Svolte Nel Tempo

Svolte Nel Tempo
Guido Pagliarino


Guido Pagliarino
Svolte nel Tempo
Romanzo

Copyright © 2018 Guido Pagliarino
All rights reserved
Book published by Tektime
Guido Pagliarino
Svolte nel tempo
Romanzo in due parti: Universi paralleli - Peccato originale
2a Edizione in libro cartaceo e 3a Edizione in e-book, rivedute dall’autore e con tre nuove postfazioni
Distribuzione Editrice Tektime
Copyright © Guido Pagliarino 2018

L’opera è stata tradotta epubblicata, semprecon l’Editrice Tektime, sia in lingua spagnola (traduttore Mariano Bas, titolo “Un Giro en el Tiempo”, ISBN libro 9788885356115, ISBN e-book 9788885356108, anno 2017,distribuzione Tektime,© Guido Pagliarino)siain lingua francese (traduttrice Kelly Priour, titolo “Transitions”, ISBN libro9788885356955, ISBN e-book 9788885356948, anno 2017, distribuzione Tektime, Copyright © Guido Pagliarino)
Precedenti Edizioni in lingua italiana:
1a Edizione, in libro cartaceo, in audio libro e-in e-book, “Svolte nel Tempo”, copyright 0111 Edizioni 2011-2013 (Questa 1aedizione del romanzo, nel suo formato cartaceo, ebbe il 1° Premio Assoluto Creativa 2012, sezione narrativa edita)
Dal 2014 tutti i diritti, letterari, cinematografici, televisivi, radio, internet e connessi a qualsiasi altro mezzo di diffusione sono tornati all’autore, per tutto il mondo.
2a Edizione, in e-book, Svolte nel tempo, Kindle e Smashwords ISBN 9781311435668, copyright © Guido Pagliarino 2014
L’immagine di copertina è realizzata elettronicamente dall’autore

Personaggi, nomi personali e collettivi, vicende, situazioni corali o individuali del passato o del presente sono immaginari. Eventuali riferimenti a persone viventi o vissute a parte i personaggi storici sono involontari e i fatti e le parole attribuiti agli stessi personaggi storici sono similmente inventati

Indice

Svolte nel Tempo - Romanzo in due parti (#ulink_1cb5f199-afa2-5c23-9f91-547ffa2e36af)
Prima Parte: “Universi (#ulink_fcb6a0d8-c783-5dc7-92f0-e9f6391e6ec5)P (#ulink_fcb6a0d8-c783-5dc7-92f0-e9f6391e6ec5)aralleli” (#ulink_fcb6a0d8-c783-5dc7-92f0-e9f6391e6ec5)
Capitolo 1 (#ulink_f414ffbe-acd7-5d64-b506-542b2a8d8aa7)
Capitolo 2 (#ulink_d79855cd-a018-54a1-bfc9-234a443c169c)
Capitolo 3 (#ulink_2b40929c-58ac-59f6-8620-19368b60754e)
Capitolo 4 (#ulink_1dbe6e9f-d7a1-5a95-93b3-e8f089879215)
Capitolo 5 (#ulink_000b9bfd-36d3-5b19-9176-af009487296f)
Capitolo 6 (#ulink_a5ee7695-f520-5aba-8943-a65f782c6aaf)
Capitolo 7 (#litres_trial_promo)
Capitolo 8 (#litres_trial_promo)
Seconda parte: “Peccato Originale” (#litres_trial_promo)
Capitolo 9 (#litres_trial_promo)
Capitolo 10 (#litres_trial_promo)
Capitolo 11 (#litres_trial_promo)
Capitolo 12 (#litres_trial_promo)
Capitolo (#litres_trial_promo)13 (#litres_trial_promo)
Capitolo (#litres_trial_promo)14 (#litres_trial_promo)
Capitolo (#litres_trial_promo)15 (#litres_trial_promo)
Capitol (#litres_trial_promo)o (#litres_trial_promo) (#litres_trial_promo)16 (#litres_trial_promo)
Introduzione dell'Autore alla (#litres_trial_promo)P (#litres_trial_promo)rima (#litres_trial_promo)E (#litres_trial_promo)dizione (#litres_trial_promo)
Postfazione dell'autore alla (#litres_trial_promo)Nuova (#litres_trial_promo) (#litres_trial_promo)E (#litres_trial_promo)dizione (Sul male nel romanzo “Svolte nel tempo”) (#litres_trial_promo)
Postfazione di Cristina Bellon ( (#litres_trial_promo)dal suo articolo nel numero 59 della rivista “Future Shock”: (#litres_trial_promo)su cordiale autorizzazione dell’autrice del medesimo (#litres_trial_promo)) (#litres_trial_promo)
Postfazione di Antonio Scacco (stralcio da suo articolo nel numero 60 della rivista “Future Shock”: (#litres_trial_promo)su cordiale autorizzazione dell’autore del medesimo (#litres_trial_promo)) (#litres_trial_promo)
Svolte nel temp (#ulink_004be1d7-1070-5a1d-8433-a263c2b76671)o - Romanzo in due (#ulink_004be1d7-1070-5a1d-8433-a263c2b76671)parti (#ulink_004be1d7-1070-5a1d-8433-a263c2b76671)
Prima Parte: “Universi (#ulink_a151e4d0-e92a-58f9-b94e-e7ff748fa9da)P (#ulink_a151e4d0-e92a-58f9-b94e-e7ff748fa9da)aralleli” (#ulink_a151e4d0-e92a-58f9-b94e-e7ff748fa9da)
(#ulink_ea9330b1-e908-513d-9155-48551b9f9b0d)
Capitolo 1 (#ulink_ea9330b1-e908-513d-9155-48551b9f9b0d)

