Eternamente Il Mio Duca
Dawn Brower
Un amore che solo una fiaba può disegnare. Un amore che solo una fiaba può disegnare. Lady Delilah Everly non ha avuto la vita meravigliosa che si potrebbe immaginare. Il Male non può neanche lontanamente descrivere sua madre e il modo in cui ella si è comportata con chi invece avrebbe dovuto amare. Ciò ha indurito il cuore di Delilah ed ella ha imparato presto che doveva dipendere da se stessa , iniziando ad acquisire le conoscenze necessarie per camminare sulle proprie gambe. Marrock Palmer, il Duca di Wolfton, non riesce a comprendere la piega che ha preso la sua vita. Per proteggere sua sorella ha dovuto uccidere suo padre. Questi non era una brava persona, ma l’averlo ucciso ha sviluppato in Marrock un senso di colpa così grave da devastare la sua esistenza. Sia Marrock che Delilah partono per un viaggio. Per un disegno del destino, che nessuno poteva immaginare, le loro esistenze si incrociano.. Nel loro cammino devono imparare a fare affidamento l’una sull’altro. Strada facendo capiscono che potrebbero vivere un amore eterno ma solo attraverso un atto di fiducia totale che permetterà loro di accettarsi completamente, con tutti i loro difetti.
Dawn Brower
Eternamente il mio Duca
ETERNAMENTE IL MIO DUCA
SERIE SEMPRE AMATI VOLUME 4
DAWN BROWER
TRADOTTO DA PATRIZIA BERRERA
EDITO DA TEKTIME
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi sono frutto dell’immaginazione dell’autrice o sono utilizzati in modo fittizio e non hanno alcuna attinenza con la realtà. Qualsiasi riferimento a luoghi, organizzazioni, persone e fatti reali è puramente casuale.
Eternally My Duke 2019 Copyright © Dawn Brower
Cover Artist and Edits Victoria Miller
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere utilizzato o riprodotto elettronica o a mezzo stampa senza l’esplicita autorizzazione dell’autrice, fatto salvo alcuni brevi paragrafi per recensione.
RINGRAZIAMENTI
Grazie a tutti coloro che mi hanno aiutato a realizzare questo libro.
Elizabeth Evans, sei la mia numero uno! La migliore di sempre! Grazie ancora al mio Editore e grafico, Victoria Miller. Tu mi aiuti a diventare una scrittrice di sempre maggior talento e senza di te non sarei arrivata dove sono oggi. Il tuo estro artistico è sempre eccezionale!
A tutti coloro che credono nell’Amore. Che la vostra vita ne sia ricca, sempre.
PROLOGO
La tenuta del Conte di Townsend si trovava vicino alle decadenti spiagge di Saint Ives, in Cornovaglia. Lady Delilah Everly aveva sempre adorato la sua casa avita. Aveva passato lì i primi nove anni della sua vita. Quando il padre era morto e il titolo era passato a suo cugino, Oscar Everly, si era lamentata del fatto che non poteva più rimanervi a lungo. Anche sua cugina non era molto più grande di lei: era maggiore di cinque anni e frequentava ancora Eton ma sua madre, l’avida strega, voleva immediatamente prendere possesso di tutto. Le piaceva il suo ruolo di madre di un Conte. Per fortuna il tutore di sua cugina era un brav’uomo e aveva permesso loro di rimanere lì fin quando ne avessero avuto bisogno. Sua madre era determinata a fare un’altra partita per la sua scalata sociale. Per lei non era abbastanza essere la moglie di un Conte. Desiderava un giorno diventare Duchessa e avrebbe fatto qualsiasi cosa per raggiungere il suo scopo. Lady Penelope, sua madre, aveva puntato gli occhi su qualcuno che potenzialmente avrebbe potuto ereditare un ducato: era il meglio che poteva sperare, da vedova. Il povero Lord Victor Simms non aveva capito a cosa avesse destinato la sua famiglia e al futuro che il figlio Ryan avrebbe avuto, grazie alla madre di Delilah! Qualche volta Delilah si era chiesta se sua madre non avesse aiutato suo padre a morire prima del tempo. Aveva cominciato a temerlo nel profondo della sua anima quando il patrigno era defunto nello stesso modo in cui era morto suo padre. Di sicuro non poteva essere una coincidenza! Pur di sopravvivere Delilah aveva indurito il suo cuore e sfoderato tutte le sue armi: sua madre non era una persona facile con cui convivere. Era capace di usare chiunque, perfino le sue figlie. Sua sorella Mirabella era troppo delicata e non era adatta alle mire di sua madre: quindi Delilah si sentiva in dovere di trovare lei un marito e sfuggire così entrambe al comportamento perverso di sua madre. Ma aveva solo sedici anni e non c’era molto che potesse fare. Non nelle terre selvagge del Dorset, e nemmeno tornando a Saint Ives, ma lei aveva scritto al cugino chiedendo il suo aiuto. Adesso era lui a possedere il controllo sull’intera proprietà e avrebbe potuto dare loro una mano più agevolmente. Ma suo cugino non le aveva risposto e ora dubitava che l’avrebbe mai fatto.
“Delilah – urlò in quell’istante sua madre – venite subito qui!" Ho bisogno che accendiate il fuoco!”
