Sta Scherzando, Commissario?
Marco Fogliani
Una ventina di racconti particolari, non proprio gialli, non proprio polizieschi, ma che alla fine arrivano comunque in qualche modo a dover interessare la polizia.
Di seguito l'elenco dei racconti inclusi nella raccolta:
BIANCHI E NERI IMMOBILI
GIU' LE MANI DA LUANA, PLEASE
IL CASTELLO DELL'AMORE
IL PANDORO LUCCICANTE
IL RISVEGLIO
IL SANTO DEI MIRACOLI
IL SANTONE
LA CONOSCEVO, O PENSAVO DI CONOSCERLA
LA FAMIGLIA BALZELLONI
LA FESTA D'ADDIO
LA FRANA
LA GITA AL SANTUARIO
LA STORIA DI JASMIN
LIBERI TUTTI
PIACERE: COMMISSARIO SGAMON
ROSETTA
SERENA, LA SIRENA
STORIA DI ALTRI TEMPI
UNA BRAVA PERSONA
VENTINOVE FEBBRAIO
Si avverte che, dato il carattere tematico della raccolta, alcuni di questi racconti potrebbero essere presenti anche in altre raccolte tematiche dello stesso autore.
MARCO FOGLIANI
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Indice dei contenuti
LA FAMIGLIA BALZELLONI (#ud5b0c73d-ed7d-52ff-b419-67c8d0e5c890)
SERENA LA SIRENA (#ua011f019-1929-5a51-9d54-e2505f1f8b4f)
UNA BRAVA PERSONA (#u6e3c294c-dd99-5797-8cf8-cc46bcc8af62)
GIU' LE MANI DA LUANA, PLEASE (#u17b58b01-1edd-5b8b-863f-fc3e87e7134c)
IL CASTELLO DELL'AMORE (#ufe2a040b-6e00-597e-a64a-c2258331e5d7)
IL PANDORO LUCCICANTE (#litres_trial_promo)
LA CONOSCEVO, O PENSAVO DI CONOSCERLA (#litres_trial_promo)
LA FRANA (#litres_trial_promo)
LA STORIA DI JASMIN (#litres_trial_promo)
LA FESTA D'ADDIO (#litres_trial_promo)
LIBERI TUTTI (#litres_trial_promo)
VENTINOVE FEBBRAIO (#litres_trial_promo)
IL SANTO DEI MIRACOLI (#litres_trial_promo)
PIACERE: COMMISSARIO SGAMON (#litres_trial_promo)
LA GITA AL SANTUARIO (#litres_trial_promo)
IL RISVEGLO (#litres_trial_promo)
STORIA D'ALTRI TEMPI (#litres_trial_promo)
IL SANTONE (#litres_trial_promo)
ROSETTA (#litres_trial_promo)
BIANCHI E NERI IMMOBILI (#litres_trial_promo)
Note (#litres_trial_promo)
LA FAMIGLIA BALZELLONI
“Si può sapere che cosa le è saltato in mente? Lei è una persona non solo intelligente, ma anche con grande esperienza nel campo della sceneggiatura. Si può dire che lei abbia seguito la famiglia Balzelloni fin dalla sua nascita: perciò sa benissimo quali sono i punti di forza della nostra trasmissione. Voglio dire il fatto che ci guardano con piacere sia gli adulti che i ragazzi ed i bambini. I nostri protagonisti sono i personaggi della vita quotidiana: il nonno, la mamma, il papà, i figli con gli amici, la domestica ed i vicini di casa. Anche le vicende devono essere rigorosamente plausibili per la vita di tutti i giorni. E lei mi propone una cosa del genere?”
Gli sbatté sulla scrivania il fascicolo, bocciato senza appello, sottintendendo di non volerne più sentir parlare.
Il Bozzoli abbozzò una debole difesa, ma senza neanche troppa convinzione:
“Le statistiche parlano chiaro. Gli incidenti domestici sono molto più frequenti di quanto non si pensi: e per la maggior parte accadono in cucina. Forse non sarebbe male sensibilizzare il pubblico sull’argomento.”
“Forse le ci vorrebbe una bella vacanza, signor Bòzzoli, ecco cosa. Ce lo potremmo anche permettere, sa, e probabilmente lei non solo ne ha bisogno, ma se la merita. Non si preoccupi, tanto coi tempi stiamo messi bene e al limite possiamo anche dare spazio a qualche giovane per qualche puntata: non è per un paio di episodi che una soap opera può perdere audience. Il nostro pubblico preferisce senz’altro una puntata un po’ troppo tranquilla a una un po’ troppo scoppiettante; anzi esplosiva, come la vorrebbe lei, con la cucina che salta in aria e che mi manda all’ospedale metà del cast. E come pensa che potremmo proseguire, poi: ambientando tutto in corsia? Ci sono già altri serial televisivi ambientati negli ospedali, e io non ho nessuna intenzione di far loro concorrenza. Non mi piace il genere, e non ne avremmo nessun guadagno: a ciascuno il suo lavoro ed il suo pubblico.”
Il direttore raccolse le idee e proseguì, dopo una breve pausa, con un tono più conciliante e comprensivo. “Vede, signor Bozzoli, io stimo molto il suo lavoro. Però le assicuro che mi secca doverla tenere sempre sotto controllo per evitare che mi combini pasticci. Questo mi impedisce di poter fare completamente affidamento su di lei. Immagino che anche questa volta la sua vita privata sia stata sconvolta da qualche vicenda traumatica: come quando è morto suo zio, e se non stavamo attenti lei ci faceva morire anche nonno Balzelloni. Non può pretendere che io tenga i suoi sentimenti sempre sotto sorveglianza! La vita è la vita, e ha la sua importanza: ma anche il lavoro è importante, e per me viene prima. Bozzoli è Bozzoli, e i Balzelloni sono i Balzelloni: non confonda mai le due cose.”
Questo dovrebbe essere stato il tono di quella conversazione, avvenuta circa un mese prima. Così l’ho ricostruita a partire dalla testimonianza della segretaria, e anche basandomi su quel famoso copione. Il fascicolo cartaceo finì di certo subito nel cestino, ma per fortuna di noi investigatori moderni i computer mantengono spesso una traccia - inconscia e involontaria ma generalmente leggibile - di quello che gli è passato per le mani almeno una volta.
In seguito a quell’incontro il Bozzoli acconsentì ad essere affiancato nella stesura delle sceneggiature successive. Questo forse lo ha salvato da un imminente esaurimento nervoso; o forse no, se sono veri i sospetti e le accuse che lo indicano responsabile dei fatti su cui sto indagando.
Abbiamo comunque verificato che proprio in quel periodo la moglie del Bozzoli è fuggita all’estero con un altro uomo, portandosi via Marco, il loro figlio più piccolo. Una piccola tragedia privata, proprio come pensava il direttore. Per fortuna che almeno l’altra figlia, già sposata, gli è rimasta vicina.
Povero Bozzoli. E pensare che ho appreso solo svolgendo queste indagini i suoi meriti artistici, e quanto in realtà lo stimassi pur non conoscendolo. E’ stato lui a suo tempo il creatore di uno dei miei polizieschi preferiti, il “Commissario Sgamon”: un personaggio simpaticissimo e sempre di buon umore, con un ottimo intuito ma che non riesce mai a risolvere i suoi casi, pur avvicinandosi sempre ad un soffio dalla soluzione e dal colpevole; eternamente beffato da un briciolo di sfortuna o da una circostanza avversa, o sviato da un falso indizio. E nonostante tutto, sempre di buon umore.
Ma non mi lascerò certo influenzare dalla simpatia che provo per i suoi personaggi. Farò trionfare la verità, almeno spero. E’ ormai assodato che la dinamica dell’incidente ricalca quasi perfettamente quel famoso copione. Per non dire poi del fatto che l’unica persona a lasciarci le penne è stato proprio il direttore della produzione, che in genere non era quasi mai presente alle registrazioni. Chissà, forse stava preparandosi un caffè. Un’incredibile coincidenza, non vi pare?
“ Prego, signor Bozzoli, si accomodi.”
Vigorosa stretta di mano, da vero manager. Poltrone scure lussuose e conosciute, che incutono sempre un certo rispetto. Poi prosegue:
“ Avrei preferito fare la sua conoscenza in circostanze più serene. Sono stato designato in sostituzione di … ehm, … penso che lei immagini benissimo di chi.
