dei messaggi in quel paese.

Cercavo di lavorare il più duramente possibile, facendo del mio meglio, ma il mio lavoro all’epoca continuava a essere scartato dai miei capi. Non perché fallissi, non perché non lo facessi bene, ma perché dicevano: “Siamo andati all’ora indicata, e non abbiamo trovato nessuno! “o “non ci sono truppe dove diceva il messaggio!” il che mi sconcertava, e aumentava la mia pressione.

Spagna, che paese! cambiò completamente il mio modo di vedere la vita, all’inizio non mi relazionai con nessuno, lasciavo raramente l’ambasciata dove mi sentivo a mio agio, non conoscevo nessuno, preferivo rimanere a leggere, ma presto iniziarono ad invitarmi alle feste e non potevo rifiutare, dovevo partecipare come parte del personale.

Non ero un amante delle feste, e ancora meno di quella musica ad alto volume degli spagnoli, non capivo quel canto e quella danza perché tutto mi sembrava abbastanza confuso. Ho cercato di ascoltare i testi, guardando al contempo i movimenti appariscenti dei ballerini e non comprendevo il significato di tutto questo.

Nel giro di pochi mesi, sono stato chiamato a presentarmi al Comando Centrale, un organo dell’esercito spagnolo, e non sapevo molto bene per cosa, ma era un ordine, e si sa, bisogna sempre adempierli senza fermarsi a pensare!

Non appena arrivai, mi fermarono, non ci capivo niente, mi spogliarono di tutto quello che avevo e mi misero in una cella, dove mi trattennero per diverse ore.

– Ha scelto un brutto momento per uscire dalla sua ambasciata! – Mi disse un capitano con cui parlai per primo.

– Che cosa? – chiesi un po’ confuso.

– Il suo paese è in guerra! – mi disse quella persona.

– In guerra, ma cosa dice? – Chiesi sorpreso, pensavo di aver capito male.

– E in quanto militare, non può stare in strada – continuò a dire.

– No, non ero per strada, io stavo venendo qui…

– Chi se ne frega! Sta invadendo il nostro paese, e per questo che è in arresto.

– Invadervi? Con cosa, la mia valigetta e il mio cappello? – dissi sorpreso, non capivo quello che stava accadendo, ho anche pensato che stessi fraintendendo quello che mi diceva, cosa poco credibile, dato che avevo già testato più volte la mia conoscenza della lingua.

– Meno battute! Qui sono tutti sospettati fino a prova contraria, lei è in attesa di una corte marziale!

– Ma cosa dice? Mi hanno detto di presentarmi al Comando Centrale.

– Le hanno detto? Chi glielo ha detto? – mi chiese molto seriamente.

– Beh, ho ricevuto ordini da Washington.

– Bene, me li faccia vedere! – richiese impaziente.

–Non li ho con me, stavo solo facendo quello che mi è stato ordinato, in nessun momento mi è stato detto di mostravi alcun documento.”

– Sì, lo dicono tutti! Non sanno quello che fanno, eseguono gli ordini. Non è la prima spia che abbiamo dietro le sbarre.

– Spia? – chiesi sorpreso, mi aveva chiamato spia, non potevo crederci, era davvero un malinteso.

– Certo! O pensa che l’abbiamo rinchiusa per ammirare le nostre strutture dall’interno? Finché il nostro governo non deciderà cosa fare con voi, resterete rinchiusi, e preghi che il suo governo collabori, perché ‘ altrimenti … …

– Altrimenti cosa? – Chiesi spaventato, visto che quest’uomo era serio, e che stava per lasciarmi lì.

– Altri prima di lei, sono stati in questa stessa stanza e con quelle stesse sbarre, e non tutti sono tornati nel loro paese, la maggior parte ci sono serviti come moneta di scambio, ma il resto…

Ricordo di essere stato molto spaventato all’epoca, ma a proposito di moneta, dove ho lasciato le mie? Devo prendere il pane e non so dove ho lasciato i soldi, non devono essere lontano, forse in cucina, perché il pane è per la cucina.