Nella Sala del Mappamondo di Palazzo Venezia, ampio studio romano del Capo del Governo, il telefono bianco riservato, direttamente collegato a pochi numeri eccellenti, aveva trillato. Erano le 15 e 28 minuti del 13 giugno 1933, XI dell’Era Fascista.
Benito Mussolini, seduto alla scrivania, aveva alzato la cornetta dell’apparecchio, appoggiato immediatamente alla sua destra sul piano accanto a un altro telefono, nero, la cui linea passava per il centralino.
All’altro capo del filo c’era il dottor Arturo Bocchini, potentissima figura al vertice del Reale Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza1 (#litres_trial_promo) e, in questo, a capo della poderosa e temutissima divisione della polizia politica OVRA: il significato della sigla, per intimorire meglio il pubblico, non era mai stato chiarito, forse Organo di Vigilanza sui Reati Antistatali, ma la sua funzione di tutela suprema del regime fascista era ben nota a tutti.
“Duce, vi2 (#litres_trial_promo) saluto: sono Bocchini”, aveva esordito.
“Dimmi, Bocchini!”: le telefonate del capo dell’OVRA erano quasi sempre apportatrici di fastidi, quando non di guai, e Mussolini subiva un certo batticuore nell’udire quella voce, turbamento che cercava di mascherare usando un tono particolarmente imperioso.
Senza preliminari, l’altro gli aveva riferito un fatto straordinario: “Duce, stamattina uno strano velivolo sconosciuto è apparso nel cielo della Lombardia. Poiché lassù oggi è quasi totalmente coperto, quell'aeromobile, che è di forma inusitata, è scomparso più volte fra le nuvole, riapparendo di tanto in tanto…”
“…e quale sarebbe ’sta forma inusitata?”
“Il velivolo assomiglia al disco dell’atleta discobolo”.
“Alt! Non sarà un elicottero dell’ingegner D’Ascanio?”3 (#litres_trial_promo)
“Duce, si può escluderlo, l’ultimo suo modello è stato il noto DAT 3 che s’era alzato solo di pochi metri; e comunque, l’anno scorso la Società D’Ascanio-Troiani s’era sciolta, essendosi esauriti i capitali; peraltro non ci risulta che, almeno per il momento, se ne costruiscano all’estero”.
“Cosa fa adesso il D’Ascanio?”
“Lavora alla Piaggio, su progetti d’aerei convenzionali da bombardamento”.
“Altre cose su quel velivolo sconosciuto?”
“Presenta un diametro d’una decina di metri, è di colore chiaro, tra il bianco e l’argento. È stato avvistato anzitutto dall’Osservatorio di Brera e, non molto dopo, da passanti sopra diverse zone di Milano: uno di loro, il capitano degli Alpini Alighiero Merolli, ha avvertito i Regi Carabinieri, tramite i quali si sono messi in allerta i miei e inoltre la Milizia4 (#litres_trial_promo) e la Regia Aeronautica”.
“Bene”.
“Una squadriglia di Fiat CR 20 5 (#litres_trial_promo) s’è levata in volo per pattugliare il cielo di Milano e dintorni, cercando d’avvistare e fotografare quell’aeromobile e poi farlo atterrare: una missione nient’affatto facile, data la giornata nuvolosa. Fortuna ha voluto che il disco uscisse improvvisamente da un cumulo proprio sopra gli aerei: aveva un assetto di volo anormale, pareva in difficoltà, procedeva ondeggiando, un po’, mi hanno detto, come una trottola verso fine corsa quand’inizia a dondolare e poi traballa per fermarsi, di lì a poco, di colpo. Il comandante della squadriglia capitano Attilio Forgini ha ordinato a quel velivolo sconosciuto, sia via radio in italiano e in francese6 (#litres_trial_promo), sia adottando quegli assetti di volo che raffigurano visivamente tale ordine, di seguirlo; non s’è fatto però in tempoCapitolo 14 (#ulink_73ca2c46-6669-55b2-8559-a7576fef6400) né a scortare l’aeromobile al più vicino aeroporto né ad abbatterlo, ciò che sarebbe stato possibile perché s’era ormai fuori Milano: nonostante il guaio in cui pareva trovarsi, il pilota straniero ha accelerato di colpo il disco fino a una velocità che i nostri hanno valutato di mille chilometri orari”.
“Mill…!”
“Sì, Duce, non di meno, pare cosa sicura, mi è stato assicurato dal loro Comando che quei piloti son tutti di provata esperienza e capacità, cominciando dal capo squadriglia”.
“Quei nostri aerei a quanto viaggiano precisamente?”
“Eh, Duce, sono velocissimi, ma al massimo raggiungono i duecentosettanta all’ora. So, da mie fonti alla Fiat, che là a Torino stanno facendo voli sperimentali con un nuovo modello, il CR 32, ma anche questo biplano, pur se più veloce, non arriva neanche lontanamente vicino a quel velivolo sconosciuto, non supera infatti i 375 orari a parte che, per adesso, esiste solo qualche prototipo sperimentale e si prevede la produzione in serie al più presto per l’anno prossimo”.
Mussolini aveva serrato le mascelle, poi: “Un danno d’immagine e un pericolo militare gravissimi per l’Italia! Non possiamo rimanere indietro nell’innovazione aeronautica! Senti, Bocchini, intanto io telefono a Balbo, perché dia immediato ordine ai Comandi aerei del nord di far alzare altre squadriglie: forse qualcuna riuscirà ad avvistarlo di nuovo, quell’affare, e questa volta pure ad abbatt…”
“…no, Duce, scusate…”
“Come no?!”
“Scusate, intendo che l’aeromobile si è di già catturat…”
“…e potevi dirlo subito, no?”
“Eeh…sì, Duce, in verità ero proprio sul punto di dirvelo”.
“Avanti!”
“Sparito alla vista, quella sorta di piatto volante non è però riuscito a nascondersi a lungo, non molto dopo è atterrato in piena campagna, o per meglio dire è stato veduto abbattersi in caduta libera negli ultimi metri, come se il motore l’avesse piantato di colpo, sopra un campo di grano fra le località di Sesto Calende, Varese e Vergiate: più vicino a quest’ultima”.
“Chi l’ha visto?”
“Un certo Annibale Moretti, un agrario padrone di appezzamenti fra cui un campo confinante con quello dell’impatto: un fascista della prima ora che ha fatto la Marcia su Roma. Egli, essendo da poco giunto in bicicletta in quel suo fondo per un’ispezione sullo stato di maturazione del grano, ha sentito un sibilo, ha alzato la testa e ha potuto seguire la caduta di quell’aeromobile e vederne l’impatto sul campo limitrofo; non s’è avvicinato temendo un incendio susseguente e uno scoppio, il che peraltro non è accaduto; comunque, è risalito sveltamente in bici e ha avvertito la locale Stazione dei Regi Carabinieri, comandata dal maresciallo maggiore Amilcare Palumbo. Questi s’è attivato immediatamente, ha trattenuto in Stazione solo gli uomini strettamente necessari all'ordine pubblico e ha fatto bloccare dagli altri il transito dei mezzi civili nella zona dell’impatto. Fortunatamente, dalla strada più vicina, una statale, non si poteva notare alcunché dell’aviomobile, perché essa corre distante un quattrocento metri e ci sono alberi in mezzo, mentre accanto allo stesso, mi hanno riferito, c’è solo un viottolo in terra battuta, quello su cui era arrivato e andato via il Moretti in bici, e raramente vi passa qualcuno. Il mezzo è stato circondato da uomini delle tre forze di sicurezza, mentre una centuria7 (#litres_trial_promo) della Milizia, sopraggiunta dalla non lontana caserma Giovanni Berta, ha iniziato a rastrellare i campi e i boschetti della zona e poi, edificio per edificio, anche Vergiate”.
“…e il Moretti? Andrà in giro a parlare?”
“No, Duce: il Palumbo l’ha trattenuto con la scusa ch’era necessario collaborasse alla stesura d’un verbale. Su suo ordine, non impartito ovviamente davanti al Moretti, un appuntato, con l'agrario seduto davanti, s’è messo con studiata lentezza a battere a macchina, domandando, scrivendo, correggendo eccetera. Intanto il maresciallo avvisava le altre forze di Polizia e la Milizia e ordinava al suo vice, un certo brigadiere Aldo Pelassa, di recarsi sul luogo per bloccare il traffico e piantonare il mezzo; quindi il maresciallo chiedeva ulteriori disposizioni ai superiori. Costoro, prima di rispondere hanno avvertito me, data la delicatezza della situazione, e io ho trasmesso direttamente al maresciallo l’ordine di far condurre il testimone nella caserma Berta della Milizia, con la scusa d’un approfondimento d’indagini, perché vi venisse ben ammaestrato su cosa dire. Mi ha telefonato poco fa il primo seniore8 (#litres_trial_promo) Ilario Trevisan, comandante della coorte9 (#litres_trial_promo), che il Moretti è giunto e sta aspettando nella saletta colloqui presso il corpo di guardia. Ora, Duce, attendo io i vostri diretti, precisi ordini in merito, per trasmetterli al Trevisan”.
“Hmm… quel Moretti, mi hai detto, è un fascista della prima ora e bisogna tenerne conto… ma se parla in giro, almeno per il momento… Mah! senti, Bocchini, fate così: lasciatelo libero, ma solo dopo che avremo diffuso le notizie che ci convengono: fai comunicare da radio e giornali, tramite la solita Stefani, ch’è precipitato un meteorite dal cielo; e intanto, indottrinate in proposito il Moretti”.
La Stefani era l’agenzia di stampa ufficiale del regime incaricata di fornire ai mezzi di comunicazione le notizie volute nelle forme più convenienti, e di controllarne minuziosamente la diffusione, nonché d’ordinare il blocco di qualsiasi informazione sgradita che, malauguratamente, avesse iniziato a circolare. La dirigeva il giornalista fascista Manlio Moranti, nato nelle stesse terre di Mussolini, a Forlì.
“Agli ordini, Duce”, aveva risposto Bocchini.
“Adesso dimmi del pilota dell’aeromobile”.
“All’interno c’erano tre persone, nessuna era viva: due cadaveri di uomini e uno di donna, tutti in abiti leggeri che saranno analizzati non appena possibile dai chimici: avevano mocassini ai piedi e, addosso, camiciotti e pantaloni, anche la donna, vesti come quelle che s’indossano in vacanza al mare, a volte pure le signore più moderne…”
“…femmine sfrontate”.
“Sì, Duce. Non si tratta d’una divisa, perché i colori di quei vestiti sono i più vari, uno dei morti era abbigliato tutto in nero, gli altri due rispettivamente con camiciotto verdino e pantaloni celesti, la donna, e giallo e grigio, l’uomo”.
“Avranno voluto andare al mare subito dopo”, aveva scherzato Mussolini per scrollarsi l'irrequietezza che l’aveva preso.
Il capo dell’OVRA non l’aveva proprio capita: “Duce, è possibile che su quel mezzo i motori generino un gran caldo e allora…”
“…ma che bella scoperta, Bocchini!”
“S...scusate Duce, non avevo capit…”
“…e va bene, torniamo seri: per me, quei tre sono spie, non semplici collaudatori. Peccato che siano morti e i tuoi uomini non possano interrogarli come si deve, sempre che non ce ne siano altri in vita, ben inteso: non pensi che qualcuno potrebbe essere uscito dal velivolo ed essersi imboscato?”
“Duce, sul momento c’era stato da parte nostra lo stesso sospetto e pure forte, dato che i posti a sedere su quel disco aereo sono quattro; si può però pensare, ormai, che non ci siano superstiti, poiché tutta la zona e pure la località di Vergiate sono state rastrellate dalla Milizia: s’è ritenuto che uno dei sedili non fosse stato occupato”.
“Hmm… sì, è verosimile. A parte questo, Bocchini, ti dico che la presenza femminile nell’aeromobile m’appare un po’ strana, anche se, nel mondo, non mancano del tutto piloti d’aereo donne, figure peraltro eccezionalissime” – a Mussolini piacevano molto i superlativi, meglio se eccessivi – “come quell’aviatrice americana di cui m’avevi riferito tu a suo tempo, quella che l’anno scorso aveva trasvolato da sola l’Atlantico… come si chiama?”
“Amelia Earhart10 (#litres_trial_promo)”.
“Ah, sì; e… non si tratterà mica di lei?”
“Stiamo controllando, Duce. Comunque, vi avviso tra parentesi che, da pochissimo, abbiamo pure noi un’eroica pilota femmina, la ventiduenne marchesina Carina Negrone che, per puro caso proprio questa mattina, ha conquistato il brevetto di pilotaggio a Genova, decollando con un idrovolante Caproncino dal mare sottostante la Lanterna”.
“Bravo Bocchini! Bella notizia per la propaganda! La donna è di provata fede fascista, no?”
“Una patriota, Duce, e l’ha istruita un pilota militare in congedo, un eroe della Grande Guerra: l’industriale genovese Giorgio Parodi”.
“Conosco, conosco. Benissimo: intanto ti ordino che si faccia pubblicità tramite la Stefani sul fatto dell’arditissima aviatrice italiana: la notizia contribuirà a distrarre i giornali da quell’aeromobile sconosciuto, ché il fatto non favorirebbe di certo l’immagine della nostra aviazione. Parallelamente blocchiamo la notizia del disco sparando la frottola del bolide celeste. Fino a oggi la nostra Aeronautica è stata la primissima al mondo e il mondo deve continuare a pensarlo. Mille chilometri all’ora! Roba da romanzi alla Giulio Verne! Dobbiamo arrivarci anche noi, eh?”
“Certamente, Duce”, aveva assicurato Bocchini, anche se con la produzione aeronautica egli aveva a che fare come il salame con le fragole alla chantilly.
“Se non me l’avessi detto tu non lo crederei; mille chilometri all’ora: formidabile; ma tornando alla donna morta: la sua presenza nel velivolo corrobora quanto ho detto prima”.
“?”
“…ma sì, che si tratta di spionaggio! La donna, in quanto tale, non poteva essere una militare, semmai un’interprete, o qualcosa del genere, d’un servizio segreto”.
“Sì Duce. Indagherò. Intanto, se permettete, continuo a riferirvi”.
“Procedi”.
“Con altrettante ambulanze, le tre salme son state ricoverate nella camera mortuaria dell’Ospedale Militare di Milano, dove vengono piantonate in attesa d’autopsia. Sono giunti nello stesso tempo sul luogo dell’impatto speciali autocarri e gru mobili dell’Aeronautica, tutti con grosse gomme chiodate o cingoli per terreni non asfaltati, e si è riusciti a caricare il mezzo e a liberare la zona dall’ingombrante presenza, ovviamente dopo aver vietato il traffico su tutto il percorso, ché il disco occupa quasi l'intera larghezza dello stradone”.
“Danni alle colture locali?”
“Eh, sì, Duce, tra cingoli e gomme chiodate, e considerando che fino alla strada asfaltata c’è solo il viottolo in terra, i campi ai due lati del medesimo hanno avuto notevoli danni”.
“Risarciremo i proprietari. Ne avvertirò il prefetto locale... di quale provincia?”
“Varese, Vergiate è in provincia di Varese”.
“Sì, Varese. Foto del disco?”
“Sì, Duce, sono state prese moltissime fotografie”.
“Vederle subito”.
“Le stanno stampando, Duce. Per domani mattina al massimo, con corriere espresso della Pubblica Sicurezza, saranno sulla vostra scrivania”.
“Bene. Va’ avanti”.
“Il velivolo è stato ricoverato non distante dal luogo dell’atterraggio negl'impianti delle ex Officine Elettrochimiche Dottor Rossi, acquistati tempo fa dall’industria d’aerei SIAI Marchetti che li ha trasformati in fabbrica d’aeroplani. Accanto allo stabilimento la SIAI, di concerto col Ministero dell’aeronautica e con l'intervento del Genio aeronautico, ha approntato una pista per i voli di prova”.
“Quanto alla sicurezza?”
“Un manipolo11 (#litres_trial_promo) della Milizia della caserma Berta monta la guardia tanto al disco che alla pista; gli ho affiancato due marescialli dell'OVRA, che mi riferiranno quotidianamente”.
“Tutti devono essere sempre freschissimi di mente, per non subire un solo attimo di disattenzione. Il loro turno sarà di ventiquattro ore?”
“No, Duce: cambio del manipolo e dei miei uomini ogni dodici ore, proprio perché tutti stiano sempre all’erta”.
“Va bene. Senti, Bocchini, è inutile sottolineare che questo fatto ha oggi priorità assoluta. Immediatamente deve partire il divieto alla stampa di parlare dell’accaduto, solo dovrà dirsi dell’aerolito naturale e insistere su tale favola, anche se notizie vere fossero già state raccolte da qualche organo d'informazione. Provvedi tu a mezzo della Stefani e falle precisare ai giornalisti che gli autori, anche solo, di minime voci diverse saranno denunciati al Tribunale Speciale per la Sicurezza dello Stato”.
Il pesante effetto di tale denuncia sarebbe stato il confino politico nell’isoletta prospiciente Ventotene, adibita al soggiorno coatto di esponenti non allineati della cultura e di giornalisti non abbastanza ligi agli ordini trasmessi con le cosiddette veline dell’Agenzia Stefani.
“Ciao, Bocchini. Ti richiamo”, aveva concluso Mussolini.
Il capo dell’OVRA, risposto al saluto e attaccato il ricevitore, aveva alzato la cornetta d’un altro suo apparecchio, ch'era in diretta comunicazione con la centrale della Stefani, e aveva passato le disposizioni tassative che aveva ricevuto dal Gran Capo. Aveva comandato d’inviare tali ordini a tutti i mezzi d’informazione per via telegrafica lampo.
S’era attivata senz’indugio la sede milanese dell’Agenzia, non solo perché era la più vicina al luogo dell’atterraggio, ma in quanto a Milano risiedeva il capo della Stefani Manlio Morgagni e tale sezione era considerata egualmente importante, se non più, di quella di Roma.
Immediatamente dopo era stato fornito telefonicamente all’Osservatorio di Brera da Bocchini in persona l’ordine di prodigarsi subito per passare alla stampa il “bollettino scientifico” attestante che l'oggetto visto nel cielo di Milano era assolutamente naturale, un aerolito che s’era poi abbattuto al suolo in aperta campagna; sarebbe seguita una sollecita lettera di conferma al direttore della specola, che gli sarebbe stata recapitata a mano da un corriere della Pubblica Sicurezza: lettera solo da visionare e da riconsegnare subito al latore, che l’avrebbe riportata all’OVRA che l’avrebbe archiviata fra i documenti classificati segretissimi.
Capitolo 2 (#ulink_c5cd3dad-18ae-5216-9025-1033b24437a7)

Sarebbero rimasti a lungo su quel pianeta azzurro di massa appena minore di quella del loro mondo e che aveva mari e continenti.
Subito dopo l’immissione della cronoastronave in orbita standard, i cronoastronauti avevano lanciato i satelliti d’ispezione, per la mappatura e il rilevamento di eventuali forme biologiche. Analizzati i dati, avevano riscontrato vita animale entro gli oceani e i maggiori specchi d’acqua lacuali, ma non sulle terre emerse, pur essendo state notate vestigia d’una civiltà ormai estinta. La vegetazione sulla terraferma, ch’era in notevole parte desertica, andava dai muschi ai cespugli e agli arbusti e nell’acqua e sulla sua superficie passava dalle alghe alle ninfee: nessuna forma vegetale più complessa era presente su quel mondo.
Gli esploratori scientifici vi erano discesi a bordo di dischi da sbarco che si muovevano secondo il principio dell'antigravità, sfruttando l'energia solare della stella più prossima e, di riserva, quella prodotta con la fusione nucleare nella cronoastronave e immagazzinata negli accumulatori delle navette. Ciascuna di queste aveva in dotazione standard quattro missili armati con bombe, due potenti disgregatrici e due a fusione termica, che non dovevano servire quali armi se non in casi estremi, ma per operazioni scientifiche, ad esempio per aprire un terreno a fini d’indagine geologica. Semmai, in caso d'ostilità di nativi o presenza di belve sui luoghi di sbarco, tutti peraltro assenti su questo pianeta, ogni disco poteva lanciare raggi che stordivano e paralizzavano temporaneamente. Quanto alla difesa personale, ciascun ricercatore portava una piccola ma efficace arma paralizzatrice individuale. Ognuno era dotato inoltre, per le più diverse necessità, d'un eclettico microelaboratore che, a seconda delle psicologie, o era stato impiantato chirurgicamente nel cerebro ed era attivabile col pensiero, oppure era tenuto in tasca o alla cintura e poteva essere acceso e usato con la parola. Ciascuno, infine, aveva indosso un piccolo contenitore con moscerini elettronici spia, attivabili a voce e utili per esplorazioni del territorio in quasi assoluta segretezza, apparendo essi come semplici insetti.
Nell’oceano e in laghi del pianeta alieno gli astrobiologi avevano catturato numerosi esemplari vivi di varie specie acquatiche, immessi in due grandi vasche del sigaro, come familiarmente era detto il vascello cronocosmico, una d'acqua salata e l'altra d'acqua dolce. Piante acquatiche erano state inserite in quelle vasche ecologicamente.
Gli storici e gli archeologi della spedizione s’erano concentrati sulle vestigia e su altri reperti della civiltà scomparsa situati attorno ed entro l’area di sbarco; s’erano osservate, fotografate e riprese iscrizioni su monumenti e lapidi, sulle pareti interne d’edifici e su manufatti. Sempre sulla terraferma s’erano raccolte strutture ossee di animali quadrupedi e bipedi di varia taglia e, di particolarissimo interesse, scheletri che ricordavano per forma e dimensione, con non forti dissomiglianze, quelle stesse degli scienziati: oltre che bipedi, bimani e binocoli e, data la posizione delle orbite, a visione stereoscopica. S’erano rinvenuti nelle strade rottami di automobili e in fatiscenti capannoni e su ampi spiazzi, che dovevano essere stati in un lontano passato aeroporti ed erano ormai coperti da intrichi di cespugli e muschi, carcasse d’aeroplani. In quelle che dovevano essere state le abitazioni della specie dominante s’erano raccolti piatti in maiolica, bicchieri di vetro, pentole in alluminio e altri utensili da cucina, nonché quanto restava di frigoriferi, lavatrici, radio e televisori. In certi edifici i ricercatori avevano ricuperato quaderni e libri, in parte con pagine ingiallite sottili e fragilissime e con scritte sbiadite quando non del tutto scomparse, in parte formati da fogli di miglior qualità che, grazie pure a inchiostri superiori, avevano sufficientemente resistito al tempo, pur soffrendo macchie e muffe, e presentavano scritture evidenti. Alcuni di quei reperti grafici consistevano in calcoli matematici. In un appartamento particolarmente degno d’attenzione era stato rinvenuto a terra un dipinto accanto a quanto restava d'un arrugginito chiodo ormai quasi del tutto in polvere, il quale doveva essersi distaccato dalla parete chi sa quando, portandosi dietro il quadro. L'ambiente doveva essere stato un tinello. Era stato ricuperato nello stesso locale anche un apparecchio audio con all’interno un disco fonico registrato, in buono stato. Accanto, stesi a terra, giacevano due scheletri, l’uno di adulto, ancor avvolto in panni ormai consunti a causa del tempo, e l’altro, senza vesti, d’un neonato o forse d’un feto. In quella che doveva essere stata una sala di proiezione, s’erano rinvenute bobine di pellicole, a un primo esame rovinate; però sulla nave, scorrendole con gran cautela, s’erano scoperti due tratti, in altrettanti rulli, ancora abbastanza in buono stato. Erano stati consegnati all’esperto di restauro videosonoro. I suoni dei film erano risultati nondimeno irrecuperabili, perché assolutamente danneggiato era il paio di piste, non ottiche ma magnetiche e dunque particolarmente deteriorabili, che si svolgeva lungo i due bordi d’ogni pellicola: il sonoro doveva essere stato stereofonico. In uno dei due tratti di pellicola, il meno danneggiato e ch’era stato restaurato per primo e passato a computer, gli studiosi avevano potuto osservare una strada con pedoni sui marciapiedi e uno scorrere non intenso di veicoli con motore a scoppio, di forme simili a quelle delle carcasse di auto e camion ritrovate. Restaurato anche il secondo tratto recuperabile di pellicola e trasferite a computer le immagini, s’era potuto vedere un campo vacanze estivo di gente nuda.
Capitolo 3 (#ulink_ec037b83-b1cb-50e4-a1c6-576a6bf4442b)