Diciamo che in questo ruolo mi sento un po’ come un capofamiglia; di una famiglia, quella dei Balzelloni, davvero in cattive acque, orfana ed in pessime condizioni di salute. Una famiglia numerosa di cui anche lei fa parte: anzi, in cui secondo me ricopre un ruolo fondamentale. Non a caso ho parlato di famiglia, perché vorrei che lei sentisse le mie parole come quelle di un padre. Sono al corrente di tutto, di quanto è già successo e di cosa sta per succedere o potrebbe accadere. La voglio perciò rassicurare sul fatto che noi tutti crediamo fermamente in lei, nella sua innocenza e nella sua professionalità. Tutta la famiglia Balzelloni crede in lei, ora più che mai, e oserei dire di più: conta su di lei per poter sopravvivere. So che ha sempre creduto nella famiglia Balzelloni: le chiedo solo di continuare a crederci con la stessa intensità, o anche di più. Come ci credo io, d’altronde.”
Stentava a credere quanto gli piacesse sentire quelle parole dal nuovo direttore; ma intanto si proiettava con la mente a scoprire eventuali imbrogli in agguato. Invano.
“ Se lei è d’accordo, vorremmo che fossero i nostri migliori avvocati, a nostre spese, a curare la sua difesa legale; e anche la sua immagine, naturalmente. Sempre che lei sia disposto a non abbandonare la famiglia Balzelloni in questo momento così difficile.”
“ Ma naturalmente!”, gli rispose il Bozzoli.
“ Bene. Però sia pronto ad aspettarsi di tutto: sa come sono certi magistrati, quando si accaniscono contro i personaggi famosi solo per cercare di diventare più famosi di loro. Potrebbe anche dover affrontare la prigione: ma tenga duro e non si scoraggi mai. Noi saremo sempre al suo fianco con tutti i mezzi e le risorse a nostra disposizione. Lei deve solo continuare - ma non c’è bisogno di raccomandarglielo, visto che lo ha sempre fatto - il suo leale e fedele impegno alla causa dei Balzelloni.”
La sorte della serie televisiva potrebbe risultare un altro elemento a sfavore del Bozzoli. L’incidente ha mandato all’ospedale alcuni degli attori principali ed ha provocato ingenti danni allo studio di registrazione, mettendo a rischio la produzione di successivi episodi; ma ha anche suscitato un enorme interesse e aspettativa nell’opinione pubblica. Una grande campagna pubblicitaria, insomma. Per questo ai vertici hanno ritenuto favorevole questo momento e, con l’intenzione di sfruttarlo, hanno designato un nuovo direttore alla regia. Non è da escludere che il Bozzoli torni a scrivere da solo la sceneggiatura, dandole quello sviluppo “ospedaliero” che già aveva in mente in quel famoso copione. Non è da escludere - anzi ne sono fermamente convinto - che quel volpone avesse previsto tutto sin dall’inizio, ed abbia architettato ogni cosa avendo già in mente lo scenario finale: poter decidere da solo e indisturbato la trama, senza che nessuno possa metterci parola.
Naturalmente, al momento dei fatti il Bozzoli si trovava già da qualche giorno a godersi la sua vacanza, a centinaia di chilometri di distanza e in compagnia di decine di testimoni. Ma questo potrebbe al massimo escludere, e forse neanche quello, che lui sia l’esecutore materiale. Oggigiorno, con le sofisticate apparecchiature esistenti – telecomandi, microchip e microcircuiti programmabili che magari si attivano con una telefonata e che inevitabilmente si distruggerebbero in una simile esplosione - non si può più neppure escludere che l’esecutore si trovi anche molto lontano dalla scena del delitto. La polizia scientifica sta vagliando questa ipotesi con molta attenzione, in considerazione del fatto che abbiamo a che fare con una persona di ingegno e fantasia, e soprattutto ex sceneggiatore di film polizieschi.
Io personalmente propendo per l’ipotesi che il Bozzoli sia il mandante, e che abbia commissionato il delitto ad un sicario professionista. Per questo stiamo verificando i suoi movimenti di denaro di una certa consistenza avvenuti negli ultimi tempi, e anche le sue eventuali amicizie o conoscenze nel mondo della mala o con esperienza nel campo degli esplosivi.
Purtroppo per ora sembra che non sia uscito fuori niente di interessante in questo senso. Anzi, a dire il vero non sono neanche state trovate tracce di manomissione o sabotaggio della bombola esplosa, anche se credo che molti periti potrebbero comunque affermare che è un’ipotesi impossibile da escludere. Penso che alla fine, se non interverrà un briciolo di fortuna - un indizio insperato o una circostanza favorevole - la corte potrebbe rifiutare le mie ipotesi in quanto “suggestive ma prive di concreto fondamento”.
“Avanti, signor Bozzoli: confessi. Lei sa più di me quanto ciò le alleggerirebbe la pena, oltre che la coscienza.”
“E lei sa più di me che per fortuna non esistono prove di quello che lei pensa, ma che io non ho commesso. Comunque, se questo può darle qualche soddisfazione, una cosa gliela devo proprio confessare: lei, signor commissario, mi piace davvero.”
Il commissario, non sapendo come interpretare una simile dichiarazione, ebbe una smorfia tra la sorpresa e il disgusto.
“Se l’avessi conosciuta qualche anno fa, mi avrebbe dato moltissimi spunti per tante avventure del commissario Sgamon. Lo conosce, non è vero? Quell’intuito fantasioso, quella tenacia incrollabile, quella perenne sfortuna nel non trovare mai il tassello mancante; e perché no, quello humour così sottile da sembrare involontario, che solo un animo molto sensibile può produrre o afferrare. Lei, come il mio personaggio, sa prendere l’insuccesso con grande classe ed ironia. Sa cosa le dico? Che dovrei tornare a dedicarmi al commissario Sgamon; e se lo farò rinascere, questo sarà merito suo. Me ne ha fatto proprio venire voglia: quando finiamo con questa serie, spero di convincere qualche produttore a farlo rivivere.”
Il commissario, molto sensibile alle lodi ed ai complimenti, era sempre più interdetto e lusingato: per essere stato accostato ad uno dei suoi idoli televisivi, e per sentirsi considerato come suo ispiratore.
“E poi, dulcis in fundo: Il commissario Sgamon e il mistero della telenovela. Sarà dedicato a lei: glielo prometto come regalo per quando andrà in pensione. Come l’avrebbe vista e vissuta lui - cioè come la vedrei io. La trama è già tutta qui, nella mia mente: devo soltanto scriverla.”
Il Bòzzoli ci ha lasciato prematuramente, distrutto dai dispiaceri di una vita ingrata e piena di grane familiari e giuridiche. Non è riuscito a far rinascere il commissario Sgamon; ma non si è dimenticato del suo stimato ammiratore-inquisitore, tuttora in servizio in polizia.
Gli ha lasciato in eredità tutti i diritti della sua opera postuma “Il commissario Sgamon e il mistero della telenovela”, composta di tre racconti inediti. Tutti e tre i racconti si sviluppano dallo stesso spunto iniziale (un incidente, forse doloso, su un set televisivo), prendendo tre direzioni completamente diverse. Sono molto belli tutti e tre, soprattutto per chi quell’episodio l’ha vissuto veramente nella parte del commissario. “Scegli tu quello che preferisci”, gli ha scritto il Bozzoli nella dedica, omettendo di specificare, nell’ultima occasione a sua disposizione, se e quale dei tre corrispondesse ai fatti veramente accaduti.
SERENA LA SIRENA
Il mare calmo, la serata mite e la luna piena avevano richiamato sugli scogli non solo Aldo, un bel ragazzo dai capelli rossi, ma anche altri appassionati di pesca, forniti di canna e opportuna attrezzatura.
“Stai pescando?”. Aldo era lì da un po' quando si sentì rivolgere questa domanda.
“Non si vede?”, rispose secco lì per lì, senza guardare. Ma poi, vedendo chi gli aveva rivolto la parola, sorrise e cercò di essere più gentile.
“O almeno ci sto provando. Se invece vuoi sapere se finora ho preso qualcosa la risposta è no, non ancora.”
I due non si conoscevano. Lei aveva capelli chiari molto lunghi - fin quasi alla vita - ma soprattutto lucenti, che quasi sembravan seta. Così al chiarore della luna era difficile dire di che colore fossero; ma gli occhi sì, tra il celeste e l'acquamarina, e brillavano come due pietre preziose. Sembrava una visione. Magari sto sognando, pensò Aldo tra sé.