Ryan era stato relegato a fare il servo di sua madre. Quando il nonno era venuto a prenderselo per portarlo via questo ingrato compito era passato a Delilah. Mirabella aveva sempre la testa tra le nuvole o, per meglio dire, sui libri. Anche se ormai non aveva più molto da leggere. Il denaro scarseggiava ed erano stati costretti a vendere tutto ciò che non era inchiodato. Delilah non aveva idea di quanto tempo potevano ancora sopravvivere. Avevano un unico servitore: la cuoca. Senza quell'anziana donna sarebbero letteralmente morti di fame. Nessuno di loro era capace di usare il forno o anche solo scaldare l’acqua per il the! Rabbrividì a questa idea. Delilah scese le scale ed entrò in salotto. Almeno erano fortunati ad avere un posto in cui vivere. Il castello era di Ryan e lui avrebbe anche potuto ordinare loro di andarsene. Un giorno lo avrebbe ringraziato per la sua generosità, lui avrebbe dovuto odiarli tutti per il modo in cui era stato trattato. Raggiunto il salotto si asciugò le mani sul vestito logoro e si avvicinò a sua madre.
“Avete gridato ?” La donna aggrottò la fronte.
“ Non perdete altro tempo, ragazza – la rimproverò sua madre, agitando una mano verso il camino. Non una ciocca dei suoi bruni capelli era fuori posto. Il suo vestito, per quanto vecchio e consumato, era impeccabile. A Lady Penelope non piaceva essere in disordine o sporcarsi le mani con il lavoro.
“Accendetelo voi". Ho freddo – rispose Delilah, nel contempo stringendosi le braccia intorno al corpo per un maggiore effetto.
“Non ne sono capace – rispose la madre – Nessuno di noi ha mai saputo come si fa.”
Ryan era andato via da soli due giorni e stavano già sprofondando, e anche malamente. Se non avessero presto imparato a prendersi cura di loro stesse non ci sarebbe stato un futuro. Non era certo una bella situazione.
“Siete una persona inutile – la rimbeccò la donna – Andate a chiamare la cuoca e provate a imparare come si fa, mentre lei accende il fuoco.”
Delilah alzò gli occhi al cielo e fece come sua madre le aveva ordinato. Entrò in cucina e disse alla cuoca, Freya Mac Tavish:
“Per favore, m'insegnate come si accende il fuoco?" Improvvisamente ebbe un’intuizione: ben presto con le loro magre finanze avrebbero dovuto privarsi anche di lei. “ E m'insegnereste anche a cucinare?”
“Certo – rispose Freya – venite con me.” E si avviò lentamente verso il salotto. Delilah poteva sentire letteralmente le sue ossa scricchiolare ad ogni passo che faceva. Doveva avere più o meno settant’anni. Lady Penelope avrebbe dovuto da tempo licenziarla con una congrua pensione ma sua madre, fedele al suo modo di essere, la stava spremendo fino all’osso. Una volta in salotto la cuoca prese la scatola dell’acciarino e la porse a Delilah:
“Aprite mia cara." Lei eseguì.
“E ora cosa devo fare ? – chiese, tendendo la scatola aperta alla cuoca.
“Tirate fuori la molla d’acciaio e la pietrina. Date un colpo secco fino a che non farà la scintilla.”
Freya prese un pugno di paglia accendi fuoco e lo appoggiò accanto alla legna nel camino. Delilah prese il tirante d’acciaio e lo sfregò sulla pietrina, proprio sopra la paglia.
“Dovete fare più forte per ottenere le scintille".
Delilah scosse la testa e riprovò con più forza: subito dall’acciarino si levarono delle scintille e la paglia prese fuoco.
“Ci sono riuscita! – esclamò allegramente la bambina. Non era mai stata così felice di essere riuscita in qualcosa, prima d’ora!
“Brava! – si congratulò Freya.
“Era ora! – la redarguì invece sua madre – Ora servite subito il the.”
Delilah guardò sua madre, ma tenne la bocca ben chiusa, altrimenti la donna l’avrebbe usata molto meglio contro di lei. Magari avrebbe preso un bastone, per punirla della sua maleducazione: e non sarebbe stata la prima volta. Penelope esigeva sempre obbedienza.
“Sì, madre . – rispose, ma con tono sgarbato.
“No, non voi, ma Freya. Voi sedetevi qui. Dobbiamo parlare del vostro futuro.”
Era quello che sperava da tempo di evitare: ora che aveva compiuto sedici anni sua madre avrebbe provato a farla maritare e a lei la cosa non andava a genio. Non che odiasse il matrimonio. Erano le scelte di sua madre che temeva! Delilah guardò con la coda dell’occhio Freya, che le fece un cenno del capo di rimando.
“Venite da me, quando avrete finito – le sussurrò l’anziana donna. La cuoca aveva afferrato al volo senza bisogno di parole. Anche lei era stata spesso vittima degli umori di Lady Penelope.
Delilah si sedette accanto a sua madre, ma a sinistra. Se si fosse trovata più a portata di mano sua madre avrebbe potuto mollarle uno schiaffo, cosa che desiderava evitare. Sua madre, quando era arrabbiata, diventava anche molto manesca. Spesso aveva schiaffeggiato sia lei che sua sorella.
“Di cosa volete parlarmi? – chiese. Teneva la testa bassa, in segno di sottomissione. Sua madre non avrebbe accettato un comportamento diverso… a meno che non si trovassero in pubblico. In quel caso il suo atteggiamento con le figlie era nettamente diverso.
“E’ ora che vi sposiate. – cominciò la donna. Era quello che Delilah temeva. “Mi aspetto che facciate un buon matrimonio. Avete abbastanza qualità da riuscire ad accalappiare un uomo abbastanza ricco da mantenere anche me e vostra sorella.” Sbuffò con disgusto. “Quella non è buona a niente!”