La mattina del 14 giugno 1933, sul presto, il “fascista della prima ora” Annibale Moretti, debitamente istruito e stanco per la notte insonne a parte alcune brevi pause pisolanti sopra una sedia, era stato lasciato libero di lasciare la caserma Giovanni Berta e tornarsene a casa: fra tanti ringraziamenti per la collaborazione prestata.
La sua bicicletta era rimasta alla Stazione dei Carabinieri perché il giorno prima era stato trasferito al presidio della Milizia sopra una camionetta; il Moretti s’era rassegnato a farsi tutta la strada a piedi fino a casa, distante una decina di chilometri dalla caserma, ché nessuno, dal comandante all’aiutante maggiore, al centurione addetto alla sicurezza del reparto, all’ufficiale di picchetto, s’era sognato di favorirlo ordinando per lui un passaggio motorizzato. Nemmeno l’avevano ristorato, né con la cena la sera precedente né, almeno, con la prima colazione quella mattina, assieme alla truppa se non altro, s'era detto Annibale, se non presso il circolo sottufficiali o, magari, ufficiali. Con lo stomaco vuoto, aveva fatto sosta nel primo caffè che aveva incontrato, che esibiva l’insegna 'La Megasciada': veramente, più un trani12 (#litres_trial_promo) che un caffè, ma dotato di macchina napoletana13 (#litres_trial_promo) per i pochissimi avventori astemi e, la notte, per quei tranatt troppo ubriachi per tornarsene a casa dalle mogli senz’aver ingurgitato, prima, un buon litro d’ammazzavino. Erano le 8 in punto quando il Moretti s’era seduto ordinando caffè e pane. Aveva visto che nel locale c’era un apparecchio radiofonico e aveva chiesto d'ascoltare il giornale radio. Era stato accontentato e Annibale aveva potuto udire, sentendosi citare anonimamente, proprio il comunicato che aveva sperato: “…e il bolide celeste è stato visto per primo da un bravo agrario, fascista ante Marcia, che subito ha avvisato, con la tipica diligenza del vero fascista! i Regi Carabinieri i quali, con altre forze dell’ordine, hanno recuperato e consegnato alla scienza quanto restava dell’oggetto celeste”:
La notizia di quel meteorite era stata diffusa fin dalla sera prima dall’EIAR14 (#litres_trial_promo) e dalle edizioni del tardo pomeriggio dei quotidiani e, il dì seguente, da quelli del mattino e dai primi giornali radio. Annibale non s'era stupito sentendo del bolide, infatti nella caserma Berta era stato ripetutamente invitato, da vari ufficiali, a studiare a memoria una frase che proprio di bolide parlava, scritta a stampatello il pomeriggio precedente, sopra un foglietto, dal comandante Trevisan, ma precedentemente ideata e comunicata per telefono al medesimo dal meticoloso Bocchini. Era una lezioncina pedante da ripetere in pubblico e in famiglia: “Si tratta d’un bolide, cioè d'un oggetto naturale caduto dal cielo, però non rotondo ma dalla strana forma di pietra discoidale, un po’ come quelle che si lanciano sull’acqua per farle rimbalzare, ma molto più grande”. Al mattino, sul presto, prima il capo manipolo che montava di picchetto, poi il centurione addetto alla sicurezza e alle informazioni e, infine, il primo seniore Trevisan, per l’occasione giunto in anticipo da casa, avevano interrogato l’agrario con scrupolo. Questi aveva dato prova, tutte le volte, di conoscere la lezione alla lettera. A precisa domanda del comandante, rivoltagli poco prima di congedarlo, egli aveva assicurato che così esattamente avrebbe detto e giammai diversamente, aggiungendo deciso per maggiore credibilità: “Sì, ma certo, si capisce bene ch’è un grosso sasso piatto dal cielo, e come no? è così evidente, signor primo seniore!” In cuor suo tuttavia l’uomo, essendo di fine intelligenza anche se aveva completato solo la terza elementare, non se l’era proprio bevuta ed era rimasto convintissimo – altro che palle! mica era un pistola, lui! – che quello era un aviomobile bello e buono, a forma di strano disco e segretissimo, sissignore, e non un oggetto naturale caduto dal cielo.
Sempre in quella mattina del 14 giugno 1933, nello stesso momento in cui il Moretti stava facendo la sua prima colazione nel trani ascoltando il giornale radio e ragionando fra sé e sé, Mussolini, nel proprio ufficio, stava di nuovo riflettendo su quell’aeromobile sconosciuto: 'Prototipo francese, inglese o germanico?'. “La Germania”, s’era detto, “mi pare poco probabile, quell’isterico baffo da Charlot è al potere da pochi mesi e prima, con tutti i bordelli che avevano lassù i germanici, di sicuro non pensavano a progettare nuovi velivoli15 (#litres_trial_promo). Però adesso 'l sbàfi16 (#litres_trial_promo) Adolf sta mettendo ordine in fretta”: Mussolini non aveva in simpatia quel suo imitatore politico adorante che, parlando in pubblico, soggiaceva a momenti isterici e, come gli avevano riferito i servizi segreti, scadeva in privato, in certi momenti, nella più grave melanconia piena di paura per il giudizio del mondo e colma di senso d’inferiorità, cosa assolutamente inconcepibile, invece, per un sanguigno burbanzoso come il Duce ch’era certo-certissimo d’essere ammirato, soprattutto da capi e ministri d’altre nazioni, come ad esempio il Cancelliere dello Scacchiere britannico Winston – Winnie – Churchill che gli aveva fatto visita a Roma nel ’29 17 (#litres_trial_promo) e ch’egli chiamava il sigarone – “gran fumatore di sigari Montecristo numero 1”, gli avevano riportato gli efficienti servizi dell'OVRA –; ma essere ammirato da 'l sbàfi Adolf non gli piaceva mica poi tanto, ve'!
Eppure era stato proprio l’esempio di Mussolini a dar alimento all’azione di Adolf Hitler, 'l sbàfi per il Duce, capo d’un movimento analogo al fascismo, sorto sulle fondamenta d'un minuscolo Partito Tedesco dei Lavoratori divenuto il Partito Nazionalsocialista che aveva espresso tutto ciò che di violentemente aberrante covava sotto la sconfitta tedesca, in primo luogo i tradizionali militarismo acceso e il razzismo, in cui il Führer dai baffetti alla Charlie Chaplin aveva pescato a man bassa nel costruire la sua dottrina funesta che l’aveva portato al vertice della Germania il 31 gennaio di quello stesso anno 1933 in cui in Italia si sarebbe catturato, in giugno, il disco volante.

Il telefono bianco del Duce aveva trillato. Nonostante fossero ormai le 19 passate, Mussolini era ancora nel suo studio presidenziale.
Era Bocchini: “Duce, vi saluto!”
“Novità?”
“Conosciamo la probabile nazionalità dei tre cadaveri”.
“Bravo! Come s’è saputa?”
“Facilmente, grazie alle scritte di servizio all’interno del disco, tutte in inglese, e inoltre ad altre, nella stessa lingua, sulle etichette interne della biancheria intima dei tre morti. Purtroppo, su magliette e mutande non risultano indirizzi aziendali di Gran Bretagna o d’altro Paese anglofono, ma la prima nazione, vista la sua potenza e la situazione politica attuale, sembra la più probab…”
“...certamente! La Gran Bretagna è probabilissima! Quelli là sono maestri nel ficcare il naso a casa altrui; e se è vero che sigarone mi ha in gran simpatia, è pur sempre un patriota inglese. Bene, Bocchini, tu sai cosa devi fare coi servizi dell’OVRA, mentre a quelli militari faccio mandare disposizioni io”.
“Sempre ai vostri ordini, Duce, ma ho un altro paio di cose da dirvi”.
“Dille”.
“Anzitutto, s’è rivelata del tutto precisa la vostra idea che si trattasse non di collaudatori ma di spie: lo si è capito quando in un comparto interno del disco si sono trovati altri abiti borghesi, questi di foggia cittadina e non, diciamo così, vacanziera come quelli indossati dai morti, e soprattutto, si sono scoperte divise fasciste”.
“Ah! Volevano atterrare, travestirsi e spiare, quei boia! Sull'aeromobile ci sono rullini e pellicole cinematografiche già impressionati?”
“No, Duce, non se ne sono trovati, e nemmeno pellicole vergini, né macchine fotografiche o cinematografiche; ed ecco l’altra cosa: si sono rilevati diversi piccoli obiettivi esterni, sopra e sotto il disco e lungo la sua circonferenza, che presentano la particolarità di non immettersi in camere ma d’essere collegati, pare attraverso onde radio, ad apparecchi interni che sembrano essere radiotrasmittenti ma che, stranamente, non hanno valvole”.
“Radio senza valvole?! Cos'altro hanno inventato quegl'inglesi del malanno?”
“Potrebbe trattarsi di camere di ripresa e di radiotrasmissione d’immagini, sul tipo di quelle della televisione sperimentale inglese, il che suffragherebbe l’ipotesi di spionaggio da parte di quella nazione; però, Duce, sono radiocamere18 (#litres_trial_promo) piccole, anzi piccolissime, non mastodontiche come quelle che avevamo fotografato segretamente alla BBC19 (#litres_trial_promo)”.
“Qui ci vuole Marconi, eh?”
“Sì Duce”.
Guglielmo Marconi era l'inventore del telegrafo senza fili e uno dei padri del sistema radio. Era tra le più importanti figure del regime, presidente dal settembre 1930 dell’Accademia d’Italia, premio Nobel per la fisica e inoltre, fra il molto altro, ammiraglio della Regia Marina Militare nella quale, dopo una breve parentesi nel Genio, aveva militato durante la Grande Guerra.
“Tu, Bocchini, pensi che volessero trasmettere foto e filmati fin là in Inghilterra?”
“Il sospetto mi sembra lecito, Duce”.
“...e purtroppo adesso Marconi è per mare a far esperimenti. Che area sta incrociando il suo panfilo?”
“L’ammiraglio è sulla rotta di ritorno, nell'Oceano Indiano presso il Mar Rosso, ma sappiamo da lui stesso, via radio, che affonderà l’àncora alcune volte ancora, per altri esperimenti che ha in programma”.
“Non posso sollecitarne il ritorno, le sue sono sempre sperimentazioni basilari per l’Italia; ma non appena sarà in Patria, l'interpellerò. Intanto tienimi informato costantemente su tutti gli sviluppi relativi a quell’aeromobile straniero, telefonami anche a Villa Torlonia20 (#litres_trial_promo) se lo ritieni utile, anzi senz'altro fallo in caso d'altri avvistamenti d’aeromobili strani. Ciao, Bocchini e… bravo!”
Subito Mussolini aveva ordinato ai servizi segreti militari di mettersi in particolare allerta in Gran Bretagna, pur senza trascurare le altre nazioni industriali anglofone, e d'indagare in particolare su aerei a forma di disco, macchine cinefotografiche senza pellicola e apparecchi radio senza valvole capaci d'inviare immagini.
Quella stessa sera, poco prima di lasciare l’ufficio e rientrare a Villa Torlonia, il Duce aveva ancora disposto, d’impulso come gli accadeva sovente, di richiamare dalla Cina il genero Gian Galeazzo Ciano conte di Cortellazzo e Buccari che, quale Console plenipotenziario, risiedeva a Shanghai con la moglie contessa Edda nata Mussolini: era balzata improvvisamente in mente al Duce l'idea di metterlo a capo dell’Ufficio Stampa, l’organo romano incaricato del controllo e della guida dei media con l’ausilio del Bocchini e della Stefani, portandosi così “direttamente in casa”, aveva detto alla moglie Rachele quand’era rientrato per cena, la direzione della sorveglianza sull’informazione21 (#litres_trial_promo). La consorte aveva solo borbottato, e non era stata la prima volta, che quell’azidèint d’ànder in cà,22 (#litres_trial_promo) ambizioso e oltretutto con quella vocetta non tanto maschia, ve', mica le piaceva poi tanto, ve'!