“Pescare in quel modo non mi sembra che richieda grande abilità o coraggio”, disse lei. “Però se lo fai per necessità, perché sei affamato come o più di loro … Perché loro abboccano perché sono affamati, dovresti saperlo: stanno solo cercando di procurarsi la cena di oggi, poverini.”
“No, non lo faccio per necessità, ma per svago. Pescare mi rilassa”, rispose lui.
“Strani modi che hai per rilassarti. Io per rilassarmi canto, o magari mi faccio un bel bagno e una bella nuotata. Meglio se con una meravigliosa luna piena come questa, e magari in compagnia di un bel ragazzo coi capelli rossi: a me i ragazzi coi capelli rossi piacciono da morire!”
Si mise a cantare, mentre iniziava ad entrare in acqua. Aveva una voce dolce e armoniosa, bellissima. Aldo si persuase ancora di più di stare sognando.
“Vuoi provare se per caso lo trovi rilassante anche tu?”, fece lei. “E comunque, ti prego, tira fuori dall'acqua quell'amo, che non abbia ad impigliarsi alle mie gambe.”
Aldo all'inizio era rimasto immobile, quasi in trance. Ma poi il canto e le parole della ragazza l'avevano indotto a lasciare la canna, restare in costume e seguirla in mare. Non sentiva freddo, e gli sembrava di muoversi lentamente, quasi come in un sogno. Lei continuava a cantare, e si muoveva nell'acqua come se fosse il suo elemento naturale.
“Come ti chiami? E dove abiti?”, le chiese.
“Mi chiamo Serena. Sono di qui, ci sono nata e cresciuta, per questo nuoto così bene. Tu invece sei in vacanza, vero? Non mi sembra di averti mai visto prima.”
“Sì. Vivo in città. Ma non mi dispiacerebbe trasferirmi in una località di mare, se mi capitasse la possibilità. Il mare mi piace molto.”
“Adesso ti faccio vedere come dovrebbe essere la pesca secondo me.”
Serena si immerse in acqua lì dove si trovava e vi rimase a lungo, forse più di un minuto. In quell'intervallo Aldo vide prima la superficie del mare incresparsi, e poi ombre scure guizzare veloci sul fondale. Alla fine Serena riemerse in superficie, tenendo in ciascuna delle due mani un pesce, uno più piccolo, l'altro più grande.
“Visto?”, disse. E poi lasciò cadere di nuovo i pesci in acqua. “Abilità e coraggio. Ma è solo un gioco. Perché adesso loro devono andare a mangiare, ed io invece non ho fame.”
“Sei davvero brava!”, esclamò Aldo allibito.
“Così mi sembra una gara ad armi pari, equa e divertente. Tu ti divertiresti se dal mare uscisse una corda che ti trascinasse sott'acqua, solo perché qualche pesce vuole rilassarsi?”
Aldo non raccolse la provocazione, e Serena riprese a cantare.
Trascorsero così in acqua un po' di tempo. Un denso nuvolone aveva iniziato a frapporsi ai raggi lunari e a far calare il buio, ma non tanto da non consentire di distinguere in lontananza, puntuale come ogni sera, il passaggio della grossa nave traghetto diretta alle isole.
“Si è fatto tardi, devo rientrare a casa.”
“Dove abiti? Ti posso riaccompagnare? Ci rivediamo domani?”, le chiese Aldo.
“Forse. Dipende ... anche dalle nuvole …“ Serena non disse altro prima di ributtarsi in acqua. E lei era troppo veloce a nuotare sott'acqua, ed era troppo buio, perché Aldo riuscisse, come era sua intenzione, a seguirla con lo sguardo e a capire da che parte si dirigesse.
La sera seguente, allo stesso orario, Aldo si recò sul medesimo scoglio, sperando di incontrare nuovamente Serena. Portò con sé l'attrezzatura da pesca, ma non la usò. Guardava di qua e di là, sperando che lei arrivasse; e voleva anche capire da che parte venisse, per cercarla durante il giorno. Ma l’arrivo di lei lo colse nuovamente di sorpresa.
Alle sue spalle, ad un tratto, ecco il suo dolce canto, come se si fosse materializzata dal nulla.
“Peschi anche stasera?”, gli chiese Serena.
“No”, rispose lui. “E' solo per tenere occupato il nostro scoglio, e allontanare gli altri pescatori.”
Si sedettero a guardare la luna. Lui contemplava Serena, che era ancora più bella della luna, ed ascoltava il canto di lei, un po' malinconico ed in una lingua straniera e misteriosa.
“Che lingua è?”, le chiese.
“E' la lingua dei pesci”, rispose sorridendo. “Li avviso che ci sono dei pescatori. Dicono che questo canto tenga lontani i pesci … ma attiri i ragazzi!”
Era vero, pensò Aldo, che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso quanto la trovava bella.
Chissà quanto rimasero così. Finché, in lontananza, ecco passare la nave traghetto. Aldo immaginava cosa sarebbe successo, e le prese la mano. Ma lei:
”E' ora che vada. Ma se vuoi ci rivediamo.”
“Sì”, rispose lui.
Quando lei si alzò per andarsene, volle alzarsi anche lui; ma Serena glielo impedì, mettendogli le mani sulle spalle.
“Ti prego, non mi seguire. Non oggi. Neanche con lo sguardo, come hai fatto ieri. Me lo prometti?”
“Ma … ”
“Se vuoi uno di questi giorni ti porterò a casa mia. Ti andrebbe?”
Lui fece cenno di sì col capo.
“Allora ti ci porterò. Ma questo vuol dire che dovrai conoscere i miei genitori. Te la senti?”
“ Quanto corri, esagerata”, avrebbe sicuramente risposto Aldo in altre circostanze e ad un'altra ragazza. Ed invece rispose con naturalezza:
“Certamente. Perché non dovrei? Sappi che non ho paura di nulla e di nessuno.”
“Va bene, allora aspettami domani”. E così dicendo sparì alle sue spalle.
L'indomani sera Aldo tornò al suo solito scoglio. Si portò come sempre l’occorrente per pescare, ma non lo fece, aspettando l'arrivo di Serena.
Il tempo era brutto, piovigginoso, e fece anche un paio di rapidi sgrulloni. Il cielo ed il mare, a tratti irrequieti, erano di un grigio oscuro, e non si vedeva quasi nulla. Ma ad un certo punto, dopo molto tempo, Aldo riuscì a scorgere in lontananza il traghetto che passava. L'ora del rientro, pensò Aldo sconsolato; per quella sera lei non sarebbe venuta. Per non pensarci si sedette e, nonostante la pioggia, cominciò a pescare con la sua canna.
Ed invece fu proprio allora che Serena lo venne a prendere. Una strana onda anomala, forse causata dal passaggio del traghetto ma non giustificata dalle buone condizioni del mare, si abbattè proprio e solo in quella piccola zona di scogli dove il ragazzo si trovava a pescare, e se lo portò via. Un fatto meteorologico e naturale raro ed inconsueto, breve ed improvviso, durante il quale, dichiararono concordemente i pochi pescatori che assistettero a questo accadimento strano ed incredibile, il vento si mise a fischiare, anzi ad urlare, in un modo strano, come se recitasse una specie di canto misterioso.
E qualcuno, fra i testimoni, affermò anche che il ragazzo non fosse il solo ad essere stato trascinato via dal mare, ma che con lui ci fosse anche una ragazza, dai lunghi capelli chiari e lucenti.
Fin qui la leggenda. Poi ci sono i fatti, signor commissario, tutti riportati dettagliatamente in questo faldone. E i fatti sono che, in oltre quindici anni, questo è il quarto ragazzo inghiottito dal mare nella stessa zona di scogli, e all’incirca nello stesso modo, a quanto pare. Tutti, guarda caso, con i capelli rossi. E anche stavolta le ricerche del corpo nelle acque circostanti non hanno restituito assolutamente nulla.
UNA BRAVA PERSONA
Interpreti:
C.: Commissario Sgamon
F.: Cavalier Favilli
A.: Appuntato
V1: Prima voce al telefono
V2: Seconda voce al telefono
Facoltativi:
Guardia carceraria
SCENA 1. Alla stazione di polizia.
L'uomo seduto accenna ad alzarsi in segno di rispetto mentre il commissario entra, esaminando una cartellina che ha tra le mani.
C: “Stia pure comodo.”
Il commissario chiude la porta, lascia all’altro poliziotto la cartellina e inizia a squadrare il sospettato.