Povera Mirabella! Quando c’era ancora Ryan, la madre sfogava le sue ire su di lui. Partito il cugino, doveva trovare qualcun altro su cui sfogarsi. Ryan per un po’ aveva fatto da tampone e Mirabella era un bersaglio troppo facile per Lady Penelope. Non aveva una gran forza di carattere e poche armi per difendersi. Perciò nella maggior parte dei casi era Delilah la preda preferita di sua madre.
“Capisco – rispose. E in effetti era così. Sapeva che si ritrovavano in ristrettezze economiche e che per uscirne sua madre era disposta a vendere le sue figlie al miglior offerente. Tremò al pensiero di sapere chi avesse scelto Penelope per lei! “Cosa volete che faccia?”
“Voi e vostra sorella dovete accomodare tutti i nostri abiti, in modo che siano più adeguati alla moda.” Sua madre tamburellò nervosamente con le dita sulla sedia. “Sto per farvi fare la vostra entrata in società. Come sapete le nostre finanze sono limitate. La bella stagione sta per iniziare e sono fiduciosa che , prima dell’anno nuovo, avrete trovato un buon partito con cui accasarvi.. Ho già scritto a vostro cugino,che ci ha permesso a tale scopo di usare la villa di Londra.”
Oscar aveva risposto a sua madre e non a lei? Delilah non si era mi sentita così tradita in vita sua! Il cugino sarebbe dovuto stare dalla parte della sua famiglia d’origine piuttosto che di quella acquisita!
“Ah sì? – esclamò, incapace di nascondere la sua sorpresa – Non credevo che voi e il Conte vi scriveste!” Sua madre non faceva altro che lamentarsi di non avere avuto un figlio maschio in grado di ereditare la Contea di Townsend!
“Certo che sì! – rispose lei – Sono la Contessa vedova! Il mio matrimonio non ha mai annullato la volontà di vostro padre! Abbiamo diritto ad una retta trimestrale e mi tocca spesso di ricordare a vostro cugino che siamo ancora vive!”
Sicuramente aveva anche provato a mungerlo più del dovuto, pensò Delilah. Non riusciva mai a controbattere per bene alle parole di sua madre. Riparare gli abiti non sarebbe servito a molto: erano comunque vestiti vecchi, da persone povere, e loro lo erano malgrado l’entrata in società. Sicuramente sua madre aveva un piano migliore.”
“Va bene – rispose alla fine – vedrò di farmi aiutare da Mirabella. Dai suoi abiti e i miei assemblati insieme vedremo di tirar fuori qualcosa alla moda.” In realtà ci sarebbe voluto un miracolo. I loro vestiti erano tutti molto vecchi e per la maggior parte del tempo erano stati chiusi a prender polvere in un baule in soffitta. Era convinta che appartenessero alla madre di Ryan.
“Brava ragazza – le disse sua madre. Ma Delilah non si sentì confortata dalle sue parole. E non si aspettava nemmeno che sua madre lo capisse. Quando sua madre sorrideva a quel modo era più per falsità che per affetto. “Siete sempre stata la mia figlia preferita.. e la più carina.” Lo diceva solo perché fisicamente Delilah le assomigliava, mentre Mirabella era più simile a suo padre.
“Sì, madre – rispose la ragazza stancamente – Posso andare adesso? “
“Certo – esclamò sua madre, con fare sprezzante. Delilah fece un profondo respiro e si alzò; poi prese a camminare con calma, mentre usciva dalla stanza. Se fosse stata troppo veloce o se addirittura si fosse allontanata di corsa la madre l’avrebbe richiamata per tormentarla. Era meglio che la donna non capisse quanto quella conversazione l’avesse invece sconvolta.
“A proposito, mia cara – la richiamò la madre, quando Delilah era già fuori della porta. Lei si voltò.
“Sì, madre ?“
“Vi prego di non metterci troppo tempo, con quell’ammodernamento.” Il suo sorriso era diventato minaccioso. “ Partiremo per Londra a brevissimo.”
Maledizione! E sicuramente si aspettava che avessero finito tutto entro una settimana! Quindi, considerando i tempi per andare e tornare, avrebbero avuto molto meno di sette giorni per sistemare gli abiti!
“Saremo pronte, madre.“ Delilah digrignò i denti e infine uscì dalla stanza. Voleva a tutti i costi sfuggire alle grinfie di sua madre, ma non a costo di sposare un vecchio satiro, e i suoi soldi non le sarebbero stati comunque utili. Avrebbero solo garantito maggior potere a sua madre, e quella era l’ultima cosa di cui Lady Penelope aveva bisogno! No, Delilah avrebbe cercato un altro modo. In un mondo immaginario avrebbe desiderato di portarsi via con sé anche Mirabella, anche se non era sicura che la sorella fosse della stessa idea. Ella sperava e pregava di sottrarla al dominio di quella strega di sua madre. Nessuno meritava di essere trattato come uno zerbino su cui pulirsi continuamente i piedi! La prima cosa era imparare velocemente tutto ciò che Freya fosse stata in grado di insegnarle. Se fosse riuscita a provvedere a se stessa da sola, allora uno scenario infinito di possibilità le si sarebbe aperto davanti! La cosa più importante era mettere da parte un po’ di soldi. Cercava di risparmiare ovunque potesse, e soprattutto senza dire niente alla sua avarissima madre. Sperava un giorno di poter iniziare una nuova vita, e si augurava che fosse presto: non poteva aspettare! Di una sola cosa era sicura: piuttosto che sposare un uomo imposto da sua madre sarebbe rimasta zitella a vita! I prossimi mesi sarebbero stati i più difficili, ma c’era un modo sicuro per far desistere qualsiasi gentiluomo da eventuali proposte: descrivere loro come era realmente sua madre in privato, e sarebbero tutti fuggiti a gambe levate! In pubblico quella donna era affabile e gentile come ci si aspettava che fosse una persona normale. Quella bella facciata aveva già ingannato due poveracci, che probabilmente si erano amaramente pentiti di averla sposata..fino alla morte. Delilah non aveva voglia di fregare nessuno e nemmeno di giocare al rialzo.