Dopo aver controllato ovunque, alzando tutto quello che c’era e aprendo tutti i cassetti mi sono detto: “deve essere sul tavolo da pranzo, perché il pane è per mangiare.”

Andai lì e guardai ovunque senza successo, un po’ frustrato dalla situazione pensai,” Beh, non sarà importante” e mi sono seduto sul mio divano, accanto a una grande finestra di vetro da dove potevo vedere un piccolo giardino.

Non so quante volte non ho mangiato perché non mi ricordavo dove avevo lasciato i soldi, nonostante lo avessi scritto nel mio quaderno che portavo sempre con me, solo che a volte dimenticavo anche di guardarlo.

Questa cosa della memoria, sembra che non faccia che aggravarsi, a me, che dicevano che avevo la memoria fotografica! Che appena vedevo un messaggio una volta, ero in grado di impararlo a memoria per tradurlo mentalmente prima di qualsiasi computer, che dopo anni e anni di lavoro segreto riuscivo a ripetere ogni rapporto scritto per farmi un archivio personale.

La mia memoria, se ho potuto vantarmi di qualcosa nella mia vita è quella di avere una buona memoria, coltivata ogni giorno con molte ore di studio e di lettura perché anche se non sembra così, le lingue richiedono di essere continuamente praticate per non perderle.

Quante ore ho passato a studiare ogni lingua che conosco, o meglio conoscevo, o chissà se le conosco ancora.

È una cosa che, sorprendentemente, penso di non aver perso, la capacità di capire altre lingue, in televisione a volte metto uno di quei canali internazionali e lo capisco senza problemi… è come si dice sull’andare in bicicletta, “che non si dimentica mai per quanti anni si passino senza praticare.”

Cosa che mi ha aiutato molto a fare progressi nella mia carriera e ad arrivare, stranamente, a conoscere più segreti di molti Presidenti, dal momento che questi volevano solo risultati ed eravamo in pochi a sapere cosa fare in ogni caso.

Il mio compito di matematico era cambiato nel tempo e sono passato dalla traduzione di messaggi di altri, alla creazione di modelli complessi per crittografare i nostri. Non si trattava più di codificare una o due parole per gli agenti sul campo, la sicurezza doveva essere massima per tutti i documenti governativi, e ci chiesero che, in caso di fuga di notizie, i documenti rubati non potessero essere letti dai nostri nemici.

E da lì, senza che me lo aspettassi, mi passarono all’intelligence, beh, fino ad ora lavoravo per un loro dipartimento, ma poi diventò sapere tutto sui segreti.

Tutto quello che il governo nega o non dice ero il primo a scoprirlo e lo codificavo.

C’era un sistema all’interno del sistema, una codifica esclusiva per i documenti e i messaggi ultrasegreti, come amavano dire ai colleghi.

Questi, in nessun modo dovevano essere decifrati, così il lavoro era a volte estenuante, e la richiesta ancora maggiore.

Non si trattava più di sapere dove fossero le posizioni dei nemici, i loro avanzamenti, e persino i loro agenti sul campo, ora conoscevamo tutti i dettagli tattici e intimi delle persone rilevanti di un regime nemico, della loro famiglia, degli amanti… una grande quantità di informazioni classificate come vitali e che non dovevano essere alla portata di nessun altro se non la persona autorizzata.

Mi era sembrata solo una curiosità, qualcosa come quelle riviste che servono solo a ficcare il naso nella vita degli altri, ma a poco a poco mi sono interessato non tanto alle persone e alle loro relazioni, ma a certe questioni che erano nascoste all’opinione pubblica.

Ma mi era chiaro che non avrei mai dovuto dire niente, che la mia vita dipendeva da questo.

Non mi è mai passato per la mente di commentare nessuno di quelle carte, nonostante la gravità delle stesse, e poi guardavo in televisione notizie così assurde al riguardo, un incidente chimico, un incendio iniziato senza causa apparente, un aereo che caduto inspiegabilmente.