Nella seconda mattinata del 14 giugno Annibale Moretti, giunto a casa, aveva avuto l’infausta idea di rivelare ai famigliari la verità sul disco; e la sera stessa il suo unico figlio, un diciannovenne prossimo a partire militare di leva, aveva avuto la pessima iniziativa, dopo cena, di parlarne alla combriccola dei propri amici a 'Il Rebecchino', il trani del paese dove si riunivano, fra gli altri, i braccianti di suo padre, un tempo vigorosi comunisti odiatori del padrone, poi assoggettati di forza al regime, infine sedotti da Mussolini, come tantissimi altri proletari rurali e operai, con certi vantaggi loro concessi come i circoli d'intrattenimento e le gite dell'Istituto Nazionale del Dopolavoro, o come gli asili e le colonie marine e montane per i figlioletti. I braccianti del Moretti, a causa della loro linguaccia lunga e dell’incontenibile invidia per il padrone, la quale nonostante l'ormai consolidata sudditanza al fascismo restava desiderosa d'un po' di sfogo, avevano raccontato la mattina seguente, dappertutto e alle guardie civiche per prime, che il loro padrone aveva detto bugie grosse come una casa, perché non aveva visto un sasso piatto, ma un aeroplano nemico a forma di disco ch’era precipitato vicino a un suo campo. Insomma: patatràc! Annibale Moretti era stato prelevato a casa sua e internato in manicomio: s’era fatto in modo che tutti sapessero che il poveretto era pazzo ed era per il suo bene che l’Autorità s’attivava per curarlo, ché confondere pietre con aerei poteva solo creare complicazioni internazionali e, insomma, era un povero matto ma a lasciarlo libero il pericolo c’era, per lui e per tutti. Quanto al figlio, anche se s’era ben guardato, come d’altronde sua madre, dal commentare con chicchessia il ricovero del padre, aveva ricevuto giorni dopo, un po' prima del tempo, la cartolina precetto ed era finito in un battaglione del Genio guastatori da cui era uscito un mese dopo in briciole entro una bara di metallo sigillata, a causa di malaugurato incidente d’addestramento dovuto all'imperizia della recluta Moretti nell'uso dell'esplosivo: forse era la verità, ma il sospetto d'una disgrazia procurata da qualche sgherro di regime infiltrato nel reparto aveva invaso il cuore della madre; ella se n'era tuttavia rimasta zitta senza presentare denunce, né la Procura Militare aveva autonomamente ritenuto di dover indagare. La signora Moretti era stata lasciata in pace e, anzi, aveva ricevuto sollecitamente una pensioncina: ella non aveva avuto noie non solo perché aveva taciuto, ma non secondariamente perché, in quel tempo, le donne erano ancora considerate assai poco, e nulla del tutto se appartenenti al popolo ignorante, per cui, comunque, alle affermazioni d'una rurale semianalfabeta si sarebbe dato lo stesso credito che si sarebbe potuto riservare al chiocciare d'una gallina.
Del povero marito “fascista della prima ora” s’erano perse le tracce per un pezzo, essendo stato trasferito di manicomio in manicomio, finché un giorno, nel gennaio 1934, era arrivata una cartolina a casa: non una lettera, così che gl’impiegati postali del paese potessero leggere e, sperabilmente, divulgare, e ciò s’era puntualmente verificato. Con tale cartolina s’avvisava la signora Moretti che il misero consorte era morto in Sardegna in ospedale a causa di polmonite e si chiedeva se si potesse seppellirlo senz’altro nel camposanto locale oppure se i famigliari volessero andare colà per trasportarselo al cimitero della loro terra. La moglie avrebbe dovuto rispondere entro cinque giorni dalla data di spedizione se avesse voluto trasferire la salma del consorte, in caso contrario il silenzio sarebbe valso come assenso all’inumazione nell'isola. Già erano passati i cinque giorni, quasi di certo il Moretti era stato seppellito; la vedova aveva dunque rinunciato ad agire, anche considerando i costi e le difficoltà, per una donna sola e ignorante, di recarsi in Sardegna, provvedere alla riesumazione e far spedire il feretro fino al paese lombardo.

Mussolini, avendo dormito beatamente per tutta la notte, entrato verso le 7 del mattino del 15 giugno 1933 nella sala da bagno per i normali bisogni del risveglio, orinando aveva preso una delle sue decisioni lampo:
Non appena in ufficio, erano le 8 e 10 minuti, aveva convocato, entro un’ora! il ministro dell’Educazione Nazionale Francesco Ercole e quello della Guerra Pietro Gazzera23 (#litres_trial_promo): l'argomento che avrebbe presentato interessava pure i ministeri degli Esteri24 (#litres_trial_promo) e degli Interni, ma ne era a capo Mussolini stesso, ad interim; aveva però fatto venire il sottosegretario agl'Interni Guido Buffarini Guidi in quanto, di fatto, questi aveva la direzione di quel ministero.
Esattamente quarantanove minuti dopo, i due ministri e il sottosegretario, attraverso la porta a due ante dello studio-salone preventivamente spalancata da un valletto, prospiciente lo scrittoio e la scranna del Capo del Governo che si trovavano quasi al fondo nella parte opposta del locale, erano entrati affiancati e s’erano diretti a passo di corsa verso il Duce, sempre fianco a fianco, secondo recentissime disposizioni di Mussolini in persona; intanto il valletto richiudeva dietro di loro l'uscio: ufficialmente l’ordine di correre aveva lo scopo di ridurre il tempo dedicato alle udienze, lasciandone maggiormente al Gran Capo per altre incombenze; soprattutto però, a Mussolini piaceva moltissimo vedere quei signori in camicia e giubba nera obbedirgli ridicolmente: dal giugno 1935 avrebbe addirittura fatto saltare ginnicamente tutti i suoi gerarchi nei cerchi di fuoco durante il cosiddetto “sabato fascista” o, più precisamente, durante il pomeriggio dello stesso dì, dedicato alla ginnastica e all'educazione para militare, dovere che avrebbe riguardato nondimeno, ahiloro! tutti gl'italiani. Già il fatto di percorrere camminando la lunga sala, col Duce impettito al fondo dietro alla scrivania presidenziale, braccia conserte, mascellone impennato e occhi dritti agli occhi del convocato di turno, o transitanti da uno all’altro dei convenuti quand’erano più di uno come nel nostro caso, avrebbe messo in notevole soggezione, ma il fare il salone a passo di corsa domava del tutto e rendeva docilissimi quando ci si veniva a trovare innanzi al Duce. Ricevuti gli ordini poi, i convocati dovevano salutare romanamente il loro Capo supremo, fare dietro-front e, sempre affiancati e a passo di corsa, hop, hop, uscire dalla porta, nel frattempo riaperta dall’usciere cui Mussolini aveva dato preavviso premendo un pulsante sulla scrivania non appena gli stessi gli avevano dato le spalle. Egli non desiderava, in fondo, avere collaboratori, a parte il fido Bocchini, ma semplicemente marionette.
Con poche parole aveva dato ordine ai due ministri e al sottosegretario di costituire presso l’Università La Sapienza di Roma, “a tempo di record!” un gruppo segreto di scienziati e tecnici, “denominato, convenzionalmente”, aveva soggiunto, “Gabinetto RS/33, acronimo di Ricerche Speciali anno 1933”: Mussolini, ex maestro elementare, si piccava d’essere un grande esperto della lingua italiana e non era affatto nuovo nel coniare sigle o espressioni; anche il misteriosissimo acronimo OVRA era suo.

Il gran Capo non aveva convocato cogli altri un quarto ministro, anch’egli basilare per il costituendo Gabinetto, quello dell’Aeronautica generale Italo Balbo, e l’aveva invitato, da solo, per le ore 16; sapeva bene infatti che, essendo quell’uomo un fascista della primissima ora e uno dei quattro capi in testa della Marcia su Roma, i cosiddetti Quadrunviri della Rivoluzione, e in primo luogo essendo assolutamente convinto del proprio valore, mai e poi mai Balbo si sarebbe presentato umilmente e addirittura a passo di corsa, sempre pronto com’era, anzi, a criticare in faccia il Duce, magari aggiungendo qualche insolenza. D’altronde egli godeva d’enorme favore nel Paese gareggiando in popolarità con lo stesso Mussolini. Era uno dei pochissimi nell'agone politico a dargli del tu, che il Duce si riceveva ma con fastidio: provava grand’invidia nei confronti di Balbo, anche se la mascherava e non aveva fatto nulla al momento per danneggiarlo, ma riservandosi d’allontanarlo alla prima buona occasione: ci sarebbe riuscito alla fine dello stesso 1933 promovendolo al più alto dei gradi aeronautici, maresciallo dell’aria, dopo avergli indirizzato alti elogi e, poco dopo, il 26 novembre, facendolo nominare dal re governatore della cosiddetta Quarta Sponda, la colonia italiana di Libia, in tal modo, di fatto, esiliandolo.
Quella stessa sera del 15 giugno, dopo aver ricevuto Balbo e avergli dato gli ordini, il Duce aveva incaricato la polizia politica OVRA nella persona del fido Bocchini di supervisionare il lavoro del costituendo Gabinetto e di riportargli ogni notizia in merito.
A tempo di assoluto record, in ogni capoluogo di provincia era stata costituita, segretamente, un’apposita “sezione speciale RS/33” dell’OVRA con il compito primario d’avvisare il Bocchini a ogni nuovo eventuale avvistamento di velivoli sconosciuti, di qualsivoglia forma, e d’interessarsi immediatamente e direttamente di plagiare testimoni non militari. Ogni avvistamento doveva essere segnalato tramite un formulario ideato dal Bocchini stesso, siglato RS/33.FZ.4, il cui modello era stato trasmesso sollecitamente, con apposito dispaccio, a tutte le prefetture italiane e, da ciascuna di queste, a tutti i dipendenti comandi delle forze di sicurezza nonché alle caserme locali della Milizia; analogo modello, destinato agli ufficiali dell’Aeronautica, era stato inviato dall'ufficio ministeriale di Balbo a tutti i comandi aerei perché lo diramassero ai reparti dipendenti. Mussolini aveva anche deciso che qualsiasi rapporto relativo ad avvistamenti da parte di soggetti civili dovesse passare per l’OVRA e da questa esser mandato a lui personalmente e ai gerarchi Italo Balbo in quanto ministro dell'Aeronautica e Gian Galeazzo Ciano come direttore entrante dell’Ufficio Stampa, nonché alla sede centrale romana del Gabinetto RS/33.
Anche Balbo, pur se non era uno studioso, era stato cooptato nello stesso Gabinetto, per la sua determinazione nel promuovere la Regia Aeronautica Militare, essendo il suo motto: “Bisogna sublimare la passione del volo fino a rendere l'Italia il paese più aviatorio del mondo”. Quanto ai membri scienziati, a capo dell'RS/33 era stato posto Guglielmo Marconi. Essendo però egli in crociera attorno al globo sul proprio panfilo-laboratorio Elettra – il nome era lo stesso della figlia –, Mussolini aveva deciso che, per il momento, il Gabinetto sarebbe stato diretto dall’astronomo e matematico professor Gino Cecchini dell’Osservatorio di Milano Merate: nelle intenzioni del Duce solo provvisoriamente, tuttavia, data la latitanza anche successiva del premio Nobel in molt'altre ricerche affaccendato, il Cecchini sarebbe rimasto definitivamente a capo dell’RS/33. Gli altri scienziati erano appartenenti alle classi di medicina, scienze naturali, fisiche e matematiche della Reale Accademia d’Italia, a parte il Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici conte e senatore Luigi Cozza, che era stato assunto nel Gabinetto quale referente organizzativo e membro di collegamento col Governo.
In primo luogo si trattava di capire il funzionamento dell'aeromobile straniero, per poterne costruirne non solo di simili, ma sperabilmente di migliori, mantenendo così all’Italia, “in modo formidabile” secondo le parole del Duce, il primato tecnico aviatorio che, in quegli anni, le era riconosciuto nel mondo e, con esso, la concreta supremazia militare nell’aria e la soggezione psicologica all'Italia di tutti i potenziali nemici. Il programma comportava la concentrazione delle ricerche, al più presto, in un centro dotato d’impianti modernissimi, ch'era stato denominato, da subito, Istituto Centrale Aeronautico e che s'intendeva creare fuori Roma ma non lontano dalla sede universitaria dell’RS/33; era stato presto individuato il luogo, il campo d’aviazione Barbieri a Montecelio, dove gl’impianti sarebbero sorti fra il ’33 e il ’35 e attorno a cui sarebbe stata edificata la nuova città di Guidonia.
Capitolo 4 (#ulink_0267a3ad-d581-571c-b66a-42fee238c354)

