Dal Vangelo Secondo Giuda
Andrea Lepri
Anno 2178, il Progetto Cielo sta per cominciare. Sir Jonathan userà il Traslatore Spazio Temporale per andare a prelevare Gesù nell’anno 30 e portarlo nella sua epoca, vuole donargli il mondo per-fetto che egli non è riuscito a realizzare duemila anni prima.
Sir Jonathan ha scelto Nicole come compagna di Gesù, unendosi in matrimonio i due daranno origine a una stirpe perfetta, destinata a governare il mondo nei Secoli.
Gesù, feroce tiranno di una lontana civiltà aliena, è stato esiliato ed è caduto con la sua astronave sul pianeta Terra. Qui riesce a sopravvivere trasformandosi in un essere umano, grazie a un proce-dimento di clonazione. Tutto ciò che vorrebbe è tornare sul suo pianeta per vendicarsi dei rivoluzionari che hanno sterminato la sua famiglia, ma dopo l’incontro con Giovanni Battista comincerà il difficile cammino di redenzione che lo porterà a salire sulla croce in nome dell’Amore.
Tutto questo accade mentre Giuda 1091 lotta per difendersi dagli intrighi di potere che
Giuda 1091 è un esemplare cittadino qualunque dell’anno 2178. Ha una bambina piccola, Jodie, e sua moglie Nicole è in attesa del secondo figlio. Il pianeta Terra è stato curato da quasi tutti i suoi mali, Giuda vive in un’epoca dove non ci sono delinquenza né malattie e tutti quanti hanno una casa e un lavoro. Il Potere è gestito da una casta di sacerdoti laici, che lo amministrano secondo semplici norme dettate dalla Bibbia e si trasmettono il titolo per discendenza.
Sembrerebbe tutto semplice e bello, ma sotto quella crosta di perfezione e falso benessere si snoda un filo di intrighi, misteri, e falsità. Il più potente dei sacerdoti, Sir Jonathan, porta avanti in gran segreto il Progetto Cielo: uno dei sui scienziati ha quasi ultimato la realizzazione della macchina del tempo, lui sogna di usarla per andare a prelevare Gesù nell’anno 30 e portarlo con sé, per donargli il mondo che egli non è riuscito a realizzare duemila anni prima. In quel modo, Sir Jonathan sarà glorificato in eterno perché potrà abbattere le antenne che tengono sotto un continuo stato di ipnosi i cittadini, rendendo loro la libertà per metterli di fronte a Dio in persona.
Gesù è stato il feroce tiranno di una civiltà extraterrestre, è stato esiliato e la sua astronave è caduta sulla Terra. Attraverso la clonazione della propria memoria su uno spermatozoo è riuscito a rinascere in forma umana, dopo aver abbandonato il corpo originario alla morte. Vorrebbe veder passare in fretta il tempo necessario a ricaricare le batterie solari dell’astronave, per poter tornare al suo pianeta e vendicarsi di coloro che hanno sterminato la sua famiglia. Ma grazie all’incontro con Giovanni Battista, che lo guiderà alla conversione, espierà i peccati commessi nell’altra vita e cercherà tra mille dubbi di insegnare l’Amore agli uomini. Lotterà con ardore e salirà sulla croce.
Fred è il migliore amico di Giuda, a sua insaputa è a capo della Setta, un gruppo rivoluzionario.
E’ l’unico che, grazie a suo nonno, sa dell’esistenza delle antenne. Le vuole distruggere per rendere la libertà agli uomini, per riuscirci sta preparando un gruppo di cittadini da guidare alla rivolta.
Sir Jonathan ha individuato in Nicole, moglie di Giuda, la donna perfetta che dovrà essere la compagna di Gesù. Unendosi in matrimonio daranno origine ad una stirpe divina, destinata a governare il mondo nei secoli.
Nicole, per mezzo di una messinscena ideata da Sir Jonathan e dai suoi collaboratori, si finge morta. Così facendo salva Giuda e Jodie dal ricatto letale di cui sono inconsapevolmente oggetto. Dopo avergli tolto anche la figlia, però, Sir Jonathan decide di ibernare Giuda perché teme che possa scoprire l’inganno. Fred, che è anche membro del Nucleo Ibernazioni, lo avverte. Lui rapisce la bambina e fugge a bordo di una delle macchine del tempo.
Nasce così un vortice di inseguimenti e tradimenti, combattimenti e rivoluzioni, che si sviluppano attraverso il tempo e lo spazio. Giuda finisce nell’Anno 30, lì incontra Gesù e si unisce a lui per proteggerlo, ma a causa dell’ennesimo ricatto da parte di Sir Jonathan sarà costretto a consegnarlo ai Romani. A quel punto dovrà fare di tutto per salvarlo, altrimenti la storia si ripeterà all’infinito. E così, in parallelo tra l’anno 30 ed il ventiduesimo Secolo, si svolgeranno gli scontri finali, gli esiti dei quali saranno incerti fino all’ultimo.
INDICE DEI CAPITOLI
PARTE I (#ulink_28e3cc67-93c9-5329-a7de-0cd00feac8f2)
L’AGGRESSIONE
PARTE II (#ulink_9db9d91b-dd6f-516b-8b66-e07391efdd75)
LA MORTE DI NICOLE
PARTE III (#ulink_a19ab4d9-c46a-5b54-af17-123e972a4d06)
L’ALIENO
PARTE IV (#litres_trial_promo)
CACCIA ALL’UOMO
PARTE V (#litres_trial_promo)
IL BATTESIMO DI GESU’
PARTE VI (#litres_trial_promo)
L’ATTACCO DELLA SETTA
PARTE VII (#litres_trial_promo)
GIUDA E GESU’
PARTE VIII (#litres_trial_promo)
ANNO XXXIII D.C.
PARTE IX (#litres_trial_promo)
LA PASQUA DI RESURREZIONE
PARTE X (#litres_trial_promo)
LA LIBERAZIONE
PARTE XI (#litres_trial_promo)
DAL VANGELO SECONDO GIUDA
PARTE XII (#litres_trial_promo)
EPILOGO
PARTE I
L’AGGRESSIONE
Quella mattina c’era un bel Sole, Nicole aveva apparecchiato in giardino. Posò il vassoio della colazione sul tavolo e sedette di fronte a Giuda, senza smettere di fissarlo con un sorrisetto enigmatico stampato in viso. Lui aveva notato che negli ultimi giorni sua moglie aveva qualcosa di diverso nello sguardo, come una luce particolare che brillava sul fondo dei suoi grandi occhi scuri, ma non era riuscito a spiegarsene il motivo.
«Che fai, non mangi?» lo stuzzicò lei divertita, vedendolo perplesso, lui si scosse. «Ho deciso che finché non mi dici che cos’hai, non mi muoverò da qui. Quindi stamani arriverò tardi al lavoro e mi prenderò un bel rimprovero... e sappi che sarà soltanto colpa tua!» replicò puntandole contro un dito, ma non riuscì a sembrare serio quanto avrebbe voluto. Lei continuò a sorridere divertita senza rispondere, mentre un vento leggero le scompigliava i lunghi capelli lisci dal colore dell’ebano. Jodie li raggiunse correndo e saltò in braccio a sua madre.
«Allora, glielo diciamo?» le chiese.
«Ma si, dai» rispose Nicole lanciandole un’occhiata complice «è ora che lo sappia anche lui!»
«Che cosa dovete dirmi?» fece allora lui dimenandosi sulla sedia, sempre più impaziente.
La bambina si staccò da sua madre e gli si avvicinò lentamente, per tenerlo ancora un po’ sulla corda.
«Avrò un fratellino» gli sussurrò all’orecchio. Per un attimo lui ebbe la sensazione che il tempo si fosse fermato, cercò conferma nello sguardo di Nicole perché non era sicuro di aver capito bene. Lei annuì convinta e lui si fece improvvisamente assorto, abbassò la testa e cominciò a mangiare, senza scomporsi. Al termine della colazione, Jodie e Nicole sparecchiarono e rientrarono in casa, Giuda oscurò tutte le finestre e le raggiunse in salotto. Soltanto allora poterono finalmente lasciarsi andare alla loro esplosione di gioia, al riparo da sguardi indiscreti e stando attenti a non fare troppo baccano. Infatti, nell’anno 2178, chi manifestava troppo apertamente le proprie emozioni non era visto di buon occhio.
Giuda era impiegato come cronista presso il piccolo Quotidiano locale, era uno di quei giornalisti che vanno in giro negli orari e nei posti più strani in cerca di notizie sensazionali. Sapeva bene che la sua attività non era emozionante come quella dei suoi antichi colleghi, ma quel lavoro gli piaceva molto. Le lunghe veglie notturne e gli appostamenti non esistevano più perché ogni evento era vissuto in tempo reale, ma lui era convinto che, impegnandosi a fondo, sarebbe sempre riuscito a trovare il modo di scrivere un buon articolo. Lungo il tragitto si fermò a comprare un paio di bottiglie “di quello buono”, per condividere con i colleghi quella fantastica novità, ma anche là i festeggiamenti si limitarono a un brindisi quieto e a qualche fredda stretta di mano.
La sera stessa, per festeggiare l’evento, Giuda prenotò un tavolo in un ristorante di alto livello. Nicole si mostrò entusiasta di quelle pietanze a base di pesce, in particolare le piacquero molto le primizie servite per contorno, coltivate sul fondo del Mar Mediterraneo. Ebbri per l’euforia esaltata dal vino azzurrognolo, frizzante e leggermente salato, si lasciarono andare a tutta una serie di progetti sul bambino. Si dissero che sarebbe stato bello, forte, intelligente. Forse un artista, o addirittura uno scienziato. Per chiudere la serata in bellezza si recarono al Cinema Totale, dove vissero da protagonisti una Storia Interattiva. Tornati a casa trascorsero il resto della notte facendo l’amore, ubriachi di felicità, finché si addormentarono stretti stretti.
Poco dopo la quotidianità riprese il sopravvento, le settimane successive trascorsero serenamente tra le gite in barca e lo sport, il lavoro di Giuda e le mostre di Pittura Dinamica di Nicole, che in quel genere di rappresentazioni artistiche era la migliore. La sua pancia continuava a crescere e lui trascorreva ore a guardarla e carezzarla, a parlarle, oppure semplicemente ad ascoltarla come se ogni volta fosse la prima. Talvolta, durante la preparazione della camera del bambino, si incantavano a fissarsi negli occhi perdendosi l’uno nell’altra, fino a sentirsi una cosa sola.
Il foglio uscì dalla stampante accompagnato da un breve ronzio, dopo un salto di pochi centimetri andò a depositarsi dolcemente nel raccoglitore. Il dottor Lorentz spense le apparecchiature e lo raccolse, quindi esaminò i dati con estrema attenzione.
«Non ha niente da temere signora, tutto sta procedendo per il meglio. I parametri sono tutti nella norma, ma non solo: dall’analisi del Patrimonio Genetico si intuisce che suo figlio, oltre a essere praticamente perfetto dal punto di vista biologico, sarà dotato di eccellenti qualità intellettive e morali.»
Il dottore era piuttosto basso e corpulento, aveva il viso butterato e le labbra carnose come quelle di una donna. I suoi occhi piccoli e vicini, sfuggenti come se guardasse sempre altrove, ricordarono a Nicole quelli di un topo. Lei vinse una specie di ripugnanza e lo ricompensò con un sorriso stupendo, stringendogli la mano, poi lasciò l’ambulatorio. Il dottore si assicurò che la sala d’attesa fosse deserta, poi rientrò in studio e digitò la combinazione sul pannello posto a fianco al battente. La porta si chiuse e andò in blocco, lui raggiunse la scrivania e premette un pulsante nascosto sotto un fermacarte di marmo. Uno specchio alto due metri scorse lateralmente lungo una guida nel pavimento, aprendo la vista ad una piccola stanza nascosta. All’interno c’era un uomo affacciato alla finestra, aveva le mani giunte dietro la schiena e stava osservando Nicole che si allontanava per strada. Passo dopo passo lei divenne una macchia di colore sempre più piccola, fino a confondersi nel sonnacchioso traffico cittadino. L’uomo si voltò lentamente a scrutare il dottore, esprimendo coi suoi occhi dal colore del ghiaccio una richiesta muta ma ben precisa.
«Avete potuto vedere voi stesso Eccellenza!» rispose soddisfatto. «Fisicamente incarna la perfezione, inoltre conoscete i suoi dati biomorali meglio di me. E’ senza ombra di dubbio uno dei migliori esemplari, se non il migliore in assoluto, tra tutti quelli che abbiamo esaminato. Le sue qualità sono meravigliosamente elevate sia sotto il punto di vista intellettivo che sotto quelli morale, caratteriali ed estetico» precisò.
Sir Jonathan annuì gravemente e si sistemò nervosamente la zazzera di capelli bianchi, candidi e luminosi come neve, facendosi pensoso. Aveva studiato personalmente i rapporti su tutti gli esemplari studiati e le sue conclusioni collimavano perfettamente con quelle del Dottor Lorentz, ma lui voleva un’ulteriore quanto inutile conferma.
«E’ proprio sicuro che quella donna sia adatta allo scopo? Preferirei non illudermi vanamente, piuttosto che ritrovarmi in mano un pugno di mosche quando saremo giunti ad una fase troppo avanzata del Progetto. A quel punto non sarebbe più possibile cambiare obiettivo» gli spiegò ancora una volta. Per tutta risposta, l’altro si limitò a sorridere compiaciuto. L’Anziano ricongiunse le mani dietro la schiena, poi calò il mento sul petto e restò assorto per qualche istante in meditazione. Poteva finalmente raccogliere i primi frutti dei lunghi anni del suo lavoro, anni trascorsi a preparare quell’impresa che rappresentava l’unico scopo di tutta la sua vita. Aveva immaginato migliaia di volte di vivere quel momento, aveva sempre pensato che quella stupenda notizia sarebbe scesa nel profondo del suo animo fino a toccare le sue corde più nascoste, emozionandolo.
«Bene! E’ il tassello che ci mancava» commentò invece semplicemente, meravigliando persino sé stesso della propria freddezza. Era come se quella piccola grande vittoria fosse stata la cosa più naturale del mondo, come se avesse saputo da sempre che prima o poi quel momento sarebbe arrivato, ma la consapevolezza che gli ostacoli da superare erano ancora molti gli impedì di goderselo come avrebbe voluto. Sapeva che per molto tempo ancora avrebbe dovuto spendere tutte le proprie energie nel conseguimento del suo obiettivo, senza mai distrarsi né abbassare la guardia.
«A breve comincerà finalmente la fase conclusiva del Progetto Cielo» informò il dottore.
«Penso che convincere la donna non sarà facile» azzardò questi, timidamente. Sapeva bene quanto l’Anziano fosse potente e suscettibile, aveva scelto le parole con cura perché non intendeva assolutamente contrariarlo.
«Sarà molto più semplice di quanto pensa. In fondo, le offriremo qualcosa di grandioso in cambio di un piccolissimo sacrificio.»
Il dottore rimarcò i suoi dubbi con uno sguardo perplesso, allora un lampo di determinazione balenò negli occhi di Sir Jonathan, rendendoli se possibile ancora più vivaci.
«Accetterà, in un modo o in un altro!» tagliò corto.
I tre Signori dell’Ordine, fasciati nelle loro uniformi aderenti, erano sfrecciati fuori dal parcheggio ridendo e scherzando come se stessero andando a una festa. I fari dell’auto si riflettevano sull’asfalto lucido, reso scivoloso dalla pioggerellina uggiosa.
«Un’altra giornata di caccia, eh?» fece l’autista.
«Già» rispose distrattamente il Capopattuglia seduto al suo fianco, continuando a lucidare il distintivo. «E vorrei che stavolta fosse davvero l’ultima!» aggiunse dopo averlo controllato in controluce, per assicurarsi che non vi fossero aloni.
«Quand’è che la smetterai di torturare quella povera patacca?» lo canzonò Nick sporgendosi verso di lui dal sedile posteriore.
«Quando anche la tua patacca sarà d’oro come questa,» replicò Joe piazzandogli il distintivo sotto il naso, affinché lo potesse ammirare, «e ti mancheranno sei giorni alla pensione come a me, vedrai che la torturerai pure tu. Annusala, senti come profuma di libertà!»
Fabien, il ragazzo alla guida, aveva il corpo esile e nervoso. Le spalle strette sorreggevano la testa perfettamente rotonda, sulla quale spuntava in modo abbastanza evidente il naso a patata. Le sue lunghe braccia tenevano saldamente il volante, gli occhi verdi leggermente sporgenti scrutavano attentamente ogni centimetro di strada.
«Peccato che anche stavolta si risolverà tutto con un nulla di fatto. Sarei proprio curioso di vedere dal vivo gli effetti devastanti di questo aggeggio, anziché nelle stupide simulazioni del corso» disse portandosi una mano all’arma che teneva agganciata alla cintura. «Ma purtroppo, o forse per fortuna, non ne avremo mai l’occasione» concluse, mimando con il pollice e l’indice della mano destra il gesto di far fuoco contro un bersaglio immaginario.