“Eccomi qui – disse Delilah a Freya entrando in cucina – Sono pronta. Insegnatemi quel che sapete.”
La cuoca sorrise e le porse una ciotola. Poi cominciò a istruirla su come fare il pane. Non ci volle molto perché Delilah facesse un bel panetto, pronto a lievitare. La ragazza si scostò i capelli dalla faccia e rimirò quello che era riuscita a fare. Era coperta di farina dalla testa ai piedi e non si era mai sentita tanto sporca e in disordine, ma era felice. Il suo piano avrebbe funzionato. Delilah sorrise dentro di sé: sua madre non l' avrebbe mai capito, ma era riuscita fare della figlia un temibile avversario e avrebbe presto compreso le conseguenze della sua crudeltà.
CAPITOLO PRIMO
Dieci anni dopo
Il dolore gli urlava nella mente e le immagini che Marrock voleva cancellare erano sempre lì. Qualsiasi cosa provasse a fare, esse erano fisse, incancellabili. Ogni volta che chiudeva gli occhi, diventavano sempre più vivide, ma non era questo il problema. Aprendo gli occhi esse danzarono fuori prima che se ne rendesse conto. Erano ricordi ancora più cruenti di quelli che aveva realmente vissuto e continuavano a vivere ad ogni suo respiro..
Aveva ucciso suo padre! Sì, il vecchio bastardo non gli aveva dato altra scelta, tuttavia Marrock aveva giocato un ruolo importante nella sciagura. Suo padre gli avrebbe comunque sparato senza provare un briciolo di rimorso. Però, adesso Marrock avrebbe dovuto lottare con il suo senso di colpa per il ruolo che aveva ricoperto.. Non poteva fare a meno di pensare che se avesse agito in modo diverso, in qualsiasi altro modo, suo padre sarebbe ancora vivo. Con tutto ciò Marrock non era un ingenuo. Era consapevole che suo padre non era una brava persona e che, anche se fosse stato ancora vivo, avrebbe vomitato veleno ad ogni suo respiro. IL vecchio Duca non aveva mai nascosto i suoi sentimenti: odiava entrambi i suoi figli. Soprattutto perché non credeva che né lui né Annalise fossero in realtà sangue del suo sangue. Per vari giorni Marrock aveva sperato che ciò fosse vero, ma purtroppo quell’uomo corrotto era stato davvero il loro padre. Ora che era morto doveva avere ancora di più a che fare con lui. Era ormai il Duca di Wolfton e avrebbe dovuto svelare tutto il male che il padre aveva fatto. Quegli aveva avuto le mani in pasta un po’ dappertutto e i suoi vili sentimenti lo avevano spinto ad atti indegni. L’urgenza di evitare di accollarsi il peso di questa responsabilità era enorme: Marrock non aveva mai desiderato diventare Duca. Era cresciuto consapevole che un giorno avrebbe ereditato il titolo, ma in cuor suo sperava che questo sarebbe avvenuto dopo tanti, tanti anni. Ad ogni modo, avrebbe dovuto sentirsi sollevato. La vita con suo padre era stata un’esperienza orribile! Nulla di ciò che faceva o che avrebbe fatto aveva mai ricevuto l’approvazione di suo padre. Avrebbe tanto desiderato la sua considerazione, anche per cose sbagliate! Ma suo padre non gliel’aveva mai concessa e ben presto Marrock si era reso conto che mai sarebbe successo. Alla fine aveva smesso di chiedergliela. Aveva bisogno di un goccetto. Ok, forse era meglio di no, l’alcool avrebbe aggravato le cose, anche se peggio di così… La sua vita era un disastro e non aveva la più pallida idea di come rimettere le cose a posto. Forse aveva bisogno di andarsene: magari questo gli avrebbe permesso di fare luce in quel buio melmoso.
“Siete ancora qui a tormentarvi? “ – esclamò una voce maschile dal fondo della stanza. Marrock guardò con aria torva Ryan, il marchese di Cinderbury. Di recente quegli aveva sposato sua sorella Annalise. Benché Marrock fosse felice per sua sorella, non aveva alcuna intenzione di passare del tempo con lei o con Ryan.
“Dovete cercare di dimenticare – gli disse Ryan, per la centesima volta in quei giorni, dopo la tragedia. Sia lui che Annalise avevano cercato di sollevarlo dal suo senso di colpa. Non era il caso che provasse rimorso. Né lui né Annalise avevano davvero perso un padre. Lui non li aveva mai amati. E malgrado ciò Marrock non aveva mai desiderato realmente la sua morte.
“Non è che se continuate a ripetermelo riuscirò a dimenticare tutto semplicemente schioccando le dita! – disse Marrock, ribadendo il concetto con un gesto inequivocabile della mano. – Non funziona così. Comunque non preoccupatevi per me, sto bene.”
“Davvero? “ Ryan aggrottò la fronte e poi andò a sedersi su una poltrona accanto al divano su cui Marrock era sdraiato. “ Forse lasciare per un po’ questo posto potrebbe essere una buona idea. Allontanarvi da qui potrebbe esservi d’aiuto.”