C: “Fossero tutti come lei, il nostro lavoro sarebbe molto più semplice. Penso che persino io sarei riuscito a catturarla, benché non sia certo un operativo e lavori quasi sempre in ufficio.”
F: “Il fatto è che con quell'affare addosso sudavo e mi sentivo impacciatissimo nei movimenti. Non c'ero proprio abituato. Lei non ha idea di come mi sentissi. Anzi, forse sì. Magari le sarà capitato di indossarlo.”
C: “Un giubbotto antiproiettile? Sì, qualche volta. Ma con una pistola giocattolo in mano no, non mi è mai successo.”
F: “Il fatto è che la mia era una pistola finta. Non avrebbe mai sparato, perché proprio io non avrei mai voluto sparare. Ma gli altri non lo sapevano. E se a qualcuno, credendola vera, fosse venuto in mente di spararmi? Meglio essere prudenti, non si sa mai. E con tutto che indossavo il giubbotto avevo comunque una paura tremenda di poter essere colpito alla testa, o alle gambe. Capisce, qualcuno avrebbe potuto sparare all’impazzata o semplicemente sbagliare mira. E poi alle volte succede che il personale della sicurezza perda la testa e vada un po' oltre il dovuto.”
C: “Perda la testa? Proprio lei mi viene a parlare di perdere la testa? Ha davvero un bel coraggio. Lei, Cavalier Favilli, proprietario di una delle più grandi catene di negozi di abbigliamento italiani; e in più, a quanto leggo, è anche nel consiglio di amministrazione di diverse importanti aziende, tra cui una banca. Guarda caso proprio quella che stamattina le è saltato in mente di rapinare – o di far finta di rapinare. Ma … mi vuole spiegare perché l’ha fatto?”
F: “Nella scelta della banca è sempre meglio preferire quella di cui ci si fida. La fiducia è tutto, in fatto di banche, se lo ricordi. Insomma, in un certo senso mi sentivo tra amici, giocavo in casa.”
C: “No, io vorrei capire non perché ha scelto quella banca, ma perché ha scelto di rapinarne una. A quanto vedo le finanze, sue e delle sue aziende, sono in ottima salute, e direi che per lei dal punto di vista economico non sarebbe cambiato poi tanto se pure la rapina fosse andata a buon fine. Mi faccia capire. Non erano i soldi che le interessavano? Mirava a qualche documento? Oppure l’ha fatto per scommessa?”
F: “In un certo senso … una scommessa con me stesso. In realtà, signor commissario, l’ho fatto per amore, solo per amore.”
C: “Per amore? Beh, temevo qualcosa del genere. Mi dica, si spieghi meglio.”
F: “Si tratta di Rossana, una commessa nel nostro negozio di abbigliamento più importante, quello sul Corso. Assunta da poco, tra l’altro. Mi è sùbito piaciuta ed ha attirato la mia attenzione. Beh, vede, non è che fosse la prima commessa che mi piaceva o la prima donna della mia vita. Ma il fatto è che … non sono abituato ad essere respinto. Non mi faccio illusioni, so che se in genere mi assecondano e mi vengono dietro è sicuramente per la posizione che occupo, o per i miei soldi. Invece con lei … Quando una volta le ho parlato a tu per tu e le ho proposto di essere la mia compagna, lei ha detto di no, che non avrebbe mai funzionato. Perché io, secondo lei, sarei troppo una brava persona, a differenza di lei. E’ stato allora che mi ha confessato di aver rubato più volte degli articoli dal mio negozio: camicie, maglioni, borsette … Prendeva quello che più le piaceva. Praticamente tutto quello che aveva addosso era rubato. Mi ha detto: io sono una piccola delinquente, mi piaccio così e così mi piacciono gli uomini che frequento, un po’ mascalzoni, non importa quanti soldi abbiano. Mentre io invece, secondo Rossana, sarei stato troppo un bravo ragazzo.”
C: “E allora?”
F: “Le ho spiegato che anche nel nostro ambiente apparentemente per bene c’è modo di essere disonesti e commettere mascalzonate in guanti bianchi, rubando con astuzia in contabilità molto di più che qualche capo di abbigliamento, e addirittura continuando a mantenere il rispetto e l’ammirazione della gente. Ma lei è una ragazza semplice, non è in grado di capire queste faccende. Forse invece lei, commissario, intende cosa voglio dire.”
C: “Faccio finta di non aver sentito. Per adesso non mi interessano le sue altre mascalzonate, ma solo quella di stamattina.”
F: “Avrei potuto licenziarla, per ripicca e per farle capire il mio potere, o per i furti che mi aveva confessato. E invece ho accettato la sfida di mettermi al suo livello. Siccome lei non era in grado di comprendere altre tipologie di crimini, ho dovuto cimentarmi in qualcosa che potesse capire anche lei. Certo non era il mio campo, ero inesperto, e lo sono tuttora, nonostante mi sia fatto dare qualche consulenza di un certo livello pagandola profumatamente; ma più che altro teoria, niente di pratica.”
C: “E il risultato qual è stato? Eccola qui in manette; e qualche anno dietro le sbarre non glielo leverà nessuno, neanche i suoi soldi ed un buon avvocato. A meno, forse, che non punti sulla sua semi-infermità mentale, su cui a questo punto persino io potrei lasciarmi convincere.”
F: “No, no. Il risultato lo saprò solo quando Rossana verrà a trovarmi – e farò in modo che lo faccia. Mi dirà se secondo lei ho passato l’esame, se mi crede ancora una brava persona o se ritiene che io sia degno di lei, e lei di me. Solo allora saprò se ne è valsa la pena.”
SCENA 2. Nel parlatorio della prigione.
C: “Salve. Le dispiace se sono venuto a trovarla?”
F: “Niente affatto. Qui dentro tutte le visite mi sono gradite. E non vorrei assolutamente che pensasse che ce l’abbia con lei per qualche motivo. Lo so benissimo che ha fatto solo il suo lavoro.”
C: “Ad essere sincero, avevo chiesto che mi avvisassero quando la sua Rossana fosse venuta a trovarla. E mi hanno detto che è venuta ieri, dopo oltre sei mesi dalla sua condanna. Insomma, se posso chiederglielo: come è andata? Aveva detto che avrebbe valutato dal giudizio di quella donna il risultato delle sue azioni, se ben ricordo.”
F: “E’ solo per curiosità personale che lo vuole sapere, o c’è qualche altra motivazione diciamo … professionale”
C: “Beh, in effetti… Ho pensato che se lei dopo aver parlato con Rossana avesse valutato negativamente la sua esperienza criminale, forse sarebbe stato più propenso a rivelarmi qualche particolare in più sulla rapina - in cambio di uno sconto sulla pena, è ovvio - visto che a suo tempo ha omesso molti importanti dettagli. Informazioni sui complici e sull’organizzazione del colpo, essenzialmente. In fondo se Rossana l’ha bocciata, quello che le resta sarebbe solo qualche altro anno di carcere. Questo carcere, poi, che non è proprio dei migliori. A proposito, ho saputo che ha conosciuto di persona Achille il Sanguinario, come lo chiamano per i suoi trascorsi. Mi dia retta: gli stia alla larga, cerchi di non fraternizzare troppo con quel tipo. Per lui uno in più o uno in meno sulla coscienza - che non ha - non cambierebbe nulla.”
F: “Credo che lei si sbagli sul conto di quell’uomo. E’ solo che il sangue non gli fa la minima impressione, e per lui trucidare un essere umano è all’incirca come schiacciare una mosca. Anzi, in fondo si può dire che sia una brava persona: è affidabile, uno che mantiene le promesse, e se prende un impegno lo porta a termine scrupolosamente.”
C: “E sulla rapina, e sui suoi complici, non ha nulla da dirmi?”
F: “No. Tutto sommato anche i miei collaboratori sono stati corretti, hanno svolto esattamente e professionalmente quello che avevo loro chiesto ed avevamo pattuito. Non vedo perché dovrei danneggiarli inutilmente, e mettermeli contro. Non certo per il puro gusto di far loro uno sgarbo. Gli errori sono stati tutti e solo miei, me ne assumo e me ne sono assunto completamente tutta la responsabilità.”
C: “E Rossana? E’ riuscito a convincerla di non essere una brava persona? E sarà disposta ad aspettarla fino a quando non uscirà di prigione? In tal caso, signor Favilli, sarebbe meglio accorciare un po’ i tempi, e la collaborazione sarebbe il modo migliore. L’unico altro modo che vedo sarebbe la buona condotta, che però è troppo da bravo ragazzo. Oppure in questi sei mesi ha cambiato idea su qualcosa, su Rossana, sull’amore, e magari su come portare avanti il resto della sua vita?’