«E’ proprio così» convenne Joe con l’aria di chi la sa lunga, «anche questa volta il cattivo di turno, dopo averci insultati e tenuti sulla corda per un paio d’ore, uscirà frignando e strisciando. Nessuno si farà un graffio e la gente applaudirà soddisfatta, perché anche stavolta il Bene avrò trionfato. Torneranno tutti quanti a casa felici e contenti tranne noi, che continueremo a imprecare perché ci saremo persi la finale dei Bulls. E come se tutto questo non bastasse, stasera avrei dovuto festeggiare il sessantesimo anniversario di matrimonio e tanto per cambiare arriverò in ritardo. Anche quest’anno mia moglie mi griderà in faccia che amo il mio lavoro più di quanto non ami lei, e come al solito lo farà minacciandomi con il suo mattarello.»
«Ehy tu, rallenta o ci beccheremo una bella multa per eccesso di velocità» ordinò Nick a Fabien scherzando, nell’intento di sdrammatizzare. Malgrado tutte le loro sicurezze, avvicinandosi al luogo dell’intervento stavano cominciando a percepire una certa tensione. I tre risero di gusto mettendoci la giusta quantità di nervi, poi il ragazzo prese il microfono della radio e se lo portò alla bocca con gesti misurati, esibendosi nella parodia del personaggio di un film vecchio di quasi duecento anni. Nick e Joe risero di nuovo.
«Qui pattuglia numero Sette. Siamo quasi sul posto, ci sono novità?»
«Qui base operativa. Nessuna novità, il tipo se ne sta comodamente barricato nell’appartamento. Non sembra pericoloso, ma le Guardie Semplici non sono riuscite a convincerlo a uscire.»
«Bene, gli faremo cambiare idea noi!» disse Fabien accendendo i lampeggianti e le sirene, poi schiacciò l’acceleratore con decisione.
«Chissà perché tutti quelli che rifiutano di sottoporsi al Trattamento sono residenti nel Quarto Quadrante» si chiese Nick a voce alta tenendosi saldamente alla maniglia.
«Una volta, là c’era una centrale nucleare. Sarà colpa dell’aria o delle radiazioni, o di qualcosa del genere» ipotizzò il Capopattuglia mentre passava di nuovo il fazzoletto sul piccolo disco d’oro, che continuava ad appannarsi a causa dell’umidità. Una piccola folla osservò ammirata l’arrivo dell’auto e il plateale testacoda col quale il ragazzo parcheggiò sul prato davanti alla casa, alzando un’onda di fango. Occhi avidi fissavano quasi ipnotizzati la luce che piroettava su sé stessa, lanciando lampi azzurri e rossi a squarciare il velo nebuloso della sera. Gli spettatori, consapevoli che la fortuna di assistere a uno spettacolo simile poteva capitare una sola volta nella vita, erano ben decisi a gustarselo fino in fondo.
«Bene, tocca a noi» annunciò in tono grave Joe, dopo essersi lisciato i baffoni banchi da tricheco. «Posate le armi nel bagagliaio» aggiunse apprestandosi a uscire dall’auto.
«Vuoi andare disarmato? Potrebbe essere pericoloso...» protestò Nick, sorpreso dalla sua decisione.
«Ma quale pericoloso! Quel povero diavolo è atterrito, non l’hai visto come ci guardava dalla finestra?»
«E’ proprio per questo, che potrebbe commettere qualche sciocchezza» obiettò Fabien.
«La vista delle armi è sempre stata un ottimo deterrente» provò ad insistere Nick.
«Adesso basta, vi ho detto di posare le armi!» ordinò loro Joe guardandoli storto, odiava essere contraddetto.
Chiuse il bagagliaio e si avviò con passo risoluto verso la casa, Fabien ammirò il suo saper smettere di essere uomo per trasformarsi in poliziotto nel volgere di un solo attimo. Le Guardie Semplici che stavano sorvegliando la villetta rivolsero loro il saluto formale, dopodiché passarono le consegne e andarono a rafforzare il cordone destinato a tenere a distanza di sicurezza la folla. Joe fece cenno a Fabien di fermarsi lì, a metà strada, poi diresse verso l’ingresso, seguito da Nick.
«C’è qualcuno?» esordì bussando alla porta mentre gli altri due sorridevano nuovamente.
La porta ruotò di un poco sui cardini e uno spiraglio di luce si insinuò nell’oscurità, accompagnato da un cigolio. L’uomo oltre la porta scrutò Joe senza battere ciglio, aveva la fronte imperlata di sudore e le vene del collo gonfie, a causa della tensione.
«Voglio parlare con un giornalista» annunciò con voce stridula.
«Avanti amico,» tagliò corto Joe, «falla finita! Abbiamo tutti quanti i nostri problemi, ma questo non ci dà il diritto di creare il panico tra i cittadini. Stasera si gioca la partita dell’anno e noi non vogliamo perdercela. E poi, arrenderti ora o fra tre ore che differenza ti fa? Tanto lo sai che cederai comunque.»
«Ho detto che voglio parlare con un giornalista!» si ostinò l’altro.
Joe stava già cominciando a perdere la pazienza, ma l’idea di usare la forza contro quell’uomo gli dispiaceva. Si disse che probabilmente si trattava soltanto di un povero diavolo, che si stava comportando in quel modo perché aveva perduto tutto ciò che aveva. Fece per replicare in tono più
deciso, ma quando i loro sguardi si incontrarono nuovamente trasalì. Negli occhi piccoli e sfuggenti dell’altro non aveva letto paura o disperazione, soltanto una lucida e fredda determinazione. Subito dopo, il secco scatto metallico di una sicura lo informò che quell’uomo gli stava puntando contro un’arma da dietro la porta. Joe sentì il sangue gelarsi nelle vene, si chiese come poteva essersela procurato, dal momento che i cittadini non avevano accesso agli strumenti tecnologici di offesa.
«Non fare sciocchezze, come vedi io e il mio collega siamo venuti disarmati. Possiamo parlarne, se vuoi» si affrettò a dire in tono benevolo per guadagnare tempo e razionalizzare la nuova situazione, intanto, con un cenno della mano, aveva ordinato a Fabien di andare a recuperare la dotazione da combattimento. Dopo aver udito lo scatto della sicura, l’orecchio esperto di Joe aveva riconosciuto il tipico ronzio d’innesco della microturbina. Aveva capito che a tenerlo sotto tiro era una pistola laser tra le più potenti, capace di trapassare ogni tipo di materiale senza alcuno sforzo né pericolose rifrazioni. Si domandò di nuovo come quell’uomo potesse essersela procurata, colto da un’intuizione abbassò gli occhi e vide la macchia di sangue, che si stava rapidamente allargando sulla soglia in marmo.
«Si è tolto il chip!» esclamò tra sé realizzando che oltre la porta c’era un uomo pronto a tutto. Con un balzo felino, incredibilmente agile per una persona della sua età e della sua mole, Joe si buttò addosso a Nick. Il corrimano che accompagnava il pergolato si spezzò e loro caddero giù da una specie di balconcino. Durante la caduta, Joe aveva già stabilito quale sarebbe stata la mossa successiva. La porta si era richiusa, lui era sicuro che l’uomo asserragliato in casa stava cercando di inventarsi una strategia. Non avendo dimestichezza con situazioni simili avrebbe però impiegato qualche secondo di troppo per prendere una qualsiasi decisione, quei pochi attimi divennero improvvisamente i più preziosi di tutta l’esistenza di Joe. Li avrebbe sfruttati per risalire velocemente i tre scalini e abbattere la porta con una possente spallata, l’altro sarebbe caduto all’indietro perdendo l’arma e loro ne avrebbero approfittato per arrestarlo. Sarebbe davvero una gran bella mossa, l’ultima eroica impresa prima di andare in pensione con tutti gli onori. Forse mi daranno addirittura una medaglia d’oro, per aver evitato una strage, si disse. Aveva già vissuto la scena decine di volte con la mente, ma quando capì che le sue gambe rifiutavano di obbedirgli si rese conto di trovarsi ancora disteso al suolo. No, non ancora. Di nuovo! E stavolta aveva gli occhi sbarrati in un’espressione ebete. I baffi sporchi di sangue incorniciavano la bocca spalancata, ormai incapace di sfogare il grido che gli rimbalzava da una parte all’altra del cervello cercando invano una via d’uscita. Era sorpreso di come non provasse dolore, soltanto una sensazione di disagio a causa della tuta umida che sentiva appiccicata addosso a causa dei suoi stessi umori. E un senso di fastidio nel capire che stava morendo, nell’unico modo in cui aveva sempre pensato che non gli sarebbe mai accaduto. Morire così miseramente, a sei giorni dalla pensione dopo una vita tutto sommato tranquilla. Per di più proprio nel giorno dell’anniversario di matrimonio... che idiota!
Avrebbe voluto resistere, lottare con tutte le sue forze per non soccombere, ma sapeva che sarebbe stato inutile e patetico. Improvvisamente gli tornò a mente il distintivo, guardò verso il proprio petto ma si accorse che i suoi occhi non vedevano più. Allora corse a cercare il dischetto d’oro con la mano, ma questa cadde dentro una voragine che gli parve immensa, gli sembrò che affondasse nei propri stessi polmoni avidi d’aria, a togliergli il respiro già troppo faticoso. “Il mio distintivo” pensò un’ultima volta. Dopo qualche istante, gli spettatori più temerari cominciarono a rialzarsi da terra, con gli occhi sbarrati per la paura e il viso sporco di fango.
In redazione era un giovedì come tanti altri, i giornalisti erano intenti a dare gli ultimi ritocchi alle loro bozze. La serata stava trascorrendo tranquilla come sempre, tra il rumore di fondo delle stampanti e le risa provocate da qualche scherzo o dalla lettura di qualche notizia particolarmente strana.
«Datevi una mossa, entro mezz’ora tutto il materiale deve passare in rotativa!» annunciò il caporedattore.
«Ehy, ma in che anno vivi? Lo sai da quanti decenni non esistono più, le rotative?» lo schernì Daniel, il free lance che si occupava di Sport.
«Che ci posso fare se sono un nostalgico? A me il gergo giornalistico è sempre piaciuto! Anche se viviamo immersi nella tecnologia, quello non ce lo potrà mai togliere nessuno» replicò il caporedattore stringendosi nelle spalle.
« Io non ci scommetterei più di tanto, visti i tempi che corrono... » commentò Daniel.
In quel momento, l’atmosfera all’interno dello stanzone cominciò a farsi caotica. I telefoni presero a squillare ininterrottamente, i fax collegati alle agenzie d’informazione sputavano fuori fogli su fogli, per aggiornarli su un quanto grave fatto di cronaca che si stava svolgendo proprio in quei minuti. Dopo aver scorso velocemente il contenuto del primo foglio, Roxanne gridò con tutta la voce che aveva per riportare il silenzio nella sala.
«Un cittadino del Quarto Quadrante ha rifiutato di sottoporsi all’Ibernazione Transitoria e si è barricato in casa!» annunciò trafelata.
Nello stanzone si levò un vocio leggero dovuto all’intreccio di commenti indifferenti e superficiali.
«Non vedo il motivo di tanta agitazione, non è mica la prima vota che succede! Nessuno accetterebbe di buon grado di starsene rinchiuso in un cilindro di vetro per qualche decennio, ad aspettare un evento che renda possibile il suo reintegro nella comunità. In ogni caso, ogni volta finisce sempre allo stesso modo... alla fine il disubbidiente si arrende sempre» considerò l’esperto di questioni economiche.
«Fate silenzio! Qui c’è scritto che quell’uomo è riuscito a estrarsi il chip e lo ha usato per aprire la cassetta della Dotazione Personale!»
«...vuoi dire che...» fece per chiedere qualcuno, incredulo, ma lei non gliene lasciò il tempo.
«Ha aperto la propria cassetta e ha preso le armi che servirebbero per la difesa dall’eventuale attacco extraterrestre... le ha usate contro i Signori dell’Ordine.»
«Mio Dio!» esclamò il caporedattore.
«Ha ucciso il capopattuglia della Squadra Sette... ha ammazzato come un cane il vecchio Joe...» concluse Roxanne con voce tremante.
Il brusìo cessò di colpo e una sensazione di gelo riempì la redazione, il vecchio Joe era conosciuto da tutti. Adesso i giornalisti fissavano preoccupati la ragazza, in città non si era verificato un caso di omicidio da oltre mezzo secolo e tutti avevano ormai capito che la notizia non era finita lì.
«Vuole essere intervistato da uno di noi» proseguì infatti lei dopo una pausa interminabile. Frederick ebbe un sussulto, la sua espressione si fece cupa e pensierosa al tempo stesso, quasi come se quella notizia lo avesse turbato più del dovuto.
«Vado io» disse scattando in piedi, era un impulsivo e aveva deciso in un lampo. Giuda lo guardò quasi deluso perché il suo amico Fred lo aveva anticipato, le occasioni per scrivere un articolo vero non erano molte e un pensierino ce l’aveva fatto. Be’, sarò più veloce la prossima volta, se mai ce ne sarà una, considerò rassegnato tra sé.
«Mi spiace, ma questo non è possibile» replicò Roxanne guardando Freddy negli occhi, lui la incenerì con lo sguardo. Essere comandato a fare o non fare qualcosa lo mandava letteralmente in bestia, quello era soltanto uno degli aspetti del suo carattere che rendeva difficile stargli vicino. In attimo si era fatto paonazzo per la rabbia, la ragazza se ne accorse e arretrò istintivamente di qualche passo.
«Non è colpa mia» balbettò poi con un filo di voce mettendo bene in vista il foglio, «qui c’è scritto che vuole Giuda!»
Fred la guardò disorientato, poi squadrò il suo amico da capo a piedi e infine tornò a scrutare torvo la ragazza, come se fosse stata la responsabile della situazione. Emise un profondo grugnito d’insoddisfazione e sospirò, poi cominciò a scagliare a terra con forza ogni oggetto che aveva a portata di mano, imprecando tra sé con convinzione. Il led rosso, quella delle chiamate importanti, si accese sul suo telefono appena un attimo prima che questo si sbriciolasse contro il pavimento. Fred si fece passare la chiamata su un altro apparecchio.
«Hey, tu! Non è ancora detta l’ultima parola!» avvisò Giuda puntandogli un dito contro, mentre questi si apprestava a uscire di soppiatto. Incuriosito, Giuda si fermò sulla soglia con l’impermeabile in mano. Come se avesse avuto davanti il proprio interlocutore, Fred si ricompose e raddrizzò le spalle, poi si riavviò i capelli mossi che sembrava volessero scappargli dalla testa in ogni direzione.
«Sono io Eccellenza, ... non è possibile mandare lui, questo servizio è classificabile come “ad alta percentuale di rischio” e Giuda non ha l’esperienza necessaria... e poi le responsabilità... lo so che ha chiesto espressamente di lui, ma posso andare io fingendomi lui... come può riconoscermi, quell’uomo avrà letto il suo nome in fondo a qualche articolo... se la mettete in questo modo non posso fare altro che obbedire...» disse abbassando il capo in segno di sconfitta. «No Eccellenza, vi prometto che non farò di testa mia... certo, le farò avere quei rapporti... Sempre Sia Lodato... Carogna!» aggiunse poi a denti stretti dopo aver riattaccato.
«Non finisce qui» ringhiò infine stizzito verso il suo amico, lanciandogli un’occhiataccia. Lui abbozzò un sorriso di circostanza e si avviò lungo il corridoio, dove alcuni colleghi si mostrarono prodighi di parole d’incoraggiamento e pacche sulle spalle.
Guidando verso il Quarto Quadrante, Giuda si scoprì eccitato e preoccupato al tempo stesso. Si chiese perché quel tale avesse chiesto proprio di lui e se si sentisse pronto ad affrontare la situazione, in fondo quel pazzo aveva appena ucciso a sangue freddo un uomo. Era vero che quell’intervista rappresentava in assoluto la più grossa soddisfazione professionale che avrebbe mai potuto ottenere in tutta la sua vita, ma lui non era affatto sicuro che valesse la pena rischiare così tanto. Il telefono sul cruscotto trillò d’improvviso, strappandolo bruscamente ai propri pensieri.
«Ciao tesoro, non immaginerai mai quello che sta accadendo» disse a sua moglie con un entusiasmo non del tutto sincero.
«Non andarci, ti prego!» gridò lei in un tono che gli mandò il sangue in acqua.
«Questa è l’occasione della mia vita e non dovrei andarci? ... e poi come fai a sapere già tutto? ... già, la televisione... ma che cos’hai?» le chiese mentre cercava di scacciare l’angoscia che di colpo lo aveva attanagliato, la voce dolce e musicale di sua moglie gli pareva roca, come se prima di chiamarlo avesse pianto per ore.
«E comunque non sono io a decidere, devo andarci perché mi è stato ordinato» le spiegò dopo aver indugiato un attimo, per poter ritrovare un tono di voce normale.
«Che ci vadano loro, se ci tengono tanto a quel maledetto articolo! Non puoi rischiare la vita per una stupida pagina di giornale!» replicò rabbiosamente Nicole accendendogli un nuovo brivido lungo la schiena.