Il suo nuovo cognato era capace di leggere nella mente? Marrock ci aveva già pensato tempo prima.
“E dove suggerireste di andare? – chiese.
“In qualsiasi posto che non sia questo! – esclamò quegli. – Annalise ed io andremo presto nel Kent per una visita di cortesia. Mia cugina Estella e suo marito, il Visconte di Warwick, sono ospiti al castello Manchester e siamo stati invitati anche noi. Potete venire anche voi, se vi va.”
“No! – esclamò Marrock con foga, scuotendo la testa – Non voglio la vicinanza di nessuno!”
“Capisco.“ Ryan si sporse verso di lui. “Tuttavia ne converrete che è meglio che vi prendiate una pausa, da questo posto e da tutto ciò che riguarda l’ex Duca di Wolfton.”
“Sì – ne convenne Marrock, con un profondo sospiro – Questa non è nemmeno la location adatta per un Wolfton. Mio padre comprò la proprietà solo per cacciare i parenti di mia madre.”
“E sicuramente non desiderate tornare al castello Wolfton!” Ryan rabbrividì al pensiero. Marrock non poteva dargli torto. “ Ciò renderebbe vano lo sforzo.”
“Prima o poi dovrò tornarci – disse Marrock. Ma non aveva alcuna voglia di farlo ora, però. “ Tuttavia non posso che darvi ragione, andarci adesso non mi sarebbe di alcun aiuto, anzi..Ma non saprei proprio dove andare…”
Odiava sia il maniero che il castello: li aveva sempre sentiti.. aridi. Privi di qualsiasi sentimento, di vita o di senso di famiglia. Suo padre era capace di far sentire tutti come stranieri in procinto di andarsene. Quindi qualsiasi residenza familiare emanava la stessa sensazione di aridità.
“Annalise suggeriva una cosa – incalzò Ryan – ma non so se può piacervi.”
Magari una volta Annalise poteva avere avuto un’idea decente, chissà! In fondo già l’aver sposato Ryan era stata una buona intuizione.
“Vostro padre aveva da poco acquistato un capanno di caccia in Scozia. Più o meno una settimana prima che…”
“Che morisse! – finì la frase Marrock. – L’ho ucciso io, potete anche parlare liberamente!”
“Non avete commesso un patricidio – disse piano Ryan – Vi siete difeso prima che lui uccidesse voi. Non c’è nulla di sbagliato nel proteggere se stessi.”
“Semantica. – rispose Marrock. Non aveva alcuna intenzione di girare intorno alle cose. “ Come stavate dicendo.. “
“Come volete. Non ho voglia di polemizzare con voi su queste cose. Ne abbiamo già discusso abbastanza.” Sospirò. “Come dicevo, il casino di caccia è stato acquistato una settimana prima della.. tragedia. Annalise ne è venuta a conoscenza frugando tra i documenti, nel tentativo di aiutarvi a riordinarli. Non sa nulla riguardo questa proprietà.”
“Quindi potrebbe trovarsi anche nello sfacelo più totale – disse Marrock. Picchiettò il bracciolo del divano con un dito. “ Potrebbe essere divertente. “ La sua vita versava nel caos totale. Perché dunque non andare a vedere un posto verosimilmente nelle stesse condizioni caotiche?
“Mah – esclamò Ryan con fare ironico – credo che ci sia differenza tra quello che voi definite divertente da quello che lo è davvero…Comunque, pensate di farci un salto?”
“Penso di sì – rispose Marrock – Forse andare in Scozia potrebbe essere il diversivo di cui ho bisogno. “ E non avrebbe neanche avuto il cognato e la sorella tra i piedi, il che non era poco!
“ Porterò con me il mio cameriere e partirò domani alle prime luci dell’alba.” Aveva urgenza di fuggire da lì! “ E dove si trova, precisamente, questo delizioso casino di caccia?”
“A Kirtlebridge – disse Ryan – Ho già lasciato degli appunti sulla vostra scrivania.” Ryan si alzò e si aggiustò il panciotto. “Riferirò ad Annalise che avete seguito il suo consiglio. Spero che vi faccia bene. Sia io che vostra sorella desideriamo ardentemente il vostro bene.”
“Lo so. Conosco i vostri sentimenti – sussurrò Marrock – Questo è molto importante per me, ma devo risolvere i miei problemi da solo.”
Ryan annuì e si accomiatò. Marrock aveva detto che se ne sarebbe andato l’indomani all’alba, ma più ci pensava, più l’idea di andarsene prima lo stuzzicava. Avrebbe potuto prendere un po’ di bagaglio e partire a cavallo. Poteva cavalcare senza fretta e riposare quando il cavallo era stanco. Ci sarebbero voluti vari giorni per arrivare in Scozia e quel viaggio solitario magari lo avrebbe aiutato a snebbiarsi la mente e liberarsi del senso di colpa. Decise di fare così. Si alzò e si diresse rapidamente verso la sua stanza: prima avrebbe preso la sua roba, prima sarebbe arrivato a destinazione.
…………
In quegli ultimi dieci anni la vita di Dalilah era cambiata poco o niente. Era riuscita a sventare tutti i progetti di sua madre per darle marito. L’ultimo era stato quando il Duca di Wolfton aveva cercato di uccidere i suoi figli: sua madre aveva pensato di maritare lei o Mirabella al figlio di questi. In quell’occasione Delilah si era comportata in modo odioso e aveva convinto Mirabella a fare lo stesso. Il Marchese di Sheffield aveva praticamente in direzione opposta di entrambi.. Beh, il Marchese ormai era il Duca.. le cose erano diventate così complicate che lei stessa non riusciva a capire cosa era davvero successo. Ora però… Penelope era su tutte le furie. Stava per costringere Delilah a sposarsi, che le piacesse o no, e di sicuro a lei non piaceva! Sua madre era arrivata al punto che non le fregava nulla che il pretendente fosse giovane o vecchio: l’importante era che fosse ricco!