F: “Rossana ha apprezzato molto il mio coraggio e la mia buona volontà. Mi ha detto che adesso convive con uno che gli piace, un vero duro tutto d’un pezzo. Ma quando uscirò, se lei non sarà legata a nessuno, ha detto che mi prenderà in considerazione.”
C: “Bene, mi fa piacere. E lei è rimasto soddisfatto di questa risposta?”
F: “Ni. E’ come se fossi stato promosso con una sufficienza stentata. E io non sono il tipo che si accontenta della sufficienza. Io voglio essere brillante, il migliore, non una mediocrità.”
C: “E quindi, cosa pensa di fare?”
F: “Non lo so ancora bene. Vedremo, vedremo. Ci penserò. In fondo ho davanti molto tempo per pensarci.”
SCENA 3. Alla stazione di polizia. Il commissario è al telefono.
V1: “Per quell’evasione dal carcere, commissario, pensiamo che sarebbe utile che anche voi ci diate un supporto operativo.”
C: “L’evasione di Achille il Sanguinario? Naturalmente, daremo volentieri una mano come potremo, come tutti e come sempre, d’altronde.”
V1: “Dopo aver fatto una strage per scappare di prigione, sembrano proprio essere svaniti nel nulla.”
C: “Ma perché parla al plurale? E’ stata una fuga di gruppo?”
V1: “La novità è questa: che, dopo aver fatto la conta dei cadaveri, sembra che all’appello oltre ad Achille il Sanguinario manchi anche il cavalier Favilli. Può essere che troveremo il suo cadavere altrove; ma magari l’ha preso come lasciapassare, perché era forse la persona più ricca e importante che aveva sottomano. E non riuscendo a trovare Achille, pensiamo che potrebbe essere utile cercare anche il Favilli.”
C: “Sì, buona idea. Quello per amore potrebbe fare qualunque follìa, e il fatto che in prigione abbia frequentato Achille il Sanguinario … Anche se davvero il crimine non sembrava essere nel suo DNA. Faccio cercare la sua fiamma, Rossana, e ci mando una pattuglia a controllare. Non si sa mai. E’ possibile che se troviamo lei, troviamo anche lui, o loro.”
SCENA 4. Come la scena 3. In più c’è l’appuntato.
V2: “Capo, siamo dentro all’appartamento di quella Rossana. Non abbiamo trovato nessuno, ma per me è sicuro che siano passati di qui. C’è sangue dappertutto, una cosa impressionante. Non ho mai visto una cosa simile. Però nessun corpo, nessun cadavere, nessun ferito. Niente oltre al sangue.”
C: “Fatelo analizzare dalla scientifica. E mi raccomando con attenzione, potrebbe trattarsi di diverse persone.”
Il commissario riattacca.
A: “Certo che il Sanguinario è sanguinario. Se gli hanno affibbiato un soprannome simile un motivo ci sarà stato.”
C: “Tu ti sei già fatto un’idea sul sangue che hanno trovato. Ma io se fossi in te non scommetterei troppo su chi abbia fatto la strage e chi sia la vittima, o le vittime. Anzi: perché invece non ce la facciamo proprio una bella scommessa? Facciamo così: se alla fine delle indagini risulterà che è davvero stato il Sanguinario, ti offrirò un pranzo; altrimenti me lo offri tu. Perché nonostante le apparenze c’è chi dice che Achille il Sanguinario sia una brava persona, obbediente e preciso nei suoi lavori su commissione; mentre il Favilli, a quanto mi è sembrato, è meno ingenuo e più criminale di quanto si possa pensare. Allora appuntato, che dici: la vogliamo fare questa scommessa?”
GIU' LE MANI DA LUANA, PLEASE
[1] (#litres_trial_promo)
Il Papotti lo considero uno dei miei collaboratori più validi e, sotto alcuni aspetti, forse anche tra i più interessanti. Ha sempre dimostrato un intuito ed un acume straordinario, degni - secondo me - più di un investigatore che di un giornalista.
Lo chiamavamo tutti "Mister perché", per via del fatto che ogni tanto sparava su qualche collega una raffica di domande su qualche vicenda di cronaca, a cui regolarmente non sapevamo dare una risposta precisa; e regolarmente concludeva con una affermazione del tipo: "Vedi, mi sembra ovvio che in questa faccenda c'è qualche cosa che non torna." Ed era capace di approfondire una singola questione per giorni e giorni, con ricerche, interviste e magari anche pedinamenti, finché non tirava fuori la sua verità, quella che finalmente gli quadrava.
Querele poche, segno che nella maggior parte dei casi ci azzeccava; e molti scoop. L'unico suo limite, forse, stava nel ristretto orizzonte del suo campo di azione: in genere gossip; o al massimo ambiti locali, perciò di interesse necessariamente limitato a pochi. Forse perché veniva da un giornalino di quartiere e, come diceva lui, gli piaceva mantenere il contatto con la gente e la realtà quotidiana. Peccato. Avesse trovato qualcosa di strano nel presidente del Consiglio, sarebbe stato capace di far cadere il governo, e sarebbe sicuramente diventato più famoso.
Credo che il Papotti fino all'anno scorso non avesse neanche idea di chi fosse Luana Mozzi. A ben guardare, erano di due generazioni diverse. Il Papotti doveva essere un bambino quando lei, prima come cantante e testimonial in pubblicità e poi come pornodiva, approdò alla notorietà. Una rapida ascesa, una enorme fama: gran bella donna devo dire. E quando, saranno ormai quindici anni orsono, Luana Mozzi scomparve in circostanze ancora misteriose, il Papotti sarà stato al massimo un ragazzino.
Poi, mi pare l'anno scorso, un quotidiano pubblicò la notizia di un giudice che indagava non so a quale scopo sulla effettiva morte della Mozzi.
Il giorno dopo - e potrei scommettere che si era un minimo documentato prima di affrontare con noi l'argomento - il Papotti ci fece alcune delle sue domande provocatorie.
"Vi pare possibile che un padre e una madre possano dimenticarsi dove hanno sparso le ceneri della loro figlia? O che una clinica di fama internazionale possa smarrire la scheda clinica di un personaggio famoso che viene da migliaia di chilometri di distanza per curarsi, e morire, da loro?"
No, secondo noi non era possibile.
"E perché secondo voi, dopo quasi quindici anni, qualcuno avrebbe interesse a riaprire il caso della sua morte? A chi potrebbe interessare?"
Su questo ci fu qualche contributo da parte nostra: forse gli interessi dell'industria pornografica? E non era forse vero che già all'epoca nessuno di noi aveva veramente creduto alla versione ufficiale dei fatti?
Il Papotti si buttò anima e corpo sull'argomento, e si assentò dalla redazione per almeno due settimane. Non è poi una cosa così inconsueta da noi. L'importante è che almeno una volta a settimana il direttore del giornale venga tenuto aggiornato su ogni sviluppo.
Dopo di che inviò una videocassetta ai genitori della Mozzi, con cui si presentava e in cui chiedeva di essere ricevuto e di poter fare loro un'intervista, asserendo inoltre di essere in possesso di importante e inedita documentazione sulla morte della loro figlia. Una copia del nastro c'è sicuramente da qualche parte anche qui al giornale, se può servire.
Non ci sperava proprio, e invece la sua richiesta fu subito accettata. Si recò a casa loro, se non sbaglio nelle campagne piemontesi. Era armato non solo di penna e blocco notes, ma anche di un telefonino truccato che fungeva da registratore e micro-telecamera. È uno degli ultimi ritrovati della tecnica, molto in voga tra i giornalisti rampanti; lo usano in molti, grazie anche a questa moda degli ultimi tempi di portarsi il cellulare attorno al collo appeso a un collare di stoffa.
Da qualche parte abbiamo anche questo filmato, ma preferirei che non uscisse fuori: meglio non divulgare certi strumenti di indagine. Però il Papotti ha tirato giù un rendiconto di quell'incontro. Deve essere ancora qui sulla sua scrivania: un attimo solo… Eccolo. Ci dia un'occhiata lei stesso, commissario.
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La casa dei Mozzi è sobria, accogliente ed ospitale, circondata da un modesto giardino. Dopo che ebbi suonato al cancello, si affacciò una signora un po' anziana.