«Che ti prende Nicole, non ti ho mai sentita così... ti ho detto che devo andarci... ma come è proprio per questo, cosa vuoi dire? Spiegati, per favore, mi stai spaventando! ...solo un brutto presentimento? Ma dai, cosa vuoi che possa mai accadere? Ti dico che andrà tutto bene, cerca di stare tranquilla. Tra un paio d’ore sarò a casa sventolando il mio bell’articolo» tentò di rassicurarla lui mentre già cominciava a crederci di meno, «anch’io ti amo.»
Fabien stava correndo più veloce che poteva verso l’auto, eccitazione e paura si confondevano in lunghe ondate che dal petto gli salivano fino alle tempie, stordendolo. Era operativo soltanto da poche settimane, la percezione improvvisa del pericolo gli insinuò un dubbio: si chiese se il battesimo del fuoco fosse così tormentato per tutti o se lui fosse soltanto un vigliacco, perché aveva già capito che trovarsi lì in quel momento era l’ultima cosa che avrebbe voluto. Intanto continuava a correre mentre la sua mente saltava da un pensiero all’altro, cercando di ricordare le cose che gli avevano insegnato alla Scuola di Polizia. Realizzò con un certo disappunto che il corso di addestramento gli aveva fruttato ben poco, le nozioni che avevano cercato di inculcargli in testa, fino quasi a farle diventare riflessi condizionati, gli erano scivolate via di dosso come acqua su di un impermeabile. Sapeva di essere privo dell’istinto e della determinazione che ogni buon poliziotto deve avere per natura, ogni traccia di spavalderia era ormai scomparsa dal suo volto contratto e lui sì maledì per aver desiderato, anche solo per scherzo, di poter usare gli strumenti di morte che lo attendevano nel bagagliaio. Devo fare presto, continuava a ripetersi, ma le sue gambe non gli rispondevano come avrebbe voluto. Si sentiva come se stesse correndo lungo una spiaggia e queste, immerse nell’acqua fino alle ginocchia, procedessero a rilento rispetto alle braccia che mulinavano come impazzite nell’aria.
“A terra!” sentì gridare d’un tratto, si tuffò e scivolò sul fango finché andò a sbattere contro il paraurti dell’auto. La clavicola della sua spalla destra si spezzò strappandogli un grido di dolore, subito dopo si voltò verso la casa e gli sembrò di assistere a una scena alla moviola.
«Resta giù!» aveva ordinato Joe a Nick nel momento in cui avevano toccato terra, un istante dopo era di nuovo in corsa con la spalla protesa in avanti. Un attimo durò un’eternità, Joe aveva gli occhi socchiusi per lo sforzo e l’angoscia, non appena impattò contro la porta fu come se questa, offesa, avesse immediatamente reagito. Un lampo di colore verde fluorescente attraversò l’anziano Capopattuglia, come se si fosse trattato di un ologramma anziché di una persona in carne e ossa, poi proseguì la sua corsa fino a far esplodere un’auto parcheggiata a trenta metri di distanza. Una mano invisibile sollevò l’uomo e lo scaraventò violentemente all’indietro, il suo distintivo rotolò nell’aria scintillando come un piccolo disco di luce.
Adesso Joe era di nuovo steso al suolo, immobile a pancia in su, con la testa lievemente reclinata di lato. Le gambe poggiate in modo scomposto sui gradini in legno si muovevano a scatti, con un ultimo impercettibile movimento si portò un braccio verso il petto. Fabien era scosso da violenti conati di vomito, causati dal dolore alla spalla e da ciò che aveva appena visto, gridava forte il nome del suo compagno e vedeva tutto abbagliato perché stava piangendo. Appena un attimo dopo, però, sentì cambiare qualcosa dentro di sé. Sapeva che non sarebbe mai stato coraggioso come Joe, ma si disse che ci avrebbe almeno provato perché glielo doveva. Smise di piangere e si pulì il viso con l’avambraccio, i suoi occhi erano divenuti due fessure strette e le sue labbra erano increspate dalla rabbia.
«Maledetto,» biascicò alzandosi, «la pagherai cara.»
Prese le armi dal bagagliaio dell’auto, poi richiuse violentemente il portello e si avviò verso la casa con passo fiero, impugnando le pistole laser. Ne lanciò una a Nick indicandogli la porta sul retro, raccolse il distintivo di Joe e lo strinse fino a farsi sanguinare il palmo della mano, come se questo semplice gesto avesse potuto infondergli tutta la forza e l’esperienza del compagno. Dopo aver ripulito con cura il dischetto d’oro lo appuntò al petto del suo amico, poi gli abbassò le palpebre mentre si stupiva per non aver nuovamente vomitato di fronte a quel macabro spettacolo.
«Esci fuori con le mani in alto!» gridò risoluto verso la casa.
«Non è colpa mia,» piagnucolò l’altro da dietro la porta, «il colpo è partito quando mi ha urtato... è stato un incidente, non volevo fare del male a nessuno... vi prego, non cercate di entrare o si farà male qualcun altro, io voglio soltanto rivedere mio figlio... e voglio parlare con un giornalista!»
Le serrature si squagliarono sotto il calore del laser e Nick prese ad avanzare lentamente nel buio, col cuore in gola. Aveva appena visto morire il suo compagno ed era terrorizzato, se per caso non avesse obbedito al suo ordine di restare a terra avrebbe fatto la stesa fine. Camminava cercando di trattenere il respiro per non fare rumore, ma gli sembrava che il rimbombo dei battiti del proprio stesso cuore in petto risuonasse per tutta la casa. Fino ad allora Nick era stato da sempre destinato a semplici incarichi di sorveglianza, ora che per un’assurda serie di coincidenze si trovava a due passi dalla morte gli sembrava di percepirne persino l’odore. Intanto i suoi occhi si erano abituati un poco alle tenebre e lui continuava ad avanzare senza neanche un briciolo di convinzione, si sentiva soffocare ed era certo che da qualche parte, prima o poi, sarebbe sbucato il suo carnefice sorprendendolo. Il sudore freddo gli colava negli occhi ad annebbiargli la vista, aveva appena messo il piede in una camera quando qualcosa di gelido gli toccò il collo scoperto. Si irrigidì di colpo e temette di non riuscire nemmeno a implorare pietà, aveva la gola era serrata dallo spavento.
«Non farmi del male, ti prego» supplicò con voce flebile lasciando cadere l’arma, poi riprese a camminare, spinto alle spalle da qualcosa di terrificante.
Non devo avere paura, Joe l’ha sconfitta e si è sacrificato per difenderci. Lo devo vendicare, devo riuscire a fermare quel bastardo si diceva Fabien, ma il sangue continuava a martellargli le tempie mentre gran parte dell’impeto iniziale era già svanito. Era consapevole che se voleva sperare di sopravvivere doveva uccidere quell’uomo, si domandò se ne sarebbe stato capace. Se lo avesse avuto davanti appena tre minuti prima non avrebbe esitato a far fuoco, ma adesso non era più neanche sicuro della propria mira perché doveva usare la mano sinistra e temeva di sbagliare. Inoltre il dolore alla spalla era tornato a farsi sentire con cattiveria, pugnalandolo con delle fitte tanto lancinanti da farlo barcollare. E quando si voltava, la vista dell’osso che sporgeva dalla sua tuta macchiata di sangue sembrava togliergli le poche forze emotive che gli erano rimaste. Un’ombra gli si avventò improvvisamente contro, sbucando come un fantasma dal sottoscala, senza pensarci due volte Fabien alzò il braccio e sparò. Subito dopo la luce si accese e lui vide che il cadavere disteso sul pavimento era quello di Nick, fece per balbettare delle parole di scusa ma qualcosa lo colpì violentemente alla nuca.
Appena smise di piovere, Giuda abbandonò la prudenza e schiacciò con foga il pedale dell’acceleratore. Malgrado l’angoscia che lo attanagliava, era ansioso di affrontare ciò che lo attendeva per tornare a casa da Jodie e Nicole. Quando arrivò sul luogo del crimine, trovò che tutto quanto era immerso in un silenzio irreale e artificioso. Un’auto si stava rapidamente trasformando in un ammasso di rottami puzzolenti d’olio, con un susseguirsi di piccole esplosioni, il fumo denso e nero saliva dritto contro il cielo ormai sgombro. Ovunque c’erano appostati Signori dell’Ordine, Guardie Semplici e Tiratori Scelti. Una piccola folla era radunata a debita distanza e la gente si contendeva a spintoni il posto in ultima fila, da dove si poteva vedere comunque bene rischiando meno. Giuda scese dall’auto trattenendo il respiro e s’incamminò guardingo attraverso il prato, illuminato soltanto dal chiaro di Luna, tenendo gli occhi fissi alla porta. Quando arrivò alle scalette dell’ingresso per poco non inciampò in qualcosa, abbassò lo sguardo e un prepotente senso di nausea gli salì in gola. Lembi di carne carbonizzata tenevano insieme le metà inferiore e superiore di un uomo, strisce di tessuto sanguinolento si protendevano dal perimetro verso l’interno di un foro grande quanto un grosso pugno chiuso. Un braccio vi era poggiato sopra, la mano era adagiata sul selciato nel punto in cui avrebbe dovuto esserci la schiena del povero Joe. Il ribrezzo e l’orrore fecero scaturire in lui la voglia di scappare il più lontano possibile, ma sapeva che ormai era là e doveva fare la sua parte fino in fondo. Durante il tragitto era stato informato che l’uomo teneva in ostaggio altri due poliziotti, aveva urlato ai Signori dell’Ordine che se non avessero soddisfatto le sue richieste avrebbe ucciso anche loro. Quindi non aveva scelta, se non voleva rischiare di doversi portare dentro un tale rimorso per tutta la vita. Tirò un profondo respiro rassegnato, come un paracadutista in procinto di lanciarsi dall’aereo, poi lanciò un’ultima occhiata perplessa al cordone di guardie schierate e varcò la soglia. Aveva le immagini di Nicole e Jodie ben fisse davanti agli occhi, sapeva che per domandarsi che ne sarebbe stato di loro se gli fosse capitato qualcosa di brutto era ormai troppo tardi.
All’interno della casa regnava un ordine assoluto, come se fosse stata disabitata da tempo, la quiete era turbata soltanto dal robot domestico, danneggiato, che continuava a girare su sé stesso. “Qualcosa da bere... qualcosa da bere...” ripeteva ossessivamente con la sua fredda e snervante voce metallica. Lo spense e si inoltrò all’interno, vicino alla scala che portava alle camere trovò un altro Signore dell’Ordine. Giaceva sul pavimento con la visiera del casco schizzata di sangue, Giuda lo oltrepassò sforzandosi di non guardarlo e si affacciò cautamente in soggiorno. Scorse l’uomo in un angolo, affacciato alla finestra, si faceva scudo col corpo di un ragazzo in uniforme e aveva una macchia scura di sangue rappreso sulla camicia, in corrispondenza del fianco sinistro. L’ostaggio poteva avere al massimo venticinque anni, aveva i capelli corti e scuri, il viso sporco di fango e gli occhi gonfi di pianto. Si teneva il braccio destro e continuava a fissare sgomento la sporgenza dell’osso sulla sua spalla. L’uomo accolse il nuovo arrivato con un sorriso indecifrabile, accompagnato da un’occhiata furiosa e spaurita al tempo stesso, Giuda si chiese cos’altro sarebbe stato ancora capace di fare.
Devo sostenere il suo sguardo, - pensò comunque per darsi coraggio, - devo fargli credere che non lo temo.
«Lascia andare il ragazzo, stava soltanto facendo il suo dovere. Sai bene che non è lui, la causa dei tuoi problemi» gli propose cercando di mantenere un tono neutro.
«Io non ho fatto niente di male, io voglio soltanto vivere la mia vita... ma voi volete impedirmelo!» replicò l’assassino.
«Per quanto mi riguarda non voglio impedirti niente, ma a quanto pare questo per te non conta. Volevi me e sono qui, adesso lascia andare il ragazzo» insisté Giuda.
«Non se ne parla! Il ragazzo resta qui con noi, e se solo tenti di fregarmi...»
«Anche se lo volessi come potrei? Sono soltanto un giornalista e sono disarmato.»
«Avvicinati!» gli ordinò l’assassino mostrandogli la pistola, lui obbedì e l’altro lo perquisì minuziosamente. Poi controllò velocemente il suo tesserino di giornalista, quando si sentì soddisfatto spinse via l’ostaggio. «Vattene, prima che ci ripensi!» gli disse accompagnando le parole con uno spintone. Il ragazzo guardò il nuovo arrivato come a chiedergli il permesso di andare, lui annuì e allora si incamminò a testa bassa verso l’uscita, strascicando i piedi.
«Lui è uno di quelli che dovrebbe garantire la sicurezza di noi cittadini,» commentò l’assassino in tono sprezzante, «e non è stato capace di badare neanche a sé stesso.»
«Perché mi hai voluto qui?» tagliò corto il reporter senza replicare, non intendeva lasciarsi trascinare in discussioni fini a sé stesse.
«Non voglio essere ibernato, non voglio perdere mio figlio» piagnucolò l’assassino, Giuda pensò al pancione di Nicole e sentì una morsa gelida torcergli lo stomaco.
«Sai bene che questo non è possibile» rispose dopo un attimo, cercando di rimettere insieme le poche informazioni che gli avevano fornito durante il tragitto. «Alla morte di tua moglie, tuo figlio è stato affidato ad una famiglia regolare. Là potrà crescere con tutti i punti di riferimento di cui ha bisogno... lo so che questo ti fa male, farebbe male a chiunque, ma sai anche che è soltanto per il suo bene.»
«Questo non è giusto, e tu lo sai! Voglio che tu scriva sul tuo maledetto giornale che sto subendo un’ ingiustizia assurda!»
Giuda immaginò che fingere di assecondarlo sarebbe stata la soluzione cosa migliore, ma temeva che se gli avesse mentito l’altro se ne sarebbe accorto e si sarebbe infuriato, generando conseguenze imprevedibili.
«Non posso scrivere una cosa del genere. Così facendo esprimerei un giudizio e sai che non mi è permesso, un articolo del genere non lo farebbero neanche uscire. Tutto quello che posso fare è raccontare i fatti per come si sono svolti... inoltre, se vuoi, posso mettere per iscritto le tue proteste e cercare di farle arrivare a chi sta più in alto di noi» gli propose allora, per cercare un compromesso. «Non posso mettermi a discutere La Legge, nessuno di noi può farlo. Tutto ciò che ci è concesso è rispettarla... come tutte le leggi non sarà perfetta, ma almeno garantisce l’Ordine. Se non fosse così, se ognuno di noi cercasse di aggiustarsela come meglio crede, le cose tornerebbero in poco tempo come due secoli fa. Sarebbe di nuovo il caos» disse. L’assassino lo guardò scettico, poi gli fece cenno di continuare.
«Credo di capire come ti senti. Ho una bambina, quando mi sfiora il pensiero che un giorno potrei perderla mi sento morire. Posso dirti che mi dispiace molto, mi spiace davvero, ma per te non posso fare niente di più né di diverso da ciò che ti ho detto. In ogni caso, tuo figlio non lo perderai per sempre. Sai che il ciclo iniziale di Ibernazione Transitoria dura soltanto sette anni, se tutto andrà bene, al termine di quel periodo lui potrà tornare a vivere con te.»
Per tutto il tempo l’assassino lo aveva ascoltato continuando a scrutarlo con quei suoi occhi spiritati e la pistola stretta in pugno.
«No, non è vero che capisci la mia situazione... parli così soltanto perché ti conviene, perché hai paura... ma ti garantisco che non puoi comprendere... guarda qui!» rispose alzando improvvisamente la voce, tirò fuori una fotografia da una tasca e gliela piazzò bruscamente davanti. «Questo è mio figlio! Non vedrò spuntare il suo primo dente, non lo vedrò muovere il primo passo. Il giorno in cui dirà per la prima volta “papà”, davanti a lui ci saranno soltanto degli estranei. E invece voglio esserci io... devo esserci io, capisci? Perché quando crescerà comincerà a domandare dove sono i suoi genitori e gli verranno date risposte vaghe, allora si chiederà perché l’ho abbandonato e mi odierà. E tra sette anni non vorrà neanche più sapere il mio nome. Tu non stai rischiando tutto questo, quindi non è vero che puoi capirmi! Io non voglio essere ibernato, di cosa potrebbe accadere o non accadere dopo non me ne frega niente» concluse, poi cominciò a singhiozzare nervosamente e malgrado tutto Giuda provò quasi pena per lui.
«E poi,» riprese, e adesso sembrava davvero spaventato, «le strane storie che si raccontano sugli ibernati le conosci anche tu! Si dice che non verranno più svegliati perché vengono usati per gli esperimenti, che i loro organi vengono asportati per sostituirli a quelli malandati degli Anziani del Consiglio.»
«Ma che cosa dici, queste sono soltanto voci. Lo sai che le persone sole vengono ibernate esclusivamente per non alterare gli equilibri sociali. E poi, costituiscono una “riserva di esseri umani” per il caso in cui un evento inatteso dovesse abbassare drasticamente i livelli demografici» obiettò il giornalista.
