Il Morbo Di Parkinson In Tempi Di Pandemia

Il Morbo Di Parkinson In Tempi Di Pandemia
Juan Moisés De La Serna
Il Morbo di Parkinson è stato ampiamente studiato. Tuttavia, si fanno quotidianamente progressi in termini di diagnosi e trattamento, da qui l'importanza di essere informati, sia per il personale sanitario che per i pazienti e le loro famiglie. Di seguito, viene presentato un testo accessibile in cui gli aspetti più rilevanti di questa malattia sono trattati da una prospettiva aggiornata, tanto da affrontare anche l'attuale pandemia e le sue implicazioni in questa malattia. Il testo include la testimonianza eccezionale della dottoressa Mª Esther Gómez Rubio, psicologa clinica e neuropsicologa, specialista di area al National Hospital for Paraplegics (SESCAM) che condivide la sua esperienza diretta con il Morbo di Parkinson. Inoltre, comprende anche il prezioso contributo del dottor Marcos Altable Pérez, neurologo e fondatore di Neuroceuta a Ceuta che commenta i sintomi non motori e gli aspetti neuropsichiatrici del Parkinson, nonché le sue implicazioni in questa pandemia.


Il Morbo
di Parkinson
in tempi
di Pandemia

Juan Moisés de la Serna
Mª Esther Gómez Rubio
Marcos Altable Pérez

Traduzione italiana Valeria Bragante

Tektime Editore

2020
“Il Morbo di Parkinson in tempi di Pandemia”
Scritto da Juan Moisés de la Serna; Mª Esther Gómez Rubio e Marcos Altable Pérez
1a edizione: luglio 2020
© Juan Moisés de la Serna, 2020
© Tektime Edizioni, 2020
Tutti i diritti riservati
Distribuito da Tektime
https://www.traduzionelibri.it

Riferimento:
De la Serna, JM; Gómez Rubio, ME e Altable Pérez, M. (2020). “Il Morbo di Parkinson in tempi di Pandemia” Montefranco, Italia.Tektime Editore

Dichiarazione:
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Prologo
Il Morbo di Parkinson è stato ampiamente studiato. Tuttavia, si fanno quotidianamente progressi in termini di diagnosi e cura, da qui l’importanza di essere informati, sia per il personale sanitario che per i pazienti e le loro famiglie.
Successivamente, viene presentato un testo accessibile a tutti i lettori, in cui gli aspetti più rilevanti di questa malattia sono trattati da una prospettiva aggiornata, tanto da affrontare anche l’attuale pandemia e le sue implicazioni in questa patologia.
Il testo include la testimonianza eccezionale della dottoressa Mª Esther Gómez Rubio, psicologa clinica e neuropsicologa, specialista di area del National Hospital for Paraplegics (SESCAM) che condivide la sua esperienza diretta con il Morbo di Parkinson.
Inoltre, comprende anche il prezioso contributo del dottor Marcos Altable Pérez, neurologo e fondatore di Neuroceuta a Ceuta che commenta i sintomi non motori e gli aspetti neuropsichiatrici del Morbo di Parkinson, nonché le sue implicazioni in questa pandemia.
Riguardo agli Autori:
Dra. Mª Esther Gómez Rubio, Psicologa Specialista in Psicologia Clinica, Laureata in Filosofia e Scienze dell’Educazione (sezione Filosofia), Laurea Magistrale in Neuropsicologia Cognitiva, Laurea Magistrale in Psicopatologia e Salute, Laurea Magistrale in Modificazione del Comportamento, Specialista Facoltativo nell’area Ospedaliera Nazionale dei Paraplegici (SESCAM).
Laureata in Filosofia all’UCM, Psicologa specializzata in Psicologia Clinica UNED, PIR Hospital de la Princesa (Madrid), Master in Psicopatologia e Salute UNED, Master in Modifica del comportamento UNED, Master in Neuropsicologia cognitiva UCM e FEASESCAM staff aggiunto dell’Ospedale Nazionale dei Paraplegici.
https://youtu.be/CDDDsNGV0Eg (https://youtu.be/CDDDsNGV0Eg)
Dr. Marcos Altable Pérez, laureato in Medicina, specialista in Neurologia, Master in Neurologia e Neurologia Pediatrica e Master in Neuropsicologia.
Con molteplici pubblicazioni in varie riviste scientifiche e congressi nazionali e internazionali, giornali, pagine web, capitoli di libri, ecc., integrando la pratica clinica a Ceuta, con lo studio e l’aggiornamento continuo in Neurologia, Neuropediatria e Neuropsicologia.

Dr. Juan Moisés de la Serna, Dottore in Psicologia, Master in Neuroscienze e Biologia Comportamentale e Specialista in Ipnosi Clinica, direttore dei corsi post-laurea presso l’Università tecnologica TECH e presso l’Università Europea Miguel de Cervantes; insegnante post-laurea e direttore del TFM presso l’Università Internazionale di La Rioja e l’Università Internazionale di Valencia.
Ringraziamenti

Ringrazio tutte le persone che hanno condiviso le loro conoscenze specialistiche sul Morbo di Parkinson, in particolare Dª. Marian Carvajal Paje e Dª. María Caridad Marín Valero della Federazione Spagnola del Parkinson e anche la Dott.ssa Mabel Velandia Ramos Audiologa (Colombia); Dr. Horacio Pérez-Sánchez, ricercatore principale del gruppo di ricerca “Bioinformatics and High Performance Computing” (Spagna), e Dr. Cesar Rengifo, Tossicologo presso il Servizio Medico della Cooperativa de Servicios Múltiples (Venezuela).

Sommario
Avviso legale (#ulink_377b268e-ac1b-559d-88b8-028e8e1ffe0b)
Prologo (#ulink_787b7b6b-b04b-51d2-91cd-557c47db4c22)
Riguardo agli Autori: (#ulink_4936061f-989a-53ac-b6c8-728579250da7)
Ringraziamenti (#ulink_1e1b43c5-f4e9-5571-9498-02313b1be346)
Capitolo 1. Introduzione al Morbo di Parkinson (#ulink_423a0ac1-2fbe-5561-b939-f8b2be97846b)
Sintomi e segni del Morbo di Parkinson (#ulink_3e7ef46e-e52d-54e2-9bb7-27293cff1291)
Sintomi non motori del Morbo di Parkinson (#ulink_c204dffd-1280-544b-a3cf-7eb439f12f14)
Origine del Morbo di Parkinson (#ulink_739cadb6-9a1d-56bf-bf45-80403788a6c5)
Diagnosi del Morbo di Parkinson
Intervista sulla Federazione Spagnola di Parkinson
Capitolo 2 Contestualizzare la Pandemia (#ulink_0f968260-2bf5-5b31-9ac6-b93e56a37157)
La denominazione COVID-19
Sintomatologia del COVID-19
Cambiamenti nella sanità
Morbo di Parkinson e COVID-19 (#ulink_328f559b-ed05-5db4-b761-313070e7bb26)
Capitolo 3. Testimonianza di una Psicologa e Neuropsicologa con il Parkinson (#ulink_92431ef3-d88a-5836-8452-2adfab4faed0)
Prima del Parkinson:
Prima reazione alla diagnosi:
Diagnosi di Parkinson a una Neuropsicologa:
Dalla negazione all’accettazione
Come affrontare il Parkinson?
Evoluzione della malattia nel mio caso particolare:
Conclusione
Capitolo 4 Emozioni di fronte al COVID-19 (#ulink_172a4cf3-a27e-55f4-971c-896bb16187e1)
Depressione e Morbo di Parkinson
Ansia e Morbo di Parkinson
Neuropsichiatria nel Morbo di Parkinson
Intervista sul Programma Contigo de la F.E.P
Bibliografia (#ulink_caa3b5b4-ae30-5e6d-b57b-0d9ac7cbe952)