Come appariva dal secondo spezzone restaurato di film, i nudisti alieni erano individui simili agli esseri umani a parte alcuni considerevoli caratteri:
Avevano un viso simile al muso dei koala terrestri, ma privo di peluria, e quattro dita per mano come, d’altronde, quattro erano quelle degli scheletri umanoidi ritrovati, e per questo l’aritmetica di quella specie intelligente, come risultava da fogli con calcoli e come s’era potuto verificare, dopo la decifrazione dei simboli, grazie ai conteggi della ventottenne dottoressa Raimonda Traversi, geniale matematica e statistica dell’équipe, era a base otto25 (#litres_trial_promo): gli antenati di quei koala antropomorfi dovevano aver iniziato a far di conto, nel lontano passato, sulle loro otto dita, mentre gli esseri umani avevano preso a computare sulle loro dieci creando, diversamente, un’aritmetica decimale; altra differenza rilevante era un marsupio sul ventre delle femmine: “Specie mammifera marsupiale placentata”, aveva decretato, con assoluta ovvietà, il maggiore dottor Aldo Gorgo, cinquantenne segaligno e allampanato, medico chirurgo militare di bordo e biologo coordinatore del gruppo scientifico astrobiologico.
Tutti i ritrovamenti denunciavano che, al momento della sua scomparsa, la civiltà del pianeta 2A Centauri26 (#litres_trial_promo) s’era trovata nella stessa situazione scientifico-tecnologica della Terra della prima metà del XX secolo; tuttavia, a una prima approssimativa datazione dei vari manufatti e degli scheletri, era risultato ch’essi erano collocabili in un’età coeva agli anni terrestri fra il 1650 e il 1750 per cui la civiltà aliena, al momento della sua estinzione, aveva preceduto di oltre due secoli quella del nostro pianeta: al ritorno a casa, la datazione sarebbe stata ripetuta con strumenti assai più sofisticati di quello portatile in dotazione alla cronoastronave 22, ma assai probabilmente il risultato non si sarebbe scostato di molto.
Grande era negli scienziati il desiderio di scoprire la causa della scomparsa di quella razza intelligente. In primo luogo avrebbe potuto dare una risposta la registrazione sul disco fonico recuperato, dopo la pulizia sonora e un lavoro d’interpretazione, non facile nonostante l'ausilio dei robot traduttori; e avrebbero potuto giovare anche due documenti cartacei rinvenuti nella medesima stanza; ma questo studio e altri si sarebbero potuti svolgere solo dopo il ritorno sulla Terra, nell’Università La Sapienza di Roma per conto della quale la missione scientifica era balzata su quel lontano pianeta; e ormai il momento del rimpatrio era giunto, essendo quasi passato il periodo, corrispondente a un massimo di tre mesi terrestri dal momento della partenza, entro il quale era fatto obbligo di rientro da una legge del Parlamento degli Stati Confederati d’Europa, la Legge del Cronocosmo.

A fine cena la comandante, il maggiore ingegner Margherita Ferraris, aveva comunicato senza preamboli agli ufficiali fuori servizio e agli scienziati, tutti seduti con lei attorno alla gran tavolata della sala mensa e riunioni: “Signori, tra poco si torna a casa”: Margherita era una nubile trentasettenne slanciata e sfiorante il metro e ottantacinque, nera di chioma e dal viso pienotto e grazioso: una persona decisa e un ufficiale assolutamente brillante; s’era laureata col massimo dei voti, una dozzina d’anni prima, in Ingegneria Spaziale al Politecnico di Torino e, essendo stata ammessa per concorso, durante l’ultimo biennio, anche all’Accademia Cronoastronautica Europea, collegata a quello e ad altri politecnici del continente, aveva ottenuto il grado di tenente del Corpo assieme alla laurea; entrata in servizio, era stata assegnata dapprima come secondo ufficiale a un vascello cronoastronautico che portava il numero 9, vale a dire il nono in ordine di costruzione, e anni dopo era salita a sub comandante dello stesso sigaro col grado di capitano: s’era fatta un’esperienza completa, in quanto la nave 9 era stata impegnata prima in missioni spaziali e, negli ultimi anni, in viaggi nel passato della Terra; di recente Margherita era stata promossa maggiore e aveva avuto il comando del novissimo vascello 22.
“Sono ansioso di ascoltare il disco sonoro, non appena l’avremo accomodato nel nostro laboratorio a Roma”, aveva detto ai commensali il professor Valerio Faro, direttore presso La Sapienza dell’Istituto di Storia delle Culture e delle Dottrine Economiche e Sociali, uno scapolo quarantenne bruno di capelli alto quasi due metri e di fisico robusto.
“Sì, anch’io ne sono ansiosa”, aveva fatto eco la dottoressa Anna Mancuso, ricercatrice di Storia e collaboratrice del Faro, una siciliana trentenne dai fini lineamenti e occhi grandi verdi, bionda perché lontana discendente d'occupanti normanni della sua isola, bella nonostante la non alta statura d'appena un metro e settantaquattro, contro la media femminile europea di uno e ottanta.
“Io pure ho gran curiosità al riguardo”, era intervenuto l’antropologo professor Jan Kubrich, un quarantacinquenne professore associato dell'Università La Sapienza, biondastro rotondetto alto un metro e ottantacinque, statura media per lo standard maschile del tempo, uomo scientificamente rigoroso, ma appassionato purtroppo della Vodka Lime fino al punto di mettere a repentaglio la propria salute.
Aveva fatto séguito Elio Pratt, quarantenne professore associato d’Astrobiologia a La Sapienza, specializzato in fauna e flora acquatiche, nonché subacqueo eccellente distintosi in gare d’immersione nei mari terrestri: “Io ho già potuto avere molti risultati sulle specie che ho adunato nelle due vasche, ma certamente una volta a Roma potrò di molto approfondire”.
“Seguirò con gran interesse il vostro lavoro e credo che potrò esservi utile nelle traduzioni”, aveva detto da parte sua la matematica e statistica Raimonda Traversi.
Il coordinatore del gruppo astrobiologico dottor Aldo Gorgo non aveva invece parlato: essendo lui il medico militare di bordo e non un docente o ricercatore universitario, semplicemente avrebbe continuato il suo servizio sulla nave, lasciando il prosieguo delle ricerche agli altri studiosi.

Meno di un’ora dopo, tempo terrestre, la nave 22 aveva lasciato l’orbita del pianeta dirigendosi nello spazio profondo per compiere, dalla distanza di sicurezza regolamentare, il balzo cronospaziale verso la Terra: come già all’arrivo prima dell’entrata in orbita, 2A Centauri s’era presentato ai cronoastronauti nella sua interezza, coperto di ghiacci nelle zone artica e antartica, entrambe senza terre sottostanti, e con due continenti, entrambi in area boreale, grandi ciascuno poco meno dell’Australia, divisi da uno stretto braccio di mare, mentre l’altra faccia del globo era coperta interamente da un oceano.

Alle 10 e 22 minuti, ora di Roma, del 10 agosto 2133 la cronoastronave 22 s’era immessa in orbita attorno al nostro mondo. Sulla Terra erano trascorse poco più di diciotto ore da quando, alle 16 e 20 del 9 agosto, la spedizione scientifica s’era imbarcata con destinazione il secondo pianeta della stella Alfa Centauri A: era stato grazie al dispositivo Cronos del sigaro che sulla Terra non era passato neppure un giorno, anche se la spedizione era rimasta a lungo su quel mondo alieno. La fatica che gravava su tutti era però quella dei mesi di lavoro sopportati.
Gli scienziati e la parte d’equipaggio che avrebbe goduto del primo turno di franchigia erano desiderosi di rilassarsi, chi non avendo famiglia in una vacanza tranquilla, chi nella quiete domestica ritrovando i propri cari dopo la lunga separazione. I famigliari, al contrario, non soffrivano mai il senso del distacco, per essi infatti passava ben poco tempo prima del ricongiungimento. Dopo le prime esperienze, i viaggiatori e i loro cari s’erano abituati alle conseguenze di tali anacronismi, fra i quali l’invecchiamento di chi era partito, sia pure non evidentissimo in quanto anche per questo motivo, oltre che per lo stress che comportavano, le missioni non potevano superare il tempo massimo di tre mesi. A differenza di quanto previsto dall’Einstein per i semplici viaggi spaziali a velocità prossima a quella della luce, per cui l’astronauta sarebbe rimasto giovane e gli abitanti della Terra sarebbero invecchiati, le spedizioni con balzi temporali non influivano sull’età del cronoastronauta, egli subiva solo l’azione invecchiante naturale dovuta al trascorrere dei mesi durante i soggiorni su altri pianeti e, per i cronoviaggi, sulla Terra del passato.

Le comunicazioni dal e col nostro pianeta erano rimaste interrotte fin dal balzo della nave 22 verso il pianeta alieno, avvenuto per ragioni di sicurezza, secondo i regolamenti, dalla distanza d’un milione di chilometri dall’orbita lunare: le trasmissioni radio e televisive erano del tutto inutili perché, viaggiandole le onde a una velocità appena tendente a quella lentissima della luce, sarebbero giunte a destino dopo gran tempo: sul pianeta 2A Centauri sarebbero arrivate dalla Terra all’incirca 4,36 anni più tardi,27 (#litres_trial_promo) quando ormai gli esploratori sarebbero ripartiti da un pezzo. Era sempre così nei viaggi spaziali e, ovviamente, a causa dello sfasamento cronologico, pure in quelli nel tempo: i cronoastronauti restavano del tutto isolati, i soli “collegamenti”, volendo chiamarli così, erano quelli detti “congelati”, si trattava cioè di tutte le informazioni relative alla Terra, dalle storiche più antiche alle recentissime, tratte dagli elaboratori elettronici pubblici del mondo e racchiuse, fino a un momento prima di partire, nelle memorie dei computer di bordo e, per certi dati, pure in quelli individuali dei membri dell'equipaggio e dei ricercatori: anche tali elaboratori personali, nonostante l'estrema piccolezza, erano potentissimi, con capacità di memoria e prestazioni inimmaginabili al tempo dei primi goffi personal del XX secolo e degli stessi PC dei primi decenni 2000.
Non appena entrati in orbita, la comandante Ferraris aveva ordinato d’aprire il contatto con l’astroporto di Roma, nel quale i ricercatori e il personale in franchigia s’accingevano a sbarcare.