“Siete due figlie cattive e ingrate! – stava urlando con cattiveria Penelope – Ora una di voi sarebbe Duchessa e moglie di un uomo ricco e attraente!” Passeggiava in su e giù per la stanza, calpestando il tappeto vecchio e logoro. “ Perché non vi siete sforzate di apparire amabili o almeno pudiche? Nessuno è rimasto colpito da voi!”
Delilah si era impegnata al massimo per ottenere ciò! Certo che nessuno era rimasto colpito da loro! Era una ragazza troppo intelligente per conformarsi all’immagine che voleva sua madre. Per fortuna aveva messo da parte abbastanza soldi per andarsene via di casa e non guardarsi indietro. C’era voluto molto più tempo di quanto avesse preventivato, ma ora possedeva abbastanza soldi per fuggire in Francia o in America. Qualsiasi posto sarebbe andato bene, fintantoché sua madre fosse rimasta fuori dai piedi!
“Mi dispiace – disse Mirabella imbarazzata, guardandosi i piedi – Non so cosa mi sia successo.”
Sua sorella, solitamente dolce, aveva reagito in malo modo ai commenti caustici di Delilah, quando avevano visitato la tenuta del Duca. Delilah non aveva detto nulla, ma sua madre sì. Lady Penelope bramava che almeno una delle sue figlie facesse un matrimonio vantaggioso. Anche Mirabella aveva i suoi limiti.
“Non scusatevi – la redarguì Delilah – Non avete nulla di cui rimproverarvi.”
“E invece sì! – esclamò con furia sua madre , guardando fisso Delilah – Mirabella ha fatto tutto quello che voi le avete chiesto di fare! Non è vero, figlia cara? “ Penelope avanzò minacciosamente verso di lei. “ E ora sarete voi a pagare per questo bel giochetto. Ne ho abbastanza della vostra disobbedienza!” Le sue labbra si schiusero in un ghigno velenoso. “ So esattamente come riuscirete a ottenere il perdono mio e di vostra sorella!”
Delilah aveva paura a sapere come. Cos’altro poteva escogitare sua madre? Da sempre non le aveva regalato altro che infelicità!
“IL Barone Felton ha mostrato interesse nei vostri confronti – continuò sua madre – Inizialmente gli avevo detto di noi perché avevo altre mire per voi.. ma a questo punto non c’è altra scelta. Gli scriverò dicendogli che ardete dal desiderio di diventare sua moglie.” La soddisfazione che sua madre ci metteva in queste parole era da nausea! Delilah dovette farsi forza per non cedere all’impulso di fare qualche gesto irreparabile, tipo prendere a schiaffi sua madre. Magari sul momento si sarebbe sentita soddisfatta… ma sarebbe stato un grave errore. Forse poteva provare a farla ragionare. Il Barone era vecchio, calvo ed emanava un pessimo odore. Le macchie di vecchiaia che aveva sulla faccia lo facevano sembrare addirittura decrepito. Lei cercava di evitarlo ogni volta che lui si avvicinava e sua madre pretendeva che lo sposasse? Questo mai! Chiunque altro ma NON il Barone Felton!
“Ma, madre.. – provò a dire. Ma la donna la bloccò.
“No, non riuscirete a convincermi del contrario! Questa sarà la vostra punizione. Salverà noi e v'insegnerà a stare al posto vostro! “ Prese il mento di Delilah con una mano e la costrinse a guardarla negli occhi. “ Ma non disperate, figlia mia. E’ così vecchio che non vi darà fastidio a lungo! Potrebbe andare anche molto peggio!”
Delilah rabbrividì al significato nascosto delle sue parole. Penelope l’avrebbe aiutato a disfarsi del vecchio marito, ma non prima che lei lo avesse accolto nel suo letto. Non ci potevano essere dubbi sulla validità di quel matrimonio. Il denaro era molto più importante della dignità di sua figlia. Decise di lasciarle credere che avrebbe obbedito, in modo che la madre la lasciasse più libera, o almeno le permettesse di pensare al da farsi.
“Sì, madre. – rispose a testa bassa. Non appena sua madre avesse deviato l’attenzione da lei, sarebbe fuggita.
“Ecco la mia brava , figlia . – esclamò la donna con un sorriso. Poi, canticchiando, lasciò la stanza. Sicuramente si sarebbe precipitata a scrivere quella lettera.
“Delilah .. – disse Mirabella. Passeggiava nervosamente in su e in giù per la stanza, scuotendo la testa ad ogni passo.
“Non siate in pena per me..– la rassicurò Delilah. Non voleva che sua sorella si facesse idee strane in testa. Non voleva che pensasse di sostituirla come moglie del Barone Felton, se lei fosse fuggita! Nessuna delle due sarebbe caduta nella trappola della madre!
“Non sposerò quell’odioso Barone, e nemmeno voi. E’ tempo che ce ne andiamo da qui!”
“Non posso ! – Mirabella si torceva le mani per la disperazione – Nostra madre..”
“A lei non importa di nessuna di noi due! – disse Delilah – Per favore, fuggite insieme a me.”