Capitolo 1. Introduzione al Morbo di Parkinson
Se guardiamo i risultati offerti da Google, sui trend di ricerca della tematica del Morbo di Parkinson, nelle sue diverse accezioni in varie parti del mondo dal 2004 al 2020, si nota che i primi Paesi più preoccupati al riguardo sono Porto Rico, seguito da Spagna, Paesi Bassi, Francia e Cile; al sesto posto il Portogallo, seguito da Italia, Canada e Finlandia, gli Stati Uniti occupano la tredicesima posizione dei sessantotto Paesi che compongono il risultato di Google, essendo l’ultima posizione occupata dal Vietnam.
Va notato che questo non riflette il numero di casi di pazienti con questo tipo di malattia a seconda del Paese, ma piuttosto le volte in cui è stato cercato questo termine, cioè potrebbe esserci un Paese con poca incidenza del Morbo di Parkinson, ma la popolazione è altamente sensibilizzata, quindi ci saranno molte ricerche su Google al riguardo.
O viceversa, una popolazione dove c’è un’alta incidenza del Morbo di Parkinson e, tuttavia, c’è poca consapevolezza di questo problema, e quasi nessuna ricerca su di esso.
Va notato che tra le prime quindici posizioni nei Paesi che cercano questo termine, nove provengono dal continente europeo.
Si segnala inoltre che a livello globale si è registrato negli anni un calo dell’uso di tale termine, attestandosi nel 2009 al di sotto del 25% delle ricerche effettuate nel 2004, situazione che è rimasta immutata fino al 2014 quando si è prodotto un cambiamento di tendenza, in crescita fino ad oggi.
Una pietra miliare nella ricerca di Google sul Morbo di Parkinson si è verificata il 15 agosto 2014, quando la moglie di Robin Williams ha confermato che l’attore aveva il Parkinson, notizia che ha scioccato così tanto le persone che hanno effettuato delle ricerche per scoprire cosa fosse questa malattia, e da quel momento in poi è stata osservata una leggera ripresa in questo termine di ricerca.
Nonostante quanto sopra, questo non ci informa sul numero di pazienti, ma solo sull’interesse mostrato dagli utenti di Google per il Morbo di Parkinson, quindi sarebbe necessario sapere fino a che punto tale malattia è progredita.

“Sembra che il numero di casi diagnosticati di Parkinson sia aumentato negli ultimi anni.
Le ragioni si trovano principalmente nell’invecchiamento della popolazione e in una maggiore precisione nelle diagnosi che vengono fatte sempre più precocemente e nelle persone più giovani, tanto che il 15% delle 10.000 diagnosi annue si verifica già nelle persone sotto i 45 anni di età.
Inoltre, l’aspettativa di vita è aumentata nelle persone con questa patologia, quindi si può davvero essere certi che l’aspettativa di vita di questi pazienti è simile a quella delle persone senza la malattia.” Marian Carvajal Paje, F.E.P.

Prima di addentrarci nella definizione di Morbo di Parkinson, è necessario ricordare alcune nozioni fondamentali delle basi neuronali, quindi è importante sapere che il cervello è suddiviso in tronco encefalico, cervelletto, diencefalo e cervello.
- Il tronco encefalico è costituito a sua volta da tre parti, il midollo allungato (dove vengono regolate funzioni come quella respiratoria, il diametro vascolare ed il battito cardiaco; oltre a singhiozzo, tosse o vomito); rigonfiamento (partecipa alla regolazione della respirazione); e mesencefalo (contiene la substantia nigra e partecipa alla regolazione dell’attività muscolare).
- Il cervelletto è responsabile della coordinazione motoria fine e grossolana, oltre a partecipare alla postura, all’equilibrio e al tono muscolare.
- Il diencefalo è diviso in talamo (responsabile dell’integrazione di informazioni, coscienza, apprendimento, controllo emotivo e memoria) e ipotalamo (regola comportamento ed emozioni, temperatura corporea, sete e fame, cicli circadiani e stati di coscienza, secrezione dell’ormone ipofisario e regolazione del sistema nervoso autonomo).
- Il cervello, dove si sviluppano le funzioni cognitive, le decisioni consapevoli, l’apprendimento relazionale o il linguaggio, tra le molte altre cose.
Occorre chiarire che esistono duetipi di comunicazione che possono verificarsi a livello neuronale: elettrica e chimica. La prima si realizza mediante impulsi elettrici che hanno origine nei dendriti e nel soma e sono condotti attraverso l’assone ai pulsanti terminali depolarizzando la membrana neuronale; mentre la comunicazione chimica è realizzata da sostanze chiamate neurormoni che agiscono da mediatori nella trasmissione di informazioni ad altri neuroni e cellule del corpo.
Il processo inizia all’interno del neurone, che trasmette le informazioni attraverso depolarizzazioni propagate, generatori di potenziali d’azione, con potenziali modificazioni nei canali del calcio e del potassio, fino a raggiungere la fessura sinaptica, dove vengono rilasciate le vescicole contenenti neurormoni (primo messaggero chimico o neurotrasmettitore), che attraverseranno lo spazio interneuronale fino a raggiungere i recettori del neurone bersaglio, che può influenzare la superficie della membrana cellulare (ormoni proteici, peptidi e catecolamine) o all’interno della cellula, nel citoplasma o nucleo (ormoni steroidei e tiroidei).
I neurotrasmettitori possono essere classificati in gruppi amminici (noradrenalina, epinefrina, dopamina, 5HT); amminoacidi (glutammato, GABA); purine (ATP, adenosina); gas (ossido nitrico); peptidi (endorfine, tachichinine); e acetilcolina.
Nello specifico, la dopamina ha una funzione inibitoria, partecipando allo stato di allerta, è anche solitamente associata al raggiungimento del piacere e del desiderio sessuale, attivando il sistema nervoso simpatico, necessario per un nuovo apprendimento, basato sul desiderio di ottenere rinforzo.
Generato nel Locus Niger, nella parte ventrale del tegmento mesencefalo, raggiunge il nucleo accumbens, l’amigdala, l’area settale laterale, il nucleo olfattivo anteriore, il tubercolo olfattivo e la neocorteccia.
“Il Morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa che colpisce il sistema nervoso centrale, producendo una progressiva degenerazione dei neuroni situati nella substantia nigra e responsabili della produzione di dopamina.
La dopamina è la sostanza fondamentale per il corretto svolgimento del movimento corporeo.” Marian Carvajal Paje, F.E.P.

Alti livelli di dopamina migliorano la motivazione, il buon umore e il desiderio sessuale. La sua inibizione, d’altra parte, produce demotivazione, indecisione, scarsa libido e persino depressione. Pertanto, il Morbo di Parkinson produrrà una serie di cambiamenti a livello neuronale, come dimostrato in un’indagine condotta dall’Università di Modena in collaborazione con l’Università di Reggio Emilia (Italia)[1].
Lo studio ha coinvolto 40 persone, 24 pazienti con Morbo di Parkinson diagnosticato da 5 anni, con un’età media di 60 anni e 15 persone della stessa età senza la malattia. Tutti sono stati sottoposti ad una risonanza magnetica funzionale in cui il cervello è stato scansionato per cercare differenze morfologiche significative nel cervello dei pazienti con Morbo di Parkinson rispetto ai soggetti di controllo. Gli autori hanno riscontrato differenze in termini di volume della materia grigia del cervello, particolarmente ridotta nei pazienti con Morbo di Parkinson, nella corteccia parietale destra e nella struttura interna del cervello, nel putamen, responsabile della via motoria e responsabile dell’esecuzione dei movimenti appresi.
Due anni dopo, lo stesso studio è stato condotto con gli stessi partecipanti per vedere come era cambiato il loro cervello, portando ora l’età media a 62 anni, riscontrando anche differenze significative nel nucleo pediluviano e nel nucleo pedunculopontino e nella regione motoria del mesencefalo. Secondo gli autori, è importante scoprire come l’avanzata del Morbo di Parkinson stia interessando nuove aree poiché ci permette anche di sapere come trattarlo. Va notato, come si vedrà in seguito, che l’incidenza del Morbo di Parkinson sarà associata in un’alta percentuale all’incidenza dei disturbi dell’umore.