Shock!
Anche se la rigorosa disciplina di bordo aveva impedito all’equipaggio d’esprimere emozioni, la situazione era apparsa di colpo oltremodo allarmante: le comunicazioni da terra erano giunte in tedesco! Eppure la lingua universale, da tanto tempo ormai, era l’inglese internazionale, anche se gli altri idiomi, fra cui la lingua di Goethe e di Hitler, non erano defunti e, fra intimi, li si parlava ancora, così come un tempo era stato per i dialetti.
Come l’equipaggio e gli studiosi della 22 avrebbero meglio capito di lì a poco, alcunché di storicamente terribile era accaduto e li aspettava giù a terra, qualcosa che stava per sconvolgere le loro attese contente e che già aveva annullato, come se mai ci fosse stata, quella buona vita di cui, per ottant’anni, avevano goduto l’Europa e molti altri Paesi, e alla quale anche il resto della Terra era ormai prossimo grazie a un patto fra tutti gli Stati del mondo, stipulato nel 2120, che aveva portato, sull'esempio di precedenti casi storici zonali,28 (#litres_trial_promo) a un mercato internazionale interamente senza dogane, considerato da tutti un primo abbozzo di unione politica mondiale: sull’esperienza storica non s’intendeva creare, come seconda fase, una moneta unica senz’aver prima unito il mondo politicamente e costituito, parallelamente, un istituto d’emissione centrale globale dotato di pieni poteri monetari; era stata infatti appresa l’amara lezione dell’Europa dei primi anni 2000 in cui l’euro aveva preceduto l’unione politica con gravi danni per molti Stati aderenti, bisognosi a un certo punto di maggior moneta senza che potesse venir loro in soccorso un autonomo Istituto d’emissione europeo, situazione per la quale l’unione stessa aveva rischiato, per un certo tempo, di sfasciarsi, fino a quando non era prevalsa, alla buon’ora, la ragione ed era sorta la Confederazione29 (#litres_trial_promo) politica europea con la propria Banca Centrale d’emissione. Peraltro la storia della Terra era stata particolarmente sofferta già dapprima della crisi europea, della sua conclusione e del prospero e pacifico ottantennio che ne era seguìto: nel ’900 il mondo era passato per due guerre mondiali tremende, con decine di milioni di morti, e attraverso diversi conflitti locali, e una volta vinta la belva nazifascista, era transitata drammaticamente per la cosiddetta guerra fredda fra Occidente e Unione Sovietica; poi la Storia era passata, quasi ovunque nel mondo, per la liberatoria morte dell'altra dittatura politica, il comunismo; però, s’era pure scontrata col capitalismo esasperato e il concomitante tracollo della spiritualità. Finalmente, dalla metà del XXI secolo c’era stata la risalita conclusa con la conquista d’una condizione pacifica e prospera nemmeno immaginabile nei secoli precedenti.
Tale condizione benigna era svanita ed era in atto un’Alter Storia. Vigeva egualmente la pace mondiale, ma illiberale, basata, come ignoravano per il momento gl’imbarcati sul sigaro 22, sopra una seconda guerra mondiale alternativa, combattuta con bombe disgregatrici e vinta dalla Germania nazista: si trattava d'una pace che, parafrasando un antico detto latino,30 (#litres_trial_promo) in realtà era solo un deserto dell’anima, che aveva comportato la scomparsa d'intere etnie, definite razze come quelle dei cani: l’ebraica dapprima, annientata, e poi la nera africana ridotta interamente in schiavitù e messa al lavoro in modo talmente disumano da provocarne la quasi estinzione. Solo i popoli delle cosiddette “razza gialla” e “razza araba” erano stati rispettati, in quanto pseudo studi antropologici avevano dichiarato trattarsi di parallele genti derivate da una divisione evolutiva della stirpe indo-ariana, avvenuta duecentomila anni prima; in realtà i motivi erano stati pratici: da una parte non sarebbe stato quasi certamente possibile, alla relativamente poco numerosa “razza” ariana che aveva conquistato il mondo, sterminare del tutto l’enorme popolazione di pelle gialla; dall’altra, nel ’900 gli arabi erano stati, come i nazisti, strenui avversari degli ebrei, anzi erano stati alleati della Germania nella guerra di spie degli anni ’30, e questo aveva loro guadagnato la magnanimità di Hitler, anche se sarebbe stato assai difficile per gli antropologi nazisti giustificare la discriminazione, avendo gli ebrei e gli arabi la stessa origine semita.
I consumati addetti alle comunicazioni della nave 22, senza scomporsi sebbene, come tutti, con l’animo in tumulto, e senza bisogno di riceverne l’ordine dalla comandante avevano inserito, prima d’esprimere una sola parola, uno dei traduttori automatici di bordo, ch’erano operanti in entrambe le direzioni, e con la scusa che le parole non erano arrivate chiaramente, avevano chiesto suo tramite di ripetere. La comunicazione da Roma era giunta di nuovo, espressa in inglese internazionale attraverso il computer traslatore: si trattava di ordinarie disposizioni di servizio da parte degli addetti al traffico astro portuale. Erano state eseguite dalla cronoastronave alla lettera; ma se la disciplina del personale di bordo, appresa nelle accademie per ufficiali o per sottufficiali del Corpo Astronautico, aveva evitato intoppi e forse guai, i cuori di tutti restavano in burrasca.
La comandante aveva fatto riprendere, dalle videocamere del sigaro 22, immagini ravvicinate della Terra lungo l’orbita su cui il vascello rivoluzionava, evitando di lanciare satelliti esploratori su altre orbite per non insospettire qualcuno a terra, ché il fatto non sarebbe stato conforme alla prassi di rientro.
Dopo aver riflettuto ed essersi consultata col primo ufficiale capitano Marius Blanchin, un parigino trentenne alto un metro e novanta, magro, di pelo rosso e occhi verdi ereditati dalla madre irlandese, Margherita aveva deciso di scendere personalmente all’astroporto per un’ispezione diretta, nell'intento di comprendere un po’ meglio la situazione prima d’assumere altre iniziative. Poiché non conosceva il tedesco, pur avendo un traduttore inserito nel proprio micropersonal aveva chiesto a Valerio Faro d'accompagnarla, dato ch'egli comprendeva e parlava quella lingua fluentemente avendola studiata a fondo, a suo tempo, per la sua tesi di laurea in Storia delle Dottrine Economiche e Sociali incentrata su opere del tedesco Karl Marx, e avendola usata per successive ricerche storiche: Margherita riteneva a ragione che, nel caso fosse stato necessario esprimersi in tedesco faccia a faccia con qualcuno, sarebbe stato opportuno che un buon conoscitore della lingua parlasse direttamente, senza tramiti strumentali, così da ridurre il rischio d’essere scoperti.
Intanto, usando uno dei traduttori automatici di bordo, la comandante aveva chiesto in tedesco a Roma l’autorizzazione a prendere terra con un disco-navetta. Era stata concessa senza difficoltà. In Margherita s'era rafforzata l'idea, che già l’aveva toccata constatando che non erano venuti intoppi da terra, che la loro missione fosse stata tranquillamente a conoscenza del Comando dell’astroporto.
Un certo Paul Ricoeur, soldato del plotone di fanteria d’Astromarina ch’era dislocato sulla nave con compiti di protezione, aveva preso posto sul disco assieme alla comandante, a Valerio Faro e alla sergente pilota Jolanda Castro Rabal. Ciascuno dei quattro aveva con sé un paralizzatore individuale.
Giunti a terra avevano visto, gelando, che sull’asta svettante sulla torre dell’astroporto di Roma campeggiava la bandiera della Germania nazista invece del solito stendardo turchino con stelle dorate disposte in cerchio degli Stati Confederati d’Europa.
La comandante aveva ordinato alla pilota: “Jolanda, rimani nel disco, stai in preaccensione e sii pronta a decollare”, quindi era sbarcata cogli altri. Erano entrati nell’edificio dell’astroporto. Qui il trio aveva potuto incrociare diversi simboli nazisti; tra l’altro s’era imbattuto in un gran bassorilievo commemorativo esaltante 'Adolf Hitler I, Duce e Imperatore della Terra e Conquistatore della Luna'; e udendo le persone incontrate parlare tra loro in tedesco e vedendo alcune di esse salutarsi, come nel III Reich, col braccio teso, i tre avevano verificato senza possibilità di dubbio di trovarsi in una società politicamente diversissima dalla loro, in cui non aveva luogo la vivida democrazia che avevano lasciato alla loro partenza, ma era il nazismo a dominare.
Mentre il gruppetto tornava sui propri passi, Margherita aveva sussurrato, esitante, ai due compagni: “Potrebbe trattarsi d’un guaio scatenato da noi stessi per un malfunzionamento del congegno Cronos”.
Non appena a bordo della navetta, aveva ordinato alla pilota il ritorno sulla nave.
Nei pochi minuti necessari a raggiungere il vascello, il pensiero di tutti era andato alle rispettive famiglie; s’erano chiesti se i loro cari li avrebbero riconosciuti e se, addirittura, in questo mondo essi ci fossero: Margherita aveva lasciato sulla nostra Terra padre, madre e la sorella più giovane, anch’ella ingegnere ma civile e titolare di studio professionale, Valerio la mamma, un fratello coniugato e due nipotini; la pilota il marito; il soldato la moglie e una bambina.
Di sicuro c’era soltanto che quel disordine temporale non aveva avuto effetto su equipaggio e passeggeri della cronoastronave, per cui nessuno s’era ritrovato inglobato, fors’anche psicologicamente, nella nuova società nazista.
La comandante si riprometteva di raccogliere, non appena a bordo, notizie su questa nuova sconosciuta Alter Terra collegandosi, tramite uno dei computer principali della nave, a un archivio storico: con cautela, tuttavia.
Al momento d’uscire dal disco nell’astrorimessa Valerio Faro le aveva detto: “Ci ho riflettuto, Margherita, e forse tu ti sbagli: il guaio può essere dipeso non dalla nostra nave al rientro, ma da un sigaro in esplorazione nel passato; e forse è proprio in grazia della gran lontananza dalla Terra della nostra 22 durante il mutamento storico che non ne siamo stati influenzati.
“Hmm…” aveva preso a considerare lei in un mugugno.
Aveva ripreso lui: “Margherita, nonostante le gran cautele che la legge impone per i viaggi nel passato della Terra, la certezza assoluta che non ne sia modificato il futuro non può esistere. Che ne dici? Non è forse possibile che il danno sia venuto dal sigaro 9? Ricordi, no? che solo un paio di giorni prima che noi prendessimo il volo per 2A Centauri era balzato nell’Italia del 1933, con l’équipe storica del professor Monti?”
“Forse hai ragione”.
Effettivamente, anche se, fin ad allora, mai nessuna missione storica aveva interferito con le vicende della Terra avendo ognuna rispettato sempre gli ordini governativi di non ingerenza, tuttavia un incidente non era del tutto impossibile, tant’è vero che, come la Storia ricordava, proprio la prima cronospedizione storica aveva rischiato un guaio temporale: un suo disco, mentre nell'anno 1947 si trovava in esplorazione a bassa quota sul New Mexico, era stato avvistato e segnalato da una formazione di bombardieri dell’USAF e lesionato, poco dopo, da un colpo di contraerea dell’aviazione militare esplosogli vicino. La navetta, pur se danneggiata, era riuscita ad atterrare in una località desertica presso Roswell e i quattro occupanti erano stati prontamente imbarcati da un altro disco e posti in salvo. Nessun sconvolgimento temporale era successo solo grazie a un particolare dispositivo di cui erano dotate tutte le navette e ch’era stato messo in funzione dal pilota prima d’abbandonare il mezzo: un congegno che aveva fuso ogni parte utile a eventuali lavori di retroingegneria, per cui il rottame recuperato non aveva potuto servire alle Forze armate degli Stati Uniti.
Era noto d’altronde che la cronoastronave 9 non era più recentissima, come denunciava il suo basso numero di serie, per cui non erano inverosimili improvvisi guasti, nonostante i costanti lavori di manutenzione.
Così come supponeva il Faro, secondo gli ufficiali ingegneri della 22 la nave e i suoi esseri umani non erano stati toccati dalla svolta nel tempo – come l'aveva chiamata Margherita – perché il sigaro s’era ritrovato al di là dello spazio-tempo attorno a 2A Centauri; e ciò li faceva supporre, sempre come aveva pensato Valerio, che il disordine temporale non fosse stato causato dal sigaro ma da un'altra crononave che, in epoca precedente il 2133, avesse accidentalmente modificato il futuro a causa d’un qualche infortunio.
La comandante aveva infine convenuto che, se la calamità fosse dipesa dalla cronoastronave 22 al rientro in orbita, anch'essa, con tutte le registrazioni dei suoi computer e con gli esseri umani che trasportava, sarebbe stata verosimilmente trasmutata divenendo parte del mondo nazista.
Si trattava di sapere adesso quante e quali spedizioni storiche, dopo quelle già sicuramente rientrate prima che il sigaro 22 avesse lasciato il nostro mondo, fossero balzate nel passato durante il breve lasso di tempo intercorso sulla Terra fra la partenza e il ritorno della nave di Margherita: solo quella del professor Monti e della sua équipe con la nave 9, oppure anche altre?
C’era nondimeno da considerare, come Valerio aveva fatto rilevare dopo aver riflettuto ulteriormente, un’eventualità diversa da quella d'un solo universo mutato da un incidente, quella di universi paralleli: si trattava della seria congettura di tanti cosmofisici, giunti in merito nei decenni alle più disparate teorie senza tuttavia riuscire a verificarne nessuna sperimentalmente; se tale ipotesi fosse stata vera, allora non ci sarebbe stata una svolta nel tempo con una modificazione del futuro della Terra, ma la cronoastronave 22 sarebbe saltata a un certo momento, per un errore di manovra o per un guasto dell’apparato Cronos, entro un universo parallelo assai vicino a quello della Terra, un altro cosmo dove sussisteva un’Alter Terra nazista invece del nostro mondo; e in questo caso, in certo modo, sarebbe stato vero quanto aveva temuto Margherita: la causa sarebbe stata la nave stessa.
Se ne era discusso.
Valerio aveva detto a un certo punto: “Supponiamo una pluralità incommensurabile d’universi ciascuno avente a base della sua nascita una singola decisione; ad esempio, un cosmo deriva dalla mia risoluzione d’andare in un certo luogo dove m’aspetta un incidente che m’uccide, mentre se non ci vado, io resto vivo e quell’universo non sorge; ebbene, come storico e come filosofo mi domando se la molteplicità di cosmi resti solo ipotetica e sia reale sempre e solo un unico universo originato, via, via, dalle decisioni veramente prese e dai fatti realmente accaduti, oppure se gli universi paralleli ci siano realmente tutti e, in particolare, se ogni persona si trovi a vivere in molti di essi, cioè a essere un io per ogni possibile scelta di vita sua o di altri e per ogni avvenimento influente, e dunque ella esista su ogni Terra e Alter Terra e Altra Terra ancora e così via. Ciascuno di questi fatti o decisioni crea un nuovo, reale universo oppure no? Per quanto riguarda noi, in questo mondo nazista, ci sono pure i nostri alter ego?”
Era intervenuto l’antropologo Jan Kubrich: “Vediamo se ho capito bene, Valerio: ad esempio, in un caso cade sulla testa d’un passante da un davanzale un vaso di fiori e lo uccide, quella persona muore e basta e non c’è un altro universo in cui ella invece non sia colpita e resti viva e questa seconda possibilità resta dunque meramente ipotetica; nell’altro caso invece, ci sono due paralleli cosmi concreti, dove rispettivamente il vaso cade e non cade, e la persona realmente muore in uno e resta viva nell’altro. È così?”
“Sì. Adesso traccio due semplici grafici, Jan”. Valerio s’era approssimato al computer più vicino e aveva elettronicamente disegnato un paio di schemi nell'aria, poi aveva detto a tutti: “Rappresentando con la linea continua le situazioni realmente in essere e con quella tratteggiata quelle solo ipotetiche e non realizzatesi, e semplificando al massimo, ci si può chiedere se sarebbe così, come in questo schema A