Non capisco come la gente possa restare così calma di fronte a queste assurde giustificazioni e che se si fermasse a pensare, si renderebbe conto che questa piuttosto che notizia è disinformazione su scala nazionale.

Così tante storie improbabili per insabbiare qualche operazione governativa o un attacco frustrato e nessuno si fermava a pensare a quanto suonasse strano.

Forse tutti preferivano guardare dall’altra parte, e non chiedere nulla, sentendosi così al sicuro, a volte ho sentito parlare de “la felicità degli ingenui” riferito a quando qualcuno non sa cosa gli stia succedendo intorno e questo gli dà un falso senso di felicità.

Centinaia e centinaia di interventi sul suolo americano con lo stesso risultato, “agente neutralizzato.”

All’inizio non sapevo cosa volesse dire, ma mi apparve chiaro che neutralizzato significa eliminato, poiché da quando la parola appariva nei rapporti, non si avevano più notizie di quell’agente.

Tutte le spie erano classificate, e ricevevamo regolari rapporti sui loro movimenti, su quello che facevano, con chi parlavano, con chi facevano sesso… finché un giorno, venivano neutralizzati, e da allora niente.

A volte leggendo il giornale che mi lasciano sul portico ogni mattina, mi chiedo se quello che leggo sarà vero o no. Alcune notizie sembrano così false che mi sorge il dubbio che siano affari del governo.

Anche se sono stato lontano da tutto questo per molto tempo, da quando sono andato in pensione, sono sicuro che il governo ha continuato a fare quello che crede meglio per la Patria, o almeno questo è quello che ci hanno sempre detto, “la libertà non è qualcosa che si ottiene per diritto, è qualcosa che si ottiene con la forza,” il nostro superiore all’Accademia ce lo ricordava di tanto in tanto.

All’inizio, dopo essere andato in pensione, ritagliavo le notizie più assurde sui giornali, una piattaforma petrolifera affondata da uno tsunami, un’esplosione di gas in una regione dell’Alaska… cose che non erano collegate, che non avevano né capo né coda, e cercavo di indovinare cosa fosse successo veramente.

Quando ero attivo non dovevo immaginare, sapevo esattamente chi avesse fatto cosa, quanti morti, e come veniva giustificato. E per quanto assurda fosse la notizia nessuno sembrava chiedere la verità di quanto accaduto, anche i parenti del defunto restavano “a proprio agio” con la “versione ufficiale”, senza mettere in discussione nulla.

In pochi mesi dal ritiro, avevo così tanti ritagli e così poche idee su ciò che era realmente accaduto, che lasciai perdere in quanto era impossibile sapere con certezza cosa ci fosse dietro ogni storia, o se qualcuna, o più di una, fossero collegate.

Ora, quando leggo il giornale, con notizie ovviamente assurde, sorrido e mi chiedo cosa abbia combinato il Governo questa volta.

A dire il vero, ho notato qualcosa di strano in tutte queste storie di spionaggio, mi rendo conto che era necessario tenere il nemico sotto controllo, ma a volte penso che, se non c’erano vere minacce per un po’ di tempo, stranamente il nostro governo interveniva per “riscaldare il clima” e gli altri erano obbligati a rispondere.

Non capisco molto il proposito di perdere la pace e la tranquillità che può offrire un periodo di calma, ma sembra che qualcuno delle alte sfere, evidentemente annoiato, approfittasse di quei momenti per infastidire il nemico e farlo reagire.

Così tante storie, non sempre con un lieto fine, che mi fecero pensare se non ci fossero altri interessi dietro, i trafficanti di armi dell’esercito erano sempre più interessati a che il governo resti in un modo o in un altro in stato di allerta, intervenendo in piccole o grandi guerre; ma poi ci sono i militari, che non avrebbero alcun senso in un paese tranquillo; e poi i politici, che spesso basano i loro discorsi sul sentimento patriottico contro i nemici, senza di loro cosa direbbero? o come giustificherebbero le spese?

Ognuno di loro voleva una cosa, tenere un alto livello di azione e di intervento contro i nemici, anche se questi nel corso degli anni cambiavano.