Impiegò molto tempo nel tentativo di convincere la sorella che la loro madre era dannosa per la vita di entrambe. Lady Penelope non aveva mai avuto a cuore la loro felicità. A lei importava di una sola persona: se stessa. Ma sua sorella scosse il capo.
“ No. Comprendo che voi dovete andarvene. Ma io… non ho il vostro stesso coraggio.. “ Si mordicchiò un labbro mentre una lacrima le scivolava giù per la guancia. L’ansia di dover fuggire era già troppo per lei. Delilah sospirò: Mirabella aveva scelto l’occasione sbagliata per ostentare la sua ostinazione. Era uno dei pochi difetti di sua sorella: di solito era dolce e malleabile, ma a tratti diventava irremovibile nelle sue decisioni. Lei avrebbe tanto desiderato che Mirabella e lei scappassero insieme, ma aveva sempre saputo, da molto prima che Mirabella si comportasse così, che non sarebbe mai successo. Provava un forte dolore al pensiero di abbandonarla lì, da sola con sua madre. Lady Penelope le avrebbe reso la vita impossibile. Se sua sorella non fosse stata così testarda…
“Quando mi sarò sistemata vi scriverò. Se cambiate idea, potrete sempre raggiungermi. Avete capito? “ Forse Delilah non era riuscita a convincerla, ma poteva darle una speranza a cui aggrapparsi nei momenti bui della vita. Lady Penelope sarebbe diventata ancora più odiosa, non appena avesse scoperto la fuga di Delilah. Mirabella aveva urgenza di un punto fermo che le desse consolazione, quando l’ira di sua madre sarebbe ricaduta su di lei. La sorella annuì col capo.
“ Vi prego, abbiate cura di voi. – disse.
“Sempre! – rispose Delilah, abbracciandola. Poi lasciò la stanza. Doveva solo fare i bagagli,prendere i soldi che aveva messo da parte e partire. Non ci volle molto perché fosse pronta. Uscì silenziosamente da casa e poi corse verso il bosco fino ad arrivare alla strada. Grosse lacrime le rigavano il viso. Non aveva paura per lei o per quello che le sarebbe successo nella sua nuova vita. Piangeva per sua sorella e sapeva che non avrebbe mai trovato pace finché non fosse riuscita a strapparla dalle grinfie di sua madre. Un giorno Mirabella avrebbe capito e quel giorno Delilah l’avrebbe aiutata a fuggire a sua volta. S'incamminò a testa alta. Si asciugò le lacrime e fece un respiro profondo. Niente e nessuno avrebbero potuto più fermarla. Una volta giunta in città si sarebbe pagata il viaggio sulla corriera fino al porto. Ben presto sarebbe stata lontana da sua madre e avrebbe goduto della libertà a cui anelava da tempo!
CAPITOLO SECONDO
Il villaggio di Longtown non aveva molto da offrire, ma c’era una locanda e un posto in cui Marrock avrebbe potuto lasciare il suo cavallo. Sarebbe rimasto lì il tempo necessario per farlo riposare, e poi avrebbe proseguito per il capanno di caccia di Kirtlebridge. Arrivato alle stalle, saltò giù dalla sua cavalcatura e affidò le redini al servo.
“Abbiatene cura e ci sarà uno scellino extra per voi quando me ne andrò.” Prese la sua sacca e se la mise in spalla, per evitare di dimenticarsene.
“Subito, milord – rispose il servo. Marrock non lo corresse. In realtà, ora che era diventato Duca, il modo in cui il servo avrebbe dovuto rivolgersi a lui era Vostra Grazia. Quando avesse definitivamente accettato il suo titolo, ne avrebbe anche dovuto sopportare il peso. Comunque, in quell’anno sabbatico, avrebbe cercato di rimanere anonimo il più possibile. Fece un cenno del capo all’uomo e lo lasciò alle sue incombenze. La locanda non era lontana dalle stalle. Si trattava di un breve tratto e Marrock aveva bisogno di sgranchirsi un po’ le gambe. Kirtlebridge era a una settimana di viaggio da dove era partito, e per ora se l’era presa abbastanza comoda per raggiungere Longtown. Il casino di caccia era a un’altra mezza giornata di cammino. Ryan aveva ragione: aveva bisogno di tempo per riflettere, ma non lo avrebbe mai ammesso alla presenza del marchese. Gli avrebbe portato solo un gran mal di testa e l’acuirsi della sua ansia. Marrock giunse alla locanda e vi entrò. Un uomo dai capelli bianchi e la folta barba grigia gli venne incontro:
“Benvenuto al Twin Hounds, milord. Cosa posso offrirvi?’”
“Avete una stanza? “. Avrebbe preferito non dormire nella stalla. Se il cavallo non avesse avuto bisogno di riposare gli sarebbe piaciuto dormire sotto un albero.
“Sì, milord, ne abbiamo ancora una libera – rispose l’uomo.– Se volete vi faccio accompagnare da una cameriera.”
Quella era l’ultima cosa che voleva! Forse non era così, ma considerando ciò che era successo nelle due soste precedenti, la cameriera gli avrebbe offerto qualcuno dei suoi…servizi speciali e lui, beh, non voleva avere niente a che fare con una femmina. Gli serviva la mente sgombra e i piaceri carnali creavano solo caos.
“No, grazie – rispose- Ditemi dove andare e mi arrangerò da solo.”
“Molto bene – disse il vecchio, porgendogli una chiave – Salite le scale e poi la prima porta a destra.”