"Cosa desidera?", mi chiese.
"Sono il signor Papotti. Cerco …"
"Ah, sì. Il signor Papotti. Venga, entri pure, la stavamo aspettando."
Oltre a lei, nel salone all'americana mi attendevano, seduti uno sul divano e l'altro su una poltrona, due persone che se fossero state statue sarebbe stato circa lo stesso. Uno era un signore anziano, vestito elegante ma all'apparenza sciatto, sguardo perso nel vuoto forse per qualche malanno di troppo. Accennò un leggero sorriso e un segno di partecipazione solo quando la signora ci presentò: "Lui è mio marito."
L'altro era un tipo un po' losco: vestito scuro, occhiali da sole e, guarda guarda, al collo portava un cellulare quasi come il mio.
"Gradisce un po' di tè?", mi chiese la signora.
"Sì, grazie." Poi, siccome l'altro individuo non mi veniva presentato, domandai io: "E quest'altro simpatico signore, è possibile sapere chi sia?"
"E' il nostro maggiordomo tuttofare", rispose la signora sorridendo. E aggiunse:
"Beh, in fondo lei è un giornalista, qualcosa dovrà pur scoprirla da solo: o vuole che le diciamo proprio tutto noi?"
Sì, in effetti speravo che mi dicessero tutto loro. Ma di sicuro quell'uomo non era un maggiordomo, visto che la signora si occupò personalmente di servire il tè.
"Mi dica, signor…"
"Papotti", l'aiutai io.
"Giusto. Mi dica, lei per caso ha figli?"
"No. Non sono neanche sposato."
"Peccato. Peccato, perché i figli portano grandi soddisfazioni. E anche perché… le sarà più difficile comprendere la nostra situazione. Intendo dire: immaginare anche lontanamente come può sentirsi una coppia che ha perso un figlio. Vede, noi abbiamo volentieri acconsentito a riceverla non tanto perché avessimo qualcosa in particolare da dirle. La nostra verità è semplice. Brutta e triste, ma è la verità: la stessa che è stata scritta su tutti i giornali, sbandierata al mondo intero. Che poi non è stato bello neanche questo: che tutti parlassero di questo dolore, che se ne appropriassero, o meglio facessero finta di appropriarsene; di questo dolore che in realtà doveva essere solo nostro, e di quei pochi che veramente le hanno voluto bene."
Fece una pausa, mentre gustava un altro sorso di tè.
"Deve cercare di capire che non solo nostra figlia è morta, ma è morta più di una volta."
Ecco, pensai, ancora un po' e mi dice tutto.
"La prima volta, che ancora non era maggiorenne, è come se ci fosse stata uccisa. Ingoiata da quel mondo perverso dove non conta che hai un'anima: sei solo un corpo. Fatta prostituire neanche con un uomo alla volta, ma con centinaia e migliaia insieme. Intrappolata nel suo personaggio da carta stampata e da filmacci per soli uomini. Tolta per sempre dalla sua famiglia, dal nostro affetto, dalla bellezza di una vita sana e normale. E convinta a credere che fosse una vita ben vissuta, quasi una missione.
E' stato allora che per noi è morta."
Non riuscì a continuare. Poggiò la sua tazza e chiuse gli occhi, come per raccogliere da dentro di sé le forze per proseguire, o forse per cercare di rivedere il volto sorridente di sua figlia ragazza.
"Ma poi è morta di nuovo, in quella clinica. Perché, - e questo non potrà capirlo se non ha figli - una figlia resta sempre una figlia anche se non ti può vedere, o non la puoi vedere; se non riesci a comunicare con lei; se è scappata di casa, o se ti ha riempito la vita solo di dispiaceri. E' sempre una figlia, e quando muore ti manca da morire, e ti accorgi che era comunque meglio averla viva, con tutti i difetti che poteva avere o i problemi che poteva darti. Un figlio è un pezzo di cuore, come dicono a Napoli."
Fece una nuova pausa, sospirando e chiudendo nuovamente gli occhi per un attimo.
"E poi hanno tentato di ucciderla ancora. Siete stati voi giornalisti, con insinuazioni, sospetti, supposizioni, congiure immaginate chissà con che scopo. La prego, cercate di non ucciderla ancora."
"Si riferisce anche al contenuto della cassetta che le ho mandato?" le chiesi. "L'ha vista fino alla fine?"
"No, no. Ormai non serve più, non ha più senso. Anzi, forse sono io a poterla aiutare."
In realtà non aspettavo altro. Lei si alzò, si diresse ad una scrivania da cui prese una corposa cartellina per documenti, e me la diede. Era piena di fogli di giornale e riviste, qualche libro, foto e articoli ritagliati.
"Tenga. Questo è quanto sono riusciti a scrivere alcuni suoi colleghi prima di lei. Ci sono persino un paio di libri. E' stato detto di tutto. E sarebbe anche bello, se fosse vero. Una fuga d'amore; uno scambio di cadaveri; i servizi segreti francesi o quelli italiani, o forse tutti e due, in cooperazione; un alto generale francese, o addirittura un ministro; una gravidanza troppo imbarazzante; una nuova vita in Papuasia, o forse come missionaria in Africa. Faccia un po' lei, si sbizzarrisca."
"Cerchi di capirmi, signora: io sono un giornalista."
"Certo, certo: lo so. Deve fare il suo lavoro. E' assurdo, oltre che inutile, chiederle di non farlo. Però se le è possibile, una volta fatte le sue ricerche e formulate le sue congetture, aspetti per pubblicarle che io e mio marito saremo morti. Tanto ormai non c'è più nessuna fretta, decennio in più o in meno. Non contribuisca a questo stillicidio continuo, a questo strazio con cui cercano di uccidercela di nuovo. Lei sarà ancora giovane, e non sarà certo questo a farle fare carriera."
Non sapevo cosa dirle. Non trovai di meglio che rassicurarla dicendole:
"Cercherò di non mettere in cattiva luce nessuno della sua famiglia."
Mi alzai, come per togliere il disturbo, ma mi trattenni. Ero venuto fin lì e non avevo concluso niente.
"C'è qualcos'altro che posso fare per lei?", mi chiese cortese la signora.
"Avete qualche ricordo di Luana, in questa casa?"
"Qualcosa nell'altra camera, e forse basta. Dia pure un'occhiata liberamente, come se fosse a casa sua."
In un angolo di quella che doveva essere la camera degli ospiti, sistemati con cura attorno ad un mazzo di fiori, trovai qualche bambolina, qualche libro e qualche fotografia. Ricordi di una ragazza sana e felice, ancora pura e in sintonia con la sua famiglia. Niente altro.
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"E secondo lei", chiese il commissario, "tra le varie piste, tra tutte le ipotesi sulla scomparsa della Mozzi, ce n'era qualcuna a cui il Papotti dava maggior credito? Non so, può essere che ne abbiate parlato…."
"Lui era convinto che dietro ci fossero i servizi segreti. Non che la cosa lo spaventasse, anzi: ciò rendeva il suo lavoro ancora più interessante, una sfida ancor più difficile e quindi più appassionante. D'altronde io ero contento per lui: finalmente un caso rilevante, di portata internazionale."
"E' tutto?", chiese il commissario Sgamon al direttore del giornale.
"Direi di sì. Dopo la sua visita a casa Mozzi, ormai oltre un mese fa, il Papotti è sparito di nuovo. Per un po' ho ricevuti i suoi aggiornamenti dalla Francia; ma poi più niente. Ah, dimenticavo: l'ultima cosa che mi ha mandato è questa foto, con il cellulare. Una donna sulla spiaggia. Forse una certa somiglianza con la Mozzi. Però non saprei… Ma ora sono oltre due settimane che non si fa sentire, e questo proprio non è da lui. Sono certo che gli è successo qualcosa."
"E il suo telefonino risponde libero? Forse potremmo cominciare a rintracciare quello."
"Nessun segno di vita. Le lascio il numero, commissario, insieme a qualche sua fotografia. E qualunque altra cosa possa servire a rintracciarlo, la prego di fare pure il massimo affidamento sulla collaborazione di tutti noi del giornale."
IL CASTELLO DELL'AMORE
In quel castello non c'ero mai stato prima: ci sono andato solo per l'insistenza di Angela. Sapete come vanno queste faccende: quando una donna si mette in mente qualcosa è ben difficile farle cambiare idea, soprattutto se è innamorata.