“I disturbi dell’umore di solito si verificano come conseguenza di disturbi cerebrali che colpiscono i gangli basali, i lobi frontali e alcune sostanze chimiche del cervello come la dopamina, la serotonina e la noradrenalina.” María Caridad Marín, FEP
Sintomi e segni del Morbo di Parkinson

È importante sapere che in ambito clinico si fa una distinzione tra sintomi e segni, quando si descrive cosa accade in caso di patologia della persona:
- Si parla di segni per riferirsi ad un dato oggettivo che il medico raccoglie direttamente, sullo stato di salute dell’individuo, come, ad esempio, un ridotto numero di leucociti nel sangue, a seguito di un’analisi; alterazione delle onde P secondo l’elettrocardiogramma; oppure la presenza di placche “senili” e neurofibrille evidenziate da una TAC (Tomografia Assiale Computerizzata).
Quindi i segni sono una prova indiretta che deve essere interpretata dal medico sui diversi indici che l’organismo mostra.
- I sintomi, invece, sono l’espressione soggettiva di un paziente su un malfunzionamento del suo corpo.
Sarebbero equivalenti alle lamentele o ai disturbi manifestati dal paziente a causa della sua malattia; così come l’intensità percepita del disagio o del dolore, e di solito è la prima cosa che un medico valuta quando entriamo nell’ambulatorio e ci chiede: «Cosa c’è che non va? Cosa la porta qui da me?»
Una volta raccolte le impressioni, il medico di solito approfondisce questi sintomi, con domande del tipo «Da quanto tempo ha questi sintomi? Definirebbe questi disturbi come dolorosi o invalidanti?»
Nel completare la diagnosi, per stabilire se la persona soffre di un quadro clinico, è determinante il valore dei segni, rispetto ai sintomi, che vengono presi in considerazione come indizi da esplorare, privi di valore diagnostico di per sé.
È inoltre necessario fare una nuova distinzione tra sintomi positivi e negativi, non si tratta di valutarli come “buoni” o “cattivi”, poiché ognuno di essi è indicativo del fatto che c’è un problema di salute e quindi sono tutti valutati come “cattivi” in quanto negativi per il normale sviluppo della vita della persona:
Il sintomo positivo è definito come quello che è presente quando non ci si aspetta che compaia in una persona sana della stessa età, ad esempio, nel Morbo di Parkinson, un sintomo positivo sarebbe la presenza di tremori, qualcosa che non compare in una persona non affetta dal Parkinson.
Il sintomo negativo, invece, è definito come l’assenza di una capacità o abilità che si riscontra in una persona sana della stessa età, ad esempio, un sintomo negativo può essere l’assenza della parola, nel caso di una persona che ha sofferto di un disturbo cranioencefalico a seguito di una caduta e di un forte colpo alla testa, presente in una persona della sua età.
È importante notare che la distinzione tra positivo e negativo viene sempre fatta rispetto ad altri pazienti della stessa età, poiché ci sono sintomi che possono essere presenti o assenti in certe fasce di età e non in altre.