«Ah si? Allora dimmi quanto ex ibernati conosci! E visto che ci sei, spiegami anche perché i soggetti che vengono scelti sono tutti quanti sani, giovani e forti» obiettò l’assassino.
«Perché un giorno potrebbero divenire soldati, per difenderci in caso di un attacco alieno» replicò l’altro come ripetendo una lezione imparata a memoria.
«E tu lo credi davvero?» ribatté l’altro col tono di chi parla a un bambino, quella semplice domanda fu sufficiente a far vacillare in un attimo tutte le sue certezze.
Giuda sentì il bisogno improvviso di buttare lo sguardo fuori dalla finestra, in cerca di qualcosa di rassicurante. I Tiratori Scelti erano appostati sui tetti delle palazzine vicine, i lampeggianti delle auto continuavano a giocare col nero della notte. I molti curiosi erano ancora assiepati col fiato sospeso dietro il cordone di Guardie Semplici, intenzionati ad assaporare fino all’ultima emozione quell’assurda tragedia. L’improvvisa percezione della realtà reale sconvolse Giuda, si rese conto di essersi infilato in un vicolo cieco e di averlo fatto con le sue stesse gambe. Pensò che le storie simili che aveva vissuto al Cinema Totale, impersonando qualche eroe, non rendevano minimamente giustizia al turbine di sensazioni che gli stavano martoriando la mente e il cuore. Si trovava rinchiuso in una stanza, in compagnia di un uomo sconvolto che gli agitava una pistola laser davanti al viso, un pazzo furioso che non aveva più niente da perdere perché aveva appena ucciso due poliziotti. Si chiese se sarebbe riuscito a uscirne incolume e cominciò a sentirsi male, gli tornarono a mente i suoi familiari e capì che doveva trovare il modo di scuoterlo, di fargli capire che non aveva una sola possibilità di ottenere ciò che pretendeva.
«Hai ammazzato due uomini e forse farai lo stesso con me, ma questo non cambierà le cose» gli disse convinto. «Non potrai fuggire da nessuna parte e perderai per sempre la possibilità di rivedere tuo figlio. La Legge non verrà mai cambiata e il Mondo continuerà a girare sempre nello stesso verso, fregandosene di me e di te. E tu finirai comunque ibernato, o peggio ancora, verrai ucciso dai Tiratori Scelti» concluse tendendo un braccio verso la finestra. «Sono tutti là fuori per te, aspettano soltanto che tu commetta un errore.»
Fece una pausa per lasciargli il tempo di ragionarci sopra, sperando che finalmente avrebbe compreso di non avere scampo, poi riprese.
«Se ti arrendi adesso, forse te la potrai ancora cavare. Magari riuscirai a dimostrare che la morte dei due Signori dell’Ordine è davvero stata soltanto un incidente, una cosa non voluta.»
«Chiudi quella bocca!» gli ordinò l’altro sbattendo con rabbia un piede a terra, furioso, era appena stato messo con le spalle al muro. Si avvicinò a un palmo dalla faccia di Giuda, lui sentì le folate calde del suo alito affannato e puzzolente invadergli le narici. «Stai zitto, stai dicendo soltanto stronzate!» disse, fece un passo indietro tendendo il braccio e cominciò a carezzare il pulsante di sparo, con una lentezza sadica.
E’ finita, pensò rassegnato Giuda, ma l’assassino non gli sparò. Tolse il dito da sopra il pulsante di sparo e si girò verso la finestra, si fissò a guardare ciò che stava accadendo in una zona appartata del giardino. Sotto la luce nebulosa di un lampione, un uomo dai capelli bianchi come neve stava rimproverando aspramente Nicole. Lei teneva la testa bassa e fissava le proprie braccia conserte al petto, scuoteva ritmicamente le spalle come se stesse piangendo. Giuda accennò istintivamente un passo verso la finestra ma l’altro irrigidì il braccio armato, impedendogli di fare un altro passo. Subito dopo, comparve sulla scena anche Freddy, spostò da parte Nicole con modi gentili e prese il suo posto nella discussione con l’uomo dai capelli bianchi.
«Chi è quella donna? La conosci?» chiese l’assassino.
«E’ mia moglie» confessò subito Giuda, un attimo dopo maledì la propria incapacità a mentire.
«Mi arrendo» annunciò allora l’assassino abbassando il braccio, Giuda lo guardò sconcertato e lui lasciò cadere l’arma sul pavimento. Si chinò sulle ginocchia tenendosi il fianco, aveva l’aria distrutta.
«Sei felice?» gli domandò guardandolo di sotto in su.
«Si, penso di esserlo» ammise lui vergognandosene un po’.
«Vorrei conoscere tua moglie» chiese l’assassino quasi garbatamente, spiazzandolo del tutto. Lui non intendeva esporre Nicole a un simile rischio, ma temeva che in caso di un suo rifiuto l’altro avrebbe nuovamente perso la testa.
Maledizione, perché Nicole è venuta qui? E quel tipo che la stava rimproverando chi è? Accidenti, proprio adesso che quest’uomo aveva deciso di arrendersi... pensò mentre cercava di prendere una decisione.
«Avanti, non ho più voglia di lottare contro i mulini a vento» insisté l’assassino col tono di chi chiede un favore. Giuda esitò, era convinto che l’assassino potesse essere ancora capace di qualsiasi cosa, ma questi raccolse l’arma e gliela posò gentilmente in mano, come se gli avesse letto nel pensiero.
«Avanti, di che cosa hai paura? Ora quello armato sei tu!»
Lui andò ad affacciarsi alla finestra, pregando di non aver fatto la scelta sbagliata.
«State calmi, è tutto a posto» gridò, qualcuno ordinò ai poliziotti di abbassare le armi e lui chiamò Nicole, che nel frattempo era rimasta sola sotto quel lampione perché Fred e l’altro uomo misterioso si erano dileguati.
Giuda aveva impugnato la pistola e si era piazzato davanti alla finestra, da là, in caso di bisogno, avrebbe potuto facilmente chiedere aiuto. Intanto, con mano tremante, cercava di tenere sotto tiro l’assassino che si era sistemato al centro della stanza, ad aspettare sua moglie.
«Non ho alcuna intenzione di farvi del male» si affrettò a dirle lui non appena Nicole si affacciò sulla soglia, quasi temesse un suo ripensamento. «Non aver paura, avvicinati» aggiunse poi in tono fin troppo affabile, per rassicurarla. Lei fece una faccia sorpresa e trattenne a stento un’esclamazione, suo marito ebbe la sensazione che in qualche modo quei due si conoscessero già. Nicole si accorse che lui la stava scrutando perplesso, scosse la testa e andò ad abbracciarlo senza rispondere al suo sguardo interrogativo.
«Siete proprio una bella coppia!» commentò l’assassino dopo aver fatto un passo indietro, per osservare meglio il quadretto familiare. «Devi essere orgogliosa di tuo marito, è un uomo intelligente e coraggioso. Credo che siano davvero pochi, quelli che stasera avrebbero accettato di entrare in questa casa. E poi è saggio, perché dice che la Legge va rispettata... e tra un po’ vedremo se la penserà ancora in questo modo, o se diceva tanto per tenermi buono» proseguì avvicinandosi a un divanetto posto in fondo alla stanza. Alzò uno dei cuscini e afferrò una mazza da baseball.
«Metti giù quella mazza!» gli ordinò Giuda irrigidendo il braccio armato, ma lui si voltò e continuò a parlare a Nicole come se non lo avesse sentito. «Vedi questa? E’ il gioco preferito di mio figlio, ha soltanto pochi mesi ma dovresti vedere come guarda le partite in televisione. Gli ho promesso che un giorno gli avrei insegnato a giocare, ma purtroppo non potrò farlo. Giuda mi ha detto che anche voi avete una bambina e che mi capisce, ma secondo me non è vero. Secondo me non può capire, perché non è mai stato costretto a scegliere» spiegò, intanto aveva ripreso a muoversi a scatti, nervosamente. «La Legge a volte è crudele... troppo crudele. A volte non possiamo limitarci a chiedere quello che ci spetta, dobbiamo lottare con tutte le nostre forze per prendercelo. Forse tra un po’ capirete quello che voglio dire, perché certe cose vanno provate di persona» annunciò sempre più eccitato, Nicole fece per correre via ma lui le sbarrò il passo con la mazza.
«Fermati!» gli ordinò nuovamente Giuda, lui rispose con un’alzata di spalle.
Nicole cominciò a strisciare lungo la parete per tenerlo alla larga, l’assassino prese a seguirla passo dopo passo come in un’assurda coreografia mentre suo marito li guardava atterrito, non riusciva a prendere una decisione. Non sapeva che cosa fare, avrebbe voluto sparare a quell’uomo ma temeva di colpire sua moglie. D’un tratto l’assassino si mise in posizione come un vero battitore, con le gambe divaricate e la mazza in posizione orizzontale all’altezza della spalla, allora Giuda lasciò cadere l’arma e gli si avventò addosso.
«Non farlo, non farlo!» gridò, ma l’assassino effettuò una mezza torsione del busto.
«Adesso capirete!» sentenziò, la mazza fendette rapidamente l’aria e colpì in pieno ventre Nicole, che cadde a terra senza fiato. Subito dopo lui alzò la mazza per colpirla di nuovo e l’altro lo caricò come un toro, lottarono rotolando sul pavimento finché Giuda riuscì ad assestargli un pugno nel fianco, nel punto esatto in cui aveva la macchia di sangue. L’assassino si accasciò con un gemito e lui si rialzò per soccorrere Nicole, convinto che il dolore avrebbe tenuto buono per un po’, ma l’assassino lo inseguì e gli sferrò da dietro un pugno alla tempia. La vista gli si sdoppiò, si voltò per reagire ma le sue braccia si fecero improvvisamente fiacche, il chip collegato alle sue ghiandole surrenali aveva cominciato a fare il suo dovere. Dapprima un vago senso di torpore si impadronì dei suoi muscoli, appena un istante dopo fu la volta del dolore. Giuda si irrigidì e andò giù disteso senza poter più muovere un solo dito, con la sensazione che tarli famelici dai denti affilati stessero nutrendosi della sua carne e delle sue ossa. Intanto l’assassino era corso in cucina, adesso stava tornando verso di lui ridendo come un ossesso mentre gli mostrava un coltello elettrico.
«Questo è solo l’inizio» ringhiò chinandosi su di lui, che era terrificato dal fatto di aver perso completamente il controllo del proprio corpo. Tentò di chiedere aiuto ma non riusciva neanche ad aprire la bocca, non riusciva quasi neanche a respirare. L’assassino gli affondò l’affilatissimo coltello nel torace fino a toccare le costole, dopodiché cominciò a scorrerlo in senso orizzontale.
«A volte non si può scegliere, ora lo capirete anche voi» ripeté ancora una volta, poi si disinteressò a lui e si alzò per tornare a dedicarsi a Nicole. Avanzò verso di lei puntando il coltello in direzione della sua pancia, aveva appena cominciato a calarlo quando il vetro di un lucernario andò in frantumi, attraversato da un proiettile. Schegge dai riflessi sfavillanti inondarono la stanza, una macchia rossa si allargò rapidamente sulla schiena dell’assassino togliendogli le forze. Giuda lo vide andar giù senza dire una sola parola, poi riuscì a guardare un’ultima volta Nicole, raggomitolata a terra con gli sporchi di orrore. Infine, tutto quanto si fece buio.
L’autoambulanza che trasportava Giuda e Nicole partì veloce in direzione dell’ospedale, i curiosi cominciarono a disperdersi pigramente. Erano ancora eccitati per quello spettacolo fuori programma, lievemente pensierosi perché stavolta il cattivo di turno aveva rischiato di vincere. Alcuni si allontanavano radunati in gruppetti e si raccontavano a vicenda i momenti più intensi di tutta la storia, scambiandosi opinioni e gesticolando come al termine di una partita di football.
Dopo aver pazientemente che il quartiere tornasse deserto e silenzioso, Sir Jonathan salì a bordo del furgone mortuario destinato a trasportare l’assassino e fece cenno all’autista di mettersi in movimento. Sedette accanto al corpo apparentemente privo di vita disteso sulla lettiga, aprì una borsa di cuoio e tirò fuori un apparecchio per monitorare le funzioni vitali. Ripose l’apparecchio e aspirò il contenuto di una boccetta con una siringa, sbottonò la camicia dell’assassino e gli praticò l’iniezione al petto, senza alcun garbo. L’uomo aprì gli occhi di scatto, come svegliandosi di soprassalto, subito dopo li socchiuse nel tentativo di mettere a fuoco. Si guardò più volte intorno, frastornato, per cercare di capire dove si trovava.
«Che orrore, stare sospeso così tra la vita e la morte è davvero un’esperienza allucinante. C’è una piccola parte di te che resta cosciente e si alimenta di paura, del terrore di non risvegliarsi più e restare per sempre in quello stato, come un vegetale» biascicò con voce impastata, poi i suoi occhi si rovesciarono a mostrare la parte bianca e lui ricadde in una specie di sonno artificiale. Dopo alcuni minuti si svegliò nuovamente e si mise seduto, si stiracchiò lungamente perché i muscoli gli si erano fastidiosamente irrigiditi.
«Se non dite niente significa,che è andato tutto secondo i piani» chiese all’Anziano, una velata luce di soddisfazione attraversò fulminea l’espressione di quest’ultimo.
«E’ stata una grandissima interpretazione» ammise questi battendo piano le mani in un dolce, signorile, applauso. «Lei ha sbagliato mestiere, anziché il dottore avrebbe dovuto fare l’attore! L’idea della macchia di sangue sul fianco in corrispondenza del chip, per giustificare il possesso della pistola, è stata semplicemente grandiosa. Addirittura geniale, direi! Sono dispiaciuto che non abbiamo potuto installare delle telecamere per registrare la sua performance, sono sicuro che rivedersi le sarebbe piaciuto molto. Ma non potevamo lasciare in giro un documento simile, sarebbe stato troppo pericoloso. Lei invece che cosa pensa?»
«Penso che due cadaveri sono troppi, e per poco non ce ne sono stati un terzo e un quarto» rispose il dottor Lorentz accigliandosi lievemente.
«Quelle morti non erano previste, si è trattato di uno sgradevole incidente. Avevo pensato che la pattuglia numero Sette sarebbe stata la più adatta: il Capopattuglia era a un passo dalla pensione, l’autista alle prime armi e il terzo era il meno ligio al dovere di tutto il Dipartimento di Polizia. Ero convinto che nessuno dei tre avrebbe avuto intenzione di rischiare, non avrei mai pensato che il vecchio Joe si sarebbe messo a fare l’eroe. Sono sinceramente rammaricato, ma purtroppo ormai è andata così e non possiamo farci niente. Le loro morti sono state necessarie, seppure inconsapevolmente quei due si sono sacrificati per la crociata più importante di tutta la storia dell’Umanità.»
«Può darsi che sia come dite voi, ma adesso quello con le mani sporche di sangue sono io... non ero preparato a uccidere» puntualizzò il dottor Lorentz.
«E che cosa ha provato nel farlo?» gli chiese allora a bruciapelo Sir Jonathan.
«...come dite, Eccellenza?» fece sorpreso il dottore, non era certo di aver capito bene la domanda.
«Sa benissimo cosa intendo! Voglio sapere quali emozioni ha provato uccidendo quell’uomo, che sensazione le ha dato togliere la vita a un altro essere umano» precisò l’Anziano, spogliandolo della sua ipocrisia. Lorentz si rivide con il laser in mano e rivisse il terrore negli occhi dei poliziotti, riassaporò per un istante il senso di onnipotenza che si era impadronito di lui subito dopo aver ucciso Joe e non ebbe il coraggio di rispondere.
«Dottor Lorentz, da adesso è l’unico responsabile del Settore Ibernati per quanto riguarda il Progetto Cielo. Finora ha svolto un lavoro magnifico, veda di non deludermi e avrà un futuro glorioso. Riceverà ulteriori istruzioni in seguito» annunciò Sir Jonathan, subito dopo bussò al vetro che li separava dalla cabina di guida, l’autista fermò il mezzo e lui si allontanò a piedi.
Jodie aprì la porta della camera d’ospedale e rimase impietrita sulla soglia. La sua mano si dischiuse, lasciando cadere a terra il mazzo di fiori e il disegno che aveva preparato per Nicole. La fissava senza riuscire a dire niente, rattristata dalla vista degli aghi e dei tubi che le correvano tutto intorno e del grosso livido che aveva sulla fronte. Sua madre si era riproposta che l’avrebbe accolta con un gran sorriso tranquillizzante ma non ci riuscì, gli occhi le si fecero lucidi e le labbra cominciarono a tremarle.
«Oh, mamma!» scoppiò a piangere la bambina correndo verso il letto, «ho avuto tanta paura! Ho visto tutto alla tivù, le ambulanze, la polizia, tutta quella gente. E quelle persone morte... perché debbono accadere queste cose, perché?» le chiese. Carezzò il pancione della mamma, che creava una collinetta sotto il lenzuolo, e la interrogò con lo sguardo. Nicole non riuscì più a tenere a freno le lacrime, tirò a sé la bambina e la strinse con tutte le sue forze.