Paesi alleati diventavano obiettivi strategici, nuovi nemici emergevano, e paradossalmente, Paesi nemici da tutta la vita diventavano alleati chiave della zona.

Nonostante il mio accesso alle informazioni, non riuscivo a vedere l’intera equazione e a capire i movimenti coinvolti. C’erano molte cose che mi sfuggivano, e dire che avevo più informazioni di molti generali del mio governo.

Comunque sia, se quello fosse stato un gioco di scacchi, sarei passato dall’essere un semplice pedone all’essere una torre, un posto sicuro per i segreti del governo, ma lontano dalle figure centrali della scacchiera quelle che realmente prendono le decisioni… e a proposito di scacchi, con questa cosa della memoria, non capisco come possa riuscire a continuare a giocarci ogni giorno.

Mi avevano costretto a imparare a giocare a scacchi, un gioco insolito all’inizio, ma mi ha aiutato ad avere una mente agile, che si adattava molto bene con la matematica.

Ma in poco tempo non avevo avversari da battere, e gli altri si stancavano di giocare, perché perdevano sempre, così ho dovuto imparare a farlo da solo.

Un gioco con una scacchiera per due solo per me, il che mi creava un piccolo problema quando cambiavo posizione, e dovevo giocare con il colore opposto, e dal momento che conoscevo le strategie che stavo per applicare, dovevo pensare a come battermi da solo. In sostanza, una partita poteva diventare infinita, potevano passare giorni e giorni per vincerla.

Ad ogni modo, con questa cosa della memoria, diventava sempre più difficile per me seguire il gioco, perché appena mi alzavo per vedere qualcosa, e tornavo alla partita, non sapevo con quale colore di pedine stavo giocando.

Quindi, prima di alzarmi, dovetti iniziare a mettere degli appunti tipo “ora sposta quelli bianchi”, ma arrivò un momento, che mi dimenticavo perfino di scrivere gli appunti, così rimanevo lì, guardavo e guardavo la scacchiera, cercando di indovinare con quali pedine avrei dovuto giocare, ed era perfino difficile pensare alle mosse.

Era imbarazzante, io che presumevo di essere in grado di vedere l’intera partita appena iniziavo a giocare, ed essere in grado di dire in quante mosse avrei vinto, ora, invece, diventava stranamente difficile concentrarmi per sapere cosa fare.

Pertanto, gli scacchi diventarono una delle tante cose che ci sono in casa, cianfrusaglie che suppongo a un certo punto siano servite, ma ora servono solo come ornamento.

Molte le ho riposte nei cassetti, quindi non sono d’intralcio, ma poi, non ricordo nemmeno che ci siano.

A volte mi diverto aprendo i cassetti, a sorprendermi con la quantità di oggetti che ci sono, di alcuni avevo sensazione di vederli per la prima volta, ma non può essere, se sono lì è perché io ce li ho messi, ma non riuscivo a ricordare, né quando, né dove li avevo comprati, se fosse stato mio o di qualcuno che me lo aveva prestato e, a volte, non sapevo nemmeno a cosa servisse, quella “robaccia”.

Nemmeno le piante, di cui mia moglie si preoccupava così tanto, nemmeno queste, sono sopravvissute alla mia dimenticanza. E questo nonostante mi avesse detto, “prima del pisolino, dalle un po’ d’acqua e dureranno per sempre”, ma non riuscii a ricordare perfino quella semplice istruzione e tutte finirono per seccarsi.

La signora che veniva a fare le pulizie di tanto in tanto, mi portava una nuova pianta per “portare gioia in casa”, come diceva, e mi diceva quando innaffiarla, ma nonostante tutto non sopravvivevano.

Beh, era meglio per me, così non avevo più obblighi, di quelli che mi pesavano per non sapere se li avessi adempiuti o meno.

Credo di aver obbedito troppo nella mia vita, e ho anche fatto molto più dei miei doveri patriottici, se così si può dire.