Aveva cominciato a parlarmene con tantissimo anticipo, mi pare già la notte di capodanno. "Per San Valentino mi devi portare al castello Brini-Maniscalchi. Faranno una festa mascherata. Sarà bellissimo. E' un posto davvero molto romantico."
Nulla da dire sulle serate romantiche, anzi. Stare con Angela mi piace sempre - figuriamoci quando l'atmosfera fa la sua parte per mettere in risalto il nostro amore. Ma per le feste in maschera non sono mai stato entusiasta. Proprio non mi va giù dovermi organizzare il travestimento e magari stare scomodo tutta la sera, solo per fare qualcosa di diverso e perché lo fanno tutti gli altri.
"Sempre che tu mi voglia ancora bene, naturalmente", aggiunse lei vedendo la mia faccia scettica. "Guarda che ci tengo così tanto che per andarci sono disposta a trovarmi un altro cavaliere." Ovviamente scherzava, ma afferrai subito il messaggio.
Quel fatidico giorno Angela mi convinse che la cosa migliore era partire appena dopo pranzo, per prendercela con tutta calma. E non solo perché il castello distava da noi oltre un'ora di macchina.
"Papà e mamma mi hanno raccomandato di tornare a casa entro le dieci. Magari facciamo anche le undici, così riusciamo a vedere i fuochi d'artificio: ma non più tardi. Sai come sono i miei genitori."
Ebbene si, lo sapevo. Emisi un grugnito, che rappresentava molto bene il mio pensiero senza obbligarmi a esprimere idee o opinioni che avrebbero potuto innescare tra noi una discussione, sgradevole e soprattutto inopportuna quel giorno.
"E poi", proseguì, "vorrei fare un bel giretto per il paese. E' così bello. Con quelle viuzze medioevali in salita, con quel non so che… e tutti quei negozietti di artigianato!"
Così, anziché al parcheggio vicino al castello, decidemmo di lasciare la macchina in basso, all'inizio del paese, e da lì iniziare la nostra passeggiata. Il tempo era bello. Il castello dominava dalla cima della collina con grazia ed eleganza rinascimentale; ma era una presenza discreta, non autoritaria, perché il benevolo corso della storia non l'aveva mai costretto ad armarsi di torri o bastioni fortificati. Le stradine e le scalinate, belle ma scomode nella loro pavimentazione arcaica, si trasformavano spesso in vicoli senza dartene a vedere.
Talvolta, mentre seguivo Angela da un negozietto all’altro, finivamo in un cortile o in un sottoscala, senza che fosse ben chiaro il confine tra la proprietà pubblica e quella privata.
“Sembra che tu conosca proprio bene questo paesino, a giudicare da come ti ci muovi”, osservai mentre per una bassa porticina in fondo a gradini stretti e ripidi scendevamo in una botteguccia - di cui dalla strada era visibile solo l'insegna in legno - ricavata in una specie di grotta.
“Certamente. E ne dovresti anche sapere il perché.”
Girando e rigirandomi nella testa il nome del castello Brini-Maniscalchi, la questione mi tornò in mente.
“Ora ricordo. Il tuo ex abitava da queste parti."
Mi fece un cenno di conferma col capo.
"Era un conte, o un duca, e ti portava a spasso per il paese e nel suo castello, se non sbaglio."
"Sbagli. Nel castello ci sono stata, ma Franco non era il conte: era solo un suo amico. Altrimenti forse starei ancora con lui."
"Non è che hai organizzato tutto solo per rivederlo?"
"Ma sei geloso, per caso? Guarda che non hai proprio nessun motivo di esserlo. Di lui, poi, meno che mai. Perché io la mia scelta tra voi due l'ho già fatta da tempo, e non me ne sono pentita. Comunque", aggiunse Angela che ha sempre avuto la straordinaria capacità di scrutare i miei pensieri, "puoi stare certo che non ci rovinerà la festa. Bisogna entrare in coppia; e quindi, se ci fosse, sarebbe anche lui in dolce compagnia. Ma pedante e pignolo com'è, dubito che abbia trovato un'altra disposta a sopportarlo. E poi", concluse, "visto che è una festa mascherata c'è sempre la possibilità di non riconoscerci."
Angela riprese tranquillamente la contemplazione dei gingilli e soprammobili, in legno ed in ceramica, esposti per la vendita. E anch'io mi tranquillizzai.
Benché non avesse rinunciato a chiedere informazioni su prezzi e come è fatto questo e a cosa serve quell'altro, mi sorpresi a notare che quel giorno, fatto quasi miracoloso, non aveva ancora acquistato nulla; né, come mi disse più tardi, aveva intenzione di farlo.
Nel negozio, oltre a noi, in quel momento era presente solo una vecchiettina, seduta in silenzio su una seggiola in un angolo e con lo sguardo perso nel vuoto. Di sicuro non poteva essere lei la padrona, pensai. Sarà stata la mamma, o un'amica. Una presenza solo di compagnia, non certo per sorvegliare la merce: un malintenzionato avrebbe potuto svuotarle il locale sotto il naso senza che se ne accorgesse.
"Scusi, sa dirmi quanto viene questo?", le chiese Angela evidentemente immersa in altri pensieri.
La vecchia girò appena la testa verso di lei. "Mi dispiace, non lo so. E poi io non ci vedo più bene… sa, alla mia età! Dovrebbe chiederlo a mia figlia quando torna." E continuò: "E' davvero una bella giornata oggi. Godetevela. Sembra già primavera. In tanti anni non mi ricordo proprio un altro inverno così mite. Ma probabilmente siete qui per la festa… Ne ho sentito parlare molto, sapete. Da giorni in paese non si parla d'altro. E voi mi sembrate proprio due fidanzatini.”
Sembrava che quella donna fosse rimasta lì, immobile da chissà quanto, in attesa che qualcuno rompesse un malvagio incantesimo rivolgendole la parola; e ora, avendo riacquistato la favella dopo anni di attesa, si sentisse in dovere di riversare con gratitudine, su chi gliela aveva restituita, tutti i pensieri inespressi per tanto tempo per via di quel sortilegio. Però devo dire che dava l'impressione di essere simpatica, e anche buona.
“Dovete essere davvero innamorati, voi due. Io queste cose riesco a vederle, sapete. Anzi, a sentirle: perché ormai della vista mi è rimasto ben poco. Ma ho come un sesto senso. Certe cose le capisco al volo: le percepisco nell'aria. Vedo che siete una coppia felice, e che lo resterete ancora per tutta la vita. Si, tutta la vita insieme, come vi siete promessi l'un l'altro anche prima di sposarvi, quella sera d'estate sulla spiaggia, chiamando la luna piena e tutte le stelle a vostri testimoni.”
Rimanemmo entrambi sorpresi nell’ascoltare queste parole. Angela sembrava contenta e quasi commossa, come se di nuovo, in presenza di quella specie di maga, stessimo rinnovando la nostra promessa d’amore. Io invece, non lo nego, provavo un certo fastidio, come se fossimo stati spiati da una persona estranea nei momenti più importanti ed intimi della nostra vita.
Mentre la vecchia continuava a parlare di argomenti più generici, ripensavo a quella serata sulla spiaggia; alla nostra emozione di allora, che adesso si rinnovava negli occhi di Angela; e alla inspiegabile astinenza di lei, in quel giorno di San Valentino, dal comprare un qualunque oggetto ricordo, per quanti ne continuasse a guardare e ad esaminare con attenzione.
“ … Quelle sono spille portafortuna. Sono quelle con l’immagine del castello e della madonna, non è vero?" La vecchia parlando continuava a fissare nel vuoto; ma erano proprio quelle le spillette che stavamo esaminando.
"Dicono che tengano lontane le sventure. Ma questa è superstizione, date retta a me: è l’amore che protegge da ogni male.”
Le parole della vecchia, aumentando in me il dubbio - se non la convinzione - che avesse dei poteri misteriosi, mi infastidivano e mi turbavano, infondendomi un pressante desiderio di uscire al più presto da quel negozio; ma mi diedero anche una specie di illuminazione sui pensieri di Angela. Quel giorno, a differenza del solito, voleva che fossi io a comprarle qualcosa. Anche una stupidaggine. Magari proprio quella spilletta portafortuna, a ricordo di un bel San Valentino trascorso insieme e al contempo di quella promessa scambiata sulla spiaggia; e magari, così per scaramanzia, perché proteggesse il nostro amore per tutta la vita, come ci piaceva pensare e sperare, tenendo lontana da noi ogni sventura.