«Adesso è tutto a posto. Stai tranquilla tesoro, è tutto finito» le sussurrò all’orecchio evitando di guardarla negli occhi, altrimenti Jodie avrebbe capito che le stava mentendo.
Dopo qualche giorno e molti accertamenti Giuda e Nicole furono dimessi, tentarono con tutte le loro forze di ricominciare la vita di sempre ma trovarono che niente era più come prima. Ormai avevano paura di tutto e di tutti, evitavano di frequentare luoghi affollati e ogni minimo rumore inconsueto, o talvolta anche soltanto uno sguardo da parte di qualcuno, apriva in loro la strada a un terrore tanto incontenibile quanto irrazionale. Non si sentivano più al sicuro neanche tra le mura di casa ed erano preoccupati, ancor più che per loro stessi, per il futuro di Jodie e per quello del nascituro. Continuavano a domandarsi se quello in cui li avevano invitati a venire era davvero un buon mondo, dal momento che era sufficiente il capriccio di una sola persona a generare tanto dolore gratuito negli altri.
PARTE II
LA MORTE DI NICOLE
«Allora, hai finito di prendermi in giro?» domandò risentito Freddy a Giuda, mentre giocavano l’abituale partita a tennis del martedì. Aveva deciso di riprendere a giocare dopo aver saltato per alcune settimane, per provare a darsi una scossa, ma quella mattina i suoi scambi erano finiti quasi tutti contro la rete. Fred era affannato a causa dei chili di troppo e per questo ancora più irascibile del solito, Giuda si disse che strippato in quella sua maglietta aderente, resa quasi trasparente dall’abbondante quantità di sudore della quale era impregnata, somigliava a un ridicolo salsicciotto.
«Scusami ma non ci sono con la testa, è meglio se per oggi la finiamo qui» si giustificò incamminandosi verso lo spogliatoio.
Fino ad allora la doccia bollente del dopopartita si era sempre portata via stanchezza e pensieri per lasciargli addosso un senso di rilassato benessere, quella volta invece non aveva sortito alcun effetto. L’ombra scura che lo accompagnava da tempo gli era rimasta appiccicata addosso come una seconda pelle, si domandò se sarebbe mai riuscito a ritrovare un briciolo di serenità.
«Se mi hai lasciato vincere così vuol dire che c’è proprio qualcosa che non va» osservò Fred continuando a fissarlo immusonito, quasi offeso, mentre si asciugava i capelli.
«Lo sai bene di cosa si tratta, sono molto preoccupato per Nicole. Tra poche settimane dovrebbe dare alla luce il bambino, ma alla visita periodica le hanno detto che probabilmente ci saranno problemi.»
«Che genere di problemi dovrebbero esserci?»
«Non ne ho idea, lei non vuole che l’accompagni alle visite e non parla praticamente più, si è completamente chiusa in sé stessa. Ogni volta che tento di affrontare l’argomento lo stronca sul nascere dicendo che andrà comunque tutto bene, ma io temo che non sarà così.»
«Ma com’è possibile, queste cose non accadono più da decenni!»
«E’ per via dell’aggressione. Le hanno detto che probabilmente il feto ha riportato alcuni danni, ma ancora non riusciamo a sapere in quale misura» gli spiegò Giuda. «Sono stato un vero idiota!» sbottò poi sferrando un pugno rabbioso all’armadietto metallico, «non avrei mai dovuto lasciare che entrasse in quella casa. E poi non mi era mai capitato di sentirmi così impotente, quel maledetto chip... »
«E’ per proprio per questo, che tutti ne abbiamo impiantato uno addosso. Il chip recepisce dalle Antenne il segnale che abbassa il livello della nostra aggressività e lo trasmette al nostro corpo. E come hai potuto sperimentare di persona, se questo non è sufficiente a farci stare buoni, scatena la produzione di acidi lattici che bloccano i tuoi muscoli tra crampi atroci. È proprio grazie al chip che la violenza è quasi del tutto scomparsa dalle nostre vite.»
«Questo lo sapevo già, ma non immaginavo che fosse così spaventosamente doloroso. In ogni caso, ho attirato mia moglie in quella trappola e poi non sono stato capace di difenderla, non sono riuscito a sparare un solo maledetto colpo di pistola. Adesso ho paura che perderà il bambino, se questo accadrà sarà stata tutta colpa mia.»
«Hai fatto quello che ritenevi giusto, non devi colpevolizzarti inutilmente. Sei soltanto un giornalista, non un soldato addestrato... e nessuno poteva sapere che quell’uomo avrebbe agito in quel modo» cercò di rincuorarlo Fred, posandogli una mano sulla spalla.
«Forse hai ragione tu» convenne Giuda per chiudere alla svelta il discorso. «Ma continuo a sentirmi un miserabile, anche se proprio non so cosa spinse Nicole a venire là quella sera.»
Prima di allora, i due non avevano mai parlato di quell’episodio. In una tacita tregua, Fred aveva perdonato l’amico per avergli soffiato il servizio e quest’ultimo non gli aveva mai chiesto perché se l’era preso tanto a cuore. Per di più Fred sapeva bene che non era stata colpa sua, per impedirgli di andare al posto suo era intervenuto addirittura l’Anziano in persona. Ripensando a quei fatti, Giuda rimase folgorato da una specie di illuminazione: quell’uomo dai capelli bianchi, che aveva maltrattato Nicole sotto a quel lampione finché Freddy non l’aveva tolta da sotto le sue grinfie, somigliava proprio a Sir Jonathan.
«A proposito, di che cosa stava discutendo con quell’uomo? E sopratutto, chi era?» domandò a Fred. Per un istante lui si fece ancora più rosso in viso, a causa dell’imbarazzo, Giuda ebbe l’impressione che volesse dirgli qualcosa per togliersi un peso ma che non ci riuscisse.
«Mi dispiace per Nicole, se posso fare qualcosa per aiutarti...» gli rispose infine l’amico.
Al controllo successivo, Giuda apprese che esisteva la seria possibilità che Nicole avrebbe perso il bambino, inoltre c’era anche un certo margine di rischio anche per la vita stessa di sua moglie. L’attesa per un evento così importante e lieto si era di colpo trasformato in un vero e proprio stillicidio di paura, lui si ritrovò a pensare che Lorentz aveva avuto ragione e che adesso si sarebbero ritrovati loro malgrado a capire il significato della parola “scegliere”.
Nicole cambiò totalmente e divenne distratta, perennemente persa a rincorrere orribili pensieri. Non si curava più della casa, aveva smesso di dipingere e aveva disdetto tutte le mostre in programma. I suoi occhi, un tempo così luminosi, adesso brillavano soltanto quando trascorreva il tempo davanti alla finestra a interrogare il cielo, ma era per colpa delle lacrime che spesso non riusciva a trattenere. Si stava lentamente chiudendo in un mondo tutto suo, Giuda non riusciva a trovare un modo per starle vicino e questo lo faceva sentire inutile, impotente. Al termine del lungo periodo di assenza, quindi, fu quasi felice di tornare al suo lavoro. Sperava che tenersi occupato con qualcosa l’avrebbe aiutato a stare meglio, ma il giorno stesso del suo rientro trovò ad attenderlo una sgradevolissima sorpresa.
Era pomeriggio inoltrato e lui stava lavorando al computer del suo piccolo ufficio, intento a rimettersi in pari, d’improvviso qualcuno bussò impetuosamente alla vetrata facendolo trasalire. Perplesso e spaventato, andò ad aprire la portafinestra che dava sulla terrazza e si trovò davanti Sir Jonathan, l’Anziano più conosciuto e più temuto per il suo rinomato rigore morale. Quell’uomo era a capo del Consiglio che riuniva i poteri politico e religioso della città, sulla sua persona giravano le voci più bizzarre. Per sentito dire, Giuda sapeva di lui che era intransigente verso gli altri quanto lo era verso sé stesso e che trascorreva gran parte dei suoi giorni e delle sue notti in preghiera. Lo lasciò entrare e lo seguì con lo sguardo, leggermente incuriosito perché prima di allora non l’aveva mai incontrato di persona. Sir Jonathan si fermò al centro della stanza e lo fissò intensamente, lui provò un disagio profondissimo. Trovò difficile sostenere lo sguardo dei suoi occhi grigi, dalla pupilla piccola come quella di un rettile e striati di venature rosse a causa delle notti insonni. Erano incastonati tra gli zigomi appuntiti e la fronte irta e bassa, sormontata da una zazzera di capelli così bianchi da sembrare artificiali. Il naso affilato faceva ombra sul viso ceruleo, che pareva tagliato trasversalmente dalle fini labbra violacee. Giuda lo invitò ad accomodarsi e ordinò al robot di portare il caffè, l’Anziano sedette e si complimentò con lui per i dipinti appesi alle pareti, che sapeva essere stati realizzati da sua moglie. Lo elogiò anche per alcuni dei suoi servizi, che a suo dire l’avevano colpito molto, poi cambiò bruscamente discorso e venne al reale motivo della visita.
«Si direbbe che nel suo articolo più tristemente famoso lei si sia lasciato prendere un po’ troppo la mano» considerò, Giuda notò che la sua voce profonda sembrava provenire da molto lontano e sentì il suo disagio accrescersi. «Forse ha accentuato un po’ troppo alcuni aspetti della questione» precisò Sir Jonathan in tono severo, per rispondere al suo sguardo interrogativo.
«Perdonatemi Eccellenza, ma non sono d’accordo. Sono sicuro di essermi limitato a raccontare gli avvenimenti con precisione, esattamente per come si sono svolti» replicò Giuda.
«Questo è quello che crede lei! Avanti lo rilegga con attenzione» gli propose l’altro con indulgenza, dopo una breve pausa. «Probabilmente, adesso che è trascorso del tempo da quando l’ha scritto, converrà con me che si tratta davvero di un articolo un po’ pesante» aggiunse mettendogli agli occhi davanti quella sfilza di parole che conosceva fin troppo bene. L’aveva scritto settimane prima durante la degenza in ospedale, era più che sicuro di aver fatto un preciso resoconto di cronaca, senza fronzoli.
«Non pensa di aver messo troppo in rilievo i sentimenti di quello che in fondo era soltanto un folle assassino, oltre alle sue impressioni personali? La sua esposizione dei fatti è troppo violenta, nessun cittadino è abituato a venire a contatto con fatti di una tale intensità emotiva. La gente adesso è terrorizzata, molti chiedono l’intervento dei Signori dell’Ordine non appena assistono a un fatto apparentemente fuori della norma o appena vedono qualcuno comportarsi in modo un po’ strano. Sembra che improvvisamente abbiamo fatto un salto all’indietro di oltre mille anni, sembra che siamo tornati al tempo delle streghe e degli untori» concluse gravemente l’Anziano scuotendo la testa.
Giuda non sapeva dove l’altro volesse arrivare, ma era convinto che la sua fosse una visita confidenziale e così si sentì libero di dirgli quello che pensava. In fondo, si disse, la colpa dell’accaduto non era sua ma delle forze dell’ordine che non avevano svolto a dovere il loro compito.
«La verità pura e semplice è che io, e nessun altro, ero rinchiuso in una stanza con uno squilibrato che mi puntava una pistola alla tempia. Uno psicopatico che oltre a uccidere due agenti ha fatto del male a me e soprattutto a mia moglie. Non ho travisato proprio niente, ho soltanto reso la cronaca di quello che è accaduto, senza aggiungere nulla di più né di diverso. Quelli che adesso vivono nel terrore siamo io e mia moglie, siamo noi quelli che si svegliano gridando nel bel mezzo della notte.»
«A proposito di Nicole, ho saputo che rischia di perdere il bambino e questo mi addolora molto. Penso proprio lei non avrebbe dovuto lasciarla entrare in quella casa» osservò l’Anziano senza neanche curarsi di guardarlo in faccia, quelle parole dette con noncuranza furono per Giuda come un pugno in pieno stomaco. Ebbe l’impressione che le avesse pronunciate quasi con cattiveria, tanto per provocarlo, lui provò l’impulso di cacciarlo via a calci.
«Immagino che in questo momento lei sia molto turbato,» continuò Sir Jonathan, «percepisco in lei anche un certo astio. Posso persino arrivare a comprenderla, sotto un certo punto di vista, ma non posso certo permettermi di condividerla. Quindi, la invito a non commettere gesti di cui in futuro potrebbe pentirsi. In ogni caso, le prometto che la sua famiglia sarà assistita nel miglior modo possibile. Le garantisco che di tutta questa storia, col tempo, le resterà soltanto un brutto ricordo che sbiadirà lentamente fino a scomparire del tutto» disse, poi fece una pausa per andare a regolare l’oscurità della vetrata. Smorzò la luce intensa del Sole, che adesso entrava prepotente a creare fastidiosi riflessi sulle pareti metalliche, e quando la penombra riempì la stanza Giuda lo guardò incredulo. La figura di spalle, immersa nella semioscurità, era terribilmente simile a quella dell’uomo che quella sera aveva aggredito Nicole sul retro di quella casa.
«Capisco che per certi versi lei ha ragione, avete davvero vissuto una vicenda terribile e la vostra situazione non è facile» riprese mostrandosi lievemente indulgente, quasi come se nel fare quell’ammissione gli stesse facendo un favore, «ma ha comunque raccontato tutta la storia in modo troppo... appassionato, ecco la parola giusta. E tirando fuori la storia degli espianti agli ibernati ha fatto quasi apparire quell’uomo come una vittima, quando in realtà ha rischiato di essere il suo carnefice. Ed è pericoloso rimuovere certezze dalla mente della gente per sostituirle con dei dubbi, peraltro totalmente infondati. E’ pericoloso mettere a rischio l’ordine pubblico per narrare in chiave di pathos la storia di uno psicopatico, non dimentichi che senza l’intervento dei Tiratori Scelti avrebbe ucciso anche con lei e sua moglie.»
Giuda scorse ancora una volta i fogli che aveva tra le mani, poi li buttò sulla scrivania con uno scatto stizzito.
«Se il dubbio non fosse nato con l’Uomo, se questo avesse continuato ad accontentarsi delle sue piccole certezze, vivremmo ancora oggi nelle caverne!» considerò.
«Su questo ha perfettamente ragione. Ma il Mondo adesso ha raggiunto l’equilibrio, è arrivato a un punto in cui va perfettamente bene così com’è» tagliò corto l’Anziano usando un tono che non concedeva diritto di replica, poi lo scrutò serio in attesa delle sue scuse.
«Aldilà di tutto, sono davvero spiacente. Non pensavo che il mio articolo avrebbe generato così tanti problemi» ammise allora Giuda mostrandosi pentito, dopo una breve riflessione aveva concluso che l’unico modo per liberarsi di quell’uomo era dargli ragione.
«Sappiamo che lei ha agito in buona fede, per questo il Consiglio ha deciso di concederle un’altra opportunità. Ma veda di non sprecarla, altrimenti saremo costretti a farle lasciare questo lavoro, che ama in modo particolare, per un altro che le risulterebbe sicuramente meno gradevole» lo avvisò l’Anziano. Senza attendere la sua risposta uscì sul terrazzo, saltò in sella al suo monojet e sfrecciò via veloce, fino a scomparire tra le nubi basse.
Il tempo passava veloce e la situazione non migliorava affatto, anche Jodie, malgrado gli sforzi dei suoi genitori, era costretta a subire ogni giorno di più la pesantezza del clima domestico. Inoltre aveva cominciato a fare domande alle quali loro non sapevano cosa rispondere, era entrata nel momento della sua vita in cui non sei più un bambino ma neanche un adulto, di conseguenza loro non sapevano più come trattarla e come comportarsi con lei. Per interrompere quell’assurda routine, fatta di paure e angoscia, Giuda e Nicole decisero di trascorrere un fine settimana in montagna.
Quella sera, le ombre create dalle fiamme giocavano coi loro volti immobili, la brace scoppiettava diffondendo l’aroma dolciastro della resina a creare un’atmosfera quasi natalizia. Nicole si era seduta in poltrona e non riusciva a smettere di fissare il caminetto, quasi ipnotizzata dal fuoco. Sentiva di avere le guance e il collo caldi e coloriti, grazie anche agli effetti del distillato di linfa di abete che stavano sorseggiando. Giuda era seduto accanto a lei e continuava ad ammirare la perfezione dei suoi lineamenti, stupendosi una volta di più di come, in ogni momento e in ogni situazione, riuscisse suo malgrado ad apparire meravigliosamente bella. I capelli avevano preso i riflessi del mogano e incorniciavano l’ovale bronzeo, sul quale risaltava la bocca dalle labbra piene. Sul suo volto spiccavano gli occhi scuri tagliati in modo vagamente orientale, che gli ispiravano la voglia di perdersi per sempre in quelle profondità fino a dimenticarsi di esistere. Un canarino festoso uscì dall’orologio a cucù, li informò che era la giunta mezzanotte.