Per fortuna non ho mai dovuto usare una pistola, ma non sono ingenuo, le informazioni che ho maneggiato hanno portato alcuni alla morte, in particolare spie della parte avversa, ma soprattutto ho salvato delle vite.

Fortunatamente per tutti, la matematica è definita e non importa quanta immaginazione ci mettiamo, c’è sempre qualche elemento che può essere usato per decodificare, è solo questione di tempo e fatica.

Così abbiamo potuto stare al passo con i progressi dei nostri nemici, molte volte senza intervenire, in modo da non rivelare che eravamo in grado di leggere i loro messaggi, poi tutto si è complicato.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il nostro paese assunse un ruolo rilevante in tutto il mondo, non era più un paese che si limitava a controllare i propri confini, ora manteneva la pace del mondo, e il nostro lavoro divenne così complicato che mi inviarono in Europa, perché in quel momento era di grande interesse politico per il nostro paese.

La minaccia nazista aveva messo sotto scacco l’intelligence di tutti i paesi europei, ma soprattutto la nostra, e questo indipendentemente dalla distanza, qualcosa che non avevo capito fino a quando non sono arrivato lì.

A quel tempo, nessuno aveva notato il pericolo reale di quel movimento popolare, o di tutto ciò che era accaduto dopo, e non doveva ripetersi.

Ecco perché sono stato mandato lì, per studiare il più possibile i progressi nella codificazione degli europei, che negli ultimi anni erano stranamente molto avanzati, una cosa che avevo potuto osservare nel tempo, come i grandi progressi tecnologici avvengano in tempi di guerra e non solo in termini di sviluppo delle armi.

Non so perché, se per la necessità di sopravvivere o altro, ma il progresso, quando c’è un pericolo imminente, è evidente e niente di meglio che l’Europa per dimostrarlo, sempre minacciata da una parte o dall’altra, eppure guardate come sono progrediti superando i loro concorrenti e diventando leader mondiali in molti campi, e nonostante, in pratica, abbiano dovuto ricostruirsi dalle fondamenta dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Beh, ad ogni modo mi mandarono in Europa come diplomatico, addetto culturale con una missione, per imparare dai nostri alleati, come erano considerati gli europei in quel momento, in cambio avrebbero ricevuto dal nostro governo supporto tattico, in modo da poter ricostruire le loro città e villaggi.

All’inizio tutto andò per il meglio a parte l’incidente in Spagna, dal quale a non dare niente per scontato e a coprirmi le spalle molto bene. Qualcuno aveva cercato di allontanarmi da lì, e non me ne ero nemmeno accorto. Alcune false istruzioni che non avevo mai visto mi avevano fatto mettere dietro le sbarre in attesa di un processo militare.

Per fortuna in quei tempi difficili non tutti pensavano che fossi un traditore, e con un aiuto dall’interno sono riusciti a tirarmi fuori e a farmi uscire dal paese, con la promessa di non tornare mai più pena la condanna a morte.

“Un esilio è meglio della morte”, pensavo, ma ero stato lasciato al confine francese senza sapere cosa fare.

Non era molto più sicuro del paese da cui ero venuto, perché dovetti cercare una sorta di ambasciata o una base militare, da cui poter comunicare con il mio comando, per dare segni di vita e richiedere istruzioni.

Come potei, e dopo aver passato un sacco di difficoltà, sono finalmente arrivato in Inghilterra e lì mi sentii a casa.

Giunto al confine potei mostrare i miei documenti e mi trattarono molto bene, all’inizio mi mandarono in una vicina base militare, per confermare la mia storia, ma quando furono sicuri che fossi chi dicevo di essere, tutto fu più facile.




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La Spia Juan Moisés De La Serna

Juan Moisés De La Serna

Тип: электронная книга

Жанр: Шпионские детективы

Язык: на итальянском языке

Издательство: TEKTIME S.R.L.S. UNIPERSONALE

Дата публикации: 16.04.2024

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О книге: Il silenzio aveva già preso possesso di ciascuna delle stanze della casa, tanto che a volte era difficile per me andare lì, dove così tante cose erano accadute in famiglia.

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