oppure così, come nel seguente schema B


e andando, a titolo d’esempio, al mio caso personale, ci si può domandare se ci sia solo il Valerio Faro che vi sta parlando, lungo la linea continua dello schema A, cioè un me stesso esistente sopra questa reale e unica Alter Terra nazista, oppure se ce ne sia anche un altro sulla nostra Terra non nazista, vale a dire, andando al grafico B, se ci sia un Valerio Faro vivente contemporaneamente lungo due linee continue parallele: un me stesso sulla Terra e un altro su Alter Terra. Nel caso che io esista soltanto su Alter Terra, cioè se è vero il grafico A, la Terra che noi conosciamo non esiste più, essa cioè è solo idealmente collocabile su di una linea tratteggiata del medesimo grafico A, una linea ormai ipotetica, divenuta inesistente”.
Gli era arrivato dalla comandante: “I due Valerio Faro, o le due Margherita Ferraris, e così via per ognuno di noi, potrebbero però non essere, in questo momento, su due linee continue secondo lo schema B, ma sopra una linea continua secondo il grafico A, cioè su quella linea che nello stesso grafico rappresenta la Terra nazista; in altre parole, tu e io qui sul sigaro e Valerio e Margherita numero 2 giù nel mondo: entrambi sulla stessa Alter Terra, e così pure potrebbe esserci un doppio su Alter Terra per ciascuno degli altri”.
Aveva considerato lui: “…e io ti complico ulteriormente le cose: potrebbe essersi verificato uno sdoppiamento del sigaro con tutti i suoi passeggeri, per cui potrebbe essere tornata una nave 22 sulla nostra Terra parallelamente all’arrivo su Alter Terra di questa nave 22 su cui siamo noi ora, anzi di questa alter nave 22; e in tale caso, i Valerio Faro, per restare a me solo, potrebbero essere non due, uno sulla Terra e uno su Alter Terra, ma addirittura tre, due qui e uno sulla nostra Terra. Se invece non ci sono universi paralleli, cioè se si esclude del tutto lo schema B e s'accetta per vero solo quello A, c’è la possibilità che io sia il solo Valerio Faro, Margherita Ferraris la sola Margherita Ferraris eccetera: la possibilità, si badi, non la certezza, restando pur sempre viva l’altra ipotesi che quegl’inopportuni di Valerio Faro numero 2, di Margherita Ferraris numero 2 e di un alter ego per ciascuno di noi ci siano anch’essi, da qualche parte là sotto”.
“C'è da perderci la testa, Valerio”.
“Sì, Margherita, ma resta il fatto che è logico scommettere sul caso a noi meno sfavorevole, quello delle strade storiche immaginarie ai lati di un’unica via reale come nello schema A, stando al quale hanno senso il ragionare sull’essere e il predisporre azioni per mutare le cose; nell’altro caso no, perché tutto il possibile vi è realizzato, procede realmente nel tempo lungo un numero incalcolabile di strade per innumerevoli bivi”.
“Trascuriamo l’idea che, eventualmente, su questa Alter Terra ci siano un Alter Valerio, una Alter Margherita e così via”, aveva detto la comandante, “e concentriamoci su qualcosa di positivo: se noi siamo ora sulla linea continua del grafico A, dove la Terra è divenuta per un incidente nel passato l'Alter Terra nazista, e se dunque non ci sono universi paralleli, noi possiamo riportare le cose in pristino!”
Silenzio.
“Sissignori, andando nell’unico passato e operando per far divenire tratteggiato, cioè solo più ipotetico, il tratto continuo nazista, e facendo tornare invece continuo, cioè reale, quello che, dopo la svolta nel tempo, è divenuto tratteggiato, cioè quel mondo democratico che noi conosciamo e che al momento non c’è più ma bisogna ripristinare”.
Aveva interloquito per prima la ricercatrice Anna Mancuso, rivolta al proprio direttore e amico professor Faro: “Purtroppo, Valerio, io temo che non sarà mai possibile stabilire con certezza se sia vero lo schema A oppure quello B. Se ci fossero, per malaugurata ipotesi, reali universi paralleli come nello schema B, pur andando noi nel passato ed eliminando la causa della svolta nel tempo, sarebbe possibile che questa Alter Terra nazista non venisse affatto meno, ma semplicemente che noi, a quel punto, si saltasse in un universo dove il nazismo non ha vinto e dove noi ritroveremmo, nell’anno 2133, la nostra società lasciata partendo per 2A Centauri; noi non ci accorgeremmo della sussistenza di Alter Terra e del fatto d’esser semplicemente tornati lungo il parallelo binario dove c’è la nostra Terra”.
Valerio: “Sì, sono d’accordo, Anna; tutto sommato è una questione di mera fede, un po' come per la scelta che fanno tutti più o meno inconsapevolmente, noi scienziati compresi, d'essere nel mondo e non di essere un mondo. Non è infatti possibile dimostrare che il solipsismo sia vero o falso”.
“Il solips...che?” aveva chiesto l’ittiologo Elio Pratt, più preparato in discipline scientifiche che in materie umanistiche.
Gli aveva risposto: “Il solipsismo, parola che deriva dai termini latini 'solus', cioè solo, e 'ipse' cioè stesso, e che significa 'solo sé stesso' è in sostanza l'idea metafisica che tutto ciò che esiste sia creato dalla coscienza della persona e non sia oggettivo. Per esempio, se fosse vera la tesi solipsista, io mi troverei, soltanto, nella mente del singolo che adesso mi sta ascoltando, non sarei un Valerio Faro effettivo; e ovviamente, per me sareste voi i prodotti della mia mente, voi non sareste oggettivi, solo io esisterei realmente e, per così dire, vi creerei nella mia interiorità. Fatto è che è impossibile dimostrare sperimentalmente vero o falso il solipsismo, o al contrario dimostrare vera o falsa la realtà del mondo, perché anche l’esperimento e il suo presunto risultato potrebbero essere mere creazioni dell’io: è solo l’atto di fede che fa ritenere d'essere parte d'un mondo oggettivo e, dunque, che si possa conoscerlo grazie all'esperienza”.
S’era inserito il pragmatico Jan Kubrich: “Comunque, caro Valerio, solipsismo a parte per me l’essenziale è che questo mio io che sta parlando venga infine a ritrovarsi nella società che ha lasciato; se poi ci fossero altri miei innumerevoli io in altrettanti cosmi paralleli, degli ego che mai comunque conoscerei, a me non potrebbe, tutto sommato, importare”.
Gli aveva detto Anna: “A me invece importerebbe moltissimo saperlo, anche se lo penso impossibile in questa vita: nell’Aldilà, semmai; e in merito, lo sai, Jan? sorge un essenziale problema teologico…”
“…no, la teologia no: pietà di me!” l’aveva bloccata sorridente, con falso sgomento, l’antropologo che, nonostante la situazione altamente emotiva in cui, come tutti, si trovava, pareva avere ancor voglia di scherzare, come d'altro canto Anna aveva ancor desiderio, malgrado tutto, di ragionare di teologia; o entrambi proprio a causa della tensione forse, a suo lenimento.
“Hm… mah”, aveva emesso Anna che non aveva colto l’intento giocoso di lui, “io pensavo fosse interessante, Jan”.
“Scusami”, l’aveva rassicurata il Kubrich, “ho solo scherzato: se dipende solo da me, di’ pure, ché ascolto volentieri”.
Pensando che la divagazione fosse utile a sedare l’indubbia ansia di tutti, la comandante aveva tollerato: “…ma sì, Anna, sentiamo”.
“Beh, stavo per dire prima che, accogliendo per vera la congettura, che per me è atroce, dei reali multi universi, la stessa persona ha insieme meriti e demeriti morali differenti, a seconda del cosmo in cui ciascun suo ego, più o meno buono o cattivo, si viene a trovare, in conseguenza di ciascuna sua decisione più o meno altruista oppure più o meno egoista; così, all’estremo, il medesimo soggetto, poniamo un Francesco d’Assisi, in una dimensione spazio-temporale è stato onesto fino alla santità – traguardo trascendente: salvezza eterna – ma è stato assolutamente disonesto in un cosmo posto all’altro estremo, quindi con destinazione la morte eterna senza risurrezione in Dio, in altre parole la dannazione infernale31 (#litres_trial_promo)”.
“Sì, Anna”, aveva riguadagnato la parola Valerio, “ma a parte il discorso sul paradiso e sull'inferno che interessa solo noi credenti, l’idea dei pluriuniversi è comunque tremenda: nel caso di multiuniversi reali, l’io è, parafrasando il Pirandello, anche se qui oggettivamente e non nei soggettivi giudizi del prossimo, uno e centomila, o miliardi potremmo dire, ed è, in fondo, nessuno,32 (#litres_trial_promo) perché se tutto quanto il possibile esiste, se la persona è miliardi e miliardi d’individui in altrettanti universi e non una sola, ella non è un io, e ciò suona assurdo nonché antiumanista: l’uomo vi appare un mero zero. Per me è inaccettabile: io credo fermamente, come l’Einstein, che Dio non gioca ai dadi e faccio dunque fermo atto di fede nell’unico universo”.
“Pur io, ovviamente”, s’era unita Anna.
La comandante: “Quindi, adesso si tratta d’agire nel passato per cambiare questo, sperabile, unico cosmo e riportarlo alla condizione anteriore alla svolta nel tempo”.

S’erano interrogate le memorie dei calcolatori di bordo del sigaro.
Gli elaboratori avevano risposto che al momento del salto cronospaziale verso il sistema Alfa Centauri fin a cui, come sappiamo, essi avevano registrato dati d’ogni sorta traendoli dai calcolatori pubblici della Terra, l’unica cronoastronave che risultava non essere ancor tornata dal passato era la numero 9 che aveva portato nell’Italia dell’anno 1933 una spedizione diretta dal filosofo e storico professor Arturo Monti dell'Università La Sapienza di Roma. Essendosi interrotte le comunicazioni della 22 con la Terra dopo il balzo, non si potevano avere notizie successive.
Ci s’era poi rivolti a conoscere la Storia dell’Alter Terra a partire dal 1933 fino al presente, ché la svolta temporale s'ipotizzava avvenuta in quel lontano anno del XX secolo essendo noto che il sigaro 9 s'era diretto al mese di giugno dello stesso ’33. Ci s'era riservati peraltro d’informarsi, subito dopo, anche sugli avvenimenti storici di Alter Terra anteriori a quel periodo; se infatti la Storia precedente fosse stata identica a quella della Terra che Valerio e gli altri ben conoscevano, sarebbe apparso plausibile che esistesse un solo mondo e che, semplicemente, la Storia fosse cambiata dalla svolta temporale in poi, divenendo Alter Storia. In realtà certezza non si poteva avere, infatti non era del tutto escludibile la possibilità di due universi vicinissimi in cui la Storia, fino a un certo punto, fosse stata identica per poi differenziarsi in Storia e Alter Storia; ma si voleva che così non fosse e tal desiderio faceva premio sull’altra ipotesi: anche nel profondo di Jan Kubrich, dopotutto.
Valerio Faro sulla nostra Terra era accreditato presso l’Archivio Storico Centrale e ne aveva accesso diretto; sperava dunque che così fosse anche su Alter Terra, anzi ci aveva scommesso con sé stesso, anche se non aveva potuto evitare di chiedersi, mentre s’accingeva a tentare l’accesso: ...e se in questo mondo nazista io non fossi nemmeno nato? O se io qui non fossi uno storico ma… un marinaio, o un avvocato, o… chi sa chi? Peraltro egli sentiva, ed essendo un uomo libero e un democratico convinto ne provava disgusto, che nel caso sperabile che fosse stato ammesso ai dati riservati dell’Archivio elettronico, egli sarebbe stato, su Alter Terra, un servo del nazismo, in quanto non altrimenti avrebbe potuto aver accesso; s'era tuttavia chiesto: Io o un mio alter ego? Su questo pensiero, aveva espresso con batticuore la propria password: era stato lasciato entrare senza problemi. Aveva deglutito istintivamente per il sollievo qualunque dei due casi fosse stato il vero, pur chiedendosi ancora: ‘Nazista io o un Alter Valerio?’.
Aveva parlato senza intermediari, com’era suo diritto, col cervellone centrale. Come s’aspettava, anche i programmi dell’Archivio erano in lingua tedesca e non nell’inglese universale che, quand’erano partiti, era parlato e scritto ovunque dalle insegne commerciali fino alle etichette di fabbrica cucite all’interno della biancheria intima; adesso, solo la cronoastronave 22 e i suoi dischi volanti mantenevano le scritte di servizio in inglese, pertinenze del mondo di partenza così come lo erano lo stesso Valerio e gli altri imbarcati sul sigaro.
La prima domanda del professore aveva riguardato la geografia politica di Alter Terra. La risposta era stata che tutto il globo era nazista, non solo l’Europa, ed era organizzato nell’Impero Mondiale della Grande Germania che comprendeva sia protettorati guidati da un governatore tedesco, come gli Stati Uniti d’America, la Russia, la Svizzera e la maggioranza degli Stati afroasiatici cominciando da quelli ex islamici, sia regni fantoccio, come quello d’Italia retto da un re di nome Paolo Adolf II: i monarchi locali dovevano aggiungere Adolf al proprio nome. Quanto all'Impero Mondiale, lo Statuto nazista prevedeva che per salire al soglio imperiale, alla morte o al rovesciamento violento del precedente imperatore – questo era avvenuto una sola volta nel 2069 –, il successore venisse eletto dalle SS, un po’ com’era stato per i Cesari in un certo periodo di Roma imperiale, innalzati al trono dalle legioni; inoltre stabiliva che il neo eletto lasciasse del tutto i propri nome e cognome e divenisse Adolf Hitler. Un Adolf Hitler V era adesso sul trono, niente di meno che Kaiser dell’Universo; l'Impero però, di fatto, comprendeva solo pochi mondi oltre alla Terra, la Luna, dove c’era un base scientifica, i pianeti del sistema solare, di cui solo Marte, da quando ne era stato mutato artificialmente il clima, era abitato da pochi coloni, e infine alcuni mondi di altre stelle sui quali, per ora, si trovavano solo missioni di studio, fra le quali risultava la spedizione del sigaro 22 col fatto che la cronoastronave era appena rientrata in orbita terrestre. I tedeschi erano arrivati a un così grande potere grazie, inizialmente, a una rapina tecnologica di parti del disco precipitato e ricoverato dagl’italiani presso la SIAI Marchetti di Vergiate: ovviamente l’Archivio parlava, in termini assai lusinghieri, d'una brillante operazione militare attuata da gloriosi idealisti germanici. Risultava inoltre che a rivelare ai tedeschi l’esistenza e l’ubicazione del disco era stata una certa Claretta che Mussolini, incurante come sempre della morale familiare, teneva come sua amante fissa, donna di trent’anni più giovane di lui. Sin dal febbraio 1933 ella aveva accettato un ingaggio dai servizi segreti nazisti, per duemila lire al mese che, in quei tempi, erano una somma importante. La tapina non s'era resa conto dei guai che sarebbero potuti venire all’Italia dalle sue spifferate ai tedeschi di notizie raccolte fra le lenzuola del Gran Capo. Recitava l'Archivio che gl'ingenui italiani avevano creduto, per molti anni, che fossero stati gl’inglesi, ritenuti i costruttori del disco, a compiere il furto e che, d'altronde, del tutto efficiente era stata la segretezza germanica, non solo quanto all’operazione Patriota, com'era stata definita convenzionalmente, ma pure sulle successive attività di studio, la cui direzione era stata affidata personalmente da Hitler agl'ingegneri Hermann Oberth e Andreas Epp: i lavori avevano richiesto anni, le bombe disgregatrici e i dischi volanti tedeschi erano stati messi a punto soltanto all’inizio del 1939, dopo vari tentativi, grazie paradossalmente a Mussolini con l’avvicinamento ormai strettissimo fra l'Italia e la Germania, ancor prima della stipula fra i due Paesi del cosiddetto Patto d’Acciaio militare siglato il 22 maggio 1939: il dittatore italiano, ormai soggiogato psicologicamente dalla forza economica e bellica dimostrata dal Terzo Reich, aveva fornito a Hitler un dossier sul disco catturato dall'Italia e sugli avvistamenti di altri oggetti volanti non convenzionali e, a precisa richiesta, aveva addirittura consentito a fisici e ingegneri tedeschi di partecipare al progetto del Gabinetto RS/33 su quanto restava del disco, ch’era stato nel frattempo trasportato nella nuova base di Guidonia. In ultimo era stata proprio la condivisione d’informazioni concessa dall’ormai debole e sconcertato Mussolini a determinare il pieno successo dell’operazione di retroingegneria dei tedeschi: la Germania aveva realizzato trentun dischi funzionanti, dotati ciascuno di quattro missili con altrettante bombe disgregatrici; erano stati costruiti e collaudati in una base a una decina di chilometri da Bremerhaven, situata sulla costa del Mare del Nord nel Land di Brema; le bombe erano state fabbricate e sperimentate in località Peenemünde, sull'isola di Usedom davanti al litorale baltico del Reich, evacuata precedentemente dalla poca popolazione civile residente, così come, per molti chilometri in estensione e profondità, era stato sgomberato il litorale antistante l’isola. Dal momento della messa a punto di dischi, missili e bombe, era stato necessario ai nazisti ancora un paio di mesi per l’addestramento di aviatori al pilotaggio degli stessi dischi in atmosfera e in volo sub orbitale, sotto la guida dell’asso dell’aeronautica nazista Rudolph Schriever, nonché all’uso dei missili, ovviamente lanciati durante le esercitazioni senza le bombe disgregatrici, sostituite da ordigni con esplosivo convenzionale. All’inizio di luglio del 1939 la Germania era entrata in guerra senza preavviso e, a differenza di quanto narrava la Storia tradizionale, nell'Alter Storia l’aveva vinta e quasi immediatamente: anzitutto, dai fliegender scheiben – dischi volanti – in volo sub orbitale, mossi dall'antigravità, erano stati lanciati sopra varie città della Gran Bretagna, della Francia, dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti d’America missili armati con bombe disgregatrici, identiche a quelle di cui disponevano le navette da sbarco delle cronoastronavi. Come avevano intuito Valerio Faro e coloro che, dietro alle sue spalle, assistevano alla ricerca, il fatto che i dischi avessero percorso soltanto sub orbite era dovuto all’esser stati ancor imperfetti, per il momento, rispetto al prototipo giunto dal futuro.
L'Alter Storia era proseguita in modo del tutto agghiacciante, nella perdita d’ogni valore spirituale e nel trionfo del più assoluto ateismo. La persona era stata ridotta a un nulla, mera pedina dell’Impero nazionalsocialista. Ovviamente l’Archivio Storico Centrale esaltava queste cose come una conquista preziosissima dell'umanità, confusa questa con la pseudo razza ariana mentre subumani venivano considerati tutti gli altri esseri umani. Dopo la guerra lampo del 1939, ulteriori progressi erano stati fatti sui dischi volanti, fino a giungere al volo orbitale e quindi a quello spaziale sub-luce: la Germania già nel 1943 era giunta sulla Luna con quattro uomini della Luftwaffe, ritornati sull'Alter Terra sani e salvi, e nel 1998 sei aviatori nazisti, di cui cinque tedeschi e uno austriaco, con un disco molto più grande dei precedenti, progettato e realizzato apposta, erano sbarcati per la prima volta su Marte e ne erano tornati. La vera colonizzazione del Pianeta rosso era avvenuta però, come d'altra parte nel mondo di Valerio e di Margherita, solo con la creazione delle cronoastronavi, progettate su Alter Terra nel 2098, interamente un prodotto dell’ingegneria nazista questa volta, così come sulla Terra lo erano state dell'ingegneria degli Stati Confederati d'Europa pochi anni prima: il viaggio sperimentale nello spazio-tempo di astronauti nazisti era avvenuto nel 2105, diretto al vicino sistema doppio Alfa Centauri A e B, senza discese su pianeti: pressappoco com’era stato per la Terra, la quale aveva conquistato lo spazio profondo nel 2107, con un viaggio di circumnavigazione della stella Proxima Centauri, a 4,22 anni luce di distanza dal nostro Sole, e ritorno immediato. Non risultava invece dall’Archivio che i nazisti di Alter Terra avessero fatto viaggi nel tempo: forse temendo di cambiare la Storia a proprio danno? Dunque, nemmeno c’era stata una spedizione nell’anno 1933 per studiare il fascismo e, come avevano ragionato Margherita e gli altri, il disco catturato dagl'italiani e rapinato dai tedeschi era giunto dal futuro della Terra e non dell'Alter Terra. Valerio aveva interrogato l’Archivio anche sul tempo precedente gli anni ’30 del XX secolo: dagli albori della civiltà fin al giugno 1933 l'Alter Storia era risultata identica alla Storia.