«Che cosa accadrà...» mormorò Nicole, quasi lo stesse domandando al fuoco più che a se stessa o a lui. Aldilà del vetro appannato, giù per il costone della montagna, stavano scendendo le torce di una fiaccolata di paese.
«Non lo so, so soltanto che non voglio perdervi... e invece, nonostante tutti gli sforzi che stiamo facendo per evitare di affrontare la situazione e di cercare una via d’uscita, è proprio quello che sto rischiando. A volte mi sembra di impazzire, ed è tutta colpa mia...» rispose Giuda. Nicole deglutì più volte per ricacciare indietro il groppo che sentiva in gola, poi andò ad accoccolarsi sulle sue ginocchia e si strinse tra le sue braccia.
«Possiamo soltanto aspettare e vedere cosa accadrà, non abbiamo altra scelta. Io sono fiduciosa, in fondo siamo sempre riusciti ad uscire dalle situazioni difficili, anche se allora era diverso perché dipendeva solo da noi.»
«Che cosa vuoi dire?» le chiese perplesso lui. «Da chi altri dipende la soluzione dei nostri problemi?» insisté, le prese il viso tra le mani e lo girò delicatamente verso di sé per guardarla negli occhi. Lei cambiò espressione e lo guardò come le fosse appena sfuggito qualcosa che non voleva o non poteva dire, ma subito dopo tornò a fissare le fiamme del camino. «Possiamo soltanto aspettare» ripeté rassegnata, senza spiegarsi. «Sono sicura che tutto si risolverà per il meglio, ma anche se qualcosa andasse storto e dovessi davvero perdere la vita per far nascere il nostro bambino, gli anni che ho trascorso con te e Jodie mi avranno ripagata di tutto questo tormento» aggiunse poi sottovoce, come per cominciare ad abituarsi all’idea. Era la prima volta che affrontavano questo discorso, l’eventualità di trascorrere il resto dei suoi giorni senza di lei passò fugace nella testa di Giuda, che si sentì sprofondare in una voragine senza fine.
«Una soluzione ci sarebbe» sussurrò evitando di incontrare i suoi occhi, lei lo guardò turbata perché aveva paura di quello che lui le avrebbe detto.
Gli occhi di Ann erano di uno splendido colore verde mare ma tagliati in un’espressione lievemente arcigna, i corti capelli neri mettevano in evidenza i suoi lineamenti fini e regolari. Pur non essendo canonicamente bella aveva un certo magnetismo nello sguardo, quando sorrideva mostrando i denti candidi non era facile staccare gli occhi dal suo volto vagamente mascolino. Continuava a guardarsi le mani, che si muovevano nervose tamburellando sulla scrivania mentre cercava le parole più adatte. Non temeva in alcun modo l’uomo che aveva davanti, ma era molto orgogliosa e dover ammettere quella piccola macchia professionale la seccava.
«Qualcuno si è introdotto nell’Archivio Storico» annunciò infine semplicemente, quasi con rassegnazione.
«Ma com’è possibile? Il sistema informatico è protetto da un labirinto di miliardi di combinazioni, analizzarle tutte per arrivare alla password definitiva è praticamente impossibile» replicò l’Anziano, incredulo.
«Hanno installato un programma che si auto evolve. In base alle varianti degli errori commessi nei diversi tentativi di trovare la soluzione, arriva gradualmente a pensare come la persona che ha installato la password. Gli è bastato girare indisturbato all’interno del sistema per pochi giorni, attraverso un terminale satellite collegato alla rete.»
«Come lo avete scoperto?»
«Una volta passato lo sbarramento, il Server Centrale rivela automaticamente la violazione e cambia immediatamente la password. Ma stavolta non è stato abbastanza veloce, perché il programma intruso ragionava molto più rapidamente.»
«Siete almeno riusciti a individuare il terminale spia?»
«Per ora sappiamo solo che è situato nel Nono Quadrante, ma ci stiamo lavorando sopra e spero che potremo essere più precisi in capo a qualche giorno. Dobbiamo ancora analizzare i tempi impiegati per la trasmissione dei dati e le distanze percorse dai files, si lavora su miliardesimi di secondo perché esistono terminali vicinissimi tra loro.»
Sir Jonathan provò un fastidioso senso di oppressione al petto. Ancora una volta, e soprattutto in un momento delicato come quello, qualcuno stava cercando ostacolarlo. Sperò che l’autore dell’intrusione non avesse trovato le informazioni sul “Giorno della Rivelazione”, o che al limite non fosse stato abbastanza intelligente da decifrarle. Si lasciò andare a un moro di stizza e sbatté con forza un piede a terra, aveva appena avuto la conferma che il suo cammino verso la Gloria era ancora lungo e impervio, a dispetto dei risultati grandiosi che aveva ottenuto fino a quel momento.
Di questo era consapevole da sempre, ma era convinto che pur di arrivare alla mèta valeva la pena di rischiare tutto ciò che aveva. Per la prima volta in vita sua, però, si trovò a domandarsi se avrebbe avuto la forza e la determinazione necessarie per portare a compimento quella sfida. Nell’Archivio Storico erano celati segreti troppo importanti, per potersi permettere che divenissero di dominio pubblico. Eppure, nonostante tutte le precauzioni prese e tutte le barriere costruite, qualcuno era riuscito a penetrarvi.
«Lei è la migliore del Reparto Antisommosse, Ann, non è un caso che ne sia il comandante assoluto. Si dia da fare, faccia quello che meglio crede e usi i mezzi che ritiene più opportuni, ma trovi l’intruso. E lo trovi alla svelta! Se anche una soltanto, tra tutte quelle informazioni riservate, cadessero in mano a qualche cittadino, sarebbe un vero disastro. Un evento del genere produrrebbe un danno irreparabile ai nostri equilibri sociali» disse, poi se ne andò senza neanche attendere la risposta della donna.
«Sempre Sia Lodato!» gli gridò polemicamente lei alle spalle per rinfacciargli la sua maleducazione, poi si rimise al lavoro sul terminale.
«Hai spiato all’interno dell’Archivio Storico?» chiese Nicole quasi gridando, era sconcertata. «Devi essere impazzito! Se ti avessero scoperto, a quest’ora saresti rinchiuso in prigione. Ti avrebbero accusato di appartenere alla Setta e ti avrebbero somministrato ogni tipo di trattamento psicologico, pur di estorcerti informazioni.»
«Ma quale Setta, sai bene che la Setta non esiste! E comunque non l’ho fatto di proposito, stavo navigando in rete quando ho notato che qualcosa non andava per il verso giusto. Mi sono ritrovato là dentro d’improvviso, probabilmente ho sfruttato involontariamente il varco creato da qualcun altro... una volta che ho capito dove mi trovavo, ho pensato che forse là avrei potuto trovare una soluzione ai nostri problemi» le spiegò Giuda allargando le braccia, ma lei continuò a scrutarlo seria, incapace di decidere se credergli o meno.
«Io non ce la faccio più a vivere in questo modo, non ce la faccio più a vedere che ti allontani da me ogni giorno di più senza che io possa fare niente... non posso limitarmi ad aspettare che si compia la tragedia» cercò di giustificarsi lui dopo un attimo di silenzio lungo come un’eternità.
Nicole lo guardò preoccupata, sapeva che non si sarebbe arreso tanto facilmente. Scese dalle sue ginocchia e tornò a sedere sulla poltrona di fronte, poi sospirò amareggiata e lo fissò dritto negli occhi, preparandosi ad ascoltare quello che era certa che non avrebbe mai voluto sentirsi dire. Lui le spiegò in poche parole che cos’era l’aborto terapeutico, praticato decenni rima, lei scattò in piedi.
«Ma ti rendi conto di cosa sei arrivato a pensare?» gli chiese sgomenta, era incredula e profondamente adirata.
«Lo so che è contro natura, che è una cosa orribile... ma io non so più dove sbattere la testa, non so più cosa fare! Quando sono da solo e mi lascio andare, penso a come potrebbe andare a finire e mi sento annientato. Mi prende un’agitazione che non riesco a contenere, il livello dell’adrenalina cresce in me con la disperazione, con la voglia di gridare e distruggere tutto ciò che ho intorno, con la voglia di fuggire in un posto che non c’è. E così mi ritrovo disteso a terra, paralizzato dal chip come quella maledetta notte, in preda a dolori tremendi e prigioniero di me stesso. Non te l’ho mai detto prima perché non volevo che ti preoccupassi per me, ma mi è già accaduto molte volte.»
Nicole mise a fuoco la sua immagine come uscendo da uno stato di torpore, gli dedicò un lungo sguardo confuso, quasi quell’uomo fosse uno sconosciuto che vedeva per la prima volta in vita sua.
«Hai pensato di uccidere nostro figlio, il frutto del nostro amore. Hai pensato di uccidere colui per il quale abbiamo già scelto un nome, per il quale abbiamo già pensato un futuro... siamo soltanto poveri esseri umani, non abbiamo il potere di decidere la vita e la morte dei nostri simili. Come sei arrivato a pensare di poter fare una cosa del genere?» Si voltò verso il fuoco come per scaldarsi, cingendosi le spalle con le sue stesse mani, lui riempì per l’ennesima volta il bicchiere. Quando se lo portò alla bocca vide nel vetro il riflesso deformato del proprio volto, allora lo posò e andò ad abbracciarla.
«Non volevo farti soffrire. Non vorrei mai farvi del male, né a te, né a lui» sussurrò carezzandole delicatamente la pancia.
«Ma la vostra vita è in grave pericolo e io vorrei poter fare qualcosa di più, che starmene qui a piangere e rimuginare. E invece tutto ciò che riesco a fare è continuare a sognare quel pazzo, che mi guarda col coltello in mano e ride. “Capirai, presto capirai” mi bisbiglia all’orecchio con la sua voce stridula, digrignando i denti gialli, e quello scricchiolio mi fa rabbrividire. Vorrei gridare e fuggire, oppure ucciderlo premendo quel dannato pulsante di sparo, ma non riesco a fare niente di tutto questo. La mia mano trema e non riesco a fare fuoco, ogni volta che lo perdo di vista mi ricompare alle spalle e ricomincia da capo, e io posso soltanto piangere, paralizzato a terra, mentre lui infierisce su di te. E allora mi sveglio di soprassalto pensando che sono un miserabile, che se mi fossi comportato da uomo tutto questo non sarebbe successo.»
Mentre ascoltava le sue parole, Nicole si era come trasformata, aveva giunto le mani sulle ginocchia e le sue spalle si erano curvate in avanti come quelle di una vecchia. Pian piano aveva assunto l’espressione sconfitta di chi viene bruscamente svegliato da un sogno bellissimo, che pur desiderandolo con tutto sé stesso non riesce a riaddormentarsi per riprenderlo da dove l’aveva lasciato.
«Io penso che se restiamo uniti ce la possiamo ancora fare» mormorò con un filo di voce, ma a Giuda sembrò che le sue parole avessero tutta l’aria di una preghiera, più che di un’affermazione.
«Smettila di illuderti, smettila dannazione!» urlò, esasperato dai suoi modi rassegnati, si alzò di scatto e ribaltò il tavolino con un calcio. Lei sussultò per lo spavento e si rannicchiò in sé stessa, intimorita dalla sua reazione, lui l’afferrò per le spalle.
«Devi guardare in faccia la realtà!» continuò a gridarle, scuotendola. «Probabilmente il bambino verrà alla luce già morto, e tu stessa rischi di morire! Di morire, capisci cosa voglio dire? Di abbandonare me e Jodie, di lasciarci soli per sempre!»
«Lasciami, mi stai facendo male!» strillò a sua volta Nicole spingendolo via, sconvolta. Lui aveva preso a camminare avanti e indietro per la stanza, imprecando e dando pugni alle pareti come un matto.
«E se il bambino non morirà» continuò, «nascerà con dei problemi gravissimi, e sarà l’unico o quasi, in un mondo popolato da esseri perfetti. Un mondo popolato da persone che non prendono mai un raffreddore, che vivono felici. Conoscerà l’emarginazione e i soprusi perché sarà debole, e l’ipocrisia, perché chi ha una bella vita non vuole vedere il dolore altrui neanche da lontano, non vuole nemmeno sfiorarlo. Che razza di vita sarà la sua? Avanti, rispondi! Che vita sarà?» le gridò in faccia con tutto il fiato che aveva.
«Ora basta» mormorò lei. «Non puoi pensare davvero queste cose, non puoi essere così egoista. Non sei più l’uomo che ho sposato. La Legge parla chiaro, Dio dà la vita e Dio la toglie. Nessuno, se non lui, può decidere dei nostri destini. Nessuno, se non lui, può sapere cosa è giusto per noi e cosa no!»
«Ma se Dio ci ama così tanto, perché allora ci sottopone a queste prove? Perché la vita di mia moglie e di mio figlio sono appese all’esile filo di una preghiera?» replicò lui a denti stretti. Appena finì la frase, la mano di Nicole partì veloce e lo colpì con tanta violenza da fargli girare la faccia dall’altra parte.
«Stai bestemmiando! Come pretendi di poter giudicare Dio se non puoi neanche lontanamente arrivare a immaginarlo? Come puoi pretendere di spezzare questa vita dentro me che cresce attimo dopo attimo? Se qualcuno ti sentisse anche soltanto parlare così finiresti nella Prigione Psicologica, ti ci lascerebbero marcire fino alla fine dei tuoi giorni» gridò, poi ricominciò a piangere e salì le scale di corsa, per andare a chiudersi in camera.
Quella discussione rappresentò il colpo di grazia per il rapporto tra Giuda e Nicole, che da quella sera si trovarono completamente distaccati. L’ultima decisione che presero di comune accordo fu quella di mandare lontano Jodie per qualche tempo, prendendo a pretesto una vacanza studio. Nicole si chiuse definitivamente in sé stessa mentre lui, incapace di dedicarsi a qualsiasi cosa, cominciò ad assentarsi sempre più spesso dal lavoro. Andava a trascorrere il tempo sulla cima di un piccolo promontorio che scendeva a picco sul mare, si sedeva su di un masso e fissava per ore la linea curva dell’orizzonte. Guardava in lontananza i delfini che saltavano e si rituffavano nell’acqua, felici e giocosi, vedeva scintillare al sole le loro pinne argentee e quasi li invidiava.
Shasa si aggirava eccitata nei locali semibui dai soffitti bassi, silenziosa come un fantasma. Rovistava freneticamente in ogni angolo e in ogni cassetto, in ogni mobile. Quel rituale la emozionava così tanto che o ogni volta era come se fosse la prima volta. Aveva l’abitudine di arrivare lì un poco prima degli altri per potersi permettere quel lusso, era rischioso e lei lo sapeva, ma quello era il suo piccolo grande segreto e non vi avrebbe rinunciato per niente al mondo. Sebbene conoscesse ormai alla perfezione quel luogo e tutto ciò che vi si trovava dentro, ogni volta era più forte di lei: ricominciava daccapo alla ricerca di un particolare che poteva esserle sfuggito, nella speranza che, come per magia, prima o poi avrebbe trovato qualcosa di nuovo e interessante. Fece un piccolo balzo per buttare uno sguardo sul davanzale polveroso della finestrella posta in alto, nel farlo urtò la lampadina sospesa a mezz’aria che prese ad oscillare in modo irregolare. Un riflesso a terra attirò la sua attenzione, era lo scintillio di una chiave. Si chiese come potesse non averla mai notata prima. Eppure era lì ben visibile, e continuava a rimandarle ritmicamente il bagliore riflesso della luce artificiale come se la stesse chiamando. Non osava sperare che fosse proprio quella che apriva la pesante porta dell’armadio in ferro, l’unico luogo del covo che non era mai riuscita ad esplorare. Il cuore prese a batterle impazzito, lei raccolse la chiave con mani tremanti e raschiò via alla meglio un po’ di ruggine, poi ci sputò sopra per lubrificarla. Soffiò più volte nella toppa per eliminare la polvere e infilò la chiave, quando finalmente riuscì ad aprire la porta rimase allibita: l’armadio era quasi completamente pieno di sigarette. Non circolavano più da oltre quarant’anni, da quando nel 2137 erano state definitivamente proibite, e lei non ne aveva mai vista una dal vivo. Spinta dalla curiosità aprì convulsamente un pacchetto, ne prese una e la mise tra le labbra, impreziosite da un piccolo neo posto appena sopra quello superiore. Dopo essersi atteggiata per un po’ a donna fatta, ammirando il proprio riflesso sulla lastra di vetro che ricopriva il piano di un tavolo, decise di provare ad accenderla. Appoggiò la sigaretta sulla superficie incandescente della lampadina e cominciò ad aspirare forte.
«Shasa!» tuonò d’improvviso una voce autoritaria. «Accidenti, ti ho detto almeno mille volte che non devi venire qua da sola. Sei troppo testarda, se continui a trasgredire le regole prima o poi dovrò cacciarti dal gruppo! Non possiamo rischiare di farci scoprire soltanto perché tu devi assecondare la tua assurda mania, possibile che tu non arrivi a capirlo?»