“La presenza di sintomi motori come tremore, lentezza dei movimenti (bradicinesia), rigidità e instabilità posturale possono significare che una persona soffre di questa malattia.
Tuttavia, non tutti i tremori sono dovuti al Parkinson, né tutti i sintomi possono comparire insieme.
È necessaria una precisa valutazione da parte del neurologo specialista per escludere altre possibili patologie che presentino sintomi simili.
Allo stesso modo, esiste un marker emotivo che è la presenza di un disturbo depressivo dell’umore e che si verifica prima della comparsa dei sintomi motori.
In effetti, per molte persone i sintomi non motori del Parkinson (depressione, apatia, mancanza di motivazione, disturbi del sonno…) sono complessivamente più invalidanti dei sintomi motori sopra menzionati.” Marian Carvajal Paje, F.E.P.
Anche se quando si pensa al Morbo di Parkinson, lo si fa sulla base dei suoi sintomi principali associati al movimento, ma non sono gli unici e nemmeno quelli che influenzano maggiormente la qualità di vita del paziente.
Sapendo che tra il 40 e l‘80% dei pazienti affetti da Parkinson deve affrontare anche un problema in più, il dolore, qualcosa che è direttamente dannoso per la loro qualità di vita e le relazioni sociali.
Il dolore serve come avvertimento al cervello che qualcosa non va, ma quando è cronico, a causa di traumi o malattie, diventa un grande fastidio, che influisce non solo sulle normali prestazioni ma anche sulle capacità cognitive.
Il dolore può cambiare l’umore, e persino “offuscare la ragione”, questo insieme ad un fenomeno denominato sensibilizzazione, in modo che chi soffre di dolore cronico, lo sperimenta molto più intensamente ogni giorno, “sopportando” sempre meno la sua presenza.
Quindi, oltre all’intervento nel Morbo di Parkinson, questi pazienti dovrebbero ricevere cure tempestive per combattere questo dolore costante; ma può essere migliorato il trattamento del dolore nel Parkinson?
È proprio quanto ha annunciato l’azienda Mundipharma International in un [2] comunicato stampa secondo il quale l’azienda farmaceutica ha completato con successo la prima rigorosa ricerca sul trattamento del dolore nei pazienti con morbo di Parkinson analizzando gli effetti del trattamento ossicodone-naloxone. (OXN PR).
Tra le caratteristiche dello studio, emerge che è stato condotto utilizzando un gruppo di controllo a cui è stato somministrato un placebo, nonché un disegno in doppio cieco, dove né il paziente né gli infermieri che hanno somministrato la sostanza sapevano se si trattasse del farmaco o del placebo. Valutato mediante autovalutazione utilizzando una scala di valutazione del dolore, misurata in momenti diversi, fino a quattro mesi dopo la somministrazione.
I risultati mostrano differenze significative tra i due gruppi, quelli che hanno ricevuto farmaci rispetto a quelli che hanno ricevuto il placebo, durante i primi tre mesi, perdendo efficacia sei mesi dopo l’inizio del trattamento.
Tra gli effetti collaterali indesiderati del trattamento, nausea e costipazione sono state osservate nel 17% dei pazienti.
Il comunicato stampa non riporta il numero di partecipanti, il loro sesso o le fasi della malattia in cui si trovavano.
Uno dei limiti dello studio è proprio il metodo di raccolta dei dati tramite auto-report, poiché ora possono essere utilizzati altri metodi più affidabili.
Nonostante ciò, è un’ottima notizia poiché è il risultato di una ricerca rigorosa che offre un’alternativa ai pazienti con Morbo di Parkinson, aumentando così la loro qualità di vita, riducendo il dolore che provano, oltre a dover soffrire a causa degli altri sintomi della malattia.
Nonostante quanto sopra, si deve tenere conto che è necessario effettuare ulteriori ricerche per verificare che l’efficacia di questo trattamento del dolore non interferisca con quello utilizzato nel Parkinson, come è già successo in altre occasioni, rispetto a quando viene provato trattando due problemi contemporaneamente, a volte gli effetti positivi dei farmaci si annullano a vicenda, rendendo l’intervento meno efficace.
Sarebbe quindi conveniente corroborare i dati precedenti con diversi tipi di farmaci e in diverse fasi della malattia per verificare in quali condizioni l’intervento del dolore attraverso questa metodica è più efficace, cercando nuove alternative per quei pazienti che non rispondono adeguatamente a questo trattamento, sia perché in fase avanzata, sia perché presentano altre patologie associate al morbo di Parkinson.
Ma tornando ai sintomi più evidenti del Parkinson, non tutti i problemi motori possono essere attribuiti a questa malattia, poiché sono presenti anche in altre patologie, da qui l’importanza di conoscerli e stabilire la diagnosi tempestiva differenziale.
Nonostante quello che si può pensare, sia i professionisti che le persone estranee alle scienze della salute hanno una certa conoscenza delle patologie e psicopatologie più frequenti, ma c’è anche tutta una serie di malattie, disturbi e sindromi che sono ancora sconosciute a causa del loro basso livello di incidenza o perché non ricevono abbastanza attenzione dai media.
Ecco perché esistono manuali di riferimento come il Vademecum nel caso dei medici e manuali diagnostici, come l’ICD-10 o il [3] DSM-V [4] nel caso degli psicologi e psichiatri.
Questi vengono solitamente utilizzati quando un caso non è del tutto chiaro, quando si presentano sintomi che non appartengono al quadro clinico che si ha o perché non è possibile stabilire una diagnosi conforme a tutti i sintomi osservati.
Ma ci sono così tante classificazioni in categorie e sottocategorie, su sintomi e sindromi, disturbi e malattie, che è necessaria una certa specializzazione per poter fornire un’assistenza migliore.
Pertanto, i professionisti si specializzano per età, ad esempio, nei disturbi dello sviluppo nell’infanzia, o per gruppi di malattie che presentano alcuni elementi in comune, come le malattie neurodegenerative.
Nonostante quanto sopra, gli operatori sanitari dovrebbero aggiornarsi periodicamente per conoscere “nuove patologie” o quelle che hanno cambiato la loro incidenza nella popolazione e sono ora più comuni, o che si verificano in concomitanza con altre malattie o disturbi; ma esiste una relazione tra la Sindrome di Pisa e il Morbo di Parkinson?
È proprio quello che cercano di accertare l’Ospedale “Moriggia-Pelascini”, l’Istituto di Scienze di Pavia, l’Istituto di Scienze di Montescano (Italia) e l’Università di Tel-Aviv (Israele) [5].
La Sindrome di Pisa è definita come una torsione sostenuta del tronco di almeno dieci gradi, che può essere osservata sia da seduti che in posizione eretta, ma scompare non appena la persona si corica.
Nello studio, a settantaquattro pazienti con diagnosi di Morbo di Parkinson sono state effettuate misurazioni EMG (ElectroMyographic) per verificare il livello di deviazione della persona; per questo sono state eseguite in diverse posture, anche in posizione supina.
Sono stati valutati tre momenti diversi, a riposo, contratti verso la posizione naturale dei muscoli e contratti dal lato opposto a quello naturale.
È stato osservato che il 78% dei pazienti mostrava differenze significative in termini di deviazione muscolare, in particolare il muscolo obliquo esterno dell’addome, che era quello che forniva il maggior numero di informazioni tra tutti quelli valutati.
Va tenuto presente che, come riportato dagli autori, si tratta di un primo approccio per determinare un metodo valido per rilevare la presenza della Sindrome di Pisa nei pazienti con Morbo di Parkinson, quindi sono necessarie nuove ricerche a questo proposito al fine di stabilire una procedura diagnostica più efficace.
Lo studio non riporta le caratteristiche sociodemografiche dei malati di Parkinson, né la loro età, né il loro sesso … aspetti fondamentali se i risultati devono essere estrapolati ad altre popolazioni.
Nonostante quanto sopra, l’uso dell’elettromiografia, una tecnica molto semplice e diffusa nella pratica medica, rende più facile ed efficace la diagnosi della Sindrome di Pisa, soprattutto se la valutazione viene eseguita sul muscolo obliquo esterno dell’addome.
Va tenuto presente che, come in ogni altro caso, soffrire di due patologie contemporaneamente, in questo caso il Morbo di Parkinson e la Sindrome di Pisa peggiora la prognosi clinica della persona, rendendo difficile la guarigione.
Inoltre, la sotto diagnosi della Sindrome di Pisa serve solo a nascondere i sintomi che saranno presenti, interferendo con la qualità di vita del paziente affetto da Parkinson, purché non riceva il trattamento appropriato.
A tal proposito è ancora da capire come si debba trattare la Sindrome di Pisa e se questo trattamento comporterà qualche tipo di controindicazione rispetto a quello ricevuto per il Morbo di Parkinson.
Allo stesso modo, e all’interno dei problemi di movimento che inizialmente potrebbero essere attribuiti al Morbo di Parkinson, ma che richiedono una diagnosi differenziale, va fatta una distinzione rispetto alla distonia neurocircolatoria, che può essere definita come la modifica del corretto “uso” dei muscoli da parte del corpo.
Un esempio di questa modifica è quando abbiamo eseguito degli esercizi ginnici senza il riscaldamento preliminare appropriato, che possono provocare dei crampi nelle ore successive all’attività fisica.
Allo stesso modo, l’esercizio eccessivo di un gruppo di muscoli può renderli temporaneamente “flosci” e flaccidi, recuperando il loro “tono” muscolare dopo poche ore.
Tenendo conto che i muscoli distribuiti in tutto il corpo permettono alla persona di eseguire movimenti grazie alla loro capacità di contrarre e rilassare i tessuti che li compongono.
Tutto questo “guidato” dal sistema nervoso centrale, che impartisce gli ordini che consentono di eseguire i movimenti in modo coordinato.
Basti pensare a tutti i gruppi muscolari coinvolti nella deambulazione e che senza un “piano” prestabilito sarebbe difficile, se non addirittura impossibile, riuscire a deambulare “armoniosamente”.
Tornando alla distonia, quando è cronica, si chiama sindrome distonica, dove la tonalità dei muscoli è alterata, totalmente o parzialmente, solitamente associata a cause genetiche o a un trauma cranico, che può essere espresso con perdita di forza nei muscoli, crampi, spasmi involontari, tremori e incoordinazione dei movimenti, accompagnati in alcuni casi da dolore.
Oltre ai segni, tra i sintomi ci sono irrequietezza nei movimenti, tentativo di nascondere mani e piedi, frequenti schiarimenti della gola, dovuti al cambio di tono della voce, tutti fattori che porteranno ad esaurimento fisico e psicologico, difficoltà di concentrazione, disturbi dell’umore dovuti ad una sensazione di mancanza di controllo del proprio corpo, problemi digestivi e disturbi del sonno, che in alcuni casi portano alla depressione.
Sintomi simili a quelli manifestati dai pazienti, con sindrome di Tourette denominata anche dei tic cronici, dove sono presenti anche segni motori involontari espressi sotto forma di tic, che ricorrenti cronicamente interferiranno con il normale sviluppo della vita sociale, poiché solitamente sono associati alla coprolalia, che è l’espressione di parole oscene e socialmente inappropriate, causate dalla mancanza di controllo.
Come possiamo vedere, un’alterazione del tono muscolare sarà anche un’indicazione che qualcosa non sta andando bene nel nostro corpo, sia a livello neurologico che midollare, normalmente correlato al sistema nervoso.
Così, quando questo controllo sui movimenti è “compromesso” da qualche malattia neurologica, può produrre patologia come il Parkinson o la Corea di Huntington, nota anche come Ballo di San Vito.
Per quanto riguarda i problemi di controllo muscolare, sebbene possano essere utilizzate molte classificazioni di tremori, in base ai muscoli interessati o alla funzione coinvolta, in questo libro li distingueremo tra tremori a riposo e tremori da azione.
I primi si riferiscono ai muscoli in stato di rilassamento, cioè mentre la persona rimane ferma, in piedi o seduta, senza fare nulla, e nonostante questo il paziente soffre di tremori; mentre i tremori di azione, d’altra parte, sono quelli che compaiono solo quando un’azione sta per essere eseguita, sia che si tratti di prendere un oggetto o di camminare.
Lo svantaggio di soffrire di quest’ultimo tipo di tremore è che ostacola l’azione intrapresa, ad esempio, quando si vuole portare il cibo dal piatto alla bocca, avere tremori di azione alla mano o all’avambraccio significa che il cibo viene rovesciato a causa di tali tremori.
Va ricordato che quando si esegue un’azione, ad esempio quando si flette il braccio, ci sono muscoli che si contraggono, cioè quando subiscono il tremore durante l’azione, e muscoli che rimangono rilassati, che di solito non soffrono di tremore, ma come sono correlati i tremori nel Morbo di Parkinson?
Questo è esattamente ciò che si è cercato di scoprire con una ricerca condotta dalla Parkinson’s Clinic di East Toronto e dal Centre for Movement Disorders (Canada) [6].
Lo studio ha incluso 100 pazienti con diagnosi di Morbo di Parkinson, di età compresa tra 43 e 99 anni, nei quali è stata osservata la lateralità dei tremori, sia di riposo che di azione, studiando solo i tremori delle estremità superiori, valutati utilizzando la Unified P.D. Rating Scale [7].
I risultati indicano una relazione inversa tra l’intensità del tremore a riposo e il tremore d’azione, una relazione che viene mantenuta solo sullo stesso lato del corpo.
Pertanto, la presenza di tremore moderato a riposo in un arto significa che, su quel lato del corpo, c’è una probabilità significativamente inferiore di subire un tremore d’azione.
Tremori dei muscoli che inizialmente appariranno al centro del corpo, ma che possono diffondersi anche all’altra metà, tenendo conto che, sebbene la caratteristica più eclatante sia proprio questo tremore, il Morbo di Parkinson presenta anche sintomi come la rigidità e instabilità posturale e lentezza nei movimenti.
Come è stato affermato finora, il Morbo di Parkinson è una patologia neurodegenerativa associata al controllo muscolare, quindi i suoi effetti peggioreranno con l’età.
A questo vanno aggiunti i problemi del passare del tempo, con la progressiva diminuzione dell’autonomia personale.
Questo aspetto è una delle maggiori preoccupazioni per i pazienti affetti dal Parkinson, sapendo che è una questione di tempo prima che diventino sempre più dipendenti dal fare quasi qualsiasi attività.
Va tenuto presente che i problemi muscolari associati alla malattia sono in aumento, ma esiste una relazione tra Morbo di Parkinson e problemi cognitivi?
A questo si è cercato di dare una risposta con un’indagine condotta dal Dipartimento di Neurologia, Facoltà di Medicina, Università Ondokuz Mayis; insieme alla Clinica Neurologica, Formazione e Ricerca Ospedaliera; e il servizio di neurologia, Carsamba State Hospital (Turchia) [8].
Allo studio hanno partecipato trentasette pazienti con diagnosi di Morbo di Parkinson, di età compresa tra 55 e 77 anni, di cui diciannove donne.
I partecipanti hanno compilato una scala per determinare il livello di indipendenza utilizzando le Scales for Outcomes nel Morbo di Parkinson – Automatiche [9]; le Hoehn e Yahr Scale sono state utilizzate per determinare la gravità della [10]malattia; allo stesso modo, le capacità cognitive sono state valutate utilizzando il Mini Mental State Examination test [11,12], il Blessed test [13] e il Frontal Evaluation Test [14].
La scala della depressione geriatrica è stata utilizzata per rilevare i sintomi depressivi; e infine, per valutare l’attenzione e la memoria a breve termine, è stato utilizzato un test di sequenza numerica.
I risultati riportano che non esiste una correlazione significativa tra il livello di autonomia e le capacità cognitive, funzionando in modo indipendente.
D’altra parte, esiste una correlazione negativa tra la gravità della malattia e le capacità cognitive, ovvero, maggiore è la gravità, minori sono i punteggi ottenuti nelle capacità cognitive.
Tra i limiti dello studio, va notato che, pur avendo quasi lo stesso numero di partecipanti per ogni sesso, non è stata effettuata un’analisi comparativa, quindi non è possibile fare alcuna inferenza al riguardo in base al genere.
Allo stesso modo, la gamma dei partecipanti è molto ampia e gli effetti dell’età possono essere confusi, quindi sarebbe bene se fossero stati separati in due gruppi, ad esempio sotto e sopra i 65 anni, per verificare se ci sono differenze, che potrebbero essere spiegate solo dall’età.
Nonostante i limiti di cui sopra, i risultati mostrano un certo livello di indipendenza tra capacità cognitive e autonomia personale.
Va notato che, essendo il Morbo di Parkinson neurodegenerativo, ciò implica che progredirà fino a quando non finirà per influenzare tutte le funzioni del corpo, sebbene il suo sintomo più evidente sia il tremore.
Così, le aree cerebrali colpite dal Morbo di Parkinson fanno sì che tutti i muscoli a poco a poco “fuori controllo” perdano la loro utilità, oltre a questa perdita di controllo caratterizzata da tremori, si produce una graduale rigidità di alcuni gruppi muscolari.
Anche se i più “evidenti” all’inizio sono in quei movimenti che richiedono la partecipazione di un numero maggiore di fasce muscolari, come il camminare, dove interviene anche l’informazione vestibolare che serve a riequilibrare la postura ad ogni passo.
Man mano che la malattia progredisce, si produrrà “interferenza” nel resto dei muscoli, come quelli della mascella e della lingua, che sono essenziali per una corretta prestazione linguistica. Di conseguenza, con il progredire del Parkinson, sarà più difficile capire cosa sta dicendo il paziente.
Non perché abbia qualche tipo di patologia neurologica legata alla parola o al pensiero, ma perché i muscoli intorno alla bocca e anche la lingua non rispondono adeguatamente ai suoi comandi, ma si può diagnosticare la presenza del Parkinson dal modo in cui una persona parla?
È quanto si è tentato di risolvere con un’indagine condotta dal Dipartimento di Informatica e Ingegneria e dal Dipartimento di Tecnologie dell’Informazione dell’Università di Ingegneria RAGHU, insieme al Dipartimento di Tecnologie dell’Informazione dell’Università. GITAM; e il Dipartimento di Microbiologia e Bioinformatica dell’Università Bilaspur (India) [15].
In questo studio sono stati utilizzati database su audio con registrazioni vocali e, tramite Big Data, sono state ricercate differenze tra i pazienti con Morbo di Parkinson da fare un confronto con la popolazione generale di età inferiore ai 40 anni.
Questi dati sono stati elaborati utilizzando tre diversi metodi di analisi matematica computerizzata, dove si verificava la chiarezza, la modulazione, la fase o l’impedenza delle frasi sia dei pazienti con Parkinson che delle persone che non ce l’hanno, che rappresentavano il gruppo di controllo.
I risultati indicano che l’uso di tecniche come la Support Vector Machine possono essere utilizzate per la diagnosi differenziale tra pazienti con e senza Morbo di Parkinson, a partire dai 40 anni, con una percentuale di successo del 70%.
Nonostante la chiarezza di questi risultati, la selezione dell’età come punto di cut-off tra prima e dopo l’insorgenza del Parkinson può essere evidenziata come una limitazione dello studio, a causa delle differenze individuali esistenti non controllate in questo studio.
Come sottolineano gli autori, se i risultati di queste analisi saranno corroborati, consentirà a chiunque di pronunciare tutte le vocali dieci volte e, dopo l’obbligatoria analisi matematica, sarà possibile sapere se stanno presentando i primi sintomi “silenti” del Morbo di Parkinson o meno.
Un grande passo avanti, poiché prima viene diagnosticata questa malattia, prima è possibile intervenire, allungando così la qualità della vita del paziente, e tutto questo con pochi minuti davanti a un microfono.
Come accennato, i problemi di linguaggio, indipendentemente dall’età in cui si presentano, renderanno difficile per il paziente avere una relazione sociale adeguata, da qui l’importanza di verificarne gli effetti nel Parkinson.
Essendo la capacità di comunicare una delle problematiche più importanti che incidono sulla qualità della vita dei pazienti con il Parkinson, è stato osservato che nel 90% dei casi è ostacolata dalla progressione della malattia, sia da alterazione nella velocità di parola sia dalla loro capacità discorsiva, ma i pazienti affetti dal Parkinson presentano problemi di linguaggio in funzione dell’età?
Questo è esattamente ciò che si è cercato di risolvere attraverso un’indagine condotta dal Dipartimento di Neurologia della Facoltà di Medicina dell’Università di San Paolo (Brasile) [16].
Lo studio ha incluso 50 pazienti con diagnosi di Morbo di Parkinson, tutti di età superiore ai 40 anni, che sono stati separati in due gruppi in base all’età, il primo, di 30 pazienti con età compresa tra 40 e 55 anni; e il secondo, con 20 partecipanti, tutti di età superiore ai 65 anni.
Sono state somministrate tre misure, una neuropsicologica per valutare la progressione del Parkinson attraverso la scala di Hoehn e Yahr e la [10] Unified Parkinson´s Disease Rating Scale[17]; una seconda di tipo percettivo dove è stata valutata la velocità discorsiva; e una terza di tipo acustico, dove la capacità di generare parole è stata valutata spontaneamente attraverso l’analisi delle vocali utilizzate in base al V.A.I. (Vowel Articulation Index).
Lo studio riporta che non ci sono differenze tra i gruppi di età in termini di nessuna delle tre misure, cioè né nella gravità del Morbo di Parkinson, né nella velocità né nella capacità di parlare.
Uno dei limiti dello studio è non aver separato i pazienti in base ai punteggi ottenuti nelle misure neuropsicologiche, cioè in base alla gravità della malattia.
Nonostante ciò, lo studio si concentra su un aspetto a volte dimenticato rispetto al Parkinson, la capacità di comunicare, fondamentale in una società basata sulla comunicazione orale.
I dati mostrano che l’età non è una variabile rilevante nei problemi di linguaggio associati al Morbo di Parkinson, il che indica che a qualsiasi età dovrebbe essere possibile intervenire attraverso una terapia specifica eseguita da un logopedista per aiutare a compensare le perdite dovute alla malattia.