“Credo che a questo punto”, aveva dichiarato la comandante a equipaggio e scienziati, “non ci resti che saltare nel passato e provare a cambiare le cose”.
Aveva appena terminato la frase quando gli elaboratori di bordo avevano messo in allarme rosso il sigaro: avevano rilevato un disco, sicuramente amico, di quelli in dotazione alla nave 22, avvicinarsi alla massima velocità e, dietro di esso, in salita a una decina di chilometri al di sotto, altri due dischi non identificati. I computer avevano avvertito subito dopo un lancio di missili dai secondi contro il primo, mentre il pilota amico chiedeva concitatamente al sigaro 22 d’aprire l’hangar con priorità assoluta. Era stato fatto. La manovra successiva della navetta era stata spericolata, col rischio di schiantarsi contro la cronoastronave e di danneggiarla o peggio; il disco era però entrato nell’astrorimessa senza danni. Non appena chiusosi il portellone dietro alla navetta, la comandante aveva ordinato ai computer un immediato balzo verso il passato e il vascello 22 era scomparso giusto in tempo per non esser colpito dai missili. In base alla normativa di sicurezza, il cronosalto avrebbe dovuto avvenire lontano dal pianeta, così, invece, l’energia sprigionata dalla temponave aveva annientato gli ormai vicinissimi missili dei dischi inseguitori.
Capitolo 5 (#ulink_4d2c5e36-1137-52f7-991b-f61db06e9f27)

Alle ore 0 e 30 di notte del 18 giugno 1933, neppure cinque giorni dopo il ricovero, in un hangar della fabbrica SIAI Marchetti di Vergiate, del disco catturato, molte figure appena distinguibili agli occhi d’un gatto, rivestite da tute nere, erano scese silenziosamente sul terreno attorno agl'impianti, appese a paracadute parimenti neri. Affinché i motori degli aerei che, dalla Baviera, li avevano portati sul luogo non fossero facilmente udibili da terra, i paracadutisti s’erano lanciati da un’altezza di quattromila metri, aprendo gli ombrelli dopo una caduta libera di tremilasettecento. Nonostante la tenebra, nessuno era rimasto infortunato.
Ben conoscevano i turni di servizio della guardia italiana perché una spia li aveva verificati nei giorni precedenti e comunicati ai propri superiori a Berlino. Sapevano che alle ore 0 del 18 giugno s’era svolto il cambio della guardia e che il manipolo della Milizia smontato aveva lasciato il posto per rientrare in caserma.
Dopo essersi ricongiunta, la compagnia, composta da sessanta uomini al comando del capitano Otto Skorzeny e da alcuni ingegneri del Genio guastatori, era penetrata silenziosa, col passo militare del fantasma, nel locale portineria della fabbrica, subito chiudendo la bocca e tagliando la gola ai due poveri custodi, marito e moglie. Quindi cinquanta dei sessanta incursori, tutti armati con fucili automatici Thompson di fabbricazione statunitense acquistati, tramite intermediari, da emissari del Terzo Reich, avevano aggredito il manipolo della Milizia e i due marescialli dell'OVRA in quel momento di guardia al disco e, grazie alla sorpresa e all’armamento moderno, avevano ucciso tutti. Solo otto degli assalitori tedeschi erano morti e quattro erano rimasti feriti sotto i colpi dei vecchi moschetti modello ‘91 in dotazione agl'italiani. Nel contempo, i dieci paracadutisti ch'erano stati lasciati indietro avevano acceso fuochi lungo la pista d’atterraggio che correva lungo la fabbrica, così che gli stessi aeroplani da cui gl’incursori s’erano lanciati potessero atterrare. Gli altri, dopo aver scattato fotografie e fatto riprese cinematografiche, esterne e interne, del disco ancora integro, ne avevano prelevato le parti asportabili, per primi i missili con le loro bombe e gli apparati cinefotografici radio. Tutto il reparto aveva poi caricato il bottino sugli aerei, quindi la stessa cosa era stata fatta coi morti e feriti della compagnia. Finalmente, gl'incursori di Hitler avevano decollato indisturbati.
Al personale civile ch'era giunto in fabbrica alle 6 del mattino per iniziare il turno di lavoro, s’era presentato lo spettacolo da macelleria dei due guardiani sgozzati e, in seguito, la carneficina di miliziani.
A Roma non s'era sospettata la verità, anche a causa della disistima che Mussolini nutriva in quel tempo per la Germania; il Duce aveva pensato senz'altro a un colpo di mano di coloro che tutti ritenevano i legittimi proprietari del disco: gl'inglesi.
Le ricerche tecnologiche fasciste sul disco si sarebbero da allora limitate, forzosamente, a quanto ne restava, e nient’affatto si sarebbero potute svolgere sui missili, sulle relative bombe disgregatrici e sugli avveniristici microapparecchi video-radio trafugati dai nazisti, nell'immediato le parti militarmente più interessanti del bottino, armi e strumenti che, data la mole non enorme, gl’italiani avrebbero potuto prelevare senz’indugio e spedire a Roma, invece di lasciarle con superficialità a Vergiate bell'e pronte per essere sottratte. Naturalmente qualche testa era caduta ma, altrettanto naturalmente, non quei craponi che avrebbero dovuto pensarci per primi, vale a dire, per non parlare del Gran Capo, non le teste, fra altre eccellenti, del direttore dell’OVRA e del ministro dell'Aeronautica Balbo. Nulla di nuovo sotto il sole, insomma.
Già nel pomeriggio dello stesso 18 giugno 1933, Hermann Goering, Ministro degl'Interni per la regione della Prussia e futuro Ministro dell’Aviazione del Reich, figura di già, in sostanza, seconda autorità del regime, su ordine di Hitler aveva affidato la direzione degli studi e delle conseguenti ricerche di retroingegneria sulla preziosa refurtiva a Hermann Oberth e Andreas Epp, ingegneri di sicura competenza professionale e di provata fede nazista.
Questo era avvenuto quand’ancora in Germania non era stata ricostituita ufficialmente un’aviazione militare né, in questa, reparti di paracadutisti, vale a dire quasi due anni prima che, l’11 marzo 1935, Goering fondasse la Luftwaffe venendone nominato contemporaneamente da Hitler comandante in capo.
Capitolo 6 (#ulink_fea8469d-481a-5438-ba30-f59bfc388f96)

Un rapporto alla locale Questura d’uno dei commissariati di Forlì recitava: “Addì 14 agosto 1933 verso le 14.30 ora italiana, l'avanguardista Ferrini Mario di Luigi e di Troneri in Ferrini Maria, nato a Forlì il 16 giugno 1917, studente, essendo a passeggio conversando con amici parimenti sedicenni, studenti e avanguardisti,33 (#litres_trial_promo) osservava all’improvviso una sorta di sigaro lucente ad alta quota, che a causa della grande altezza sembrava assai piccolo ma che doveva essere in realtà gigantesco, attraversare in volo da sud a nord, in nemmeno mezzo minuto, il cielo sopra la città, apparendo e sparendo al di sopra di cumuli sparsi. Anche gli amici, dal Ferrini prontamente invitati a guardare in alto, vedevano quello strano oggetto e lo seguivano con lo sguardo fino a quando spariva dietro l’orizzonte”.
“Era molto, molto più in alto della cima del Monte Bianco”, aveva detto ore prima Mario alla mamma casalinga. Alle 17 il padre, maresciallo capo della Pubblica Sicurezza, terminato il proprio turno era rincasato ed era stato anch’egli informato. Con diligenza il sottufficiale era rientrato in ufficio accompagnato dal ragazzo e con lui aveva steso un rapporto per la Questura di Forlì, pur se in cuor suo ritenendo che si fosse trattato d’un semplice dirigibile, genere d’aeromobili non ancora insolito nei cieli di quei tempi, sebbene già di molto si privilegiasse l’aeroplano a causa d’incidenti occorsi agli aerostati a motore più leggeri dell’aria, come il clamoroso disastro nel 1928 del dirigibile Italia durante la spedizione al Polo Nord del generale Umberto Nobile.

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Svolte Nel Tempo Guido Pagliarino
Svolte Nel Tempo

Guido Pagliarino

Тип: электронная книга

Жанр: Современная зарубежная литература

Язык: на итальянском языке

Издательство: TEKTIME S.R.L.S. UNIPERSONALE

Дата публикации: 16.04.2024

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