Il fumo le era andato di traverso e le usciva dal naso mentre tossiva, i grandi occhi color nocciola si erano fatti scintillanti a causa delle lacrime represse.
«Ma come fai a saperlo? Per caso mi hai spiata?» replicò lei sorpresa.
«Che cos’hai hai tra le dita?» le chiese Freddy senza rispondere alla sua domanda.
«Lascia perdere,» rispose lei con la voce strozzata, «dove sono gli altri piuttosto? Ogni volta arrivano sempre più tardi, forse non hanno compreso appieno l’importanza del nostro compito.»
«Sono solo» rispose l’imponente figura dai capelli mossi continuando a scrutarla severamente da dietro il massiccio tavolo di legno, sul quale erano poggiati un computer e vari dispositivi ad alta tecnologia. «E poi, dove diavolo sei stata in tutti questi giorni? Ti ho cercata in tutti i posti convenzionali per avvisarti di non venire qua, sai bene che dobbiamo fare in modo di essere sempre reperibili.»
«Ma perché, che è successo?» domandò lei abbandonando per un attimo abbandonò i suoi modi spavaldi. Quando assumeva quell’espressione, se non fosse stato per le striature rossastre sui capelli lisci e scuri, e per una lieve asimmetria di un dente incisivo che le donava un aspetto dolce, avrebbe dimostrato ben più dei suoi ventidue anni.
«Dobbiamo andarcene subito da qui, presto verrà Andy a portare via tutto il materiale.»
«Va bene, ma vuoi deciderti a dirmi che cosa è accaduto?» chiese di nuovo Shasa.
«Ero finalmente riuscito a penetrare nell’Archivio Storico usando un Cavallo di Troia, ma mentre stavo leggendo alcune informazioni riservate sul “Giorno della Rivelazione” e sulle Antenne, qualcun altro si è connesso a sua volta facendo scoprire la violazione. La protezione è stata immediatamente restaurata, se prima lo sospettavano soltanto adesso sanno con certezza che esistiamo. Ci faranno una caccia spietata per tutta la città, per un po’ dovremo stare molto attenti e non potremo vederci né sentirci. Dovremo portare avanti ognuno i propri compiti senza avere alcun contatto con gli altri, sarebbe troppo pericoloso. E adesso dobbiamo filarcela alla svelta, questo sarà sicuramente uno dei primi posti che verranno a controllare.»
«Accidenti,» fece lei storcendo la bocca delusa, «proprio adesso che avevo trovato qualcosa di interessante.»
Fred la rimproverò con lo sguardo, lei si strinse nelle spalle.
«Sappi bene che questo è un ordine, e stavolta cerca di non fare di testa tua o trascinerai tutti quanti nei guai. Pensa a cosa stiamo rischiando, se scoprissero l’identità anche di uno solo di noi avremmo buttato via anni di lavoro... la Setta verrebbe spazzata via come un misero castello di carte.»
«E il Piano?» chiese Shasa guardandolo perplessa.
«Il Piano lo attueremo, ma non adesso. Ci serve ancora un po’ di tempo, ma non appena saremo pronti troveremo il modo di far saltare le Antenne. Quella è la cosa più importante, poi, se avremo lavorato bene, il resto verrà da sé.»
«Come faremo per incontrarci?»
«Quando verrà il momento, Tony attiverà la solita catena. Per ora non possiamo fare diversamente, dobbiamo aspettare.»
«Ma se non possiamo venire più qui, allora il nostro centro operativo cambierà?»
«Lo scopriremo soltanto più avanti, quando sarà il momento di rivederci.»
Shasa si guardò intorno dispiaciuta, dover abbandonare quella vecchia fabbrica in disuso la rattristò.
«Avanti, ora dobbiamo proprio andarcene. Stare qui diventa più pericoloso ad ogni minuto che passa» la esortò Fred cingendole un braccio intorno alle spalle, per spingerla verso la porta.
«Vedi di portare a termine i tuoi esperimenti sugli esplosivi» aggiunse, «ma fai in modo che mai, per nessuna ragione, qualcuno possa sospettare qualcosa.»
«Aspetta un attimo!» esclamò la ragazza puntando i piedi. Corse all’armadio, prese alcuni pacchetti di sigarette e se li infilò nella maglietta, poi chiuse la porta e si mise la chiave in tasca. Dette un’ultima malinconica occhiata in giro, dopodiché spense la luce e si avviò all’uscita.
Nicole non riusciva a stare ferma, il pancione le impediva di trovare una posizione comoda. Era seduta per metà sulla poltrona regolabile della sala d’aspetto vuota, con le gambe distese in avanti, per tentare di distrarsi continuava a sfogliare nervosamente una rivista senza leggerla. Avrebbe voluto potersi finalmente sfogare, mettere da parte paranoie e sentimenti per lasciarsi andare a un lungo pianto liberatorio, senza più pensare a niente. Ma sapeva che da un momento all’altro sarebbero arrivati loro, e lei non intendeva farsi sorprendere con le guance rigate dalle lacrime. Non voleva conceder loro questa ulteriore soddisfazione, voleva scacciare rimorsi e paure per poter guardare dritto in faccia quegli uomini malvagi, per mostrar loro tutto il suo disprezzo. Aveva dovuto accettare di prestarsi al loro folle progetto per proteggere le persone che amava, ma non era sicura che ciò che stava facendo fosse la cosa giusta. I suoi cari non avrebbero neanche saputo che si era sacrificata per loro, gli avrebbe lasciato in eredità soltanto delle vuote menzogne. Aveva dovuto continuare ad alimentare in loro la speranza che tutto sarebbe andato bene, che sarebbero tornati e essere la famiglia felice e perfetta di sempre, quando in realtà sapeva benissimo che non era vero. E ciò che più di tutto le faceva male era non aver potuto salutarli come avrebbe voluto, sebbene fosse consapevole che non li avrebbe mai più rivisti.
«Lieto di rivederla» esordì il dottor Lorentz affacciandosi alla porta. Le sue labbra, dischiuse in un sorriso compiaciuto, lasciavano scoperti i denti gialli e affilati. E’ davvero viscido come un ratto, pensò lei guardando disgustata i suoi capelli unti, che cominciavano a ingrigirsi sulle tempie.
«Avanti, mi segua!» si affrettò a ordinarle brusco lui, era risentito per il biasimo che aveva letto in quello sguardo. Lei si alzò con fare indolente, lasciò cadere a terra la rivista tanto per fargli un dispetto e lo seguì a testa alta. Entrarono nell’ambulatorio e oltrepassarono la porta nascosta per passare nella stanza segreta, lì Sir Jonathan e il dottor Lorentz avevano approntato la sala parto, convinti che avrebbero potuto agire indisturbati. Sir Jonathan li stava aspettando seduto in un angolo, ansioso ed emozionato, cercò il suo sguardo ma lei lo ignorò. Tirò dritta fin dietro il separé, indossò faticosamente il camice e andò a distendersi nel lettino, cercando con tutte le sue forze di non pensare a niente. Il dottore collegò vari sensori al corpo di Nicole ed effettuò un ultimo controllo.
«Deve pazientare ancora un po’, signora » la informò in tono confidenziale, per renderla partecipe di quell’assurda atrocità. Al termine del check-up le infilò un ago nell’avambraccio e aprì la valvola della flebo, il blando anestetico prese a scivolarle nelle vene goccia dopo goccia. Nicole cominciò a sentirsi intontita, in quel preciso istante capì il significato della parola “odiare”.
«Non ha niente da temere, vedrà che tutto andrà per il meglio» la rassicurò il dottore vedendo che la donna stava per cedere al panico. L’Anziano osservava estasiato quanto stava accadendo, era intento a registrare mentalmente ogni più piccolo particolare con un’avidità maniacale. Per lui si trattava di un momento unico, uno dei tanti che avrebbe contribuito a incidere per sempre il suo nome nel Grande Libro della Storia dell’Umanità.
«Deve sentirsi orgogliosa di essere stata scelta per il Progetto Cielo, non può avere la più pallida idea di quante fossero le candidate. E deve ritenersi fortunata, tra poco potrà incontrare Dio in persona» disse a Nicole. Lei chiuse gli occhi e non rispose, le contrazioni si stavano facendo sempre più frequenti e il dolore non lasciava più spazio neanche ai pensieri, adesso doveva semplicemente fare il proprio dovere nei confronti della Natura. Non le concessero di tenere in braccio suo figlio neanche per un attimo, la caricarono in fretta su di un’ambulanza per trasportarla in ospedale.
Pur non condividendo la scelta di Nicole di andare fino in fondo, Giuda si era costretto ad accettarla e si era inutilmente sforzato di starle il più vicino possibile. I suoi nervi erano ormai completamente logori, anche quella mattina aveva lasciato l’ufficio con una scusa perché là dentro si sentiva soffocare. Anche se col tempo aveva quasi imparato a controllarsi, talvolta era ancora colpito da saltuarie paralisi a causa dell’instabilità emotiva. Ma ogni volta che il chip interpretava l’eccesso di adrenalina nel suo sangue come una minaccia per sé stesso o per gli altri, interveniva spietatamente per metterlo in stand-by. Qualche tempo prima era stato colto da una crisi mentre era alla guida dell’auto, rendendosi conto che aveva rischiato di fare una strage era corso a far installare il Computer Direzionale, una sorta di pilota automatico. Percorrendo i viali lungo la costa, ornata dai prati ben curati e da snelli palmizi lievemente ondeggianti, si rese improvvisamente conto che era arrivata l’estate. Desiderò con tutto sé stesso trovarsi all’interno di uno di quei corpi rilassati,che si godevano il tepore del Sole attraverso il Filtro Deviante. Si tuffavano nell’acqua cristallina e dopo qualche istante riemergevano per nuotare in mezzo a un mosaico di vele colorate, palloni da sub e tavole da surf. Il suo cercapersone vibrò d’improvviso, lui puntò l’auto e accelerò prontamente in direzione dell’ospedale.
Giuda era ancora aggrappato all’esile speranza che tutto potesse andare bene, ma era più per amore di Nicole che non perché ci credesse davvero. Stava aspettando il verdetto davanti alla porta del reparto, inspirando profondamente per cercare di controllare i crampi alle gambe, che lo facevano barcollare. La porta si aprì e l’ostetrica gli venne incontro con passo lento, scuotendo la testa e senza guardarlo negli occhi. Lui si rese conto di non aver udito alcun vagito e sentì il mondo crollargli definitivamente addosso.
«Nicole!» disse dopo qualche istante, scuotendosi dallo choc che lo aveva come imbalsamato. «Devo vedere la mia Nicole.»
«Per adesso non è possibile, deve riposare perché è molto provata» gli spiegò l’ostetrica porgendogli il bicchiere d’acqua che aveva preso dal distributore automatico.
«Ora si sieda là e cerchi di restare calmo» gli suggerì prendendolo per un braccio, voleva accompagnarlo verso una fila di poltroncine.
«Non posso stare qui... devo vederla, devo andare a confortarla» insisté lui con le lacrime agli occhi. Si svincolò dall’infermiera e cercò di dirigersi verso l’ingresso del reparto, la donna fece un cenno ai due Signori dell’Ordine di guardia e questi gli sbarrarono il passo. Giuda cercò di passare con la forza e loro finsero di lasciarlo andare, poi lo immobilizzarono da dietro e lui sentì un ago penetrargli nel braccio. Gridò e cercò di divincolarsi ancora per un secondo appena, quando riaprì gli occhi si trovava disteso su una lettiga. Si sentiva ancora intontito dal sedativo e tutte le sue percezioni erano distorte, i Signori dell’Ordine lo accompagnarono da sua moglie sorreggendolo per i gomiti perché non riusciva a stare in piedi. Appena la porta si aprì, gli occhi gonfi e cerchiati di viola di Nicole si illuminarono, tutto sommato si sentiva sollevata perché era tutto quanto finito. Quello che accadde dopo, Giuda lo visse come in un sogno, con i contorni delle cose sfuocati e i suoni che gli echeggiavano nella testa. Si inginocchiò a fianco del letto e prese tra le sue la mano di sua moglie, che pendeva di lato.
«Lasciateci soli» mormorò. L’infermiera e i Signori dell’Ordine uscirono, lui si sporse su di lei sforzandosi di trattenere le lacrime. Le carezzò il viso e le scostò i capelli ancora bagnati dal sudore, che le stavano disordinatamente appiccicati sulla fronte e sul collo. Le vene erano ancora dilatate per lo sforzo e qualche capillare si affacciava ora sulle guance vellutate, a striarle di blu, un macchinario emetteva periodicamente un lugubre “bip”.
«Come ti senti?» le chiese, lei sorrise lievemente per fargli coraggio.
«E’ andata male, ma non potevamo farci niente. Sono felice di averci provato e di essere rimasta nel giusto... anche così, con gli occhi chiusi, il nostro bambino era bellissimo... ma adesso sento freddo, tanto freddo.»
«Non parlare, non devi sforzarti... appena uscirai di qui ti porterò al mare» disse lui sfregando forte la sua mano gelida, poi le tirò su il lenzuolo fino al collo. «Vedessi com’era bello, stamani, così azzurro e calmo. E poi ce ne andremo anche in montagna, davanti al nostro caminetto, a bere l’Abetello. Ci scalderemo a vicenda e staremo stretti stretti. Porteremo con noi anche Jodie, in queste ultime settimane non le siamo stati molto vicini...»
«Non mentire, lo sai che tutto questo non accadrà » lo rimproverò lei.
«Ma cosa stai dicendo?» replicò lui stringendo ancora più forte la sua mano, che si stava facendo sempre più fredda.
«Spero solo che un giorno mi perdonerai per avervi abbandonato. Sai, poco fa ho visto un prato bellissimo, c’era una porta aperta a spiraglio dalla quale usciva una luce intensa. In lontananza c’era lui, e poi ho visto anche i miei genitori e molte altre anime. Erano vestite di tuniche candide, che odorano di profumi così meravigliosi che prima non avevo mai sentito niente di simile.» Il “bip” accelerò e lei ebbe un sussulto, ma continuò a sorridere guardando un punto invisibile.
«Non dire sciocchezze, vedrai che tra un po’ starai meglio» avrebbe voluto dirle Giuda, ma le parole gli morirono in gola. Si girò e fece un cenno all’infermiera, che li guardava attraverso il vetro senza avere il coraggio di entrare, Nicole aprì bocca come se volesse dirgli qualcosa, ma tacque.
«Ti prego, non lasciarmi solo!» la implorò lui.
Lei raccolse le poche forze che ancora le restavano, ormai respirava a fatica.
«Non sei solo, hai Jodie. Promettimi che la proteggerai sempre e che rispetterai la Legge. Promettimi che farai di lei una persona giusta, una persona onesta... io e il bambino veglieremo su di voi da lassù, vi aspetteremo insieme. Promettimelo ripeté.»
«Te lo prometto, te lo prometto, ma tu non lasciarmi. Non lasciarmi, ti prego... infermiera... infermieraaa!»
Di colpo, Giuda si accorse di non avere più voglia di niente. Un dolore sordo lo aveva precipitato in un baratro fatto di ricordi confusi e sensi di colpa, fino ad annientarlo completamente. Jodie aveva smesso di mangiare e di parlare, tutto ciò che faceva era continuare a fissarlo in silenzio, con quella sua espressione perennemente triste, e lui non si sentiva forte abbastanza per riuscire a consolarla. Era pienamente consapevole che il Sistema non gli avrebbe lasciato crescere sua figlia da solo, se non avesse trovato in fretta una nuova compagna avrebbero ibernato lui e affidato Jodie a un’altra famiglia. Quindi, pur sapendo che non sarebbe mai riuscito a dimenticare Nicole, tentò comunque di ricominciare, per impedire che il destino gli portasse via anche sua figlia. Si sarebbe accontentato di trovare una brava donna che lo aiutasse a far sentire mia figlia meno sola, ma ogni volta che ne conosceva una tornava a rendersi conto che nessuna, mai, sarebbe riuscita a colmare il vuoto lasciato da sua moglie. Quindi ogni volta si ripeteva il solito assurdo rituale: Giuda si allontanava con una scusa e tornava a casa, dove trascorreva il resto della notte a guardare vecchie fotografie in compagnia di Jodie, piangendo.
PARTE III
L’ALIENO
A causa della precipitosa discesa attraverso l’atmosfera terrestre, il grande disco metallico dorato si era arroventato fino a diventare di un colore rosso incandescente. L’umanoide si affacciò all’oblò e osservò scioccato l’immensa distesa di terra arida e inospitale, sormontata a malapena da qualche protuberanza di roccia di colore chiaro.