“Se guardiamo al morbo di Parkinson da un punto di vista neurologico, c’è un compromesso nel cervelletto che è anche associato al deterioramento dovuto all’età, il che conclude che in generale si potrebbe dire che ci sono difficoltà nelle capacità motorie volontarie, in particolare del gli organi fonoarticolanti che hanno a che fare direttamente con la pronuncia dei diversi fonemi associati alla parola.
Questo deterioramento è anche associato all’espressione genetica. Non si sa quando inizierà questa difficoltà, tutto dipende dall’ambiente, dalla qualità della vita, dalla diagnosi e dall’intervento precoci e dalla genetica.
I sistemi di intelligenza artificiale sono attualmente utilizzati per scoprire quali mutazioni genetiche sono correlate alla comparsa del Parkinson.
Questo sarà fondamentale nel trattamento del Parkinson nel prossimo futuro.
Pertanto, i modelli predittivi di AI (intelligenza artificiale) basati su reti neurali sono già in fase di sviluppo e con la capacità, oltre a metodi di analisi statistica che utilizzano AI, come il Deep Learning aiuteranno i neurologi a identificare i pazienti candidati a ricevere eventuali cure attraverso la medicina personalizzata e la telemedicina, in base alle loro caratteristiche genetiche e cliniche.” Dra. Mabel Velandia Ramos Audiologa Colombia.