Fino a quel momento Marrock non se n’era accorto, ma era distrutto. Si sentiva le ossa tutte rotte e le palpebre si erano fatte pesanti. Non dormiva da un bel po’. Ogni volta che chiudeva gli occhi il suo sonno era turbato da incubi. Ogni volta riviveva la morte di suo padre. Così, piuttosto che tremare per gli incubi, aveva preferito non dormire affatto. Ora si chiese se sarebbe stato in grado di raggiungere la sua stanza.
“Grazie – disse all’uomo – Potete mandarmi su qualcosa per cena?”
“Certo, milord. Desiderate altro? – chiese l’oste, ammiccando.
“No. – tagliò netto Marrock. Non aveva alcuna intenzione di incoraggiarlo. Era geloso della sua privacy, anche se l’uomo non sembrava capirlo. Gli lanciò uno scellino.
“Non voglio essere disturbato.”
“Ai vostri ordini, milord – rispose il locandiere, guardando con una certa avidità la moneta che gli era stata elargita. Marrock sperò di non avere fatto un errore a dargliela. Sospirò e lasciò l’uomo a fissare il denaro. Si augurò di avere preso la decisione giusta e che non sarebbe stato costretto a lasciare la locanda prima di essere pronto a rimettersi in viaggio. Si trascinò sempre più pesantemente su per le scale. Il legno era vecchio e scricchiolava: quindi non ci sarebbero stati passi furtivi su e giù per le scale. Il corridoio era altrettanto consumato e così le porte, e perfino le maniglie avevano visto tempi migliori. Marrock dubitò che i chiavistelli potessero fare bene il loro dovere: con un minimo di forza chiunque avrebbe potuto spezzarli. Sbatté gli occhi a ripetizione, sforzandosi di mantenersi sveglio. Maledizione, era strafatto! Forse avrebbe dovuto lasciar perdere l’idea di cenare! Ma non poteva restare sveglio per sempre, malgrado lo desiderasse con tutta l’anima.
“Dannati sogni! – disse a se stesso, mentre si trascinava su per le scale. Presto dal corridoio avrebbe finalmente raggiunto la sua stanza.
“Per tutti i diavoli! – esclamò una voce femminile. Dal tono e dal modo in cui aveva pronunciato la frase, sembrava si trattasse di una signora. Sicuramente anche una cameriera avrebbe potuto bestemmiare con altrettanta foga, ma alcune frasi qua e là tradivano una natura aristocratica. Si fermò ad ascoltare quel vocabolario.. colorito. Magari era una signora, ma dove aveva imparato quel gergo da scaricatore di porto?
“Ma a che.. cavolo stavo pensando?”
Sembrava avesse passato qualche guaio. Da gentiluomo avrebbe dovuto offrirle il suo aiuto, ma le grida provenivano da una stanza! Con quelle serrature poteva entrare in un attimo; tuttavia, se si trattava di una signora come credeva, lei non avrebbe certo gradito quel modo di fare! Inoltre rimanere da soli in una stanza avrebbe potuto comprometterla. Presumibilmente non era sposata; o almeno il marito non si trovava nei paraggi.
“Mollami! Bestia maledetta! – gridava la donna.
Beh, tutto ciò suonava maledettamente male. Se qualcuno la stava molestando lui non poteva rimanersene lì senza fare nulla! Era suo dovere di gentiluomo assicurarsi che stesse bene. Chiaramente nessuno di quei ragionamenti era una scusa per non dormire: era una donna, e poteva avere bisogno del suo aiuto! Marrock bussò alla porta.
“Milady? – chiese.
“Chi è? Oh, chiunque sia, venite ad aiutarmi!”
Era l’invito di cui necessitava. Spalancò di forza la porta, preparandosi a buttare fuori un uomo, ma nella stanza c’era una persona sola. La signora aveva i capelli imbrattati d’inchiostro, che le colava giù dalla fronte. Indossava un vestito celeste a righe bianche. Tutto il resto però era un mistero: la faccia non era visibile ma le sue sottogonne erano impudicamente sollevate e lei sembrava stesse a gambe in aria. Era piegata a faccia in giù sulla seduta di una poltrona. Sembrava che non un uomo bensì una sedia la stesse molestando. Non c’è che dire: una posizione molto interessante da vedere in una donna! Non riusciva a capire come avesse potuto rimanere intrappolata a quel modo e tutti i tentativi che faceva per divincolarsi erano assolutamente esilaranti! Non era così che Marrock si aspettava di passare l’ora di cena!
…………
Delilah aveva fatto cadere il suo borsellino dietro la poltrona: pensò che sarebbe stato facile recuperarlo da una poltrona logora, tutto quello che doveva fare era chinarsi e allungare la mano a prenderlo. Sfortunatamente si trattava di una poltrona piena di fregi dappertutto, che le si erano attaccati al vestito e non avevano intenzione di mollarla. Si dimenò un po’ e nella stanza si sentì il rumore della stoffa lacerata del vestito. Se non fosse stato che il suo armadio era poco fornito avrebbe lasciato che quella maledetta sedia si tenesse il suo abito. Ma purtroppo non poteva permettersi che uno dei suoi vestiti venisse distrutto dal fuoco o lacerato da quella odiosissima sedia.
“Avete intenzione di stare lì a guardare o di darmi una mano?”
Non si era mai sentita tanto in imbarazzo in vita sua. Beh, forse non era proprio così, ma comunque non aveva alcuna intenzione di pensare al suo passato, che comunque non poteva esserle di alcun aiuto.
“Non ne sono tanto sicuro.” La voce dell’uomo aveva un tono familiare. Ed era così morbidamente profonda da farle venire un brivido dietro la schiena.
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