Sono finito nel bel mezzo di un deserto si disse sconfortato, subito dopo tornò alla console di comando e prese a digitare freneticamente su qualcosa di simile a una scacchiera. “Motori di spinta primaria fuori uso causa mancanza di energia. Tempo di carica delle batterie con una sola stella, quantificato in trentaquattro anni terrestri. Temperatura delle strutture in fase di assestamento”, significavano i segni cuneiformi che comparvero sullo schermo giallo. Deluso, l’Alieno si disinteressò al computer e tornò a guardare oltre l’oblò nella speranza che gli venisse un’idea, ma si arrese subito. Sul suo pianeta, l’energia luminosa fornita dalle tre stelle avrebbe ricaricato le batterie in pochissimo tempo. Ma sulla Terra c’era un Sole soltanto, lui non aveva modo di amplificare l’effetto dei suoi raggi sui ricettori della navicella spaziale, non disponeva del materiale né degli strumenti necessari. Si rese conto che il problema era palesemente irrisolvibile e sui si rassegnò all’idea di aspettare passivamente trentaquattro lunghi e noiosi anni terrestri. Ebbe un moto di stizza e tornò a interrogare il computer, per avere i dati dell’Analisi Ambientale.
“Temperatura esterna 40 gradi terrestri. Quantità di luce nettamente insufficiente al fabbisogno energetico. Atmosfera costituita di Azoto, Ossigeno, Carbonio, umidità percentuale tendente a zero. Probabilità di sopravvivenza in questa zona del pianeta inferiore al tre per cento, causata dalla scarsità di acqua e della concentrazione minima di Anidride Carbonica sovrastata dall’alta percentuale di Ossigeno libero. Tempo limite di permanenza nell’ambiente esterno stimato in dieci giorni terrestri. Fasi successive conseguenti a un’esposizione eccessiva all’ambiente esterno: deficit energetico, immobilizzazione, stato prolungato di subcoscienza, perdita totale di coscienza, decesso dovuto a progressivo avvelenamento. Soluzione consigliata: Trasferimento Corporale. Fine rapporto” sentenziò il cervellone, impietoso. L’Alieno si lasciò scivolare con la schiena lungo la parete, lentamente, finché si ritrovò seduto con le braccia giunte intorno alle gambe esili. Ripensò al documentario inerente al Pianeta Terra, uno dei tanti che aveva visto durante la lunga traversata spaziale, e chinò la testa depresso.
Con tutti i mondi abitati che esistono, sono finito proprio sul pianeta popolato dalla più stupida tra le razze in via di evoluzione! Non dispongono di una tecnologia in grado di aiutarmi, per di più sono estremamente superstiziosi e privi di qualsiasi apertura mentale. Se mi vedessero in queste sembianze mi considererebbero un mostro, non esiterebbero a uccidermi all’istante. Non ho modo di cercare un luogo più vivibile, ma se anche lo trovassi non riuscirei a stare nascosto per tutto quel tempo. Non ho altra scelta che effettuare il Trasferimento Corporale. Dovrò trasformarmi in uno di loro e per molti anni sarò vulnerabile, almeno fin quando la coscienza di me non riprenderà il sopravvento. Per riuscire a sopravvivere per tutto quel tempo in un mondo così incivile avrò bisogno di una buona dose di fortuna, ma per allora le batterie saranno cariche e potrò ripartire alla volta di Igos. No, non ho altra scelta... allora tanto vale che lo faccia subito!
L’essere si recò nel piccolo laboratorio e aprì un cassetto refrigerato contenente alcune provette trasparenti, tirò giù una piccola sonda da una nicchia ricavata nel soffitto e allungò il tubo flessibile fluorescente al quale era collegata. La calò nel settore recante la scritta “Razza Umana Esemplare Maschile”, pochi istanti dopo la sonda determinò qual’era il sottogruppo di spermatozoi più adatto ai suoi scopi. L’Alieno pensò per un attimo all’essere dal quale erano stati estratti, l’ultima volta che l’aveva visto giaceva privo di vita nel giardino del suo palazzo, ormai ridotto in macerie annerite dalla furia distruttiva della guerra. Non riuscì a provare pena per lui neanche quando gli tornarono alla mente i suoi occhi tristi, che lo fissavano increduli da dentro la gabbia del suo zoo personale. Per lui, quello era soltanto un essere inferiore che una sera era stato portato via dal suo piccolo e insignificante mondo, senza capire il come né il perché. Il pensiero di doversi trasformare in un simile stupido animale suscitò in lui una profonda rabbia, continuò a fissare il vasetto selezionato dalla sonda senza riuscire a decidersi, quasi tentato di distruggerla. Sospirò ripetutamente finché riuscì a calmarsi, allora andò a deporre con gesti cauti la provetta su di un piano metallico. Toccandola in un punto particolare, stimolò una ghiandola che aveva al centro del petto, per provocare l’apertura dei petali posti a protezione dell’infiorescenza. Usando uno strumento a forma di cucchiaio prelevò un campione del proprio seme e lo sistemò il seme in un contenitore che posò accanto al primo, poi coprì entrambi con due piccole semisfere collegate tra loro attraverso un macchinario. Questo svolse rapidamente il proprio compito, emettendo una luce violacea.
“Procedura correzione cromosomica e potenziamento patrimonio genetico terminata” annunciò il computer dopo qualche istante. L’Alieno annuì e andò a sedere su una poltrona circondata da cavi e circuiti, indossò un casco su cui era impiantata una moltitudine di elettrodi e digitò un codice sulla piccola tastiera che aveva indossato all’avambraccio. Dopo pochi istante cadde in uno stato di trance, una serie infinita di immagini e avvenimenti gli attraversò la mente per un tempo che gli parve non finire mai, provocandogli gioie e sofferenze in successione confusa, poi la folle corsa dei ricordi arrivò al capolinea e lui si sentì svuotato.
“Procedura di trasferimento memoria su clone effettuata con successo”, confermò il computer con voce impersonale dopo un breve ronzio.
Quando si riprese, l’Alieno si sfilò il casco e tornò ancora una volta a guardare fuori, improvvisamente malinconico. Provò lungamente a convincersi che quell’ulteriore supplizio impostogli dal destino avrebbe potuto in qualche modo trasformarsi in un’esperienza positiva, ma non ci riuscì. Si rese conto che continuare a rimuginare sarebbe servito soltanto ad alimentare la confusione che aveva dentro, lo avrebbe portato a disperdere stupidamente energie e a commettere errori irreparabili, con il conseguente rischio di finire la sua esistenza in quella misera landa desolata.
Adesso devo soltanto trovare chi mi farà rinascere, considerò imponendosi di tornare alla realtà. Dopo essersi nutrito abbondantemente, recise la maggior parte dei peli piatti e larghi di colore verde di cui il suo corpo era ricco, per ridurre più che poteva la traspirazione. Terminate le operazioni necessarie ad aumentare le sue probabilità di sopravvivenza, fece un resoconto mentale per verificare di non aver tralasciato niente.
L’Anziano era al colmo dell’esaltazione, come sempre si fiondò nell’ufficio di Ann senza curarsi di bussare alla porta, né di rivolgerle il saluto formale.
«A che punto siete con le indagini? Avete identificato la talpa che si è introdotta nell’Archivio Informatico?» le domandò in tono euforico, interrompendo il suo lavoro.
«Non ancora Eccellenza» rispose lei abbassando gli occhi, temeva la sua reazione. Odiava dover subire delle paternali, anche se motivate, ma cercare l’autore dell’intrusione era come cercare un ago in un pagliaio.
«Ci stiamo provando, ma a questo punto dubito seriamente che ci riusciremo perché il responsabile sapeva di certo il fatto suo. Ha usato un terminale pubblico al quale hanno libero accesso molte persone, in modo da non poter essere facilmente rintracciato. Inoltre, a un certo punto il traffico dati si è sdoppiato su due linee separate, come se a violare l’Archivio fossero stati due computer e non uno soltanto.»
«Questo non è affatto confortante,» commentò lui accigliandosi, «spero che lei sia almeno in grado di garantirmi che una cosa del genere non si ripeterà mai più.»
«Di questo potete essere più che certo, Eccellenza. I nostri migliori esperti hanno lavorato duramente per realizzare una nuova barriera contro il rischio di eventuali intromissioni... purtroppo però c’è dell’altro!» aggiunse poi dopo aver deglutito, l’Anziano la guardò preoccupato. «I Servizi di Vigilanza hanno notato i movimenti sospetti di una serie di persone, sembrerebbe che esista una specie di organizzazione che si riunisce in segreto. Non sappiamo ancora quali siano i loro scopi, ma tutto ci lascia supporre che di certo non si incontrano per giocare a Bridge. Li stavano studiando, ma dopo la violazione dell’Archivio Storico sono entrati in stand-by e sono come scomparsi. Questo ci induce a sospettare che i responsabili di quell’atto ignobile siano proprio loro» raccontò. Tralasciò di dirgli del materiale tecnologico che avevano trovato in un covo vuoto, quelle apparecchiature non le avevano fornito alcuna indicazione utile alle indagini e lei non aveva intenzione di subire un’altra ramanzina da parte dell’Anziano. Sir Jonathan si fece pensieroso, quella che Ann gli aveva appena dato era davvero una pessima notizia. Ma per quel giorno aveva deciso non lasciarsi turbare, voleva godersi la gioia per aver appreso che tutte le diverse fasi del suo progetto stavano avanzando nella maniera migliore. Si disse che a disfarsi di un eventuale gruppetto di dissidenti ci avrebbero pensato i Servizi di Vigilanza, lui aveva cose ben più importanti a cui pensare.
«Non mollate la presa, teneteli d’occhio e riferitemi tutto al riguardo» rispose per concedere comunque un po’ di soddisfazione alla ragazza, ma il motivo per cui era andato a trovarla era di ben altra portata. «Tra pochi giorni si terrà la riunione semestrale del Nucleo Ibernazione. C’è una persona che deve essere assolutamente sottoposta al Trattamento affinché non intralci il Progetto Cielo, scelga un nominativo qualsiasi dalla lista che le verrà fornita e lo sostituisca con questo» ordinò porgendole un foglio con su scritto un nome. Lei lo lesse, poi interrogò Sir Jonathan con lo sguardo.
«Si ricordi il giuramento: ”Mai domandare”» l’ammonì lui in risposta. «Faccia il suo dovere come si deve e sarà adeguatamente ricompensata» concluse, poi uscì frettolosamente com’era entrato perché doveva recarsi a dare disposizioni al dottor Lorentz.
Giuda continuava a trascorrere le sue giornate in compagnia di Jodie. Quel giorno erano stati a fare una gita in campagna ma l’avevano vissuta alla stregua di un incubo, come tutte le precedenti. Non avevano fatto nient’altro che camminare per ore guardando nel vuoto, immersi in un silenzio abissale interrotto soltanto dal raro verso di qualche uccello. Durante tutto il viaggio di ritorno lui continuò a chiedersi cosa avrebbe preparato per cena, giunti a casa trovarono due Signori dell’Ordine ad attenderli in giardino.
«Il signor Giuda 1091?» gli domandò uno dei due, leggendo il suo nome da un fascicolo.
«Sono io,» confermò lui in tono apatico, «c’è qualcosa che non va?»
«Niente di grave, siamo stati incaricati di prelevare la bambina» lo informò il soldato senza usare un minimo di tatto, mostrandogli un foglio pieno di timbri.
«… prelevare la bambina?» gli fece eco Giuda, incredulo. Si voltò verso la strada e vide un’anziana coppia uscire da un’automobile posteggiata poco distante dalla sua, lei aveva in mano un grosso pacco colorato e continuava ad ammiccare verso Jodie, sorridendo.
«E’ stata decisa la ricollocazione di sua figlia in una famiglia regolare. Come saprà, soltanto una piccola percentuale delle famiglie incomplete viene lasciata nello stato di fatto» spiegò con professionalità uno dei due Signori dell’Ordine. Jodie scappò immediatamente in strada per sottrarsi a quella specie di sequestro, uno dei militari la inseguì e la riacciuffò un attimo prima che finisse sotto un’auto, poi scortarono entrambi in casa affinché lei potesse prendere le sue cose.
«Non voglio essere portata via!» cominciò d’un tratto a gridare Jodie, scalciando e tirando strattoni al Signore dell’Ordine che cercava di immobilizzarla. «Voglio stare con mio padre... voglio stare con papà!»
Esasperato dal suo pianto, Giuda si scagliò contro i Signori dell’Ordine e lottò con tutte le sue forze, affinché non gli venisse portata via anche lei. Quando riprese conoscenza, scoprì di trovarsi in una camera d’ospedale. Non appena fu certo che era in grado di capirlo, un tizio in camice bianco gli lesse i referti:
«Asociale e depresso, frequenti stati di disordine mentale, cenni di schizofrenia e manie persecutorie... direi che non c’è male! Ma stia tranquillo, la guariremo!»gli disse sorridendo, poi controllò che le cinghie che gli immobilizzavano braccia e gambe fossero ben salde.
Le pareti dell’antico magazzino puzzavano di muffa, alcuni ventilatori appesi al soffitto continuavano a cospargere di polvere le teste delle sei persone riunite attorno al tavolo. Il materiale tecnologico era stato disposto al centro del ripiano tarlato e stonava con il resto dell’arredamento, fatto di vecchi mobili ricoperti di lenzuola e ragnatele.
«Per quanto tempo ancora dovremo continuare a vivere in questo modo, a nasconderci come topi?» sbottò Tony rompendo subito il silenzio. Era alto e magro, abbronzato, i suoi occhi piccoli, tagliati come mezzelune, si accendevano ogni volta che sorrideva o che osservava qualcosa con attenzione. Due fini baffetti neri addolcivano la sporgenza eccessiva del suo naso, lievemente appuntito. Era nervoso nel corpo come nel carattere e meticoloso per natura, ogni volta che c’erano quelle riunioni sbraitava di continuo per ogni nonnulla. Gli altri stavano distrattamente cercando di trovare la posizione più comoda per affrontare l’attesa, che presumibilmente sarebbe stata lunga.
«Per quanto tempo ancora dovremo sopportare che i nostri familiari e i nostri amici vengano deportati?» continuò lui. «L’Ibernazione Transitoria non è altro che una schifosa truffa, per quanto tempo ancora dovremo continuare a fornire i nostri cuori e i nostri polmoni agli anziani del Consiglio?»
«Adesso basta,» lo interruppe Shasa, «tutte le volte è sempre la stessa storia. Tutte le volte ci sommergi con le tue paranoie, come quando t’impunti che qualcuno di noi ti ha guardato in modo strano e allora vuoi sapere a ogni costo perché. Lo sai che questi discorsi non mi piacciono, niente di quello che dici è stato dimostrato. Personalmente, finché non l’avrò vista coi miei stessi occhi, mi rifiuto di credere a una simile crudeltà» concluse, poi aspirò dalla sigaretta infossando le guance e spinse fuori dalle narici due getti di fumo. Si ricongiunsero senza fretta per salire verso il soffitto, avvolgendosi in fantasiose spirali, la luce trasversale che entrava dalla finestra posta in alto le tagliò a fette creando affascinanti arabeschi.
«E tu invece smettila di fumare, in questo buco l’aria è già abbastanza pesante!» le disse in tono risoluto Jack, il cui carattere era in netto contrasto con l’aspetto fisico. Aveva le spalle strette e la pancia pronunciata, i fini capelli lisci e radi, di un colore biondo sbiadito, facevano poca ombra sul suo viso perennemente pallido. Sotto pelle chiarissima del volto si intravedevano a tratti le sue vene, mentre i piccolissimi occhi celesti, distanti tra loro, non si mostravano affatto. La bocca era atteggiata in una piega neutra, a dare l’impressione di una persona alla quale va sempre bene qualsiasi decisione.
«Sono felice che abbiamo dovuto lasciare l’altro covo, così quando avrai finito quelle dannate sigarette non potrai procurartene altre!» aggiunse.
«Già, vorrei proprio sapere come ci sono arrivati, a scoprire l’altro nascondiglio. Forse tu ne sai qualcosa!» replicò malignamente lei guardandolo dritto negli occhi, poi sbuffò di proposito il fumo nella sua direzione.
«Allora non mi sono spiegato bene...» fece lui, alzandosi a torreggiare minacciosamente su di lei.
«Smettetela!» intervenne Andy, afferrò per un braccio Jack e lo tirò giù a sedere. «Siamo arrivati a un buon punto, così come i nostri fratelli delle altre comunità. Finalmente tra un po’ arriverà il momento di entrare in azione, questo non certo è il momento di perdersi in questi giochetti!»
«Voi credete davvero che ce la faremo? A volte penso a come potrebbe essere il mondo tra qualche mese e mi sembra di sognare, ho paura di illudermi inutilmente...»
«Te l’ho già detto mille volte. Se non te la senti farai meglio a tirarti subito indietro» la punzecchiò Jack.
Gli occhi di Shasa si accesero d’ira, aprì bocca per replicare ma Tony la zittì con un gesto della mano.
«Sta arrivando qualcuno» sussurrò andando ad acquattarsi dietro la porta. Questa si aprì lentamente e lui ne seguì il movimento, quando l’uomo entrò si ritrovò immobilizzato da una perfetta presa di Judo.
«Quando la finirai di arrivare in ritardo?» gli ringhiò all’orecchio. «Ci hai fatto prendere una fifa del diavolo!»
«Ma la riunione non era alle quattro?» balbettò incerto il nuovo arrivato, Tony non rispose. Lo spinse verso il suo posto e andò a serrare la porta, poi vi poggiò contro una spessa lastra di polistirolo per attutire i rumori verso l’esterno.
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