Va notato che a volte il pubblico in generale ha maggiori conoscenze sulle malattie a causa delle conseguenze nelle fasi avanzate, come nel caso del Morbo di Parkinson.
Essendo il Morbo di Parkinson neurodegenerativo, nel tempo gli effetti peggioreranno gradualmente, progredendo dai primi sintomi dello Stadio I, con lievi movimenti in una sola parte del corpo, trascinando un po’ i piedi, cominciando a mostrare i primi sintomi di rigidità.
Nello Stadio II, la persona inizia a piegarsi in avanti, cominciano i problemi di equilibrio e le difficoltà ad iniziare i movimenti (bradicinesia).
Nello Stadio III e IV i sintomi si complicano, rendendo difficile l’equilibrio e la deambulazione.
Fino all’ultima fase dello Stadio V, dove la dipendenza è massima, richiedendo una terza persona per svolgere qualsiasi attività della vita quotidiana, il paziente trascorre buona parte del suo tempo seduto o sdraiato a causa dei continui tremori.
Va tenuto presente che con il progredire della patologia le opzioni di trattamento per il Parkinson si riducono, a partire da quello farmacologico e riabilitativo fino a quello chirurgico. Tra questi ultimi, è possibile distinguere tra le cure reversibili come la stimolazione cerebrale profonda, e quelle irreversibili, che includono la chirurgia in cui si interviene in alcune parti del cervello.
Per quanto riguarda questi interventi chirurgici, la pallidotomia è la più comune, dove viene praticata un’incisione nel globo pallido del cervello, un intervento che invece è stato osservato avere conseguenze emotive nei pazienti operati, ma un intervento chirurgico nel cervello del paziente con il Morbo di Parkinson porta cambiamenti emotivi?
A questo si è cercato di rispondere con un’indagine condotta dall’Hospital de Santa María (Portogallo) [18].
Lo studio ha coinvolto 30 pazienti che hanno subito un intervento chirurgico per curare gli stadi avanzati del Parkinson.
Tutti sono stati sottoposti ad uno studio precedente e a un follow-up di un anno dopo l’intervento in cui hanno dovuto rispondere a un questionario standardizzato per il rilevamento delle emozioni chiamato Comprehensive Affect Testing System [19] in cui vengono valutate 7 emozioni di base nelle attività di riconoscimento facciale e 4 sul linguaggio (prosodia).
I risultati mostrano che non ci sono cambiamenti significativi tra i dati ottenuti prima e dopo l’intervento chirurgico. Nonostante ciò, una sintomatologia di apatia o depressione era stata osservata in 6 dei partecipanti prima dell’intervento, e che successivamente il numero è aumentato fino a 14 dopo un anno dall’intervento.
Quello che senza dubbio dovrebbe essere oggetto di studio è il motivo per cui il numero di persone con sintomi depressivi è raddoppiato in un anno, e se questo corrisponde a un’evoluzione “normale” della malattia o è il prodotto di un intervento chirurgico.
Come carenze dello studio, va notato che non è stato istituito un gruppo di controllo con cui confrontare l’evoluzione della malattia nel tempo, e che non è stata effettuata una valutazione esaustiva dell’umore del paziente né prima né dopo l’intervento chirurgico.
A causa dei limiti dello studio, i risultati non possono essere generalizzati fino a quando il numero di partecipanti non verrà ampliato, includendo un gruppo di controllo e verrà analizzata l’evoluzione dell’umore dei pazienti che hanno subito un intervento chirurgico come misura per affrontare la fase più avanzata del Morbo di Parkinson.
Sebbene i sintomi più evidenti del morbo di Parkinson siano proprio i tremori, ce ne sono altri non legati ai movimenti, come i disturbi del sonno, con una prevalenza che colpisce tra il 40 e il 90% di chi soffre di questa malattia sia con insonnia, sia con eccessiva sonnolenza diurna, apnea notturna o problemi durante il sonno.
Quelle persone che non soffrono di questo tipo di disturbi, tendono a non capire quanto sia invalidante non riposare e non poter iniziare una nuova giornata.
A questo proposito, va notato che una delle difficoltà che hanno i pazienti con Morbo di Parkinson è che quando compaiono problemi di sonno, non possono essere trattati adeguatamente, poiché il farmaco utilizzato in questi casi è solitamente incompatibile con quello adottato nel trattamento del Parkinson stesso.
Allo stesso modo, alcuni esercizi indicati per questi pazienti non sono così promettenti come ci si aspetterebbe, mantenendo così le difficoltà del sonno, ed i problemi che questo comporta per chiunque, ma ora aggravati dal Parkinson, ma i disturbi del sonno causati dal Parkinson possono essere superati?
Questo è proprio quanto si è cercato di scoprire con un’indagine congiunta svolta dall’Ospedale “S. Isidoro”; la Fondazione IRCCS S. Maugeri, Ospedale “Le Terrazze”; l’Ospedale Moriggia Pelascini, l’Istituto di Perfezionamento Clinico (Italia); e il JFK Johnson Rehabilitation Institute; insieme al Center for Movement Disorders della City University di New York (USA) [20].
Hanno partecipato allo studio 138 pazienti con un’età media di 69 anni, di cui 77 donne. I partecipanti sono stati divisi in due gruppi, il primo con 89 pazienti, che hanno ricevuto congiuntamente cure farmacologiche e allenamento fisico, e l’altro, con 49 partecipanti, che hanno ricevuto solo cure farmacologiche. Tutti sono stati esaminati per verificare la loro diagnosi, attraverso la scala dei sintomi del Morbo di Parkinson denominata Hoehn and Yahr Scale [10] ed il Mini-Mental State [12].
Dopo 28 giorni, tutti i partecipanti sono stati riesaminati per vedere se c’erano effetti differenziali tra i due gruppi, questa volta utilizzando la scala standardizzata chiamata Unified Parkinson’s Disease Rating Scale [17].
I risultati mostrano miglioramenti significativi nel trattamento congiunto tra il trattamento farmacologico e gli esercizi studiati per questo scopo, producendo una diminuzione dei disturbi del sonno, d’altra parte non sono state riscontrate differenze nel gruppo di controllo che ha ricevuto solo un trattamento farmacologico per trattare i problemi del sonno associati. Tra i limiti dello studio c’è il non avere un terzo gruppo di ricerca, che riceve esclusivamente esercizio fisico, per verificare se si producono o meno gli effetti positivi desiderati.
Allo stesso modo, effettuare un’unica valutazione a 28 giorni non garantisce che gli effetti positivi sul miglioramento dei disturbi del sonno si manterranno nel tempo, quindi sarebbero necessarie valutazioni successive per verificarlo.
Sintomi non motori del Morbo di Parkinson

Il Morbo di Parkinson è una malattia causata dalla degenerazione delle cellule nervose (neuroni) nel cervello. Questa malattia si presenta generalmente con disturbi del movimento come tremori, rigidità, bradicinesia e instabilità nella postura del corpo, ma possono verificarsi anche sintomi non motori, che possono precedere i sintomi classici. Questo potrebbe essere un segno precoce del Parkinson.
I sintomi non motori del Morbo di Parkinson sono suddivisi in diverse categorie: disfunzione autonomica, sintomi cognitivi e psichiatrici, disturbi del sonno e altri sintomi[16,21]. Sintomi come disfunzione olfattiva, costipazione e depressione possono essere i primi segni di sintomi motori del Morbo di Parkinson. Allucinazioni e demenza si verificano nel Parkinson in fase avanzata [21,22].