"Sono molto belle", dissi. "Ne prendiamo due." Porsi alla vecchia il denaro dovuto ed ella, sempre con lo sguardo nel vuoto, mi ringraziò sorridendo. La lasciammo seduta al suo posto, tornata immobile e silenziosa come una statua di sale ripiombata nel suo incantesimo.
Usciti in strada indossammo subito le spillette, una per ciascuno. Di certo appuntarle ai nostri vestiti ebbe degli effetti immediati e sorprendenti: il nostro bisogno l’uno dell'altra divenne talmente forte che proseguimmo avvinghiati stretti stretti e, in questo amoroso abbraccio, dimenticandoci del mondo intero. Non sentimmo più la fatica della salita, e in breve arrivammo alla nostra meta.
"Guarda, hanno messo l'acqua nel fossato! Non l'avevo mai visto così", mi disse Angela. Io non l'avevo proprio mai visto, né con né senza acqua; ma giudicai che sarebbe stato più appropriato popolarlo di coccodrilli, magari finti, anziché di paperelle e cigni.
Angela, con quella sua nuova vitalità inesauribile, mi trascinò verso l'entrata. Ormai intorno a noi si vedeva solo gente in maschera.
"L'affitto del costume è incluso nel biglietto", mi spiegò. "Neanche troppo caro, visto che comprende anche la cena e, ovviamente, la visita di buona parte del castello." Pagammo l'ingresso ad un gendarme col pennacchio, ma poi fummo costretti a separarci per la scelta del costume.
"Speriamo di riconoscerci, una volta mascherati", mi disse lei.
"Io porterò ben in vista la nostra spilletta", le risposi prima di lasciarla per seguire una guardia svizzera disarmata che mi accompagnò, insieme ad altri, nella sala vestizione dei cavalieri.
Non c'era molta varietà di scelta nel travestimento: in buono stato erano rimasti solo costumi da Zorro, a decine, e i pochi altri erano chiaramente in condizioni molto peggiori, o di taglie particolari, o troppo scomodi o stravaganti. Volentieri e senza esitazione scelsi Zorro, ottenendolo in cambio di un mio documento di identità. Mi cambiai, richiusi a chiave i miei abiti civili in uno degli appositi armadietti, mi appuntai la spilla sul petto e uscii nella sala delle feste.
Dov'era Angela? O forse era più corretto chiedersi: quale era?
C'erano svariate persone, alcune in coppia e altre in gruppi più numerosi, tutte mascherate; ciononostante l'enorme sala dava quasi l'impressione di essere vuota. Forse perché era priva di mobilio, se non per qualche tavolo apparecchiato a buffet e qualche sedia, chiaramente non in stile. Una buona parte del pavimento e delle pareti, spoglie dei quadri, era stata ricoperta da una specie di panno protettivo, sicché la bellezza originaria di quella sala maestosa rimaneva nella sua architettura, nel soffitto decorato e nelle ampie finestre con vista panoramica.
Mi tolsi subito la mascherina dagli occhi, per vedere e farmi vedere meglio. La sala andava riempiendosi ad un buon ritmo, alimentata dai due spogliatoi. Mi diressi verso quello delle dame, scrutando con attenzione ogni volto femminile spaiato che incontravo, nella speranza di riconoscerci Angela, di cui cominciavo già a sentire la mancanza.
Come davanti alla toilette delle donne all'aeroporto, un piccolo gruppo di uomini, tutti con la stessa ansia ma simulando indifferenza e ignorandosi reciprocamente, aspettava davanti a quella porta. Attesi anch'io nervosamente per dieci interminabili minuti, prima di ritornare in me ricordandomi dei normali tempi di preparazione di Angela. Allora, rassegnato, decisi di ingannare l'attesa con qualcosa da mangiare.
Ascoltavo con interesse la musica pseudomedioevale di sottofondo, ed osservavo la gente che continuava ad affluire, constatando che la nostra spilletta era stata adottata come portafortuna anche da altri, soprattutto Zorri. Nel frattempo proseguivano i preparativi per l'organizzazione della festa, che ufficialmente avrebbe preso avvio al tramonto: alcuni inservienti in costume accendevano le lampade ad olio, mentre altri preparavano la pedana e gli strumenti per un'orchestrina che più tardi avrebbe accompagnato balli lenti con musiche romantiche.
"Ero sicura di trovarti qui." La mia Angela mi sorprese alle spalle in veste di cappuccetto rosso. Non aveva avuto bisogno di trucco o ritocchi per sfoggiare un sorriso da bambina. "Vieni, facciamo un giro per il castello", disse requisendomi una pizzetta e prendendomi per mano.
Ci dirigemmo d'istinto verso il sole che, già basso sull'orizzonte, appariva di colore e dimensioni tali da sembrare anch'egli mascherato. Uscimmo perciò da una porta finestra su una terrazza panoramica; ma rientrammo quasi subito, per via delle fastidiose folate d'aria e soprattutto di un gruppo di ragazzi e ragazze che col loro comportamento - fatto di voci sguaiate, spintoni, battute e gesti volgari fino all'oscenità - toglievano ogni poesia a quello spettacolo.
"Vieni", mi disse, "ti porto io in un angolino romantico … se mi ricordo come arrivarci."
La seguii. Su per una specie di ampia scala a chiocciola che doveva portare al piano di sopra, Angela provò invano ad aprire una bassa porticina verde dall'aspetto robusto.
"Signorina, non si può entrare là dentro: è privato", le disse con fermezza un gendarme baffuto accorso al rumore della porta scossa invano con energia.
"Ah, mi scusi", rispose Angela con aria innocente. Ma doveva avere in mente qualcos'altro perché, con passo sempre molto deciso, mi riportò subito nella grande sala. Nella foga andò a infrangersi contro un centurione romano alto almeno una spanna più di me, ma fortunatamente con l'armatura di plastica.
"Angela!"
"Franco!"
Dagli istanti di imbarazzato silenzio capii che era proprio lui, il suo ex. Ma Angela si riprese egregiamente, e in modo tale da troncare drasticamente sul nascere, in lui, qualunque possibilità di nostalgia o rammarico per i tempi passati.
"Ciao, ti presento mio marito". Ci scambiammo una stretta di mano e poi tornai a stringere quella di Angela, come due teneri fidanzatini.
"Anche tu qui a goderti la festa?", continuò Angela.
"Veramente non me la sto godendo molto. Faccio parte dell'organizzazione, e ti assicuro che è ed è stata una faticaccia. Sai, un po' me la sono cercata: perché è stata soprattutto una idea mia. Un chiodo fisso da quando sono stato eletto consigliere comunale, l'anno scorso. E col fatto di essere amico del giovane conte le trattative tra i padroni del castello ed il comune sono toccate a me. Un duro lavoro di persuasione e di mediazione, perché il comune non voleva stanziare i fondi, e i conti erano diffidenti. A proposito, eccoli là: sono quei due signori con la parrucca ed il vestito settecentesco, originali dell'epoca, naturalmente."
"Si vede", commentò Angela, "sono bellissimi."
"Già, e anche la loro mentalità è all'incirca di quel periodo. Se non fosse stato per i loro figli non se ne sarebbe fatto nulla. E dire che alla fine si è raggiunto un accordo vantaggioso per tutti, ma soprattutto per loro: si faranno una tale pubblicità, che il castello diventerà ancora più richiesto per banchetti e feste private. E quasi tutte le spese sono state sostenute dal comune o da altri sponsor privati: spese non da poco, soprattutto per la ristrutturazione e la sicurezza. Pensate che è stato rifatto tutto l'impianto antincendio, e che per la sorveglianza è stato installato un circuito di telecamere nascoste a raggi infrarossi."
"Addirittura a raggi infrarossi!?", esclamai. Trovavo piuttosto interessante quello che stava dicendo, e soprattutto ciò di cui era a conoscenza e che avrebbe ancora potuto ancora dirci.
"Proprio così: per occasioni come queste, alla luce delle candele. In questi casi una normale telecamera è inefficace. Non potete immaginarvi il terrore del conte Maniscalchi di subire danni alla sua proprietà; ma secondo me non poteva ottenere maggiori garanzie. L'ingresso è a numero chiuso, e per giunta conosciamo nome e cognome di chi entra con invito o affitta un costume; poi c'è un nutrito servizio d'ordine, molti in borghese oltre a quelli mascherati da gendarmi; e soprattutto una assicurazione coi fiocchi contro furti, incendi e danneggiamenti, compresi atti vandalici."
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