Disfunzione autonomica
Le disfunzioni autonomiche che possono verificarsi nel morbo di Parkinson sono pressione arteriosa ortostatica, disfunzione olfattiva, salivazione e sudorazione eccessiva, singhiozzo, difficoltà a deglutire, nausea, vomito, costipazione, incontinenza fecale, disfunzione della vescica, disfunzione sessuale e perdita o aumento di peso. [21,23,24]
Sono dovute alla compromissione del sistema nervoso autonomo, che è incaricato di mantenere le funzioni del corpo in forma inconscia e automatica.

Eccessiva salivazione e sudorazione
L’eccessiva salivazione o ipersalivazione colpisce circa il 10% di tutti i pazienti con Morbo di Parkinson e si osserva un’eccessiva sudorazione nel 30-50% dei pazienti.
I pazienti che soffrono di salivazione eccessiva possono avere complicazioni da singhiozzo e polmonite. I pazienti affetti dal Parkinson possono sperimentare un’eccessiva sudorazione su tutto il corpo, non limitata alle ascelle, ai palmi delle mani o ai piedi e al viso.
L’eccessiva salivazione è principalmente dovuta a disturbi della bocca e dei movimenti di deglutizione piuttosto che ad una produzione eccessiva. Questo è il risultato dell’acinesia nel Morbo di Parkinson.

Ipotensione ortostatica
Questi sintomi si verificano in circa il 30-50% di tutti i pazienti con il Parkinson. I sintomi più comunemente riscontrati sono mal di testa, stanchezza, vertigini a seguito di cambiamenti posturali e diminuzione della coscienza dopo essersi alzati in piedi o mangiato molto.
Riduzione e perdita della vista possono verificarsi improvvisamente nei casi più gravi [21,24].
L’ipotensione ortostatica è definita come una diminuzione sistolica superiore a 20 mmHg o una diminuzione diastolica superiore a 10 mmHg. È causata da una disfunzione del riflesso barocettore e dalla denervazione cardiaca simpatica (stimolante).
Il riflesso barocettore è responsabile della regolazione della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna in base alle informazioni ricevute sulla pressione sanguigna nelle carotidi, dove si trovano questi recettori. La terapia abituale con dopamina può anche causare ipotensione ortostatica [21,24].

Disfunzione dell’olfatto e del gusto
La diminuzione dell’olfatto (iposmia) e la sua perdita totale (anosmia) si verificano in circa il 90% dei pazienti con Morbo di Parkinson. Una delle disfunzioni olfattive, l’iposmia, è spesso un segno precoce dei sintomi motori del Parkinson.
Anche la percezione del gusto è influenzata (disgeusia) quando l’olfatto è alterato. Questi sintomi non sono troppo gravi, ma in alcuni casi questa disfunzione può causare una diminuzione dell’appetito.
La degenerazione del nucleo olfattivo anteriore e del bulbo olfattivo può causare patologie olfattive. Anche il fumo, i traumi cranici e altre patologia neurogenerative possono causare questa disfunzione dell’olfatto [21,25,26].

Singhiozzo e difficoltà a deglutire
Il 50% di tutti i pazienti con Morbo di Parkinson accusa singhiozzo e difficoltà a deglutire.
Il paziente presenta lievi disturbi della deglutizione nelle fasi iniziali e grave disfagia nelle fasi avanzate.
I pazienti hanno problemi a deglutire cibo, acqua o pillole e possono manifestare complicazioni come malnutrizione, polmonite o singhiozzo.
Il singhiozzo e la difficoltà a deglutire nei pazienti con Morbo di Parkinson sono principalmente causati da uno scarso trasporto del bolo di cibo attraverso la faringe.
La disfagia può essere associata ad una debole attivazione dei muscoli della lingua e delle guance, nonché ad uno scarso rilassamento e coordinazione dello sfintere esofageo superiore [21].

Nausea e vomito
Questo sintomo è sperimentato da circa il 20% di tutti i pazienti con Morbo di Parkinson. I pazienti possono manifestare flatulenza, nausea e vomito quando iniziano il trattamento con un nuovo farmaco antiparkinson. L’accumulo di gas può avvenire anche senza assunzione di farmaci, a causa della diminuzione dei movimenti dello stomaco
La sensazione di flatulenza nei pazienti affetti dal Parkinson deriva dalla degenerazione dei neuroni autonomi del sistema nervoso periferico (plesso di Meissner) che innervano il tratto gastrointestinale e il tronco encefalico. Nausea e vomito possono essere un sintomo primario nel Parkinson, ma sono generalmente causati dagli effetti collaterali dei farmaci dopaminergici.

Stitichezza
La prevalenza della stipsi nei pazienti con Morbo di Parkinson è di circa il 75%. La stitichezza è spesso il primo segno di sintomi motori. I pazienti con questi sintomi possono manifestare complicazioni sotto forma di megacolon, pseudo-ostruzione, volvolo, perforazione e fastidio addominale.
La stitichezza è un sintomo della disautonomia ed è principalmente causata dalla ridotta motilità del colon e dalla disfunzione anorettale. La degenerazione dei nuclei autonomici periferici e del tronco cerebrale causa stitichezza.
La denervazione colinergica parasimpatica può causare dissinergia dello sfintere, cioè alterata coordinazione del rilassamento dello sfintere anale, con conseguente incapacità di defecare normalmente [16,21,25].

Incontinenza fecale
L’incontinenza fecale si verifica in meno del 10% dei pazienti con Morbo di Parkinson. I pazienti sperimenteranno feci che escono involontariamente o inconsciamente. Questi sintomi sono rari e generalmente si verificano insieme all’incontinenza urinaria.
L’incontinenza, che si manifesta come l’impossibilità di raggiungere il bagno in tempo, è dovuta a disturbi motori (acinesia o bradicinesia) e di solito si presenta nei pazienti con Morbo di Parkinson in stadio avanzato.

Disfunzione della vescica
La prevalenza della disfunzione della vescica nei pazienti con Morbo di Parkinson è superiore al 50%.
Le disfunzioni più comuni associate all’iperreflessia del muscolo detrusore (contrazione della vescica per l’emissione di urina) sono la nicturia (necessità di urinare di notte) e l’incontinenza urinaria. Al contrario, l’ipofunzione del detrusore, come la ritenzione urinaria, è rara [21,26].
La disfunzione della vescica è causata dalla degenerazione autonomica della vescica e dei nuclei motori. La degenerazione della sostanza nera del tronco cerebrale, che agisce inibendo la minzione, può anche causare disfunzioni della vescica.

Disfunzione sessuale
Questo sintomo è sperimentato da circa il 20% di tutti i pazienti con Morbo di Parkinson. La disfunzione sessuale in questa malattia include disfunzione erettile, difficoltà a raggiungere l’orgasmo o anorgasmia, diminuzione della libido e diminuzione della sensibilità genitale.
Può anche essere associata a ipersessualità o aumento dell’eccitazione o dell’appetito sessuale (libido), che è generalmente associata al trattamento con agonisti della dopamina [21,24]. La disfunzione erettile deriva dalla degenerazione autonomica simpatica e parasimpatica.
La disfunzione sessuale può anche verificarsi a causa di disturbi motori, farmaci o disturbi dell’umore. In alcuni casi è stata coinvolta la carenza di testosterone [21,24].
Perdita o aumento di peso.
La perdita di peso si verifica in molte malattie neurodegenerative, una delle quali è il Morbo di Parkinson. La perdita di peso nel Parkinson è associata ad una diminuzione del tessuto adiposo. Fattori come discinesia, disturbi della deglutizione, odore, nausea e vomito o effetti collaterali dei farmaci possono contribuire alla perdita di peso [16,21].
L’aumento di peso è meno comune della perdita di peso nei pazienti affetti dal Morbo di Parkinson. Questo aumento di peso si verifica a causa del disturbo del controllo degli impulsi primari o degli effetti collaterali dei farmaci agonisti della dopamina.
Anche gli antipsicotici atipici, spesso usati nella malattia di Parkinson per trattare i sintomi psichiatrici e l’insonnia, come la quetiapina e la clozapina, sono associati all’aumento di peso.

Dolore
Il dolore si verifica nel 33-66% dei casi. Viene sperimentato dai pazienti sotto forma di rigidità muscolare, crampi, spasmi o dolore muscolare che si manifesta al polpaccio, al collo o alla schiena.
Il dolore si manifesta spesso durante il periodo di inattività e di riposo notturno. Può anche essere associato a discinesia e distonie mattutine [21,25,26].
I pazienti con Morbo di Parkinson sperimenteranno una diminuzione della soglia del dolore a causa della degenerazione della funzione dipendente dalla dopamina che regola l’inibizione del dolore.
Anche la degenerazione delle cellule produttrici di noradrenalina nel locus ceruleus del tronco encefalico è associata al dolore nei pazienti con Morbo di Parkinson [21,25,26].

Sintomi cognitivi.
I sintomi legati ai disturbi cognitivi e psichiatrici sono comuni nei pazienti con Morbo di Parkinson.
Questi sintomi possono manifestarsi sotto forma di deterioramento cognitivo, demenza (demenza di Parkinson, che è la seconda causa degenerativa primaria di demenza dopo l’Alzheimer), allucinazioni, depressione o ansia, apatia, comportamento sessuale alterato, disturbo del controllo degli impulsi e deliri o [16,21,25]allucinazioni
Più del 70% dei pazienti colpiti dal Parkinson sperimenterà un lieve deterioramento cognitivo e demenza.
La demenza da Morbo di Parkinson si verifica generalmente nei pazienti avanzati di età superiore ai 65 anni. I sintomi predominanti includono bradypsychia (processo di pensiero lento), memoria alterata, attenzione e visuospaziale e una sindrome disesecutiva [21,23].
La demenza con corpi di Lewy a partire da strutture corticali è un’importante causa di demenza nel Parkinson.
In altri casi, può essere prodotta da altre cause, come cambiamenti del Morbo di Alzheimer e lesioni vascolari.
I fattori di rischio che possono causare la demenza di Parkinson sono età superiore a 65 anni, allucinazioni, deliri, storia familiare di demenza, depressione e disturbi della fase di movimento rapido degli occhi durante il sonno o disturbo del sonno REM [21,23].
Le allucinazioni si verificano nel 40% di tutti i pazienti con Morbo di Parkinson. Generalmente si verificano nella malattia in stadio avanzato. Le allucinazioni visive si verificano più frequentemente, mentre le allucinazioni uditive, gustative, olfattive e tattili sono rare. Questi sintomi si verificano spesso in condizioni di scarsa illuminazione o coscienza ridotta, come durante il sonno [21,25].
La degenerazione dell’area visiva e la percezione della corteccia sono associate ad allucinazioni e illusioni nel Morbo di Parkinson.
Le allucinazioni sono spesso dovute agli effetti collaterali dei farmaci antiparkinson, ma possono verificarsi principalmente nelle fasi avanzate.
Altri fattori di rischio sono il declino cognitivo, la vecchiaia, le patologie croniche e la depressione [21,25].

Disturbi del sonno
Il Morbo di Parkinson può causare vari disturbi del sonno. Questi disturbi del sonno sono eccessiva sonnolenza diurna (ipersonnia), insonnia e disturbo del sonno REM [25,26].

Eccessiva sonnolenza diurna (EDS)
La sonnolenza si verifica in circa il 50% di tutti i pazienti con il Parkinson. I malati di Parkinson possono addormentarsi mentre guidano, parlano o si trovano in luoghi pubblici.
Episodi improvvisi di sonno possono verificarsi nei casi più gravi, chiamati attacchi di sonno. Sebbene dormano raramente durante il giorno, quindi raramente si lamentano a questo proposito.
La degenerazione del sistema di attivazione reticolare e dei generatori del ritmo circadiano che regolano il ciclo di veglia giocano un ruolo nello sviluppo dell’EDS nel Morbo di Parkinson. La levodopa, gli anticolinergici, l’amantadina e gli agonisti della dopamina possono causare sonnolenza.
Dovrebbe essere considerata anche la presenza di apnea notturna, disturbi psichiatrici più comuni come depressione e ansia.

Insonnia
La prevalenza di pazienti con insonnia nel Parkinson è dal 60 all‘80%. I pazienti possono avere difficoltà ad addormentarsi o mantenere il sonno [21,25].
L’insonnia può essere motivata da varie cause. La degenerazione dei sistemi di regolazione del sonno e i cambiamenti nei ritmi circadiani nel cervello sono le principali cause di insonnia.
Inoltre, sintomi motori come bradicinesia, tremore, discinesia e sindrome delle gambe senza riposo possono interferire con il sonno.
I farmaci antiparkinson possono causare anche insonnia. E i sintomi psichiatrici, come allucinazioni e delusioni, spesso disturbano il riposo notturno.

Disturbo della fase REM
Questo disturbo si verifica nel 50% di tutti i pazienti con Morbo di Parkinson. Questo è caratterizzato dalla perdita della normale atonia muscolare durante la fase REM del sonno. Il paziente agisce fuori dal sonno, facendolo parlare (sonniloquio), muovere le mani o i piedi e urlare durante il sonno. Durante il sonno, il paziente può cadere dal letto, ferire se stesso o la persona accanto a lui [21].

Sindrome delle gambe senza riposo
Questa sindrome può essere un segno precoce di sintomi motori e un indicatore di altri problemi, come il declino cognitivo. La degenerazione del tronco cerebrale inferiore, in particolare l’area del locus ceruleus, può essere coinvolta in questo disturbo [21,26].
Alterazioni visive
Le anomalie visive nei pazienti con Morbo di Parkinson comprendono diplopia, disturbi della percezione del colore e del contrasto e disturbi visuo-spaziali.
Le alterazioni della sensibilità al contrasto possono interferire con la guida di veicoli, soprattutto di notte. La diplopia è rara e di solito si verifica durante la lettura.
I disturbi del colore e del contrasto possono essere causati da una disfunzione della retina dovuta alla degenerazione dei neuroni dopaminergici nella retina e alla disfunzione della corteccia visiva del cervello.
La diplopia si verifica spesso a causa di una convergenza insufficiente dei muscoli oculari. Funzione visuo-spaziale compromessa associata a disfunzione cognitiva e allucinazioni nel Morbo di Parkinson

Gonfiore (edema) delle gambe
Il gonfiore dei piedi si verifica spesso nei pazienti affetti dal Parkinson. Questo gonfiore si verifica nella parte inferiore della gamba, sebbene questi sintomi di solito non siano gravi. Questo è generalmente un effetto collaterale dei farmaci antiparkinson, in particolare gli agonisti della dopamina. Tuttavia, il Morbo di Parkinson di per sé può anche causare infiammazioni ai piedi, anche senza assunzione di farmaci.

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Il Morbo Di Parkinson In Tempi Di Pandemia Juan Moisés De La Serna
Il Morbo Di Parkinson In Tempi Di Pandemia

Juan Moisés De La Serna

Тип: электронная книга

Жанр: Нейробиология

Язык: на итальянском языке

Издательство: TEKTIME S.R.L.S. UNIPERSONALE

Дата публикации: 16.04.2024

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О книге: Il Morbo di Parkinson è stato ampiamente studiato. Tuttavia, si fanno quotidianamente progressi in termini di diagnosi e trattamento, da qui l′importanza di essere informati, sia per il personale sanitario che per i pazienti e le loro famiglie. Di seguito, viene presentato un testo accessibile in cui gli aspetti più rilevanti di questa malattia sono trattati da una prospettiva aggiornata, tanto da affrontare anche l′attuale pandemia e le sue implicazioni in questa malattia. Il testo include la testimonianza eccezionale della dottoressa Mª Esther Gómez Rubio, psicologa clinica e neuropsicologa, specialista di area al National Hospital for Paraplegics (SESCAM) che condivide la sua esperienza diretta con il Morbo di Parkinson. Inoltre, comprende anche il prezioso contributo del dottor Marcos Altable Pérez, neurologo e fondatore di Neuroceuta a Ceuta che commenta i sintomi non motori e gli aspetti neuropsichiatrici del Parkinson, nonché le sue implicazioni in questa pandemia.

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